lunedì 14 aprile 2014

Il fallimento strategico dell'europeismo


Le classi dominanti europee impongono all'intera società del continente un obiettivo ambizioso: l'unificazione dell'Europa. Un'unificazione dapprima parziale, economica e giuridica, e in un secondo tempo completa, politica. In nome di questo obiettivo ogni operazione viene giustificata: in particolare il dissolvimento dei diritti dei lavoratori e la rappresentanza democratica dei cittadini tutti. Il fine europeo giustifica i mezzi, che potremmo definire genericamente neoliberisti. 

Da più parti viene l'invocazione degli Stati Uniti d'Europa, come forma ideale che dovrebbe assumere questa unificazione. In realtà, queste sono voci minoritarie: la maggior parte dell'establishment esclude che la forma degli Stati Uniti in senso stretto sia realizzabile. Tuttavia l'intero spettro dei dominanti è unanime nel definire necessaria una maggiore integrazione europea; in concreto, il conferimento di maggiori poteri alle istituzioni dell'Unione Europea.
Se volessimo prendere sul serio queste voci, dovremmo concludere che l'intento unificatorio è andato incontro ad un fallimento; anzi, che non ha speranze di successo. Le classi dominanti europee non sono in grado di unire l'Europa.

Che non vi siano riuscite è un dato innegabile. La crisi dell'euro ha determinato una polarizzazione senza precedenti tra le economie europee, e ha resuscitato rancori e antagonismi nazionali che sembravano ormai sepolti. Angela Merkel stravince le elezioni affermando che è giusto negare qualsiasi solidarietà agli altri popoli europei; nella gran parte degli stati dell'Unione hanno sempre maggior peso i movimenti che chiamano alla lotta contro lo strapotere tedesco. Sono tornati in auge, all'alba del XXI secolo, gli stereotipi razzisti del tedesco operoso e del mediterrano pigro e dissoluto. Ma la bancarotta dell'europeismo non si limita alla sfera politica: anche in quella economica possiamo registrare una decisa segmentazione dei mercati finanziari europei, una ri-nazionalizzazione dei debiti sovrani, e sopratutto una incredibile divaricazione nelle performance delle diverse imprese, a seconda che siano localizzate nell'uno o nell'altro stato europeo. 

Insomma, le classi dominanti hanno fallito nel loro intento dichiarato; nel contempo sono riuscite in quello che è “il loro mestiere”, e cioè l'asservimento dell'intera comunità alle ragioni del capitale. Tuttavia se lo scopo delle borghesie continentali era preservare le proprie rendite di posizione nello scenario internazionale, possiamo dire che il bilancio è disastroso. In termini di potenza geopolitica, gli stati europei sono asserviti al predominio politico e militare USA; soggetti al ricatto energetico russo: impotenti di fronte al successo economico cinese. Questi tre soggetti appena richiamati prendono tutte le decisioni che contano a livello globale, lasciando briciole agli europei. Insomma, l'Unione Europea è sì riuscita a consolidare il dominio capitalistico sul continente europeo, ma non ha certo favorito l'espansione di tale dominio fuori da quell'ambito. Merkel può tranquillamente schiacciare il popolo greco; ma non può assolutamente nulla contro Putin in Ucraina, non riesce ad arginare l'export cinese, ed è pur sempre Cancelliere di un paese occupato da truppe USA. 

Ci si può chiedere se il fallimento di cui sopra sia dovuto a degli errori, o ai limiti soggettivi dei leader europei. Personalmente credo invece che sia dovuto alla natura stessa del processo eurounitario, il quale a sua volta deriva dalle esigenze dello sviluppo del capitale europeo.

