venerdì 2 novembre 2012

Mario Draghi tra serio e faceto

Claudio Martini

L'uomo più potente d'Europa ha parlato, e come sempre ha detto cose profonde e importanti. Cose da leggere e ricordare.

Il punto politico innanzitutto: Draghi dà ragione a Merkel e Schauble e torto a Hollande e Monti. O almeno è questa la conclusione a cui approdare, se non si crede che il "dibattito" di queste settimane intorno alle nuove misure per "salvare l'Euro" non fosse una scadente recita, con Monsieur Croissance e il Signor Rigore a recitare la parte degli  avversari dell'avidità tedesca, e che in realtà tutti gli attori fossero ben consci di come terminava il copione.



E poi la notizia: molto probabilmente tra poco avremo un Super-Commissario, una specie di Mega-Monti che potrà controllare, modificare o bloccare le manovre di bilancio dei singoli stati dell'Eurozona. Sarebbe il definitivo esproprio di qualsiasi margine di autonomia dei governi nazionali, ma del resto è lo stesso banchiere centrale a rassicurarci:

"molti governi non hanno ancora capito di aver perso la loro sovranità nazionale da molto tempo perché si sono indebitati e ora sono alla mercé dei mercati finanziari".

 Bisognerebbe appurare se Draghi si riferisse al debito pubblico o a quelllo privato; in quest'ultimo caso la sua icastica ricostruzione dello "stato dell'arte" sarebbe semplicemente ineccepibile.

In ogni caso la scelta di eliminare ogni residua "sovranità di bilancio" è coerente con i dettami del c.d. "Six Pack": se è vero che dovremo dimezzare il rapporto debito/pil nel giro della prossima generazione è assolutamente indispensabile che il parlamento voti sempre e soltanto manovre "lacrime e sangue". Ai mercati serve un soggetto esterno e autorevole che garantisca che il processo si attui senza intoppi; e alle forze politiche serve una figura su cui eventualmente scaricare la responsabilità di scelte clamorosamente impopolari. Vero è che gli ordinamenti nazionali potrebbero nascondere resistenze inaspettate (per esempio gli eurocrati dovrebbero considerare se non sia il caso di eliminare anche l'ordine giudiziario)

Tra le tante cose interessanti dell'intervista (testo completo) possiamo segnalare due passaggi.

Il primo è il seguente:

"Tassi di interesse elevati sono la più efficace fonte di pressione sui governi refrattari alle riforme. (..) È per questa ragione che insistiamo affinché vengano rispettate le condizioni severe che abbiamo posto."

Draghi, cercando di tranquilizzare l'intervistatore alamanno, preoccupato dalle conseguenze lassiste del calo del tasso d'interesse della BCE e dell'acquisto di titoli di stato da parte della stessa, svela quel che sapevamo già:

a) gli "aiuti" della BCE sono (e saranno sempre) vincolati a dure condizioni, ossia al varo di politiche deflazionistiche;

b) la fissazione dei tassi di interesse da parte della BCE è un formidabile strumento di pressione (cioè di ricatto) per costringere gli stati a operare, per l'appunto, politiche deflazionistiche.

In effetti l'impennata degli "spread" e soprattutto le conseguenze politiche della crisi, ossia il commissariamento di Grecia e Italia, sono tutte avvenute poche settimane dopo la scelta della BCE di aumentare il suo tasso di interesse del 50%. Ma è il carattere genuinamente anti-democratico della frase di Draghi che colpisce. Ormai siamo (quasi) assuefatti, ma le continue dichiarazioni dal contenuto schiettamente autoritario, come l'apologia del vincolo esterno, o appunto l'idea che i governi vadano "costretti" a fare qualcosa, dimostrano una volta di più il divorzio tra la classe dirigente europea e i principi della democrazia liberale. Perché le élite europeiste hanno sempre bisogno di forzarci, di spaventarci con l'assenza di alternative, di porci di fronte al fatto compiuto? Hanno così tanta sfiducia nelle loro capacità di persuasione?

Al punto in cui siamo possiamo essere certi di una cosa: la BCE ha (e ha sempre avuto) una sua agenda politica, un'agenda dagli scopi non proprio trasparenti attuata con metodi che, se non contrastano, sicuramente prescindono dalla volontà popolare.

M al BCE non doveva essere indipendente? Non bisogna confondere il carattere dell'indipendenza con quello delll'imparzialità. Abbiamo visto che la BCE è charamente parziale: tutela alcuni interessi a scapito di altri, di fatto favorisce alcuni stati a danno di altri, e tutto per eseguire una certa strategia. La BCE è indipendente solo nel senso in cui nessuna istituzione nazionale o comunitaria può censurare le sue scelte e imporgliene altre. Il concetto di "dipendenza" sta tutto qui: invece di lasciare la Banca Centrale libera (e sostanzialmente irresponsabile) nelle sue scelte, la si assoggetta al controllo e alla direzione del potere politico, e cioè dei cittadini elettori. La BCE resta parziale, ma i contenuti di quella parzialità vengono definiti da soggetti eletti (sia pure indirettamente) dal popolo.

E qui arriviamo al secondo passaggio.

 Quali sarebbero le controindicazioni di avere una Banca Centrale non indipendente, e cioè democratica? Ecco la risposta di Draghi.

Qui, dopo tanta serietà, si arriva finalmente al faceto. Non tanto per il dato tecnico, che va comunque mostrato per ricordare cosa, in realtà, fece calare l'inflazione negli anni '80:

Historical Data Chart

Dettaglio sgradevole che curiosamente Draghi non cita. Quello che fa veramente ridere è immaginarsi la povera famiglia Draghi che si dibatte tra le mille difficoltà create dall'inflazione. Sono esperienze che segnano; è molto probabile che quella tra Draghi e l'inflazione sia una questione personale, che tocca i sentimenti più intimi, e che il giovane Mario sia cresciuto con l'ambizione, un giorno, di vendicarsi sconfiggendola.

Barzellette come queste sono sintomi dell'altra indipendenza di cui gode la BCE: quella dalla realtà. Si dice che l'inflazione divori redditi e risparmi e impedisca investimenti a lungo termine: come si fa a fare progetti di vita se i prezzi crescono senza freni?

Per rispondere basterebbe leggersi questo.

  Ma se non ne avete voglia vi invito a guardare alla vostra singola esperienza familiare.  Per caso i vostri genitori, o i vostri nonni, negli anni '70 non riuscivano a riparmiare, a investire, a fare progetti?
Mentre la famiglia di Draghi veniva gettata sul lastrico dall'inflazione, mio nonno, operaio specializzato Italsider, tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli '80 acquistava tre (3) case. Ci abitiamo tutt'ora.
Mi rendo conto che è immorale ostentare la propria prosperità mentre gli altri fanno la fame. Ma la mia esperienza familiare, a differenza di quella di Draghi, mi dice che inflazione , di per sé, non fa rima con disperazione.
E scommetto che è così anche per voi.



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