martedì 4 marzo 2014

La democrazia tirannica

Premessa dei giorni nostri
In una repubblica parlamentare la figura del presidente del consiglio eletto semplicemente non esiste. Tuttavia, questa verità ha che fare con la costituzione formale: la costituzione materiale, da vent'anni a questa parte, è ben diversa. Tutto il discorso politico dell'ultima generazione è improntato al presidenzialismo; e l'ultimo arrivato, Renzi, fino a una settimana fa era il più presidenzialista di tutti. Ecco perché l'avvicendamento Renzi-Letta appare a grandissima parte dell'opinione pubblica come palesemente illegittimo; e la sfacciata incoerenza del neo-premier certo non ne aiuta l'immagine.
Ma i renziani (scusate, i renzini) hanno pronta la risposta. Qualche giorno fa Aldo Cazzullo ha dichiarato "Renzi non sarà giudicato da come sarà andato al governo, ma da cosa avrà fatto una volta al governo". Altri ripetono più o meno questa formula: "anche se ora ci possono essere dei dubbi tra gli italiani, quando faremo le cose giuste ci ringrazieranno". Ora, questo può anche essere vero. Chissà. Ma se portiamo alle estreme conseguenze il ragionamento arriviamo a esiti piuttosto inquietanti.

L'elaborazione antica
I greci annoveravano nel loro lessico politico una parola di origine asiatica, tirannia. Nel contesto in cui era nata, la parola tiranno designava semplicemente un capo; il signore di una città, per la precisione. Molto tempo dopo, tiranno divenne sinonimo di un altro vocabolo greco, despota. Ma in un periodo intermedio tiranno non aveva una connotazione negativa, valutativa, bensì tecnico/analitica. il termine non alludeva alla qualità del governo del soggetto tirannico, bensì al modo in cui questi era arrivato al potere. Se questo modo era in contrasto o in deroga alle regole ordinarie per l'acquisizione delle cariche pubbliche si parlava di tirannia; dopodiché il governo del tiranno poteva anche essere illuminato, saggio, tollerante. Non era nemmeno necessario che la presa del potere fosse violenta; bastava che fosse illegittima, irregolare, al limite irrituale.

L'elaborazione contemporanea
Franco Russo,  molto opportunamente, ha collegato tra loro le modalità di funzionamento dell'attuale governance europea e il concetto di "working" e "output" "democracy", da contrapporre alla "input" o "voting" "democracy". La prima espressione potrebbe tradursi con "democrazia dei risultati"; la seconda con democrazia "della scelta", o "delle regole". Si tratta in realtà di due criteri distinti per valutare la legittimità dell'azione di un governo (in senso lato: vi può rientrare anche il mandato del Presidente della BCE, come vedremo). La democrazia dei risultati adotta un approccio conseguenzialista, e ritiene legittimo quel governo che riesce a conseguire i propri fini istituzionali. La democrazia delle regole adotta un approccio deontologico, e ritiene legittimo quel governo che nasce ed opera in conformità a norme che consentano ai cittadini di influire sulle grandi scelte politiche. Il primo criterio è sostanzialista; il secondo formalista. È agevole notare come il primo dei due criteri schiacci l'elemento della legittimità su quelli dell'efficienza e dell'efficacia. A quanto pare questa concezione è propria di Mario Draghi.

La tirannia democratica
I moderni politologi sembrano avere qualcosa in comune con gli antichi greci: entrambi ammettono che potrebbe rivelarsi "buono" quel governo che si forma in spregio alle regole precostituite. Tuttavia, i moderni politologi (e i politici che leggono i loro libri) fanno qualcosa di più: ritengono che l'approccio conseguenzialista sia quello decisivo, con buona pace di ogni deontologia democratica. Nei casi più estremi affermano senza mezzi termini che la "output democracy" può senz'altro sostituire la "voting democracy": l'operato della BCE, per esempio, può essere considerato rispettoso della democrazia, ma non perché Draghi debba rispondere del proprio operato ai cittadini, bensì in quanto la BCE produce una buona gestione della politica monetaria europea. Questa concezione spesso si accompagna ad un'altra, anch'essa assai diffusa tra gli studiosi: quella del ritorno delle élites. I problemi del mondo moderno sono troppo complessi per essere gestiti da profani. Il ruolo dell'elettore, dunque, è di scegliere il tecnico giusto: anzi, di scegliere i tecnici, evitando di farsi attrarre dalle sirene del populismo.
Queste due concezioni hanno entrambe un piccolo difetto. Non tengono conto del fatto che la bontà di certe scelte politiche e amministrative non è mai in re ipsa: non è mai oggettiva. Dipende dalle valutazioni che quelle scelte susciteranno: le quali saranno condizionate dalle opinioni, dalle ideologie, dagli interessi (sopratutto)... Ecco perché le regole formali sono importanti: servono a istutuzionalizzare il confronto pacifico tra idee e interessi diversi. In poche parole, se un governo fa scelte buone o cattive lo decidono gli elettori, che sanno da sé stessi qual è il loro bene. E se gli elettori sono tanto intelligenti da riuscire a distinguere tra scelte buone e scelte cattive, così come tra personale adeguato o inadeguato, allora non si capisce perché non dovrebbero essere in grado di gestire la cosa pubblica da loro stessi, senza ricorrere ai tecnici e alle élites. Negare tutto questo è negare la possibilità della democrazia, e avallare una forma di tirannia.

