domenica 21 luglio 2013

Sinistre che ragionano e sinistre che sragionano

E' opinione diffusa che del crollo dell'euro si avvantaggeranno in termini politici soltanto le destre, meglio se estreme. Tale risultato non era scontato, e lo si sarebbe scongiurato se solo le varie sinistre europee si fossero decise a dire la verità e a difendere gli interessi dei loro ceti di riferimento. Non lo hanno fatto, e forse è ormai troppo tardi. Questo è stato il tipo di ragionamento diffusa a sinistra negli ultimi anni. Ammesso che qualcosa che tenda a ridurre tutto il dibattito a una scelta tra Martin Schulz e Viktor Orban sia assimilabile ad un ragionamento. Il peana finale al PSE non deve far sorridere, perché è perfettamente coerente con i presupposti teorici del discorso. Non bisogna dimenticare che prima di trasformarsi in agenzia di collocamento di funzionari delle grandi banche d'affari la Socialdemocrazia era una forza politica di ispirazione marxista. Secondo una nutrita branca di questa scuola di pensiero, il progresso dell'intera società coincide, prima dell'inevitabile approdo socialista, con il progresso dello sviluppo capitalistico. Ne deriva una visione meccanicistica dei rapporti sociali e politici, per la quale a un certo grado di sviluppo delle forze produttive deve corrispondere un certo ordine di rapporti sociali. Ciò emerge con evidenza nel discorso di Achilli: siccome (a suo dire) oggi le imprese per fare investimenti profittevoli devono raggiungere certe dimensioni di scala, e queste si ottengono solo operando mercati di dimensioni sempre più grandi, allora fa parte del progresso della società la costruzione di mercati sempre più grandi; quindi bisogna difendere l'UE (che è innanzitutto un grande mercato). Come dire, c'è una logica in questa follia.

Gli unici marxisti "di successo" della storia sono esattamente quelli che hanno negato tale dinamica meccanicistica, anteponendo la sfera delle decisioni politiche a quella dei meri rapporti di produzione come vero "motore" della dinamica storica. A chi sosteneva che una rivoluzione in Russia era possibile solo dopo che le forze produttive (capitalistiche) avessero raggiunto un certo livello di sviluppo, e che perciò questo sviluppo era da assecondare pedissequamente, Lenin affermava che l'unico vero requisito della rivoluzione era la presenza di un partito politico in grado di entrare in sintonia con le masse, di difenderne le istanze fondamentali, di rappresentarle. Per aversi questo, è indispensabile coltivare un punto di vista autonomo sulle dinamiche sociali, che non sia subalterno a (e in sostanza determinato da) quelle del capitalismo.

Un buon esempio è questo articolo, nel quale oltre a denunciare la minaccia rappresentata dall'accordo di libero scambio USA-UE (lo avevamo già fatto qui), si riconosce chiaramente la natura "imperialista" dell'aggregazione europea, tappa della costruzione di un "polo occidentale" che contrasti e combatta contro le potenze emergenti. In questa posizione si trova l'esortazione a difendere gli interessi dei ceti popolari contro ciò che li minacca (oggi l'euro, domani l'euro e l'accordo di libero scambio), senza soffermarsi su fantasmagorie geopolitiche e pseudo-economiche tese a dimostrare che ormai non c'è alternativa all'UE.
Ritornando a coltivare un proprio punto di vista, libero da condizionamenti, la sinistra può (forse) tornare a fare politica. Fare politica significa catalizzare le istanze dei propri rappresentati con proposte valide per l'intera società. Se vuole svolgere un qualche ruolo, la sinistra dovrà spiegare con cosa intende rimpiazzare l'euro. Ed ecco qui un inizio di riflessione, timido ma promettente. Timido, perché la proposta è ancora troppo moderata. Ma promettente, perché indica la strada "in positivo" del superamento dell'euro. La prospettiva di costruire un sistema monetario europeo su basi keynesiane (e perciò del tutto opposte a quelle dell'euro) potrebbe assumere un ruolo nel ritorno dei progressisti sulla scena politica. Ne avevamo già parlato qui. Non è detto che sia la soluzione migliore. L'importate è che sia possibile continuare a ragionarci liberamente, senza che il dibattito venga bloccato da considerazioni quali "indietro non si torna", "ormai questi sono i tempi", "gli stati nazionali non esistono più", "non c'è alternativa". (C.M.)

