giovedì 31 ottobre 2013

Sinistra e destra, progresso e conservazione

 Qualche tempo fa Claudio ha pubblicato un post su destra e sinistra che ha suscitato un certo dibattito fra i nostri lettori, segno che il tema interessa. Intervengo quindi per riprendere alcuni dei temi di quel dibattito. Come sa chi ha letto le cose che vado scrivendo da quasi una ventina d’anni, sono uno dei sostenitori del carattere superato e obsoleto della opposizione categoriale destra/sinistra. Non intendo qui ripetere cose dette altrove, ma mi limiterò a discutere due tesi che sono emerse nel dibattito sul post di Claudio. La prima di queste tesi argomenta che, se è vero che la sinistra politica non ha più nulla a che fare con il suo patrimonio ideale, tale patrimonio resta pur sempre un  punto di riferimento che appare distinto e incompatibile rispetto al patrimonio ideale della destra. Si avrebbe dunque un “tradimento” della sinistra concreta rispetto al suo “tipo ideale”,  ma in termini, appunto, di “tipi ideali”,  la “sinistra” resterebbe pur sempre chiaramente distinguibile dalla “destra”. La seconda, sostenuta da Claudio, è che l’affievolirsi del contrasto è dovuto al fatto che la sinistra è scivolata sulle posizioni della destra, e non viceversa. Si tratta di due obiezioni diverse ma compatibili, e che si rafforzano a vicenda.
Rispetto ad entrambe occorre dire subito che esse colgono aspetti di realtà. Non sono cioè obiezioni assurde. Rappresentano piuttosto delle verità parziali. Ma gli errori peggiori che si possono commettere in politica non sono le assurdità, che si confutano da sé, ma appunto le mezze verità.

