venerdì 13 giugno 2014

Su decrescita e marxismo

Pubblico di seguito un mio articolo apparso sull'ultimo numero della rivista "Alfabeta2".
(M.B.)


La decrescita è rivoluzionaria ma i marxisti non lo sanno
(Marino Badiale)


Vi è qualcosa di paradossale nel modo in cui il variegato mondo dell'estrema sinistra più o meno marxista ha finora discusso e criticato la proposta della decrescita. Vi è infatti un consenso abbastanza diffuso, fra i marxisti, su due questioni: in primo luogo lo sviluppo storico degli ultimi due secoli ha portato ad una situazione nella quale il rapporto sociale capitalistico non implica solamente, come in passato, sfruttamento e disumanità nei rapporti sociali, ma sta ormai minacciando la distruzione degli equilibri naturali e, quindi, delle stesse condizioni fisiche di una vita umana sensata, se non di una vita umana tout court. In secondo luogo, tale rapporto sociale, nella forma attuale, ha come elemento necessario la crescita della mercificazione di ogni ambito dell'esistenza, cioè la riduzione a merce di sempre maggiori settori dell'attività produttiva umana, e quindi la correlativa crescita del consumo di merci, perché beni e servizi prodotti sempre più nella forma di merci devono ovviamente trovare degli acquirenti.
Il pensiero della decrescita parte da una analisi che ha forti assonanze con quanto appena detto, e propone come risultato di tale analisi la riduzione della sfera dell'attività sociale organizzata secondo la logica del rapporto sociale capitalistico. Per capire questa proposta occorre naturalmente distinguere fra beni e merci: i beni (beni materiali o servizi) sono i prodotti del lavoro umano che soddisfano a qualche tipo di bisogno, le merci sono i beni prodotti per il mercato e dotati di un prezzo. La decrescita di cui si parla è quella delle merci, non dei beni. Ci si propone cioè di ridurre la sfera dell'attività umana che si esprime nella produzione di merci per il mercato. Le proposte sono di molti tipi diversi, perché è un'intera forma di organizzazione della produzione umana che deve essere ripensata. Si va quindi da forme di autoproduzione di beni e servizi, scambiati all'interno di reti non mercantili, alla ricerca di sviluppi tecnologici che permettano la produzione di merci più durature e meno inquinanti, al risparmio energetico, alla creazione di una vasta rete di servizi pubblici gratuiti sottratti al mercato, alla riduzione dell'orario di lavoro. E si potrebbe continuare.
La caratteristica più interessante del movimento per la decrescita è probabilmente lo sforzo di articolare queste idee in proposte concrete, che incidano sulla vita quotidiana e che possano essere praticate nel presente.

