domenica 1 dicembre 2013

Nazionalismo, identità nazionale ed europeismo


È frequente imbattersi nella seguente considerazione: l'identità alla base delle comunità nazionali è una costruzione ideologica, anzi una fabbricazione elaborata 'a tavolino' per tutelare gli interessi dei ceti dominanti. Dato il carattere di artificiosità e di surrettizietà della nozione di “identità nazionale”, ogni tentativo di porla alla base di un discorso politico è del tutto fuorviante, sempre che si intenda fare un discorso emancipativo; se invece si intende impegnarsi in un progetto reazionario, allora quella costruzione è perfettamente adeguata allo scopo. 

Questo tipo di argomentazione contiene in sé molti elementi di ragionevolezza, anche se andrebbe espresso con un linguaggio più preciso. Dire che un certo concetto è “artificiale”, volendo con ciò indicarne un difetto, non ha molto senso: non esistono i concetti “naturali”, e d'altra parte la caratteristica di essere artificiale non rappresenta un che di deteriore (la musica è artificiale). Andrebbe invece spiegato che alla base dimolti discorsi apologetici della identità (e della sovranità!) nazionale c'è invece un meccanismo di costruzione (ovviamente artificiale) di miti; un processo di mitopoiesi. 

Usare il passato in maniera strumentale e senza riguardi per la razionalità storica allo scopo di fabbricare un'apposita mitologia, mitologia che a sua volta sarà utile per giustificare una certa strategia politica: questo è il vero fenomeno che la considerazione di cui sopra critica, e che costituisce l'essenza di quella che qualcuno ha chiamato cultura di destra. Quando la fabbricazione mitologica verte sull'identità nazionale, porta sempre con sé almeno due elementi, di cui uno assolutamente peculiare. Innanzitutto, la comunità nazionale della cui identità si discetta è sempre presentata come un ché di compatto e omogeneo, scevra da lacerazioni e conflitti strutturali, un organismo che, lasciato a sé stesso, genera benessere e soddisfazione per tutti. Quando esso va in crisi è perché qualcosa, da fuori, lo ha attaccato, magari servendosi di quinte colonne traditrici. Lo schema è sempre il medesimo: andava tutto bene, un tempo, finché non è arrivata la minaccia esterna che ci ha rovinati. Questo ci permette di passare al secondo elemento immancabile di questo tipo di operazione ideologica, quello peculiare: la rimozione degli elementi negativi dalla storia della comunità nazionale. Chi ha analizzato i profili ideologici del British National Party e dell'United Kingdom Indipendence Party ha trovato solo pochi punti in comune, creando qualche imbarazzo nello stabilire che cosa ci fa dire, apparentemente senza difficoltà, che entrambe sono formazioni di destra. Il punto in comune più rilevante era proprio una ricostruzione della storia britannica che la presentava come esente da gravi colpe, o di cose di cui vergognarsi. In ambito domestico ho trovato un brano che rende perfettamente l'idea di quando vado descrivendo:

quello italiano oggi non è un popolo fiero. (…) La fierezza nasce da una ricostruzione della storia passata, non esiste altra possibile genesi. Dunque, per cominciare a ricostituirla, è necessario andare alla ricerca del meglio della nostra storia: il volontarismo risorgimentale, il pensiero di Mazzini, la figura di Garibaldi, la Costituzione romana, la precoce abolizione della pena di morte, la compattezza mostrata nella macelleria della prima guerra mondiale, l'eccellente legge bancaria del 1936, lo scoperto infinito dello Stato presso la banca d'Italia (1936-1945), il divieto di acquistare titoli emessi all'estero per motivi speculativi (1934), la stratosferica tecnica legislativa dei codici, la resistenza, la costituente, la riforma agraria, l'abolizione della mezzadria, la piena occupazione, la scala mobile, lo stato sociale, il piano casa, la enorme mobilità sociale degli anni settanta e ottanta, il non aver avuto per decenni, fino a Berlusconi, imprenditori che abbiano ricoperto ruoli politici di primo piano, una scuola e una università di massa a lungo più serie e (quindi) severe rispetto a scuola e università di altri Stati a noi simili, la repressione della rendita finanziaria fino al 1981, l'attenuazione delle differenze tra nord e sud nel periodo 1951-1981, le partecipazioni statali e altro ancora.