Per quanto riguarda la prima di queste tesi, è certamente vero che è possibile costruire il tipo ideale della “sinistra” e contrapporlo al tipo ideale della “destra”. La questione è se questa operazione abbia un senso politico.
Per fare un esempio,  è noto che il contrasto fra guelfi e ghibellini è un dato politico decisivo nelle vicende dell’Italia medioevale. Al mutare delle condizioni, questo dato perde di rilevanza e scompare dall’orizzonte storico. Ora, era certamente possibile nel ‘700 costruire i tipi ideali “guelfo“ e “ghibellino” e contrapporli per affermare che l’opposizione guelfo/ghibellino non era svanita, ma si sarebbe trattato di un’operazione priva di qualsiasi senso politico reale. Nel '700 l'opposizione guelfo/ghibellino non aveva più realtà storica, e delineare i tipi ideali contrapposti di “guelfo” e “ghibellino” avrebbe avuto solo il senso della ricostruzione storica di vicende lontane nel tempo.
Il problema non è quindi che si possa delineare in astratto il tipo ideale della “sinistra” da contrapporre a quello della “destra”, il problema è se questa operazione abbia oggi un significato politico. Il punto è che sinistra e destra sono realtà storico-politiche, e l'azione di una realtà di questo tipo non trae il proprio significato solo dal riferimento ad una costellazione di ideali o valori, ma, in maniera essenziale, dall'orizzonte di proposte politiche con le quali si cerca di realizzare gli ideali. Il punto è che il riferimento storico generale, all’interno del quale pensare i propri ideali di emancipazione, per tutte le posizioni di sinistra (tutte quelle almeno che hanno avuto rilevanza storica), è stata una nozione di progresso inteso essenzialmente come sviluppo economico e tecnologico. Nel momento in cui lo sviluppo perde questa valenza emancipatoria, e a favore dello sviluppo si pronunciano sia destra sia sinistra, cade ogni senso di questa contrapposizione. Il che non vuol dire che vengano meno gli ideali emancipatori della sinistra, ma che essi vanno pensati in un contesto generale completamente diverso rispetto a ciò che è stata la sinistra storica. Un futuro movimento storico emancipatore, per esempio, dovrà probabilmente essere progressista su certi punti ma conservatore su altri, e sarà quindi al di fuori della contrapposizione di progresso e conservazione, e di conseguenza fuori da destra e sinistra.
Per quanto riguarda la seconda tesi, la risposta è che essa dice una cosa corretta per quanto riguarda le politiche economiche, ma non tiene conto del fatto che una società non è fatta solo di economia. Si può quindi rispondere con una frase sintetica davvero azzeccata, che ho letto in qualche scritto di Costanzo Preve (ma non sono in grado di fornire un riferimento bibliografico preciso): il capitalismo attuale è di destra nell'economia, di centro nella politica, di sinistra nella cultura. Con ciò si vuol dire che il capitalismo attuale si basa su politiche economiche di destra, nel senso della destra liberista, ostile all'azione redistributiva dello Stato e ad ogni intervento della politica nell'economia. Il capitalismo attuale è però, in politica, di “centro”, nel senso che preferisce che venga mantenuto l'apparato classico delle democrazia liberale: libertà individuale ed elezioni con scelta fra coalizioni almeno formalmente diverse. Infine, ed è questo il punto che qui ci interessa, il capitalismo attuale è sostanzialmente “di sinistra” nel campo culturale, nel senso che ha perfettamente assorbito le istanze culturali “antagoniste” che sono state tipiche della critica “di sinistra” al capitalismo. Ha cioè assorbito le istanze critiche di innovazione, modernizzazione, critica della cultura borghese, dell'autoritarismo, della scuola, e ne ha fatto anzi un elemento forte della propria attuale configurazione. Queste cose ho cercato di dirle in un breve saggio pubblicato sulla rivista “Koiné” nel 1998 e poi ripubblicato nel 1999 in “Ricercando la comune verità”. Il saggio lo trovate qui (e nelle pagine collegate). In maniera molto più approfondita di quanto potessi mai sperare di fare io,  cose simili sono state dette dette due sociologi francesi, Luc Boltanski e Eve Chiapello, in un fondamentale libro uscito nel '99, “Le nouvel esprit du capitalisme”.  Non posso riassumere qui, ovviamente, le circa 945 pagine di analisi di questo testo. Per quanto riguarda l'argomento che qui ci interessa, basti osservare che essi segnalano come la critica anticapitalistica fosse il risultato di quelle che loro chiamano, rispettivamente, “critique sociale” e “critique artiste”: e intendono con la prima espressione la critica "di classe” del proletariato che protestava contro lo sfruttamento, e con la seconda la critica “culturale” degli intellettuali borghesi d'avanguardia in rotta con la propria classe, critica indirizzata principalmente contro il carattere inautentico e conservatore del mondo borghese. Il punto di maggiore impatto di questa alleanza di proletariato e intellettuali borghesi dissidenti sono ovviamente i movimenti di contestazione degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. La reazione della struttura dominante a tali movimenti è duplice, e porta appunto a quello che Boltanski e Chiapello hanno chiamato “il nuovo spirito del capitalismo”. Per quanto ci interessa qui, possiamo riassumere il passaggio con una rapida formula: la “critica sociale” è sconfitta, la “critica artistica” è arruolata. Ovvero, come si diceva sopra, il capitalismo attuale fa proprie le istanze antiborghesi tipiche della cultura delle avanguardie del Novecento. E' in questo senso che si può dire che il capitalismo attuale è “di sinistra” nella cultura.