P.S. La proposta di una European Clearing Union comincia a fare breccia anche nel campo degli euro-entusiasti. In questo documento a proposito delle possibilità di superamento dell'euro si dice: "Tra queste opzioni vi è anche quella di una trasformazione dell'euro in moneta di conto internazionale, sottraendogli la natura di moneta merce, e utilizzando i sistemi di clearing per regolare i rapporti del commercio interno europeo e quelli tra area euro e sistema internazionale". Sono soddisfazioni.



13 commenti:

  1. Non è la prima volta che su questo blog, si avanzano proposte articolate che prevedono l'abbandono dell'euro.
    Credo che si tratti di un errore molto grave che sembra sottovalutare la profondità della crisi e la sua natura globale.
    La crisi è nata negli USA (e in minor misura nell'UK), ed è stata sostanzialmente esportata nella UE. L'euro non può in alcun modo essere considerato la causa della crisi, la crisi deriva dalla decisione infausta di Clinton di abbandonare la legislazione di controllo sull'operato delle banche che era entrata in vigore a seguito della crisi del '29. La crisi finanziaria è crisi del debito privato.
    Io sono tra coloro che chiedono l'uscita dall'euro, ma non perchè io creda che sia l'euro ad averci portata alla crisi in cui ci troviamo, ma perchè esso e tutta la politica economica della UE appaiono come la peggiore risposta possibile alla crisi che ha ben altre cause, quelle che sinteticamente ho espresso.
    La vera soluzione della crisi può consistere solo nell'opporsi alla globalizzazione, non v'è alcun altra possibile soluzione. L'uscita dall'euro, l'abbandono delle norme antiprotezionistiche della UE, la dichiarazione di default da parte dell'Italia, sono misure tutte indispensabili, pensare di risolvere la crisi (che è essenzialmente crisi di lavoro) evitando anche una soltanto di queste misure, è a mio parere illusorio. Queste cose le ho illustrate in una serie di post sul mio blog, a cui rimandoi gli interessati. Rimango tuttavia a disposizione per rispondere ad eventuali osservazioni anche qui.

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    1. Se è così, ne sono felice, ma mi parte invece che purtroppo di porte aperte non ve ne sono, se ancora oggi l'obiettivo dell'uscita dall'euro viene presentato come un toccasana, e se perfino in questo articolo viene proposto una specie di succedaneo mantenendo la condizione di allineamento delle valute come delle regole europee sul commercio mondiale e il mantenimento di un debito che non potremo mai restituire come è evidente a tutti.

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    2. E' vero quello che dici: questa crisi nasce in USA ed è il frutto della corsa verso la globalizzazione, che però non è solo USA.
      Nell'area Euro però questa crisi ha assunto una connotazione del tutto particolare: non sarà un caso se tutti i paesi che saltano sono all'interno di quest'area. Questo perché i problemi dell'euro esistono fin dalla sua nascita (anzi, da prima ancora con lo SME), e da ben prima della crisi avevano cominciato a mettere le basi per il caos che sarebbe comunque scoppiato.
      L'euro non ha causato la crisi, ma la crisi made in USA ha fatto da detonatore ai problemi dell'euro. Se non ci fosse stata questa crisi, sarebbe successo comunque, in altri tempi e modi con un altro punto di partenza.
      L'abbandono dell'euro è necessario a prescindere da qualsiasi altro fattore, perché i suoi difetti intrinseci portano inevitabilmente i disastri che vediamo ogni giorno. Questo non risolverà la crisi, ma creerà la situazione idonea per risolverla: è condizione necessaria ma non sufficiente.
      Quanto alla dichiarazione di default non sono assolutamente d'accordo, a meno che non rientri in un accordo internazionale di ampia portata che riguardi tutti gli stati interessati, cosa che ritengo impossibile.
      Se restiamo nell'euro, il default è inutile (come dimostra la Grecia), se ne usciamo è superfluo. Con una moneta sovrana ben gestita il debito pubblico non è un problema (come dimostrano Giappone e UK).

