martedì 20 marzo 2012

L'Europa è una passione triste

Il testo che segue è una anticipazione di un articolo di Marino Badiale e Fabrizio Tringali attualmente in lavorazione. In queste righe Badiale sottolinea la differenza fra "Europa" ed "Unione Europea", e illustra come spesso, soprattutto nella sinistra italiana, si confonda la prima con la seconda. Il desiderio di "un'altra Europa" o di una "Europa dei popoli" tanto spesso declamato non è altro che uno slogan vuoto, espressione di una cieca passione verso forme politiche del tutto funzionali agli interessi dei ceti dominanti. (F.T.) 
di Marino Badiale

L'affermazione che per salvare ciò che resta di civiltà sociale nel nostro paese sia necessario rompere con l'UE incontra, come è noto, forti resistenze, e questo in particolare nella sinistra. 
In effetti, sembra che per molte persone di sinistra l'UE rappresenti una specie di ideale sostitutivo, un succedaneo del socialismo o del comunismo ormai abbandonati. E i meccanismi psicologici, che la tesi di abbandono dell'UE fa scattare in molte persone, ricordano proprio quelli che la critica ai paesi dell'Est facevano scattare in tanti militanti comunisti
Un indice di questo complesso psicologico è il fatto stesso di parlare di “Europa” invece che di “Unione Europea”. È chiaro che si tratta di due cose ben diverse. L'Europa è una realtà geografica, storica, culturale alla quale l'Italia appartiene pienamente, per cui la proposta di “far uscire l'Italia dall'Europa” è un non senso. 

L'Unione Europea è invece una realtà giuridica nata da circa un paio di decenni grazie all'adesione di una serie di paesi europei ad alcuni trattati. Sono questi trattati a definire cosa è l'UE. Ora, è ben noto che in questi trattati viene teorizzata una impostazione economica di liberismo stretto. Quella che ha cioè portato alla attuale crisi. L'UE è stata creata con lo scopo di permettere la massima circolazione di merci e capitali e di impedire sostanzialmente ogni intervento statale che ostacoli concorrenza e libera circolazione delle merci. Questi aspetti non sono linee di politica economica scelte da una maggioranza politica, e che possano quindi cambiare con una diversa maggioranza politica. Sono l'essenza stessa dei trattati che definiscono l'UE, e sono quindi l'essenza dell'UE. Aderendo all'UE è a tali politiche che si aderisce. In tutto questo non c'è nulla di strano. La creazione dell'UE avviene infatti negli stessi anni (anni Ottanta e Novanta, in sostanza) nei quali si impongono nell'Europa occidentale le politiche economiche neoliberiste, che comportano la lenta erosione di tutte le conquiste ottenute dai ceti popolari nel secondo dopoguerra. I ceti dirigenti dei paesi europei, che nei propri paesi distruggono lentamente diritti e redditi dei ceti subalterni, sono gli stessi che in quegli anni costruiscono l'Unione Europea. Solo uno sciocco potrebbe pensare che in tale costruzione siano mossi da spinte diverse rispetto a quelle che li portano, nei propri paesi all'attacco ai ceti subordinati. È evidente che la costruzione europea risponde alle stesse logiche antipopolari delle politiche economiche neoliberiste. Questo semplice dato di fatto lo si ritrova, magari non in forma immediata, nella coscienza popolare. È vero che la massiccia campagna mediatica a favore dell'UE ha prodotto, per lunghi periodi, e soprattutto in alcuni paesi come l'Italia, una notevole adesione popolare all'idea dell'unificazione europea. Ma diversi indizi mostrano come si tratti di una adesione passiva. Nessuno si riconosce nella bandiera europea e nessuno canta l'inno europeo. Soprattutto, non si è mai imposta una “festa europea”. Questo ci sembra un aspetto significativo della coscienza popolare. Cosa significano infatti le grandi feste “politiche” (tralasciamo ovviamente le feste religiose e quelle in qualche modo legate al folklore) di paesi come l'Italia o la Francia? Pensiamo al significato del 25 aprile, del 14 luglio, del 1 maggio: si tratta di grandi feste che celebrano le lotte e le vittorie del popolo, di chi sta in basso, contro chi sta in alto. Queste feste indicavano una cosa che un tempo era chiara: i ceti dominanti non concedono mai nulla gratis, tutto quello che i ceti popolari hanno ottenuto glielo hanno strappato con dure lotte. E cosa significa allora l'assenza di una vera festa popolare “per l'Europa”? Significa che i ceti subalterni non hanno fatto nulla, che l'UE non è il risultato delle loro lotte, ma è appunto una costruzione dei ceti dominanti. È un loro progetto che, come si è detto sopra, corre parallelo all'instaurazione delle politiche neoliberiste di distruzione delle conquiste popolari.