Proviamo a fare un esempio concreto di queste dinamiche. Abbiamo detto che in campo economico il capitalismo attuale è “di destra”, e a questo la sinistra politica si è perfettamente adeguata, in base al principio che “non c'è alternativa”. Questo si vede in pratica dal fatto che tutti i governi, qualsiasi sia il loro colore, praticano politiche economiche liberiste. Le uniche differenze fra destra e sinistra sono puramente formali, come dovrebbe essere ormai a tutti noto: a sinistra magari qualcuno si permette di fare qualche discorso che va apparentemente in direzione diversa rispetto al pensiero unico, ma si tratta di pura fuffa, di chiacchiere che vengono regolarmente smentite quando si arriva alle decisioni vere. Oppure a sinistra si chiede e magari si ottiene qualche concessione del tutto secondaria, il cui unico effetto è semplicemente di ritardare di poco, in un ambito limitato, l'inevitabile vittoria dei principi liberisti.
Ora, la cosa interessante è che esattamente lo stesso avviene in campo culturale, solo a parti invertite. Facciamo l'esempio della scuola. La distruzione della scuola pubblica nazionale è avviata dalla sinistra, col ministro Berlinguer all'epoca del primo governo Prodi. Non mi dilungo nell'analisi di tale distruzione: rimando per questo al profetico libro di Massimo Bontempelli “L'agonia della scuola italiana”. Basti dire che tale distruzione è motivata con argomenti “di sinistra”: innovazione, rifiuto di una cultura invecchiata e libresca, apertura alla società, rifiuto della lezione frontale e delle tradizionali discipline in quanto espressioni di autoritarismo. Di fronte a queste innovazioni, quali sono state le reazioni della destra? Esattamente quelle della sinistra di fronte alle politiche economiche liberiste: qualche distinguo formale, qualche lotta di retroguardia su aspetti secondari, ma nessuna divergenza vera. Tanto che tutti i governi di destra succedutisi da allora hanno conservato e rafforzato l'impianto della riforma Berlinguer.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che l'opposizione all'attuale capitalismo non potrà definirsi “di sinistra”. Per usare il linguaggio di Boltanski e Chiapello, “sinistra” è definita proprio dalla fusione di “critique sociale” e “critique artiste”: una volta che questa fusione finisce, perché il capitalismo fa propri i temi della “critique artiste”, l'anticapitalismo non può più essere definito “sinistra”. Il che, come ho detto sopra, non vuol certo dire che non siano validi gli ideali di giustizia sociale e di emancipazione che sono stati tipici della sinistra, finché è esistita. Vuol dire piuttosto che questi ideali vanno inseriti in un orizzonte teorico che non può e non deve aver più nulla a che fare con ciò che è stata storicamente la sinistra.
Forse può essere utile fare un altro esempio, per rendere più concreti questi discorsi. Pensiamo allora al referendum sul divorzio del '74. La vittoria del fronte divorzista in quel referendum rappresentò un momento importante del processi di modernizzazione del paese e un segnale della crescita di un'opinione pubblica “di sinistra”. Come si sa, si trattava di un referendum abrogativo della legge sul divorzio entrata in vigore qualche anno prima. Il fronte antidivorzista, che aveva raccolto le firme, era formato da settori cattolici tradizionali, conservatori, e in generale dal centro e dalla destra. Il settore divorzista era rappresentato dalle forze laiche e dalla sinistra. Chi era contrario al divorzio doveva votare “sì” all'abrogazione, chi era favorevole doveva votare “no”. Il fronte antidivorzista coniò uno slogan molto efficace, anche se questo non gli valse la vittoria: “sì, come il giorno delle nozze”. Si tratta di uno slogan ancora oggi perfettamente comprensibile: chi era contrario al divorzio difendeva una certa immagine del matrimonio e della famiglia, ed aveva allora senso ricollegarsi al “sì” che viene pronunciato al momento del matrimonio. Non ci fu, nel fronte divorzista, una risposta ufficiale a questo slogan. Vi fu però una risposta “non ufficiale” e scherzosa: “no, come il giorno delle cozze”. La cosa interessante è che questa risposta è oggi del tutto incomprensibile, per due motivi diversi, il secondo dei quali è collegato alla nostra discussione su destra e sinistra. Lo slogan si riferisce al fatto che poco tempo prima vi erano stati a Napoli dei casi di colera, legati come è intuibile anche al fatto di mangiare mitili crudi. Ma una volta chiarita questa allusione alle “cozze”, è chiaro che oggi uno slogan simile appare incomprensibile: cosa c'entra il colera con il problema del divorzio? L'idea era che quei casi di colera derivavano da condizioni generali di scarsa attenzione dei ceti dominanti alle condizioni di igiene e di salute pubblica, in particolare nel sud. Il significato di quello slogan era quindi qualcosa del genere: votiamo no al referendum per contrastare i ceti dominanti che sono conservatori sia nel campo dei rapporti familiari sia in quello dei rapporti sociali, e infatti rifiutano il divorzio e mantengono nel sud uno stato di arretratezza che porta addirittura a casi di colera.
Il punto è che una tale impostazione verrebbe oggi considerata irrimediabilmente ideologica, e non avrebbe nessuna efficacia: non si accetterebbe cioè di portare, in una discussione come quella sul divorzio, considerazioni completamente diverse come quelle relative allo stato dell'igiene pubblica. Ma quell'approccio, che oggi appare quasi incomprensibile, era del tutto ragionevole all'epoca. Perché ancora negli anni Settanta esisteva davvero un “fronte del progresso” che si contrapponeva a “un fronte della conservazione”, e aveva senso criticare le politiche del “fronte conservatore” nel campo della famiglia facendo riferimento alle politiche dello stesso “fronte” in altri campi. Ma è proprio questa contrapposizione ad essere venuta meno, per le dinamiche indagate, fra gli altri, da Boltanski e Chiapello. Oggi non ha più senso opporsi al capitalismo in nome del “progresso”: la TAV è progressista o conservatrice? E gli OGM? Il fatto che un atteggiamento come quello sottinteso dallo slogan “no come il giorno delle cozze” sia oggi del tutto irrealistico, è la prova del fatto che l'opposizione destra/sinistra è superata dallo “spirito del tempo”. La vecchia città della sinistra è ormai un cumulo di macerie, e occorre veramente affrontare il viaggio di Enea per fondare una nuova città, portando con sé la propria storia, i propri numi tutelari.
(Marino Badiale)