Vista con gli occhi di un marxista che abbia voglia di guardare la realtà, e che condivida i due punti fondamentali enunciati all'inizio, come appare la decrescita? Appare, o dovrebbe apparire, come un insieme di proposte che contrasta con le tendenze fondamentali del capitalismo contemporaneo, e quindi come un movimento che è oggettivamente anticapitalistico, indipendentemente dalla coscienza che possono averne i suoi sostenitori. Se questa  è la situazione, una intera tradizione di politica anticapitalistica è lì ad indicare quale sia il comportamento che un marxista dovrebbe tenere nei confronti del movimento della decrescita: appoggiare il movimento, entrare in esso, cercando di svilupparne le potenzialità anticapitalistiche e criticandone dall'interno gli aspetti di ambiguità e confusione che indubbiamente sono presenti.
Per capire il senso di quanto stiamo dicendo, facciamo un esempio. La nota giornalista Naomi Klein, in un articolo tradotto in italiano dalla rivista “Internazionale” (N.Klein, Solo una rivoluzione salverà il pianeta, Internazionale 29-11/5-12  2013), nota come il mondo degli studiosi del clima si stia spostando su posizioni politiche radicali. Di fronte alle sempre maggiori evidenze relative alla gravità dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane, un crescente numero di studiosi sta prendendo coscienza della necessità di un impegno politico diretto e su posizioni di critica radicale all'attuale organizzazione economica.
Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei marxisti di fronte a questo fenomeno? La risposta mi sembra del tutto ovvia: i marxisti dovrebbero favorire questo movimento, interagire con esso, cercando di contribuire alle elaborazioni teoriche degli esperti del clima con le robuste conoscenze sulla dinamica del capitalismo che un marxismo serio è in grado di fornire. Naturalmente i marxisti dovrebbero criticare le ingenuità e le confusioni politiche e teoriche di cui possono soffrire anche i climatologi, ma dovrebbero farlo con l'intento di aiutare il movimento a portare alla luce le proprie potenzialità anticapitalistiche. Sarebbe assurdo, e denoterebbe una notevole cecità politica, che i marxisti si mettessero a fare la lezione di marxismo ai climatologi, criticandoli perché non dichiarano subito che il loro obiettivo è l'abbattimento del capitalismo. Eppure, questo atteggiamento assurdo è esattamente quello che in genere hanno i marxisti nei confronti del movimento della decrescita. Esso viene rifiutato e attaccato con un insieme di critiche che certo possono cogliere alcuni aspetti di confusione che, come s'è detto, il movimento presenta. Il punto è che in queste critiche manca completamente lo sforzo di individuare quegli aspetti di “anticapitalismo concreto” che sono il tratto più caratteristico e interessante della decrescita. Se si leggono queste critiche marxiste alla decrescita, si scopre che uno degli argomenti fondamentali (e forse quello più specificamente “marxista”) consiste nel notare che la decrescita propone una serie di mutamenti che, anche se desiderabili, non appaiono possibili all'interno della società capitalistica. La risposta a questo tipo di obiezione è molto semplice, e consiste in una sola parola italiana di sette lettere: “appunto”. Appunto perché le proposte della decrescita sono sostanzialmente impossibili da realizzare all'interno della società capitalistica, appunto per questo la decrescita è un movimento oggettivamente rivoluzionario, e appunto per questo i marxisti dovrebbero avere nei suoi confronti un approccio di adesione critica come quello sopra delineato.
Questa adesione critica dovrebbe certamente aiutare il superamento di quegli aspetti del pensiero e del movimento della decrescita che possono essere criticati. Queste critiche dovrebbero però cercare di mettere bene a fuoco l'oggetto. Il punto, a mio avviso, è che la decrescita non è una nuova teoria generale della società. L'aspetto più interessante della decrescita non è il fatto che essa proponga nuove e fondamentali intelaiature concettuali. Da questo punto di vista la decrescita non fa che raccogliere e mettere assieme una serie di elaborazioni teoriche sviluppate in vari contesti, dal pensiero ecologico a quello di Georgescu-Roegen, dal marxismo alla critica allo sviluppo. Più che una nuova teoria generale, la decrescita è a mio avviso una “teoria della fase storica attuale”, cioè una proposta teorica che, mettendo assieme contributi diversi, cerca di fornire un orientamento teorico nella fase storica attuale, e cerca di tradurre tale orientamento in proposte pratiche. Le critiche dei marxisti (e degli altri) rivolte alla decrescita dovrebbero quindi riguardare soprattutto questo aspetto, il suo essere oppure no una teoria adeguata alla fase storica attuale.
Ma, come si è detto, i marxisti in genere non hanno un tale atteggiamento di critica simpatetica nei confronti della decrescita. Restano da capire i motivi profondi di questa insofferenza. Non voglio lanciarmi in ipotesi ardite, e mi limito a rilevare alcuni fatti che mi sembrano evidenti: il mondo dell'estrema sinistra marxista appare del tutto incapace di fare politica, cioè di cogliere le potenzialità di lotta anticapitalistica, poche o tante che siano, presenti nel mondo reale, e di confrontarsi con esse, cercando di renderle attuali. Ciò che interessa a questo mondo non sembra sia il cercare di capire quale possa essere un anticapitalismo reale e concreto, ma sembra sia piuttosto la volontà di non essere svegliati dal proprio sogno di un anticapitalismo immaginario, fornito di tutte le caratteristiche previste dalla dottrina. In sostanza siamo di fronte a un mondo al quale interessa molto di più la propria autoriproduzione identitaria rispetto alla realizzazione degli ideali che vengono sbandierati.