Mitogenesi, anzi mitopoiesi. Per restituire “fierezza” al popolo è indispensabile fornire loro una ricostruzione della storia d'Italia basata esclusivamente sugli elementi positivi (o presunti tali), e su un una totale rimozione di tutto quanto possa turbare il quadro. La storia d'Italia è una storia di crimini, e anche il periodo repubblicano risulta ricco di contraddizioni. E non potrebbe che essere così. Per andare avanti, per progredire in un cammino di civiltà, è indispensabile prendere coscienza dei lati negativi del proprio passato nazionale, in un certo senso riconciliarsi con essi; allo stesso modo, un vero progetto di emancipazione non può che radicarsi nelle contraddizioni reali in seno alla società, nei conflitti che sempre la attaversano; nelle istanze e nelle esigenze concrete delle persone reali. Non certo nelle brodaglie ideologiche frutto della miscela di pezzi di passato scelti ad arte (quando non proprio travisati o falsificati).
Dunque, la critica alle “narrazioni” di questo tipo è sensata e condivisibile. Tuttavia, nella grande maggioranza dei casi esse cadono fuori bersaglio, finendo per concentrarsi su un fenomeno relativamente minore (per ora) e mancando di denunciare qualcosa di ben più inquietante.
Se è vero che la retorica identitaria è tanto più pericolosa quanto più e mistificante e artificiosa, è vero anche che tale retorica è tanto più mistificante quanto più si rivolge a “oggetti” sociali lontani dalla nostra vita quotidiana. Ad esempio, sostenere che esista una identità nazionale basca sarà anche un'operazione mistificante, ma è un'operazione che poggia su elementi assai concreti: in effetti esiste una comunità che parla basco, che vive in un territorio ben definito, e che si riconosce in un comune retaggio culturale. La vita quotidiana del cittadino basco non è così lontana dagli elementi fondanti l'ipotetica retorica del “popolo basco”.
Ma che dire dell'identità europea? Essa non si fonda su una lingua comune, né su un comune retaggio culturale: l'Europa è un multiverso di culture e civiltà differenti. Il dato geografico è molto astratto, perché non fa riferimento a un territorio ben definito, a meno di non considerare tale un continente dai confini arbitrari. Alla fine ci si trova davanti a una verità piuttosto imbarazzante: gli unici elementi comuni a tutti i popoli europei sono la religione cristiana (o quel che ne rimane) e la pelle bianca. Non proprio l'ideale per costruire una “narrazione” progressista dell'identità europea! E così chi si trova a “fabbricare” quell'identità, senza infrangere il politically correct, si ritrova invischiato in un processo di mitopoiesi particolarmente impegnativo e “artificiale”, dovendo letteralmente inventare una comunanza di idee, valori e tradizioni del tutto immaginaria.
Ciò peraltro ci illumina su un'altra carattetistica del “discorso” europeista: come la maggior parte delle retoriche nazionaliste, e al di là delle apparenze, esso è tutto rivolto al passato, a ciò che eravamo. È un tentativo di conservare l'antica gloria europea, chiudendosi a riccio contro il resto del mondo. Come abbiamo già scritto altre volte, è una passione triste.
Forse sarebbe il caso che chi si dedica allo smascheramento (benemerito) delle retoriche nazionaliste e patriottarde riservi una quota del suo tempo anche al contrasto della mistificazione europeista, che è tanto più falsa quanto più poggia su fondamenta estranee alla sensibilità e alla vita concreta delle masse europee. Non c'è da contrastare solo il vecchio nazionalismo, ma anche il nuovo nazionalismo europeo. Speriamo che qualcuno se ne accorga. (C.M.)

17 commenti:

  1. L'europeista più coerente e serio degli ultimi cent'anni è stato Adolf Hitler. Nel 1945, la Cancelleria di Berlino è stata difesa fino all'ultimo uomo contro soverchianti forze sovietiche da un reparto della Divisione SS Charlemagne, composto da francesi. Vedete un po' voi.

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    1. Aggiungo anche da Capi Indiani nord americani (i pellerossa) domenico capotorto toronto canada'

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  2. Qui dimenticate cosa è stata l'Europa fino al 1945, un campo di battaglia ininterrotto, patria dei peggiori fanatismi religiosi e politici. Forse il fazzoletto di terra più sanguinoso del globo terrestre. Alcune motivazioni che spinsero alla costruzione dell'idea di Europa si trovano nel manifesto di Ventotene, che non fu scritto da capitalisti e nemmeno da banchieri. L'idea di fondo allora era quella kantiana della Vernunft di argine razionale contro la barbarie. Forse si tratta di una passione triste, come scrivi, ma io non la getterei nel cesso così in fretta.