12 commenti:

  1. Mi riprometto di leggerlo più attentamente e eventualmente di commentarlo in modo appropriato. Voglio però fare una considerazione estemporanea. Quando si dice che si vuole lottare contro il capitalismo si potrebbe anche equivocare che si desidera portare indietro l'orologio della storia. Personalmente sono per il superamento del capitalismo. Superamento è un termine progressivo. Vorrei distinguermi dall'impostazione reazionaria di rimpianto dei tempi che furono. Del Noce mi sembra l'ideologo più importante di questo filone, Pietrangelo Buttafuoco dei tempi più recenti. Dio, Patria e Famiglia!

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  2. c'è qualcosa di sinistra nel capitalismo? il trattamento delle donne , delle minoranze, dei rom, i diritti in genere? chi non si lascia schiavizzare e non consuma come prescritto, chi si oppone al fascismo mascherato e montante (già, fare una croce su un pezzo di carta è democrazia...) viene accettato e rispettato? la cultura è cultura insenso alto, o è fare soldi, se no sparisce? ecc., ecc.. Anch'io mi riprometto di leggere il post più attentamente e quindi commentare.
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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    1. q.e.d.
      Una delle caratteristiche principali del capitalismo è la massima attenzione proprio sui diritti civili, trascurando in toto i diritti sociali e del lavoro. Quindi trattamento delle donne, delle minoranze, dei rom, ecc. sono temi che non consento di differenziare la sinistra dalla destra.

