martedì 25 settembre 2012

Nodi della decrescita.

Queste brevi riflessioni sono state stimolate dalla mia partecipazione alla III conferenza internazionale sulla decrescita, svoltasi a Venezia dal 19 al 23 settembre. Si può dire tranquillamente che la conferenza è stata un successo: circa 700 partecipanti che provenivano da 47 paesi diversi, età media piuttosto bassa (più di un terzo degli iscritti aveva meno di 30 anni), grande partecipazione sia alle assemblee plenarie sia ai workshop (circa 80 in tre giorni), circa 180 papers discussi. La capacità dimostrata dagli organizzatori italiani dimostra che anche in Italia il movimento della decrescita, nelle sue varie componenti, è una realtà consolidata.

Un successo di queste dimensioni comporta anche, come è ovvio, una grande responsabilità: quella cioè di far crescere e fruttificare le potenzialità che il movimento ha dimostrato di avere, e in particolare di incidere sulla realtà politica, a livello sia nazionale sia internazionale. La decrescita ha la possibilità di sparigliare le carte della lotta politica tradizionale, imponendo un'agenda non riducibile agli schemi concettuali che hanno segnato la lotta politica del Novecento, e mi riferisco in particolare allo schema destra/sinistra. Affinché la decrescita possa sviluppare le sue grandi potenzialità, è probabilmente ancora necessario uno sforzo di focalizzazione di alcuni nodi concettuali. Il movimento della decrescita sembra infatti, da una parte, molto ben attrezzato per l'azione concreta su problemi concreti e locali (buone pratiche di vita, difesa dei beni comuni).  Questo è senz'altro uno dei suoi aspetti più positivi, che ne fa qualcosa di molto diverso dai tanti gruppuscoli sempre molto “rivoluzionari” nelle intenzioni e negli slogan ma mai nella realtà della vita. Dall'altra parte, il movimento della decrescita sta elaborando una riflessione, difficile e impegnativa, sugli aspetti filosofici e antropologici di fondo che stanno alla base del nostro mondo “globalizzato” e della sua deriva verso l'autodistruzione. Quello che sembra mancare è una teorizzazione di livello, diciamo così, intermedio fra le pratiche concrete da una parte e la problematica del superamento degli schemi generali del pensiero del nostro “Occidente globale”, dall'altra. Questa mancanza si riflette sul fatto che il movimento della decrescita non sembra aver ancora messo a fuoco il problema dello Stato e della politica al livello appunto statale. La riflessione della decrescita, e lo si è visto a Venezia, è ricchissima per quanto riguarda la partecipazione democratica, lo sviluppo dei movimenti dal basso, la creazione di legami paritari dentro i movimenti, lo sforzo di presa di parola da parte di soggetti ai quali la parola è stata a lungo sottratta. Questa grande ricchezza pratica e teorica sembra abbia però qualche difficoltà a tradursi sul piano della lotta politica al livello statale, della rappresentanza, delle istituzioni. Ci sono certo buone ragioni, soprattutto in Italia, per guardare con sospetto questo ambito. Resta tuttavia il fatto, ineludibile, che alla fine le buone pratiche della decrescita devono potersi tradurre in buone leggi e in buone istituzioni, se vogliamo che esse abbiano stabilità e permanenza, e non siano soggette agli alti e bassi tipici dei movimenti. Ma porsi il problema della lotta politica sul piano nazionale significa, oggi in Italia, porsi il problema della riconquista della sovranità nazionale espropriata al nostro paese dall'UE. Il movimento della decrescita non può non affrontare questo livello di problemi, se non vuole ridursi ad essere politicamente trascurabile.
(M.B.)

2 commenti:

  1. Anche se istintivamente sarei portato a simpatizzare, ho il sospetto che in questa situazione (democrazia reale assente, governi di burocrati alle dipendenze dei poteri finanziari), l'unica decrescita possibile è quella ad esclusivo carico delle classi meno privilegiate. Ovvero: la decrescita infelice a carico della gente comune, quanto sta in effetti accadendo.
    Finché esiste un macroscopico problema distributivo parlare di decrescita è portare acqua al mulino di quel 20% della popolazione che possiede l'80% della ricchezza mondiale. Che non per niente si affanna a spiegarci, ogni giorno che dio manda in terra, come "abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi"...

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  2. Il discorso è lungo, quindi difficile da fare in un blog. Detto in uno slogan, io credo che una politica di decrescita, correttamente intesa, sia proprio il modo migliore per avviare una politica redistributiva. Qualche discorso più argomentato lo si può trovare qui:
    http://www.megachip.info/tematiche/kill-pil/6291-una-politica-economica-per-la-decrescita.html

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