giovedì 5 aprile 2012

Un'analisi sulle riforme Costituzionali e sulla nuova legge elettorale


di Fabrizio Tringali


I dibattiti sulle riforme della Costituzione e sulla nuova legge elettorale sembrano giunti ad uno stadio molto avanzato.
Le bozze di modifica dell'assetto istituzionale in discussione, che godono dell'appoggio dei principali partiti, mirano a ridisegnare i poteri dello Stato, aumentando i poteri del premier, ed in generale rafforzando il ruolo dell'esecutivo a scapito del legislativo.
Analizziamo le proposte sul tappeto, e le loro conseguenze.


Un quotidiano online di informazione giuridica ha così riassunto alcune delle linee principali della bozza di riforma costituzionale:

  • MENO PARLAMENTARI E PIU’ GIOVANI: I deputati saranno 508, di cui 8 eletti nella circoscrizione Estero. E’ eleggibile chi ha compiuto 21 anni. I senatori saranno 254, di cui 4 per la circoscrizione Estero. Ogni Regione non potra’ avere meno di 5 senatori. A Palazzo Madama e’ eleggibile chi ha compiuto 35 anni (ora ce ne vogliono 40).
  • PIÙ POTERI PREMIER: Il premier può chiedere al capo dello Stato di sciogliere le Camere, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, salvo che, entro 15 giorni dalla proposta, le Camere approvino la mozione di sfiducia costruttiva. Il premier puo’ proporre al presidente della Repubblica nomina e revoca dei ministri. La fiducia gli deve essere data da entrambe le Camere.
  • SFIDUCIA COSTRUTTIVA: La mozione è sottoscritta da almeno un terzo dei componenti di ciascuna Camera, deve contenere l’indicazione del nuovo premier e non puo’ essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (mentre per la fiducia iniziale al Governo basta la maggioranza semplice). Se la mozione passa in una Camera e nell’altra no, la crisi comunque resta e il potere di scioglimento resta nelle mani del capo dello Stato. 

Una riforma di questo tipo, se approvata, altererebbe significativamente l'equilibro dei poteri disegnato con la Carta Costituzionale del '48, incentrata su un regime parlamentare, dove le Camere sono chiamate ad esprimere la fiducia all'intero esecutivo, ed eventualmente a revocarla con un voto di sfiducia senza l'obbligo di indicare preventivamente un governo alternativo.
Il nuovo assetto sarebbe invece incentrato, più che sul governo, addirittura  su una singola persona, il premier. E' a lui, infatti, e non al governo, che le Camere dovrebbero accordare la fiducia.
Egli avrebbe poi il potere di revocare i ministri, e di suggerire lo scioglimento del Parlamento (arma da usare come minaccia nei confronti di una assemblea legislativa eventualmente recalcitrante ad approvare i provvedimenti desiderati).
Viceversa le Camere potrebbero solo avvalersi della sfiducia costruttiva. Senza un accordo preventivo comprensivo dell'indicazione di un nuovo premier capace di raccogliere i voti della maggioranza assoluta, esse non potrebbero sfiduciare l'esecutivo.


L'intento è fin troppo chiaro: i ceti dirigenti vogliano dotarsi di un sistema istituzionale sempre più impermeabile alle prevedibili tensioni sociali innescate dai provvedimenti di austerità imposti dagli organismi europei al fine di ottenere crescita economica in salsa liberista.
Questa impressione è rafforzata anche dal recente dibattito sulla regola del pareggio di bilancio in Costituzionale, il cui iter è stato già avviato alle Camere del Parlamento italiano, e dagli accordi interpartitici sulla possibile nuova legge elettorale.


Ben cinque premi Nobel per l’economia (Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin, Robert Solow) sostengono, in una lettera scritta congiuntamente, che “il pareggio di bilancio è una camicia di forza economica e non c’è alcun bisogno di inserirlo nella Costituzione. La norma rappresenta una scelta politica estremamente improvvida… (con) effetti perversi in caso di recessione. Cercare di raggiungere il pareggio di bilancio è, nella fase attuale, pericoloso. Perché nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto


Essi si rivolgono al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per convincerlo a non adottare un provvedimento costituzionale simile a quelli che i Paesi europei stanno introducendo nelle loro Carte Fondamentali: “Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione. Di più. Un tetto vincolante di spesa, comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio i disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio, mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza”.