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    3. Faccio notare preliminarmente che dovremmo tutti diffidare dei facili paragoni. I motivi per cui USA e UK da una parte e Giappone dall'altra possano convivere con un grosso debito pubblico è differente, e la situazione italiana, inizialmente simile a quella del Giappone, è ormai una tipologia a sè stante. L'Italia non fa parte dell'establishment finanziario globale, a differenza di USA e UK, e però non ha più la quasi totalità del suo debito in mano al settore privato nazionale come è tuttora il Giappone. Inoltre, guardare alla situazione odierna di questi paesi non mi pare ci possa aiutare perchè ignora la precvarietà della situazione data. Sentire i vari governanti che continuano a sostenere che la crisi sta per finire è uno spettacolo indecente, la crisi non è neanche iniziata ancora.

      Il punto è che il sistema bancario globale è fallito e può continuare ad operare solo per le continue iniezioni di denaro da parte delle banche centrali. E' una situazione che evidentemente non può continuare indefinitamente, perchè è stata creata un'enorme liquidità che al momento non si riflette nell'economia reale perchè è tutta confinata dentro i circuiti bancari, solo cifre su un computer, potremmo dire con un'immagine suggestiva. Prima o poi questa liquidità dovrà uscire da questo luogo dove è stata confinata, per la semplice ragione che il denaro non è merce, è una forma di ricchezza convenzionale che vale solo in quanto tutti crediamo che possa essere a nostro piacere convertita in merce. Ebbene, oggi questo denaro non potrebbe mai trovare abbastanza merce in cui convertirsi. Il giorno in cui qualcuno dei soggetti che detengono quantità ingenti di questa liquidità intendesse convertirla in merci, si scatenerebbe un'inflazione mai vista prima, perchè si autoalimenterebbe in quanto nessuno vorrebbe rimanere liquido.

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    4. Continua da prima...)

      E' questa la ragione che mi spinge a dire che il vero nemico da combattere è la globalizzazione, perchè tutti coloro che continueranno a riconoscere questo mercato finanzairio globale, saranno vittime di questo big bang, saggezza vorrebbe che ci tirassimo fuori al più presto.
      Dovremmo quindi operare contro la logica dei mercati, e naturalmente questi colossi dai piedi di argilla che comandano sui mercati (ma anche altrove, purtroppo...) non gradirebbero certo queste scelte, e ci farebbero guerra (spero, ma non sono del tutto certo, solo finanziaria...). Con un debito di 2100 miliardi di euro, saremmo alla loro completa mercè.
      Facciamo qualche conto. Convertire il debito da euro in nuove lire, cosa certo non indolore, potrebbe portare a una sua riduzione solo in seguito a una svalutazione. Se accettassimo ad esempio una svalutazione del 20%, il nostro debito rimarrebbe comunque di 1900 euro. Se, in una prospettiva ambientalista, ammettessimo una certa riduzione del PIL, questa cifra ci porterebbe forse al mantenimento dell'attuale rapporto. anche se trovo la cosa già abbastanza ottimistica. La banca centrale potrebbe sì ricomprarseli stampando denaro, ma cadendo nella stessa spirale che è causa dell'attuale crisi, e forzando ulteriormente verso una crescente svalutazione della nuova lira. Tutto questo avverrebbe sapendo ch un tale debito non è estinguibile, che si può convivere con questa situazione solo in quanto si da' per wscontato che i creditori si limitino a lucrare gli interessi, non potrebbero mai rientrare dal loro investimento tutti assieme. Per questo, fare un reset sarebbe salutare, ci permetterebbe di ripartire davvero da una situazione totalmente controllabile che farebbe piazza pulita di tutte le scorie lasciate dalla svolta liberista degli anni ottanta interpretata da noi da Andreatta con la nefasta scelta del divorzio tra banca centrale e tesoro.

      Poichè non capisco la resistenza ad imboccare l'unica via percorribile, nutro in realtà sospetti che tra gli euroscettici ci siano anche dei liberisti marcati USA, tutto sommato felici di distruggere ogni possibilità dell'europa di autonomizzarsi dal cuore finanziario del mondo. Insomma, dobbiamo decidere se lasciamo l'euro perchè sta nel solco di una politica liberista o perchè non lo è abbastanza. Se optiamo come io spero per la prima ipotesi, allora la scelta dell'uscita dell'euro non può essere assunta da sola, ma va accompagnata da misure coerenti con una politica antiliberista e a favore del lavoro.