Il fulcro dell'Unione Europea è la promozione della concorrenza. Essa costituisce l'alfa e l'omega di ogni provvedimento europeo. D'altro canto non potrebbe che essere così: la concorrenza è il motore dello sviluppo capitalistico. Il tipo di concorrenza più importante, sia per il capitale che per l'Unione, è quella tra lavoratori. Potremmo quasi dire che se i lavoratori non fossero in costante competizione tra loro, non potrebbe esserci capitalismo. L'Unione europea porta alle estreme conseguenze la competizione tra i lavoratori dei diversi paesi (oltre che all'interno di ogni singolo stato, ovviamente). La svalutazione dei salari diventa la così prima arma di competizione delle singole borghesie nazionali.
Ora, un prerequisito perché tutto ciò abbia luogo è l'assenza di solidarietà tra le classi operaie dei diversi paesi. Se la classe operaia tedesca avesse sentito una qualche forma di solidarietà per i lavoratori degli altri paesi europei, non avrebbe (di fatto) accettato le riforme di Schroeder, approvate indicando la necessità di rendere più competitivo il capitale di quel paese. In generale, se i lavoratori europei fossero uniti non potrebbe riuscire il giochetto delle delocalizzazioni, impiegato dalle imprese come strumento strategico di sottomissione delle resistenze operaie. Moneta unica e mobilità dei capitali non potrebbero spuntarla contro un movimento operaio organizzato a livello internazionale. Del resto, spostandoci dalle cause alle conseguenze della crisi, se esistesse una solidarietà tra popoli europei questi ultimi non avrebbero mai accettato che si facesse quanto è stato fatto alla Grecia. Atene è sempre rimasta sola

Ecco spiegata la ragione strutturale per cui non è mai stata attuata, né a livello europeo né nelle singole nazionali, una vera e serie politica di avvicinamento tra i diversi popoli europei. Non si sono registrate autentiche politiche di scambi culturali e linguistici (se si esclude la farsa dell'Erasmus). Non si è mai spesa una parola per dire che dovrebbe essere ovvio, e cioè che dentro ad una Unione non si dovrebbe competere, ma aiutarsi reciprocamente. Non è stato fatto nulla, perchè le classi dominanti europee non avrebbero potuto permetterselo. Tutti i vantaggi che al capitale derivano dall'Unione Europea si fondano sul fatto che i popoli europei sono divisi; ecco perché è sempre stato insensato attendersi dalle classi dominanti un serio sforzo di unificazione di quei popoli. In luogo di questo sforzo, si è sempre propagandata una (malintesa) retorica della responsabilità: i greci stanno male perché è colpa loro, i bavaresi stanno bene per loro merito; la stessa logica che alimenta fenomeni come la Lega e i vari secessionismi. Una logica e una retorica funzionali ai disegni del capitale, e tuttavia in netta antitesi con la formazione di una coscienza sociale sovranazionale ed europea; coscienza che a sua volta, in assenza di un vero e proprio popolo europeo, è il requisito indispensabile per aversi interventi economici di livello propriamente sovranazionale, come gli eurobond. I dominanti europei vorrebbero davvero dare vita ad una entità imperialista europea, ma ciò è reso impossibile dalla loro stessa tendenza a frantumare e dividere l'unica possibile base sociale di tale entità, e cioè i cittadini (e contribuenti) europei. 

In sintesi, si può dire che la formazione consensuale di grandi entità sovranazionali si basa su principi di solidarietà e cooperazione; lo sviluppo del capitale, invece, si basa sulla competizione. L'unico modo nel quale potrebbe darsi realisticamente una unificazione europea nell'ambito del capitalismo è quella di una sottomissione del continente da parte di un unica potenza imperialista a base nazionale. Così sì che avremmo l'unione politica. Napoleone e Hitler ci hanno provato, ma senza particolare successo. (C.M.)