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  3. Caro Marino,
    spero che non ti offenda se ti dico che trovo ciò che scrivi nello stesso tempo condivisibile, ma anche un po' elusivo.
    Dire che destra e sinistra sono categorie politiche superate, come del resto anch'io penso, significa tuttavia dire anche che il marxismo è superato.
    Marx predica l'esistenza delle classi, da una parte la borghesia, dall'altra il proletariato. Partendo da questa suddivisione in classi, sarebbe facile identificare la destra come il partito della borghesia e la sinistra come il partito del proletariato. Dire che questa divisione non ha maggiore senso di quella esistente tra guelfi e ghibellini, oltre ad essere una palese esagerazione che utilizzi a scopo retorico, significa che non credi alla divisione in classi, che trovi questo fondamentale aspetto del marxismo non più utile.
    Naturalmente, non sarà certo uno come me che proprio partendo da una critica radicale al marxismo, tenta di definire categorie politiche del tutto nuove, a scandalizzarsi per questo abbandono del marxismo. Troverei però molto utile che ciò fosse ben esplicitato, solo da un dibattito franco, senza zone grigie, è possibile costruire vie inesplorate per nuove prospettive politiche.
    Fatta chiarezza su questo specifico aspetto, si potrebbe poi facilmente motivare l'opportunità del superamento della dicotomia destra/sinistra, come ho fatto io sul mio blog, anche semplicemente perchè troppo schematica, come se nel descrivere uno spazio a molte dimensioni, decidessimo di costringerci su un'unica dimensione, quella che si potrebbe riassumere nelle politiche di distribuzione della ricchezza.
    Oggi, le questione del rapporto tra sviluppo tecnologico ed ambiente, tanto per fare un esempio molto significativo, non può essere ignorata, e bisognerebbe allora tracciare un secondo asse per descrivere le differenti posizioni politiche.
    Tuttavia, se oggi si riuscisse a costruire una teoria politica che avesse caratteri di coerenza interna paragonabili al marxismo, se tale teoria politica riuscisse ad affermarsi in modo netto, allora credo che tutti saremmo soddisfatti da una descrizione politica monodimensionale, proprio perchè quell'unico criterio di distinzione sarebbe in sè sufficiente per definire tutti i suoi contenuti e perfino i contenuti dell'ipotesi avversa.

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    1. Caro Cucinotta,
      dal mio punto di vista (fallibile, s'intende, come quello di tutti) le classi e la loro lotta esistono da quando la produzione di un consistente surplus economico permette la loro esistenza: diciamo, all'ingrosso, forse da 5000 o 10.000 anni. Destra e sinistra esistono da circa un 200 o 250 anni. Dire che rifiutare la dicotomia destra/sinistra significa rifiutare l'analisi di classe della società è perciò, sempre dal mio punto di vista, del tutto insensato. Le classi e la loro lotta esistevano prima di destra e sinistra e continueranno ad esistere dopo. In generale, mi permetto di consigliare qualche precauzione metodologica, quando si discute di Marx e marxismo: la prima, ovvia, è appunto la distinzione fra Marx e marxismo. La seconda è la distinzione fra diversi aspetti e livelli delle teorie di Marx. Per quest'ultimo punto, chi è interessato può utilmente consultare “Marx e la decrescita”, scritto da Massimo Bontempelli e me e pubblicato da Asterios.

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    2. Scusa se intervengo nuovamente, solo per precisare che mi pare si siano in questo scambio di interventi tra noi confusi due distinti piani.
      L'uno che era quello di cui parlavo, era quello teorico, di credere o non credere che le classi siano una categoria rilevante (o addirittura la più rilevante per il marxismo) ai fini politici, e l'altro che tu hai introdotto, della constatazione che fai dell'esistenza delle classi da decine di migliaia di anni.
      Il punto che affrontavo non era di carattere storico, ma di carattere teorico, nel senso che dicevo che un punto di vista di classe determina automaticamente l'identificazione di una destra e di una sinistra, come formazioni politiche rappresentative rispettivamente della borghesia e del proletariato.
      Se si accetta il punto di vista che la lotta politica è lotta di classe, si può accusare di tradimento sedicenti partiti di sinistra, ma non si può negare che destra/sinistra sia il discrimine fondamentale della politica.
      Naturalmente, convengo con te riguardo alle doverose distinzioni tra marxiani e marxisti e in generale al quadro molto frastagliato di tutti coloro che si richiamano in differenti forme al pensiero di Marx, ma un breve commento su un blog non mi pare possa rappresentare il luogo dove farlo, nè mi pare fosse così necessario visto che mi riferivo ad aspetti teorici così fondamentali che non credo sia possibile negarli senza negare in toto Marx.