7 commenti:

  1. Proviamo ad essere schematici.
    1) Il capitalismo, proprio nella sua definizione, nei suoi meccanismi, funziona solo ed esclusivamente con la crescita. Cioè, la sottrazione di valore dal lavoro, l’estrazione del plus-valore cioè, non può che trasformarsi in un allargamento della base produttiva. I profitti non sono altro che questo.
    2) La nostra società non è libera. Ha messo il totem del capitale e della crescita al centro del villaggio. Il capitalismo è un gigantesco “vincolo esterno”. Se non vendo il mio lavoro non mangio, se non estraggo plus-valore non investo, se non investo abbiamo crisi, se investo cresciamo. Sembra che l’umanità si sia creata questo modo religioso di concepire i rapporti sociali in modo di non essere posta davanti al dilemma, se crescere o non crescere. La vicenda dell’Ilva è emblematica, per vivere devo lavorare, per vivere devo chiuderla.
    3) Solo una società libera dal capitalismo può decidere se crescere o decrescere, secondo i propri bisogni.
    4) La produzione di merci, in senso stretto, non è necessariamente consumo di risorse naturali. E’ nota la frase di Marx secondo cui anche la prostituta potrebbe fare un lavoro produttivo qualora garantisse plus-valore al suo protettore.
    5) Parlare di decrescita in un mondo in cui il capitalismo è diventato la religione globale è un ossimoro.
    6) Secondo la concezione dialettica della storia, è il sistema stesso che produce le condizioni per la sua distruzione. Secondo questa concezione, erano i lavoratori la classe che avrebbe dovuto sconvolgere questi rapporti sociali. Oggi i lavoratori sono molto deboli, ma non credo che il soggetto sociale di riferimento possano essere i climatologi. C’è cioè il rischio di “idealismo” in questo modo di vedere le cose. Chi sarebbero quelli che si oppongono, gli scienziati, gli ambientalisti?

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  2. non mi intendo di decrescita, ma in questo brano ci sono alcune assolute perle di analisi teorica

    "Sarebbe assurdo, e denoterebbe una notevole cecità politica, che i marxisti si mettessero a fare la lezione di marxismo ai climatologi, criticandoli perché non dichiarano subito che il loro obiettivo è l'abbattimento del capitalismo". Perfetto! Pensate un po', in quanti altri casi potremmo dirlo?

    "l'anticapitalismo immaginario" dotato in purezza di tutte le caratteristiche della dottrina, oppure "la propria autoriproduzione identitaria rispetto alla realizzazione degli ideali": sintesi perfette, sono degne di un manifesto teorico

    concordo pienamente
    saluti
    urs

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  3. La decrescita è un'utopia che si basa su un'idea di società pre-industriale di piccole comunità produttive sostanzialmente indipendenti l'una dall'altra. Questa è una concezione di società pre-moderna. Non vedo dove possa portare, visto che il problema della fase attuale è, semmai, impiegare le energie produttive ora inutilizzate.
    La teoria della decrescita sostiene che non è possibile una "crescita sostenibile", cosa falsa sia dal punto di vista politico-economico (per un marxista che crede in una organizzazione socialistica dello stato deve essere possibile) sia dal punto di vista ambientale (la tecnologia potrebbe ridurre fin quasi annullare l'impatto ambientale della produzione in una economia sottratta alla logica del profitto, cioè in un'economia pianificata). In altre parole, i "decrescisti" credono nell'avvento di una società pre-industriale ma senza mediazioni (come può essere per i marxisti la mediazione dello stato socialista nel passaggio dal capitalismo al comunismo). Non si sa come e non si sa perché, a un certo punto dovrebbe calare dal cielo questa società della decrescita. Tra l'altro, mi pare, che non abbiano una teoria dello stato (lo stato deve estinguersi? Oppure deve continuare a esistere? E in quale forme? E quale deve essere il suo ruolo?) Né hanno compreso il capitalismo contemporaneo: ad esempio Latouche ha detto che l'euro favorirebbe un aumento dei consumi, quanto è vero esattamente il contrario.
    Il punto essenziale è che I marxisti incentrano le loro teorie sul dualismo capitale/lavoro. I "decrescisti" invece su quello crescita/decrescita produttiva. Una scomparsa di questo tipo di modello porterebbe automaticamente a una società migliore. Invece un marxista sa, o dovrebbe sapere, che possono esistere società non incentrate su quest'ultimo dualismo, eppure ugualmente oppressive.
    Del resto, a smentire queste teorie, ci sta pensando questa crisi. Nell'eurozona stiamo assistendo a una situazione di recessione. Evidentemente questa fa comodo all'élite capitalistiche che si pongono ben poco il problema dell'aumento del Pil (che comunque non è l'unico parametro con cui misurare la crescita). Esse sono le prime a sostenere una teoria della decrescita.