Conclusione
L'intera operazione che ha preparato il governo Renzi è ispirata alla "output democracy": l'irregoralità dell'operazione stessa verrà sanata dai buoni risultati che Renzi riuscirà a centrare. Esattamente il ragionamento che sorreggeva l'operazione Monti. Questo modo di fare politica è perfettamente coerente con lo spirito del tempo, e con le sensibilità diffuse a Bruxelles. Dovremmo dunque abituarci ad essere comandati da tiranni democratici. Tuttavia, c'è chi pensa che questa non sia una scelta obbligata. (C.M.)

9 commenti:

  1. Grazie per l'intervento. Sono d'accordo sulle seguenti cose che si dicono: (i) la 'legittimità output-side' è la teoria politica mainstream sia dell'Unione sia della politica italiana; (ii) la tecnocrazia élitista è la forma di governo più coerente con quella teoria politica. Non sono invece d'accordo sulla diagnosi dei difetti, anche se ci sono sicuramente cose importanti da dire sulla base dell'autodeterminazione politica (= 'se un governo fa scelte giuste o sbagliate lo decidono gli elettori'). Vorrei piuttosto suggerire un tipo di argomento che mi sembra strategicamente migliore, sia perché meno controverso sia perché più semplice da comunicare. Il problema delle élite tecnocratiche è – almeno in parte – del tutto consequenzialista. Le élite tecnocratiche non perseguono gli interessi della grande maggioranza della persone perché (1) sono affiliate ai gruppi di potere politico-economico e dunque 'socializzate' alle loro credenze politiche (es. 'porte girevoli' fra finanza e politica); (2) sono state esposte, nelle università sponsorizzate da tali gruppi, alle sole dottrine che li favoriscono; (3) a causa della loro tipica estrazione socio-economica, sono generalmente del tutto estranee 'ai problemi reali della gente'. Questo tipo di argomenti, che appartiene ad una tradizione democratica anti-elitista intellettualmente molto interessante, ha il vantaggio di coincidere con i sentimenti 'anticasta' diffusi fra i cittadini e nelle cd. 'forze populiste' - molto più, se mi permettete la critica, dell'argomento secondo cui la bontà delle scelte politiche non è mai 'in re ipsa'!

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    1. Non sono d'accordo, perché il relativismo concettuale è la pre-condizione della democrazia, cioè del sistema di regole che dovremmo difendere, per varie ragioni. Mi spiego meglio. La pretesa che esistano scelte OGGETTIVAMENTE giuste è improntata all'assolutismo concettuale. Ma se fosse possibile identificare (scoprire) l'intrinseca "verità" o "giustezza" delle soluzioni politiche e amministrative il dibattito non avrebbe molto senso. Non si fa dibattito tra chi ha, fin dall'inizio, ragione e chi fin dall'inizio ha torto; e del resto la premessa del dibattito è proprio lo spogliarsi della pretesa di custodire la Verità. In altre parole, se esiste una verità sostanziale non è necessaria la forma (insieme di regole) democratica. D'altro canto, questo assolutismo ha precise ragioni ideologiche. La classe dominante rappresenta i propri interessi (e dunque i propri valori) come interessi (e valori) assoluti, propri dell'intera società. Questo travisamento da oggettivo di quanto è invece soggettivo è funzionale alla conquista delle menti dei dominati. Del resto i dominanti sono tali perché hanno il potere; e chi ha il potere non ha interesse ad avviare una discussione. I senza potere, cioè i dominati, hanno invece tutto l'interesse a mantenere la forma, per poter far valere il proprio punto di vista (soggettivo); e hanno anche interesse a destrutturare l'ideologia dominante, che fa passare scelte soggettive e discrezionali come scelte oggettive e inevitabili.