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    3. "La lotta di classe esiste da venti anni e la mia classe l'ha vinta. Noi siamo quelli che abbiamo ricevuto riduzioni fiscali in modo drammatico". E' la oramai celebre frase di Warren Buffett. Che non esista più la classe operaia come nel '900 è un discorso. Che esistano ancora la produzione e i lavoratori, scusandomi per la banalità, mi sembra innegabile. Come innegabile è che il lavoro continua ad essere subordinato. Chi possiede capitali e investe in un'impresa utilizza la forza lavoro, sia essa quella della catena di montaggio o quella delle cooperative di servizi, in modo subordinato. Il lavoro continua ad essere una merce che i lavoratori vendono per sopravvivere. Di questo lavoro le imprese ne fanno quello che vogliono, lo organizzano come vogliono e vorrebbero disfarsi dei lavoratori quando non ne hanno più bisogno. C'è qualcuno che riesce a contestare queste affermazioni? Mi sembrano una lampante constatazione. Il lavoro è oggi più di prima una merce, è sempre più precario, frammentato e traumatizzato. Che i lavoratori oggi non si possano definire classe perché sono divisi, perché le catene di produzione sono mondializzate, perché il terziario funziona in un altro modo, possiamo discuterne. Mi sembra però che il tema posto da Marino sia differente. Cioè se tutto questo possa ancora essere rappresentato dalle categorie storiche della sinistra. Fuori dagli equivoci semantici, cioè cosa è sinistra, non così facile da classificare perché sinistra è tantissime cose, spesso in conflitto tra di loro, la mia posizione è che occorre trovare il modo per affrontare efficacemente la lotta di classe e che quella che oggi si auto-definisce sinistra non è in grado di fare e non ha voglia di fare. Nel 1996 uscì un libro di Revelli, "le due destre", una populista e l'altra tecnocratica. Oggi si potrebbe dire che la seconda è rappresentata dal PD e che rappresenta i poteri forti del capitalismo multinazionale, in contrasto con quella populista nazionalistica. Credo che occorra definire un'altra strada. Permettetemi di chiamarla "sinistra sociale" che oggi praticamente non c'è.

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    4. Caro Cucinotta,
      mi sembra che non ci capiamo, e forse è inutile continuare questa discussione sul blog, possiamo scriverci in privato. In ogni caso, non posso che ribadire quanto ho detto sopra: io ritengo che l'analisi di classe sia valida per tutta la storia umana da 5000 o 10000 anni a questa parte, mentre ritengo che abbia senso parlare di destra e sinistra solo per gli ultimi due o tre secoli. Di conseguenza, la tesi da Lei sostenuta che “un punto di vista di classe determina automaticamente l'identificazione di una destra e di una sinistra” è per me del tutto assurda. Un esempio: per me ha senso parlare di lotta di classe fra popolo e oligarchia nell'Atene classica, ma non ha senso identificare una della due parti con una “sinistra” e l'altra con una “destra”. Detto altrimenti, ritengo infondata la Sua tesi che la nozione di destra e sinistra sia uno degli “aspetti teorici così fondamentali che non credo sia possibile negarli senza negare in toto Marx”. Se Lei avesse la bontà di leggere il breve testo che ho citato nel commento precedente, potrebbe confrontarsi con qualche argomentazione più approfondita di quella che è possibile svolgere nei commenti ad un blog.