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    1. Quella della tecnologia che potrebbe ridurre fino ad annullare l'impatto ambientale e' una favola del nostro tempo. Una comoda illusione per poter continuare il proprio "business as usual" senza cambiare nulla nella propria vita. In questa tranquilla attesa, la responsabilita' cade su altri che tanto dovrebbero realizzare queste tecnologie e che decidono di non farlo.

      In realta', qualunque tecnologia ha bisogno oggi di materie prime e di energia, la quale e' prevalentemente prodotta da combustibili fossili. Oggi non esiste tecnologia in grado di liberarci dell'uso del petrolio: anche per fare pannelli solari o turbine eoliche - dalla vita limitata -, le rinnovabili richiedono la costosa (almeno dal punto di vista energetico) estrazione, lavorazione e il trasporto di minerali finiti.

      Questo significa che il mondo tecnologico e' per pochi e all'aumentare dei costi di estrazione lo sara' per ancora meno numerosi fortunati. Non e' solo perche' c'e' chi ci guadagna dal petrolio, ma anche perche' non sappiamo piu' come fare senza (quanti saprebbero sopravvivere se i supermercati non venissero piu' riforniti?). La decrescita propone di riorganizzarsi per garantire un benessere generale, a partire dalle necessita' primarie.

      In conclusione, le nuove tecnologie al piu' possono ritardare l'arrivo delle crisi, ma la nostra societa' ha bisogno di cambiamenti profondi, a partire dai singoli fino alle strutture sociali piu' complesse. Non esiste crescita sostenibile senza energia abbondante ed economica e questa comincia a non essere a disposizione di tutti.

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    2. "Quella della tecnologia che potrebbe ridurre fino ad annullare l'impatto ambientale e' una favola del nostro tempo. Una comoda illusione per poter continuare il proprio "business as usual" senza cambiare nulla nella propria vita. In questa tranquilla attesa, la responsabilita' cade su altri che tanto dovrebbero realizzare queste tecnologie e che decidono di non farlo."

      Esattamente il contrario: l'innovazione tecnologica richiederebbe ingenti investimenti e questo potrebbe essere possibile solo al di fuori della logica del profitto e quindi in un'economia pianificata.

      "In realta', qualunque tecnologia ha bisogno oggi di materie prime e di energia, la quale e' prevalentemente prodotta da combustibili fossili. Oggi non esiste tecnologia in grado di liberarci dell'uso del petrolio: anche per fare pannelli solari o turbine eoliche - dalla vita limitata -, le rinnovabili richiedono la costosa (almeno dal punto di vista energetico) estrazione, lavorazione e il trasporto di minerali finiti."

      Questo in un contesto energetico arretrato con un uso minimo di fonti rinnovabili. Al contrario investire in modo massiccio nella ricerca e lo sviluppo di energie rinnovabili, unitamente alle tecnologie per il risparmio energetico, renderebbe possibile superare la produzione energetica basata sui combustibili inquinanti.

      "Questo significa che il mondo tecnologico e' per pochi e all'aumentare dei costi di estrazione lo sara' per ancora meno numerosi fortunati. Non e' solo perche' c'e' chi ci guadagna dal petrolio, ma anche perche' non sappiamo piu' come fare senza (quanti saprebbero sopravvivere se i supermercati non venissero piu' riforniti?). La decrescita propone di riorganizzarsi per garantire un benessere generale, a partire dalle necessita' primarie"

      Ideologia anti-industrialista, secondo cui lo sviluppo industriale è sempre e comunque insostenibile. Questa ideologia vuole nascondere il fatto che lo sfruttamento dell'uomo e dell'ambiente derivino da determinati rapporti di produzione: negando la natura SOCIALE dello sfruttamento si nega implicitamente la necessità di mutare i rapporti di produzione.

      "In conclusione, le nuove tecnologie al piu' possono ritardare l'arrivo delle crisi, ma la nostra societa' ha bisogno di cambiamenti profondi, a partire dai singoli fino alle strutture sociali piu' complesse. Non esiste crescita sostenibile senza energia abbondante ed economica e questa comincia a non essere a disposizione di tutti."

      "Energia abbondante e a disposizione di tutti" è possibile solo in uno sviluppo economico che superi il modello capitalistico. Né capitalismo senza regole né utopia agraria, ma industria socialista.