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    1. Ecco, parliamone seriamente. Ci sono due paesi che si fanno la guerra semi-ininterrottamente da secoli. Li chiameremo F e G. Dopo tanto tempo e tante lotte, i presidenti di entrambi i paesi si rendono conto che non si può andare avanti così. Cercano così un rimedio, che faccia in modo che, anche dopo la loro uscita di scena, i due paesi non tornino a scannarsi vicendevolmente. Tu gli suggeriresti, come UNICO rimedio imaginabile, la fusione in un unico stato tra F e G? Davvero non ci sono alternative?

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    2. Parto da un dato: questa alternativa ha funzionato, nel senso che, anche se non è l'Europa di Altiero Spinelli &Co, almeno un ruolo fondamentale l'ha svolto: l'assenza di conflitto armato più lunga dai tempi di Augusto. Poi io sono d'accordo con voi sul dato economico: la moneta unica così come è stata concepita non funziona, crea disequilibri assurdi e insostenibili. Ma non su quello politico. Quindi ti rilancio la domanda: è veramente impossibile concepire un Europa che funzioni su un paradigma diverso da quello imposto dal modello neoliberista?

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    3. Secondo noi no, e dopo argomenterò meglio. Tuttavia, permettimi di insistere con due domande:

      A) Ancora, tu pensi che la fusione interstatale sia l'unico modo per ottenere la pace tra gli stati?

      B) considerando che dal dopoguerra ad oggi sono proprio spariti i conflitti tra grandi potenze (non ci sono più state guerre tra USA e Giappone, o tra Giappone e Russia), non pensi che la pace sul continente sia più il frutto dell'equilibrio atomico e dell'occupazione USA-URSS?

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  3. Sul punto due: certamente si. Non sono così ingenuo da ignorare il ruolo della guerra fredda in questo contesto. Però non si può neanche ignorare il contributo del progetto europeo in questo senso. Oggi poi che il conflitto USA - Urss non è più presente, mi sembra l'occasione per provare a realizzare quel progetto europeo che fu di Spinelli e altri, reso impossibile proprio dalla guerra fredda.
    Ne va de se che sul punto uno, almeno per quanto riguarda l'Europa, la mia risposta è si. I risultati storici, acquisiti tra l'altro con difficoltà enormi, che sembrano consolidati come appunto la pace europea, ci mettono un attimo a mutare soprattutto quando rappresentano l'eccezione e non la regola. Ed è innegabile che uno strumento fondamentale per raggiungere questo stato di cose, storicamente precario, sia stato proprio il progetto europeo. Però una cosa è certa, se non muta radicalmente il paradigma economico, europa o non europa una guerra civile simile alla guerra dei trent'anni diventa una possibilità concreta.

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  4. Se per questo, anche il pensiero è artificiale. Ma il punto è un altro: c'è un modo di teorizzare platonico (o se volete, idealista) che non si prende mai la briga di partire dal mondo dei fenomeni. Questa costruzione europea non ha nulla a che vedere con Spinelli, se non sul piano della cavallinità. Guarino parla di un colpo di stato intervenuto nel corso del processo, che ha esautorato i parlamenti.
    Senza guardare ai processi storici, impossibile mettersi in grado di esprimere un giudizio politico o di qualsiasi genere (tanto meno, sul piano del giudizio analitico).

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  5. Non mi fiderò mai di un tedesco e lui non si fiderà mai di me. Per questo penso che la peggiore cosa sia mettersi in società insieme. Lo so che fate di tutto per mantenere alto il livello del "dibattito" ed io lo abbasso con questo trito sentimento antitedesco. Ma rincaro anche la dose, noi italiani in generale in Europa non saremo mai considerati dei pari. Censuratemi, forse me lo merito, ma tanti anni di lavoro all'estero e con l'estero mi dicono questo.