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    5. Relativamente alla questione euro non c'è bisogno di alcuna valutazione politica o ideologica, ma solo tecnica: l'euro va lasciato semplicemente perché non funziona né può funzionare.
      Detto questo io sono d'accordo con te: liberismo e globalizzazione, con tutti gli ammennicoli che si portano dietro, sono il nemico da combattere, e l'abbandono dell'euro è solo il primo passo da compiere. Condizione necessaria ma non sufficiente per cambiare rotta.
      Sulla sostenibilità del debito pubblico in presenza di moneta sovrana confermo quello che ho detto: non devi credere a me, ci sono studi approfonditi su questo.
      Un'ultima osservazione sul problema della liquidità: l'eccesso di liquidità crea inflazione, e in modo parziale e indiretto, solo in condizioni di pieno utilizzo delle risorse produttive; cosa che è lontanissima dalla situazione attuale.

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    6. Usi uno stile assertivo che non ammette repliche. Evidentemente, hai le tue certezze, io ho tentato di argomentare il mio punto di vista, e non mi convinci ad abbandonarlo solo perchè esistono studi approfonditi. Ciò che ti sembra sfuggire è la assoluta novità della situazione che si è determinata con un ammontare totale di titoli corrispondente a circa nove volte il PIL mondiale, il che implica che studi ed esempi passati non possono aiutarci granchè, faremmo piuttosto meglio ad utilizzare le nostre capacità critiche.

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    7. @Peppe

      Sono d'accordo (cosa rara).


      Safonte

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  2. Mi pare che l'oggetto del post non sia l'uscita dall'euro, quanto da una lato l'incapacità di una certa sinistra (quella che sragiona) di vedere in questa uscita una tappa della ripresa di un possibile percorso di tutela degli interessi dei lavoratori (detto piuttosto faticosamente) e dall'altro la capacita di un'altra sinistra (quella che ragiona) di immaginare, magari timidamente, questo percorso, almeno di porsi il problema.

    Visto che nel post si critica nettamente ogni posizione economicistica e "impolitica" non vedo affatto il rischio che al sogno del paradiso dopo il capitalismo si sostituisca quello del paradiso dopo il ritorno alle monete nazionali.

    Antonino

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  3. che differenza c'è tra una moneta di conto internazionale e una moneta merce? Cosa significano questi termini?