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  4. Probabilmente si perde di vista un passo fondamentale: I diritti e la sopravvivenza di quelle parti di umanità che sfuggono al ciclo naturale della natura (sarebbe bastato il "ciclo naturale", ma l'interpretazione è essa stessa figlia del capitalismo e delle sua dinamiche) sono figli del capitalismo.

    Nel momento in cui ci sarà una società non capitalistica che sosterrà una buona sopravvivenza anche a coloro che esulano dall'aiuto della propria "famiglia", allora potremo analizzare, comprendere e istituire un sistema sociale alternativo.

    p.s. Basta studiare un po di geologia per capire che i tre cicli fondamentali della terra nel sistema solare, abbiano avuto, abbiano ed avranno un'influenza molto più significativa di ogni intervento umano finora compiuto o immaginabile.

    p.p.s. cio non toglie che la decrescita sia un'ottima intenzione perseguibile e immaginabile.

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  5. Qui, posso solo riassumere brevemente concetti già espressi in altre occasione, alcuni anche su questo blog.
    Il marxismo non costituisce più il pensiero politico principale anticapitalista.
    Esistono una serie di ragioni che qui posso solo elencare schematicamente che mi portano a questa conclusione.
    La prima è il fallimento storico dei sistemi che ad esso si sono ispirati.
    La seconda, la più importante, è costituita da una serie di considerazioni sul piano teorico che ne mettono in crisi almeno alcuni dei suoi fondamenti.
    La terza è l'evidente declino nel fascino che esso esercita sui contemporanei. Le adesioni nelle generazioni più giovani ci sono senz'altro, ma in numero sempre più sparuto, ma anche tanti che hanno militato nei movimenti marxisti, oggi abbandonano questa militanza.
    In sostanza, non esiste più da svariati decenni uno stato di riferimento, dal punto di vista teorico è totalmente venuto meno l'autorità di un pensiero che per alcuni era addirittura assimilabile all'evidenza delle scienze sperimentali, ed infine anche come parola d'ordine, il marxismo fallisce. Così, io credo che nella situazione tipica di tanti di noi che apprezzano ancora taluni aspetti del marxismo, ma ne respingono lo schema fondamentale, sia preferibile liberarsi di questa etichetta invece di proteggerlo al di là di ogni evidenza pensando che esso abbia ancora una sua capacità aggregante e mobilitante. Io penso al contrario che esso costituisca oggi più un ostacolo, un ingombro che rischia di rendere più complicato l'avanzare di un nuovo tipo di opposizione totale al capitalismo, così da costituirne oggettivamente un inconsapevole alleato.

    Sono convinto che le tematiche ambientali debbano costituire il nucleo fondamentale di un pensiero politico di opposizione, ma stenta a divenirlo perchè i pensatori ambientalisti non sono finora stati in grado di definire una sua teoria con basi filosofiche, una vera teoria indipendente che non vada a raccattare in giro pezzi di teorie già esistenti, ad esempio dal marxismo, ma in forma più grave dallo stesso liberalismo che oggi costituisce senza dubbio alcuno il nemico principale. E' curioso constatare come i movimenti verdi che hanno avuto un qualche consenso in Europa si definiscano libertari, senza apparentemente capire le contraddizioni fondamentali in cui si vanno a collocare.
    Ebbene, trovo assolutamente sbagliata la scelta di usare il termine decrescita per identificare il pensiero ambientalista. Senza potere approfondire qui neanche quest'ultimo argomento, mi limito a sottolineare come lo stesso uso di questa parola d'ordine denunci una fondamentale subalternità del pensiero ambientalista al pensiero liberale. Il punto non sta nell'indicare il segno dell'andamento del PIL, ma nel prescindere da esso. Il salto richiesto è quello di ridimensionare il ruolo dell'economia, del liberare la politica dai condizionamenti mortali da parte dell'economia, e predicare la decrescita, indipendentemente da come poi si voglia praticare in caso di successo, è sbagliato perchè continua a considerare il PIL come riferimento di una nuova società presentata come desiderabile. Non si capisce come rimanendo prigionieri dei criteri economici, si possa credere che la scelta ambientalista possa presentarsi come una svolta rivoluzionaria, e non come una specie di punizione per avere peccato in passato per eccesso di consumismo.

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