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  6. Sento l'esigenza di fare chiarezza, prima di tutto con me stesso. Se consideriamo che il conflitto vero è tra capitale e lavoro, le guerre imperialiste sono un inganno. Infatti, hanno mandato a farsi macellare milioni di persone nella prima e nella seconda guerra mondiale. L'annessione del Regno Borbonico è stato un atto imperialistico Inglese (anche francese). Il fascismo è stato un grande inganno, è stata la straripante vittoria sui lavoratori da parte del capitale nazionale. Adesso si parla di patriottismo aziendale, cioé io sono della Fiat, tu della Volkswagen, siamo nemici. Anzi, con l'idea di cogestione dei sindacati nei consigli di amministrazione, tutto questo diventerebbe codificato. Patria, Nazione, sono tutti inganni, se la pensiamo così. L'identità di popolo esiste, non c'è dubbio. Solo il fatto di parlare una stessa lingua definisce i confini della comunità. Questa comunità non è però fatta di uguali, ci sono gli sfruttati e gli sfruttatori. Agitare idee di patria per nascondere altri interessi è una enorme mistificazione. Condivido che sia una mistificazione altrettanto miserabile parlare di "spirito europeo" per nascondere gli interessi della finanza multinazionale che ha fondato l'Unione Europea. Voglio solamente dire che maneggiare questi concetti può essere molto pericoloso e molto fuorviante e che andrebbe fatto alla luce di un'analisi di classe, per chi ci crede.

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    1. "per chi ci crede"? L'analisi di classe non è un credo religioso ;)

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    2. Infatti! Per chi crede che esiste un conflitto, per coloro che credono che la storia possa essere letta secondo questo schema. Non è religione, sono convinzioni che si possono avere o no. Ad esempio, c'è qualcuno che pensa che Mazzini sia stato uno degli artefici dell'unità d'Italia. Io non la penso così. Ma ognuno può avere il suo modo di vedere la storia.

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  7. L'identità nazionale non è una cosa buona o cattiva, emancipativa o regressiva a prescindere. Bisogna analizzare il contesto storico, i rapporti di forza e di classe, i rapporti internazionali. Ad esempio il "patriottismo" (non il nazionalismo) esiste a Cuba e fu utilizzato dall'Urss durante la II guerra mondiale e non era la stessa cosa che il nazionalismo fascista e nazista. Insomma, il concetto di nazione può avere uno spirito reazionario o emancipativo. E quello che bisogna chiederci è: oggi, che il capitale è internazionale e globalizzato, che spirito ha? La mia risposta è ovvia.

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  8. Il meglio della nostra storia?

    "il volontarismo risorgimentale, il pensiero di Mazzini, la figura di Garibaldi, la Costituzione romana, la precoce abolizione della pena di morte, la compattezza mostrata nella macelleria della prima guerra mondiale, l'eccellente legge bancaria del 1936, lo scoperto infinito dello Stato presso la banca d'Italia (1936-1945), il divieto di acquistare titoli emessi all'estero per motivi speculativi (1934), la stratosferica tecnica legislativa dei codici, la resistenza, la costituente, la riforma agraria, l'abolizione della mezzadria, la piena occupazione, la scala mobile, lo stato sociale, il piano casa, la enorme mobilità sociale degli anni settanta e ottanta, il non aver avuto per decenni, fino a Berlusconi, imprenditori che abbiano ricoperto ruoli politici di primo piano, una scuola e una università di massa a lungo più serie e (quindi) severe rispetto a scuola e università di altri Stati a noi simili, la repressione della rendita finanziaria fino al 1981, l'attenuazione delle differenze tra nord e sud nel periodo 1951-1981, le partecipazioni statali e altro ancora".

    Per me anche qui c'è molta più retorica che cose buone. E queste non mi sembrano sufficienti a fare "una" nazione.

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  9. Eppure c'è.
    Intendo l'antropologia europea, è che sono state veramente poche le situazioni che ne hanno innescato la dinamica.
    Quando si parla di "religione cristiana" cosa si intende, quella che porta i fedeli la domenica a messa? spero di no, è propriamente una filosofia d'intenti generali che non ha eguali neppure dove il cristianesimo è "di casa" come il Sudamerica; certamente simile, ma si sa, la similitudine è l'ombra della differenza.
    L'Europa E' L'Europa occidentale, quella che nel bene e nel male ne ha fatto la storia. Quando si parla di Europa non si pensa alla Romania o alla Polonia, ma a quella parte che ha immaginato l'uomo moderno e tutto quello che lo connota e ne determina le peculiarità. Ovunque esso sia o viva, l'uomo moderno sa che è ciò che è grazie a quell'area politica che viene definita Europa occidentale, seppur composta da lingue, abitudini e costumi diversi.

    L'identità europea è l'uomo moderno classico, e assieme a lui tutte le sue profonde contraddizioni.

    Dalle mie parti, come in gran parte d'Italia, a distanza di pochi km, risulta difficile a volte capirne la parlata veloce del dialetto.

    Però parafrasando un proverbio; una moneta non fa un'identità.


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