5 commenti:

  1. se ne conclude che, non potendo esistere un unico popolo europeo solidale, è meglio tornare ad una situazione in cui neanche il capitale sia libero di circolare liberamente, ovvero di unirsi a livello sovranazionale, e quindi occorre smantellare l'euro che è lo strumento della libera circolazione del capitale e ripristinare i controlli sui capitali.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questa è soltanto una delle conclusioni possibili. Un'altra conclusione, altrettanto lecita, è che il l'unione solidale tra popoli e classi non è realizzabile dalle classi dominanti, e come fenomeno entra in rotta di collisione con lo sviluppo del capitalismo; pertanto quell'unione è realizzabile soltanto da un movimento internazionale anti-capitalista.

      Elimina
  2. Alla luce dei fatti, mi verrebbe piuttosto da pensare che "il grande capitale europeo" (che poi solo "europeo" non è, esistendo quella grande incompiuta che si chiama globalizzazione dei capitali) non abbia alcun interesse ad una completa Unione (né politica, né fiscale, né giuridica), tranne forse nel caso di un blocco Uem plasmato sulle sembianze delle istituzioni tedesche (l'anschluss e le famose "due velocità" spesso citate dal ministro Schauble).

    Esso vuole un parco giochi, un menù da cui cogliere fior da fiore che difficilmente otterrebbe nel caso in cui venissero uniformati standard nazionali tanto diversi, stante la lunga e inevitabile concertazione con le "parti sociali" che il processo richiederebbe (peraltro, in una Unione a 28, che fine farebbe il gioco della contrapposizione tra lavoratori e il conseguente ricatto della miseria?). Perché altrimenti non realizzare una reale armonizzazione fiscale già nella seconda metà degli anni '90, quando il cucuzzaro eurista e i suoi sponsor avevano il vento in poppa? Non si è voluto, ma si sarebbe potuto.

    Allo stesso modo gli USE (o il superstato Europa, come nei desiderata dei consiglieri della CDU tedesca e, in maniera diversa, dei tecnoburocrati della Commissione Europea incaricati di redigere il progetto di Unione approfondita), nella loro accezione imperialistica, sono ambiti soltanto da alcune potenti élite transnazionali e dai loro influenti pensatoi; e neppure loro univocamente concordi se perseguire una "via a Oriente" indipendente da USA e UK (ordoliberista, neomercantile e dunque guerrafondaia), o tradizionalmente transatlantica (neoliberista e dunque guerrafondaia) in contrapposizione al blocco Russia-Cina (che tale ancora non è).

    Chi resta? Gli euromantici, i paternalisti a cui tocca confrontarsi con il loro materiale da ricerca sociale solo se filtrato dai media o da qualche rapporto dell'OMS, i più intransigenti federalisti del nulla, portatori di sogni incomprensibili alla plebe "nazionalpopulistaenaturalmenteunpofascista" a cui spetta pagarne il prezzo. Sono loro a volere a tutti i costi l'unione politica (lascerei decidere a chi lo ritenga interessante se per un malinteso afflato ideale o per mero interesse personale). A furia di chiedere "responsabilità" alla Germania, potremmo avere una bella annessione che chiamerebbero Unione.

    Senza dimenticare quella congrega di fanatici liberoscambisti e "progressisti di sinistra" che qualcuno convenzionalmente chiama ancora social-liberisti. Una sinistra "responsabile e di governo", naturalmente eurista, che deve scomparire elettoralmente in un prefisso telefonico per poter rinascere dalle sue ceneri - quella comunista ha già provveduto a suicidarsi riciclando negli slogan da corteo la sua ragion d'essere.

    Un tappo nel culo della Storia (sorry for my french).

    PS_Detto questo il (molto) futuribile progetto imperialista europeo, consapevole o meno, è destinato al fallimento, concordo. Non fosse altro per la sua insostenibilità macroeconomica. Il problema sarebbe "solo" la sua edificazione con il sangue delle vittime, indubbiamente meno colpevoli degli spietati architetti di tanta follia.

    RispondiElimina
  3. Aggiungo che qui si tenta un altro colpo, altro che Festung Europa: si tenta l'Ameropa, e stavolta potrebbe anche andargli dritta, agli ameropici.

    RispondiElimina