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  4. Articolo eccellente, e direi illuminante. Una comnferma di questa analisi può trarsi dalle posizioni politiche di SEl, oggi unica forza parlamentare "di sinistra". In sostanza, il partito di Vendola di occupa solo di ampliare quella dimensione culturale di apertura della società che è stata già pienamente integrata dal modello capitalista, e quindi sostiene la lotta all'omofobia come quella alla violenza di genere. Nel contempo, SEL accetta di fatto, salvo qualche inutile distinguo di pura facciata, le politiche neo liberiste che, in altri tempi, sarebbero state il vero bersaglio di un partito di sinistra storicamente inteso.

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  5. Valerio, Modena

    Pongo questa domanda:"se un partito in Italia propugnasse l'uscita dall' euro e dalla UE, ma nel contempo si battesse per uno stato totalitario retto da un dittatore, Badiale sarebbe favorevole?" Non Credo. Ecco perché sono abbastanza d'accordo con il commento di Vincenzo Cucinotta. Se si vuole superare la dicotomia destra-sinistra perchè sono diventate semplici etichette, allora occorre ridefinire una nuova cornice che entri di più nel dettaglio.
    Grazie

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    1. Alla domanda posta, rispondo "ovviamente sarei contrario". Non mi è chiaro che rapporto abbia questo con il contenuto del mio intervento. Quanto alla necessità di una "nuova cornice", sono d'accordo. Tutto quello che scrivo da ormai una ventina d'anni ha essenzialmente questo scopo. Anche la creazione di questo blog vuole essere un contributo in questa direzione.

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  6. «In prima approssimazione, e volendo ad ogni costo utilizzare queste fuorvianti metafore spaziali, il pensiero unico è di destra in economia, di centro in politica e di sinistra nella cultura, il che equivale a dire ovviamente che non è né di sinistra, né di centro, né di destra, ma è un’altra cosa, che si tratta appunto di connotare con categorie adatte, al di là della obsoleta e fastidiosa dicotomia. Ma accettiamo ancora di giocare al “gioco dei tre cantoni”, per far piacere ai suoi appassionati lettori. Il pensiero unico è di “destra” in economia, perché sceglie le soluzioni liberiste contro quelle keynesiane, perché smantella il welfare state, perché fa ponti d’oro alla speculazione finanziaria, perché ridefinisce in termini assistenzialistici e caritativi la questione sociale tradizionale, eccetera. Il pensiero unico è di “centro” in politica, perché i suoi sistemi elettorali, già definiti […] in termini di oligarchia plebiscitaria, tendono ad elidere le ali estreme dello specchio elettorale facendole demonizzare e delegittimare dai suoi giornalisti-servi, e contestualmente legittimando figure carismatico-mediatiche magari alternative sul piano pittoresco e comportamentale d’immagine, ma ferreamente simili sulle questioni fondamentali di politica interna e soprattutto estera. Infine, il pensiero unico non è tanto di “sinistra” – abbiamo visto che solo in alcune parti del mondo questa espressione ha un senso –, quanto ha una “preferenza di sinistra”, che si tratta appunto di capire – e che studiosi come Ignacio Ramonet, convinti che l’intero pensiero unico sia di destra, non capiranno purtroppo mai. Il pensiero unico ha culturalmente una “preferenza di sinistra”, perché la sinistra è storicamente il luogo duplice della critica borghese e dell’illusione proletaria, e dunque della tendenziale distruzione dialettica delle due identità, ottenuta ovviamente mediante due processi diversi anche se segretamente convergenti.»
    Costanzo Preve, Destra e Sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali, C.R.T. – petite plaisance, 1998, pagine 24-25.

    Nella pagina facebook di Costanzo Preve stiamo riproponendo, con interventi quotidiani, tutte le riflessioni del professore sull'argomento, in particolare quelle tratte da questo pamphlet del 1998. Nelle pagine seguenti ad esempio critica la teoria bobbiana indagando la dialettica eguaglianza-eguagliamento. Il capitalismo globalizzato, mercificando il mercificabile, rende tutti uguali di fronte al mercato e al contempo tutti diseguali per differenziali di reddito, sintetizzando così ineguaglianza di destra e eguaglianza di sinistra in una forma nuova.

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