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    2. Grazie per la risposta, Claudio. Personalmente non credo che l'identificazione fallibile e limitata di scelte politiche oggettivamente migliori sia impossibile, dogmatica e/o incompatibile con la 'democrazia' – ma certo non proverò a convincerti con un commento! Mi limito ad osservare che non sono sicuro che tu voglia dire che la preferenza per gli interessi, desideri e speranze dei 'ceti dominati' sia materia 'soggettiva' negoziabile nella deliberazione democratica (io non lo farei...). Concordo invece che, talvolta, il 'travisamento da oggettivo di quanto è invece soggettivo' così come la naturalizzazione di questioni che sono valoriali sono strumenti delle classi dominanti che vanno denunciati e smascherati. Considera però che si verifica anche l'inverso. La forza politica di alcuni blog anti-euro sta proprio nel fatto che essi si presentano come un contropotere tecnico che smaschera con successo gli errori descrittivi e valoriali delle élite. Abbiamo bisogno di criteri oggettivi per replicare a Padoan quando dice (o diceva) che l'austerità e il dolore hanno dato buoni risultati, no?

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    3. Putroppo per gli oggettivisti, l'identificazione del loro "meglio" presenta le stesse difficoltà dell'identificazione della religione "vera". Ci sarà sempre qualcuno che pretenderaà che la sua interpretazione sia quella vera oggettivamente, no? Magari agganciandola alle indicazioni della Natura, di Dio, della Ragione, del Bene, e di tutti gli altri rifugi delle anime semplici...
      Ma per fortuna degli oggettivismi, è (ancora) forte e radicato nelle nostre società il non-cognitivismo etico, premessa inderogabile di tolleranza e democrazia.
      Dunque nessuno detiene la verità "vera". Ma questo significa che tutti le argomentazioni sono sullo stesso piano? Che non è possibile discriminare tra chi ragione (non chi "ha Ragione") e chi sproloquia? In realtà un discrimine c'è, ma è un discrimine formale. È la valutazione del metodo scelto, da parte di chi parla, per argomentare la propria tesi, e di quanto questi sia aderente ai canoni del suo stesso metodo.
      Questo modo di fare ci consente di individuare le aporie e le forzature del discorso economico dominante, quando ci sono. Ci sono dei soggetti che partono da date premesse e arrivano a certe conclusioni, ma in maniera scorretta (e cioè in violazione delle regole che loro stessi si sono imposti). Ecco perché un po' di sapere tecnico è indispensabile per constrastare il mainstream economico. Mai pensato il contrario, ovviamente.
      Ma la tecnica non è la Conoscenza Oggettiva. La scelta delle premesse è sempre discrezionale!
      Ad esempio, prendiamo Padoan. Il "dolore" ha funzionato? Certo che sì. Esso ha consolidato il potere della classe dominante sulla società (e sopratutto sui luoghi di lavoro); ha rafforzato la posizione del ceto politico italiano in sede europea; ha rafforzato l'export delle imprese (basta vedere gli ultimi dati). Come si vede, dipende tutto dal punto di vista che si adotta.
      I blog che lei indica sono spesso efficaci quando evidenziano le aporie metodologiche degli economisti mainstream (in realtà di una minoranza degli stessi). Ma quando pretendono di contrapporre agli interessi di chi sostiene l'euro un inesistente interesse nazionale, quasi a fare da consiglieri del Principe, rivelano soltanto quanto estesa e ramificata sia l'ideologia delle classi dominanti.

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    4. PER I LETTORI

      Lorenzo Del Savio, con cui mi sono appena intrattenuto, è uno studioso di filosofia, ed è coautore di un interessante saggio sull'importanza del pensiero di Machiavelli nella nostra tradizione democratica:

      http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/13/il-populismo-e-democratico-machiavelli-e-gli-appetiti-delle-elite/

      Saggio che ha, tra le altre cose, il merito di gettare una luce su quel che Machiavelli è effettivamente stato: un'attivista democratico, sia pur ante litteram, e non un cinico tempratore di scettri.

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    5. E sentiamo... il relativismo concettuale vale anche per la vs. religione umanista, la sua teodicea olocaustica o la mitologia resistenziale? Oppure quelle sono "scelte oggettivamente giuste", da tutelare dal libero confronto degli spiriti tramite la censura sul blog e il reato d'opinione?

