giovedì 26 aprile 2012

Austerità ed Europa

Emiliano Brancaccio, Marco Passarella, L'austerità è di destra. E sta distruggendo l'Europa. Il Saggiatore 2012.

Emiliano Brancaccio e Marco Passarella hanno scritto un testo di grande valore, che unisce chiarezza espositiva, lucidità nell'analisi, consequenzialità nelle argomentazioni. Nella sua brevità (che porta gli autori, con modestia forse eccessiva, a parlarne come di un pamphlet) esso fornisce una visione coerente della crisi in corso, a partire dalle sue radici nel regime di accumulazione instaurato in Occidente negli ultimi trent'anni, per arrivare ai problemi europei e italiani. Gli autori spiegano come le attuali politiche di austerità, che tutti i ceti dominanti europei stanno mettendo in opera, siano destinate a peggiorare la crisi attuale.


Tali politiche sono richieste dalla vulgata dominante, secondo la quale il problema dei paesi PIGS è l'eccesso di spesa pubblica. Ma gli autori spiegano (cap.6) come il problema di fondo dell'eurozona sia quello della competizione interna ad essa, con la Germania e i paesi forti del nord che accumulano surplus commerciali nei confronti dei paesi deboli del sud. Gli autori aggiungono (cap.9) che uno degli strumenti principali per questa guerra commerciale interna all'eurozona è la politica di deflazione salariale tenacemente perseguita dalla Germania, politica che, in regime di moneta unica, permette a chi la pratica guadagni di competitività. Di qui discende, all'interno dell'euro, la necessità di una politica di deflazione salariale in tutti i paesi PIGS: se non si fa quello che ha fatto la Germania, si continuano ad accumulare deficit commerciali, finanziati con afflussi di capitale, e si tratta di una situazione chiaramente insostenibile. Ma una politica di deflazione salariale a livello europeo può essere la via d'uscita dalla crisi? Ha senso accettare i sacrifici richiesti per poter sperare di imboccare un nuovo percorso di sviluppo? No, rispondono gli autori, perché una Europa “germanizzata” non potrebbe generare al proprio interno la domanda a sostegno della produzione, mentre, per vari motivi, non ci si può aspettare che la domanda venga dall'esterno, almeno nel breve-medio periodo (cap.13). Il senso dell'austerità non è dunque quello di un passaggio necessario per superare la crisi, ma rappresenta piuttosto un progetto mirato a scaricare i costi della crisi sui soggetti deboli: in primo luogo sui ceti popolari europei, privandoli dei diritti conquistati decenni addietro e abituandoli alla nuova realtà di impoverimento diffuso; in secondo luogo, sui “capitalismi deboli” dei paesi PIGS. L'ulteriore indebolimento causato a tali paesi dalle politiche di austerità è infatti la premessa per una politica di acquisizioni da parte dei soggetti forti, che potranno impadronirsi a prezzi stracciati di attività di vario tipo nei paesi PIGS (cap.11).
In questo contesto, il destino dei paesi PIGS sembra segnato, e a questo proposito gli autori usano il termine “mezzogiornificazione” (cap.12), in origine introdotto da P. Krugman. Si potrebbe anche parlare, come fa B. Conte, di “terzomondizzazione”, ma in ogni caso il concetto è chiaro: i paesi PIGS sono destinati a diventare zone depresse, le cui economie potranno conservarsi solo in funzione degli interessi e dei fini dei paesi forti del nord: “Le leve di comando del capitale si concentreranno sempre di più in Germania e nelle aree centrali dell'Unione, mentre le periferie resteranno popolate da masse inermi di azionisti di minoranza e di lavoratori a basso costo (pagg.91-92)”. I ceti medi in questi paesi tenderanno a scomparire e i ceti popolari a cadere nella miseria o giù di lì.
Che fare per impedire questa degenerazione distruttiva per il nostro paese? Gli autori propongono una nuova politica economica europea, basata sulla definizione di uno “standard retributivo europeo”, su un deciso ritorno dello Stato nella politica economica (con la scelta di una seria pianificazione), su una politica di “repressione finanziaria” per contrastare il predominio della finanza.
Se non si riesce a mettere in campo una politica che realizzi questi punti, l'uscita dei paesi PIGS dall'eurozona diventerebbe una prospettiva ragionevole, perché “è agevole dimostrare che, oltre un certo limite, i costi della permanenza nella zona euro e nel mercato unico possono di gran lunga superare i costi di uno sganciamento da entrambi (pag.131)”.