Tutto questo è abbastanza semplice da capire. Tanta semplicità induce allora a porsi un'altra domanda: da dove origina questa “passione per l'UE” che pure è un dato reale del senso comune in paesi come l'Italia?
Credo che la risposta sia duplice. Da una parte l'UE ha rappresentato l'ultimo rifugio della sinistra italiana, in evidente crisi di identità dopo l'Ottantanove. Ma la passione per l'UE tipica della sinistra in questi anni ha potuto agganciarsi su qualcosa di più profondo, su una sostanziale disistima di sé che è uno dei dati più negativi del senso comune del popolo italiano. Non vogliamo qui indagare a fondo le ragioni di questo senso di autosvilimento che qualsiasi italiano conosce molto bene. Esse risalgono probabilmente al modo in cui il senso di orgoglio nazionale è stato appropriato dal fascismo e alla sconfitta vergognosa del fascismo stesso. Ci pare evidente che c'è in molti italiani un senso di disperazione rispetto ai problemi, certo seri e gravi, del nostro paese. In sostanza l'adesione all'UE appare come la richiesta di essere governati da qualcun altro che non sia italiano, di diventare un protettorato tedesco o francese, a seconda dei gusti. Purtroppo questa passione appare molto mal riposta. I paesi forti dell'UE fanno semplicemente i propri interessi, e rinunciare alla propria sovranità per metterla in mano a qualcun altro, in un contesto di competizioni spietate, appare davvero una scelta suicida. Come è evidente anche nella vita dei singoli, è impossibile essere rispettati e far valere le proprie ragioni se si parte da un sostanziale disprezzo di sé.
La passione per l'UE appare quindi una passione priva della festa che celebri la vittoria popolare, ed effetto in ultima analisi di un profondo disprezzo di sé. Riprendendo senza pretese di correttezza filologica una espressione di Spinoza potremmo dire che, almeno in Italia, l'Europa è una passione triste.

5 commenti:

  1. Articolo pubblicato ripreso e pubblicato da NuovoSoldo.it al link http://www.nuovosoldo.net/2012/03/20/leuropa-e-una-passione-triste/

    RispondiElimina
  2. L'EUROPA O UNIONE EUROPEA NON HANNO UNA COSTITUZIONE E' UN TRATTATO BANCARIO.NATO PER ARGINARE IL POTERE AMERIKANO.NON SARA' MAI UNO STATO UNITO.

    RispondiElimina
  3. bellissimo articolo, complimenti. ripubblicato sul mio blog, ciao.

    RispondiElimina
  4. Bello assai e atto ad essere impiegato in più contesti (evito di proposito la parola "spendibile"), come analisi storico-politica - prevalentemente i primi due capoversi nonché la presentazione - e come riflessione psico-antropologica, prevalentemente l'ultimo capoverso. E chiarissimo, qualità apprezzabile da chi eventualmente digiuno dell'argomento in toto o in parte.

    Poiché fatico a star dietro a posta, web e...vita normale (?) e pertanto non son sicura di tornare qui in tempo utile, colgo il momento per auguri a tutta la redazione per le prossime feste (?).

    RispondiElimina