Per quanto riguarda la legge elettorale, a fine Marzo 2012, un vertice delle tre forze politiche di maggioranza (PDL, Terzo Polo e PD) ha sancito un accordo di massima sia sugli elementi principali della riforma istituzionale (nei termini che abbiamo indicato poco sopra), sia le linee guide di quella che dovrebbe essere la riforma del sistema di voto in Italia. Che sono:

  • Restituzione ai cittadini del potere di scelta dei parlamentari (ma senza reintroduzione delle preferenze)
  • Cancellazione del premio di maggioranza
  • Soglia di sbarramento
  • Diritto di tribuna
  • Indicazione del candidato premier

Dunque l'impianto della legge elettorale dovrebbe restare proporzionale, ma senza premio di maggioranza (quindi si disincentiva la formazione di coalizioni prima del voto).
In questo modo i partiti avranno maggiore facilità di costruire coalizioni di governo a geometria variabile, tramite accordi sottoscritti dopo le elezioni.
L'introduzione del diritto di tribuna lascia intendere che la soglia di sbarramento sarà alta.
Sarà quindi più difficile, per i nuovi soggetti politici, riuscire a varcare la soglia del Parlamento, salvo i pochi seggi destinati al “diritto di tribuna”.


E' interessante notare che alcuni commentatori criticano questa serie di possibili riforme istituzionali ed elettorali perché le ritengono incapaci di garantire governi forti e stabili, che a loro parere sarebbero invece necessari.
In particolare, il sistema elettorale proporzionale, senza premio di maggioranza, favorirebbe l'instabilità di governo (come nel periodo della cosiddetta “prima repubblica”).
In realtà sembra proprio che l'intento delle riforme sia proprio l'esatto opposto, cioè quello di rafforzare, e di molto, il potere del capo del governo, e garantire così la realizzazione delle politiche indicate dagli organismi europei (ed in generale depotenziare la possibilità di opposizione a politiche antisociali). 
Queste proposte di riforma, infatti, vanno viste e valutate nel loro insieme. I futuri governi (a riforme approvate) vedranno un premier capace di dimissionare i ministri, e la cui sfiducia dovrà essere votata dalla maggioranza assoluta della Camera.
Un premier che dovesse perdere la maggioranza, potrebbe cacciare i ministri collegati alla parte di ex maggioranza che lo ha abbandonato, e attrarre nuove forze in maggioranza, potendo inserire e cambiare ministri a piacimento.
Tutto ciò sarebbe molto più difficile col vincolo di coalizione che si crea tipicamente col maggioritario (soprattutto in Italia, dove con quel sistema si tende necessariamente a formare coalizioni ampie), ma diventa, al contrario, molto semplice col proporzionale, dove appunto non esistono vincoli di coalizione o di collocazione decisi prima delle elezioni.
Viceversa, con il sistema maggioritario, non è affatto garantita la stabilità dell'esecutivo, perchè una frattura nella coalizione che ha vinto le elezioni, porta quasi inesorabilmente alla caduta del governo. E' quanto accaduto sia ai governi “maggioritari” di centrosinistra che a quelli di centrodestra, compreso il governo Berlusconi entrato in carica nel 2008 a seguito di elezioni effettuate col sistema proporzionale con premio di maggioranza. L'uscita dalla compagine di governo del partito “Futuro e Libertà” non ha determinato la caduta immediata dell'esecutivo, rimasto in sella per pochi voti, ma lo ha reso debolissimo, congelandone, nei fatti, la possibilità di azione, e condannandolo ad una lenta ed inesorabile agonia.

2 commenti:

  1. Chi ci domina ha ben chiaro che ciò che si profila è la recessione, le tensioni sociali, gli scontri tra loro, "il potere costituito", e noi, "i sudditi". E questa volontà di cambiare le regole del gioco politico non è niente altro che un ulteriore tassello volto a completare il mosaico di contromisure da costoro attuate per evitare che gli effetti prodotti dalla turbolenza sociale che si innescherà da qui a breve possano nuocergli. E, purtroppo, siamo costretti ad assistere impotenti a tutto questo, ben sapendo a cosa ci porterà e di quali libertà ci priverà (ci sta già privando) senza che si profili all'orizzonte alcuna forza politica capace di unire davvero quelle che sono le voci che tentano di opporsi a tutto questo.

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  2. La Costituzione del 1948 è defunta da un pezzo. Personalmente il decesso risale al 1993(scelta maggioritario), ma c'è anche chi lo fa risalire al 1978. Da un pezzo la sovranità è esercitata di fatto dal cosidetto circuito mediatico giudiziario, che altro non è che il cane da guardia di interessi finanziari sovranazionali. Se i veri poteri "costituzionali" non fossero quelli elencati come spiegare l'attuale Governo non eletto ed il dato di fatto che tutte le forze politiche sono teneute sotto ricatto da varie inchieste giudiziarie (caso Penati, caso Lusi, caso Unipol, caso-casa Montecarlo, inchieste Baresi su Emiliano e Vendola)?

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