      E' un discorso che travalica le divisioni ideologiche contingenti. Siccome è impensabile l'esistenza di qualsiasi tipo di convivenza organizzata senza introiezione di pregiudizi aggregativi, ciascuno tende a utilizzare il relativismo come grimaldello contro le idee ostili alle proprie, per tornare a adottare un principio d'intolleranza sistematica non appena si avvede che gl'identici procedimenti possono essere impugnati per destabilizzare gli ideologemi di casa propria.

      In ambito pratico (politico, morale e giuridico) gli assoluti cacciati dalla porta principale vengono prontamente e senza eccezioni fatti rientrare dalla finestra. Il ricircolo sofistico di Martini è un caso particolare di una tipologia universale.

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    6. Sono d'accordo con Claudio che natura, dio, ragione, bene e interesse nazionale sono stati a volte usati per perseguire gli interessi dei ricchi e dei potenti, sono pure d'accordo con Lorenzo quando dice che il relativismo può talvolta essere usato in modo parziale. Però non penso che il “cognitivismo etico” sia per sua natura dogmatico e intollerante né penso che il suo contrario, la posizione difesa da Claudio, sia per forza di cose incoerente (come sembra dire Lorenzo).

      Per il primo punto: si può simultaneamente ritenere che (i) esiste una base oggettiva dei giudizi morali e che (ii) nessuno può ritenersi con certezza il detentore di verità, morali o di altro tipo. Il caso politico è ancora più complicato, perché se anche ci fosse ragione di ritenere contro (ii) che qualcuno è in effetti un esperto morale (=un detentore di verità morali), non per questo seguirebbe che gli si dovrebbe affidare il potere, questo perché la teoria su chi debba governare non per forza assegna il potere a chi conosce. Dunque cognitivismo etico e apologia dei tecnici hanno poco a che fare l'uno con l'altra.

      Per il secondo punto: io non ho la più pallida idea di quale sia la teoria meta-etica corretta e Claudio potrebbe infine avere ragione: a me non sembra proprio che faccia rientrare 'gli assoluti dalla finestra'! Io preferisco quell'oggettivismo fallibilista che sto cercando di difendere perché vicino al senso comune e...coerente con gli 'ideologemi' che preferisco, se per 'ideologemi' intendi, Lorenzo, le credenze politiche.

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    7. Bè... se il criterio di correttezza di una dottrina sono buon senso (common sense è la lingua del conquistatore) e coerenza rispetto alle proprie preferenze, esisteranno tante verità o correttezze quanti esseri umani ci sono al mondo. Ciascuno in paradiso a modo proprio - e in guerra contro i paradisi altrui.

      "la vita ha bisogno d’illusioni, cioè di falsità scambiate per verità. Ha bisogno della fede nella verità, ma gli basta l’illusione, il che significa che le verità si dimostrano tramite i loro effetti: tramite dimostrazioni di forza anziché dimostrazioni logiche. Vero ed efficace vengono confusi, anche qui ci si piega alla violenza. In che modo, allora, è venuta in essere l’esigenza di provare logicamente qualcosa? Nella battaglia fra verità diverse ciascuna cerca l’alleanza della riflessione. Ogni autentica ricerca del vero nasce dalla lotta in favore d’una sacra convinzione [...]: altrimenti l’essere umano non nutre alcun interesse per il fondamento logico".

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  2. Scusatemi se interrompo questo interessante scambio di considerazioni. Per tornare alla banalità. Quando si parla di scelte OGGETTIVAMENTE giuste, insorgo. Perchè si occulta il fatto che la nostra società è divisa in CLASSI e che le scelte OGGETTIVAMENTE giuste non esistono, se non per gli interessi di una classe. In questi giorni ho riletto un vecchio saggio di Paolo Sylos Labini, "Saggio sulle classi sociali". La composizione è ovviamente cambiata da allora (1974) ma le considerazioni sono tremendamente attuali. Si tratta di egemonia e, a determinarla, sono i ceti medi che oscillano tra l'alleanza tra "produttori" e sudditanza verso la classe dominante (favori e privilegi che la piccola borghesia riesce ad ottenere o a perdere). E' evidente che il processo che è accaduto negli ultimi trent'anni rappresenta la conquista dell'egemonia da parte della borghesia. Le politiche monetarie, l'unificazione in una moneta unica, la frammentazione del lavoro, la libertà di circolazione dei capitali, rappresentano OGGETTIVAMENTE scelte di classe. Queste politiche però, dopo l'innesco della crisi, stanno fortemente danneggiando anche il ceto medio. La scommessa è questa, trovare una saldatura tra gli interessi del piccolo contadino e l'operaio di fabbrica, tra il professore e l'operatore dei call center. Per fare politiche che vadano CONTRO gli interessi del grande capitale. Così la penso.

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