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  4. Buongiorno, sono l'autore dell'articolo usato come campione rappresentativo della "sinistra che sragiona".Tralasciando la manichea distinzione fra sinistra intelligente e manicomiale, ritengo doveroso rispondere alle critiche avanzatemi:
    a) si afferma che l'articolo si limiti ad offrire una alternativa fra Schultz ed Orban. E' una lettura non obiettiva. Nell'articolo c'è scritto "l'alternativa PUO' finire per avere il volto di Viktor Orban"; "la reconquista della sovranità nazionale....PUO' portare a derive pericolose". Tramite l'utilizzo del verbo "potere", il modello-Orban non viene posto come come un destino fatale discendente da approcci non eurocentrici, ma come una delle possibilità. Non c'è dubbio che il nazionalismo possa anche portare a governi come quello che sperimenta l'Ungheria e che, spero, possa essere considerato un modello negativo, così come, ovviamente, può sorreggere invece lotte di liberazione nazionale;
    b) non c'è nessun "peana" nei confronti del PSE. Chi ha la pazienza di leggere i mieti articoli, sa bene che il mio è un approccio critico nei confronti del PSE. Ad esempio non reputo il c.d. "programma fondamentale" del PSE all'altezza della svolta di cui avrebbe bisogno l'Europa, essenzialmente perché il PSE è troppo schiacciato sul partito del Paese egemone, ovvero la SPD. Fra il fatto che non vedo, personalmente, alternative ad una battaglia dentro la politica europea, ed il fatto di attribuirmi il ruolo di cantore entusiasta del PSE c'è, come è ovvio, un salto concettuale enorme;
    c) nel mio ragionamento non vi è alcun meccanicismo marxista, come invece mi viene attribuito.Intanto, il marxismo non è affatto meccanicistico. Ma soprattutto, il marxismo o la socialdemocrazia non c'entrano niente. Esprimo la semplice constatazione, sulla quale ovviamente si può dissentire , che in ambito capitalistico, per sopravvivere, si deve essere competitivi.Poiché mi risulta che stiamo dentro il capitalismo, e che saremmo in ambito capitalistico anche tornando alla lira, l'Europa si trova a dover competere con Paesi che hanno dimensioni di mercato e dotazioni di risorse produttive di tipo continentale: USA, Cina, Brasile, India. Se noi riteniamo di voler essere competitivi con questi concorrenti, dobbiamo, perlomeno a livello di politiche industriali e fiscali, ragionare in una logica continentale (d'altra parte, i critici della moneta unica insistono proprio sull'assenza di meccanismi di coordinamento fiscale e di politica reale, accanto all'accentramento delle politiche monetarie). Vedete, il Paese egemone, ovvero la Germania, sta abbandonando i mercati europei di esportazione, oramai in rovina, per riposizionarsi su quelli cinesi. Nel breve periodo, evidentemente questa logica paga. Nel medio periodo, quando i cinesi si saranno impadroniti delle tecnologie produttive e delle capacità organizzative dell'industria tedesca (che per delocalizzarsi e vendere su quel mercato deve necessariamente fare joint venture con imprese locali) i rapporti di forza fra la sola economia tedesca ed il gigante cinese si invertiranno inevitabilmente a favore del secondo (sempre che ovviamente la Cina sappia evitare i rischi connessi alle enormi contraddizioni generate dal suo modello di crescita). E stiamo parlando della potente Germania. Figuriamoci la piccola e devastata Italia come potrebbe resistere da sola alla concorrenza dei BRICS. I problemi di produttività totale dei fattori, di carenza di capacità innovativa, di nanismo imprenditoriale, di sottocapitalizzazione del nostro sistema produttivo, si riprodurrebbero anche se ci fosse la lira, e non l'euro.
    Marx ci ricorda che la moneta è solo l'aspetto, per così dire, "fenomenico", dei processi di accumulazione. Sarebbe quindi a mio avviso più proficuo affrontare, da sinistra, le questioni di competitività strutturale della nostra economia non solo in termini monetari.
    Cordialmente, Riccardo Achilli

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    1. 1) Vedo che c'è accordo nel non escludere la possibilità che sorgano lotte di liberazione nazionale nei paesi soggetti alla UE. Il "sovranismo" non necessariamente si declina a destra.

      2) Posso ammettere che sia una forzatura definire un "peana" il tuo invito a sostenere il PSE, ma quell'invito è ormai consegnato all'eternità digitale. Dal punto di vista di un soggetto rivoluzionario mi sembra una tattica frutto di un colossale abbaglio; dal punto di visto dell'analisi politica noto che è esattamente la posizione del PD italiano. Ciascuno ne tragga le conseguenze che crede.

      3) La risposta mi dà modo di chiarire un equivoco: io (noi) non auuspico (auspichiamo) un ritorno alle svalutazioni competitive, semplicemente perché vorremmo approdare ad un mondo dove NON si compete.

      4) A me il tuo atteggiamento sembra non del tutto deterministico (si fanno determinare le scelte politiche dai meri dati obiettivi), e subalterno alle logiche del capitale. "Se noi riteniamo di dover essere competitivi"... Parti dall'assunto che si debba sempre e comunque essere partigiani dell'accumulazione capitalistica della borghesia europea. E se al posto dell'aggettivo "europea" mettiamo "italiana" nulla ti distingue da chi propone l'uscita "da destra" dall'euro.

      5) Oggi, e ancora per diversi anni, Brasile, Russia, India e Sudafrica pesano meno di Italia, Francia e UK. Prima ho parlato di dati obiettivi: in effetti, oltre a non farsi politicamente determinare da essi, bisognerebbe aver cura a riportarli correttamente. La retorica dei paesi emergenti che spazzano via le vecchie potenze è del tutto infondata. In primo luogo è smentito dalla statistica. In secondo luogo ignora il fatto che la crescita dei BRICS è una variabile dipendente della crescita delle economie del G-7, e non viceversa. Se noi ci suicidiamo con l'austerità (e quindi con l'euro che tu difendi), anche loro ne soffrono. Infine, non posso non notare che la "chiamata alle armi" dei paesi sviluppati per contrastare l'ascesa di quelli in via di sviluppo non mi sembra un messaggio molto marxista; mi sembra un messaggio da Sole24Ore, per essere gentili.

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