Fin qui gli autori. La lucidità del loro ragionamento rende agevole imbastire una discussione critica. Per brevità mi limito ad un solo punto, peraltro decisivo: non c'è nessuna speranza che la nuova politica economica europea, che gli autori delineano, possa trovare applicazione concreta. Il motivo lo spiegano loro stessi, con l'abituale chiarezza: la “volontà politica d'integrazione” ha bisogno di essere accompagnata da “una forza d'urto in grado di mettere in discussione la logica del regime di accumulazione” sulla quale si basa l'UE (pag.25). Ma, appunto, non si vede da dove possa arrivare questa “forza d'urto”. Abbiamo ripetutamente argomentato (qui e qui, per esempio) che la mancanza di una autentica “solidarietà popolare europea” priva la politica indicata dagli autori proprio di quella “forza d'urto” che essi richiedono. È vero che le misure da loro indicate andrebbero a vantaggio di tutti i lavoratori, e quindi potrebbero rappresentare una base per una lotta popolare europea; ma una tale lotta non si costruisce solo sull'indicazione di interessi materiali, ma appunto su una solidarietà culturale, sulla capacità di comunicazione diffusa, su una visione politica comune: tutte cose che oggi mancano ai popoli europei e che richiedono decenni, se non secoli, per essere costruite. Per non parlare del fatto che la proposta di una lotta popolare europea per le misure indicate dagli autori dovrebbe necessariamente convincere i lavoratori dei paesi “forti”, in primo luogo i lavoratori tedeschi: ai quali si dovrebbe chiedere di abbandonare le politiche che hanno permesso al loro paese di uscire rapidamente dalla crisi nella quale si dibattono ancora tanti altri paesi, per adottare politiche che ai loro occhi possono apparire pericolosamente simili a quelle degli aborriti meridionali spreconi e scansafatiche. Ci sembra una opera di convincimento piuttosto improba, o tale comunque da richiedere, come abbiamo già detto, tempi molto più lunghi di quelli che ci impone la dinamica della crisi attuale.
Ma se la proposta di una nuova politica economica europea non ha, come noi crediamo, una base sociale che fornisca la necessaria “forza d'urto”, è inevitabile concludere, seguendo l'implacabile logica degli autori, che l'unica possibilità per evitare la riduzione del nostro paese a zona depressa e colonizzata è l'uscita dall'euro, alla quale bisogna prepararsi. Su questa necessaria preparazione gli autori forniscono indicazioni preziose: per esempio quando sottolineano come l'uscita dall'euro sia logicamente collegata alla richiesta di un default sul debito pubblico (“cosa che alcuni dei promotori degli appelli al ripudio del debito faticano a comprendere” (pag.129)), oppure quando collegano la fine dell'euro alla fine della libera circolazione dei capitali e anche delle merci, e infine quando sottolineano l'importanza di diminuire drasticamente la nostra dipendenza dall'estero, soprattutto nei settori energetico e agroalimentare.
Il libro di Brancaccio e Passarella può stimolare molte altre riflessioni, ma le lasciamo a discussioni future. Concludiamo formulando l'auspicio che questo libro venga letto e discusso. Anche nei punti di disaccordo, la sua chiarezza e lucidità, così lontana dalla discorsi fumosi ai quali si dedicano i tanti produttori di fuffa che affliggono gli ambienti “radicali” e “alternativi”, non possono avere che effetti benefici nel dibattito in corso su tali temi.

(Marino Badiale)

4 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  2. devo leggerlo
    una domanda : potreste pubblicare qualcosa o fornire dei link sull'economia tedesca post unificazione ? tanto per capire meglio con chi abbiamo a che fare

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Qui c'è la disoccupazione post-unificazione

      http://www.tradingeconomics.com/chart.png?s=gruepr&d1=19910101&d2=19980531

      E qui c'è la disoccupazione dopo le riforme del lavoro del governo Schroeder

      http://www.tradingeconomics.com/chart.png?s=gruepr&d1=20010101&d2=20050531

      Ecco in due immagini il modello tedesco.

      Elimina
    2. grazie ,
      molto utile per capire l'approccio alla competitività dei teutoni ..

      Elimina