domenica 2 novembre 2014

Il Fatto non lo ha fatto


Nell'inserto economico del "Fatto quotidiano" di mercoledì 22 ottobre è comparso un articolo di Marco Bertorello, critico nei confronti delle prese di posizione anti-euro di Grillo. Ci è sembrato valesse la pena discuterne, così Tringali ed io abbiamo scritto un breve intervento di risposta  e l'abbiamo mandato al "Fatto" con preghiera di pubblicazione. Ma il Fatto non lo ha fatto (o almeno, se lo ha fatto, non ce lo ha detto), quindi lo pubblichiamo qui.
(M.B.)





Nel criticare la presa di posizione di Grillo contro l'euro (“Caro Grillo, più che l'euro attacca i trattati”, Il Fatto quotidiano del 22-10), Marco Bertorello afferma che l'euro si è rivelato una moneta che regge la crescita ma non la crisi, che la rincorsa all'abbassamento del costo del lavoro e la finanziarizzazione dell'economia sono fenomeni globali, non limitati all'eurozona, e che occorre attaccare il quadro di regole che li determinano, a partire dalla denuncia dei trattati UE.
Si tratta di posizioni condivisibili. Tuttavia quando esse vengono unite ad un atteggiamento di sufficienza, per non dire di fastidio, verso chi lancia concrete battaglie contro la moneta unica, finiscono per ottenere un unico scopo, quello di mantenere chi le assume in un comodo quanto inutile cantuccio, ben distante da qualunque forma di azione politica concreta che possa mettere i bastoni fra le ruote ai decisori nostrani ed europei, che ci stanno portando verso la catastrofe (e che non a caso, all'euro tengono molto).
Infatti, come è ovvio che “no” è la risposta alla domanda cruciale che pone Bertorello: “siamo sicuri che sia praticabile il recupero della sovranità monetaria e dello Stato se non cambiano i meccanismi di fondo dell'economia?”, è altrettanto lampante che la stessa risposta va data alla domanda: “è possibile un cambiamento radicale dell'economia rimanendo nell'euro?”.
Dunque, il punto non è discutere se l'euro sia o meno “il problema centrale”, bensì prendere atto che, in ogni caso, l'uscita dall'euro è condizione necessaria, seppur non sufficiente, per impostare politiche in difesa dei ceti subalterni e di fuoriuscita da un capitalismo sempre più vorace e distruttivo.
Mentre si stenta a capire chi e come potrebbe, concretamente, oggi, costruire “alleanze internazionali tra paesi periferici e tra segmenti di società per sottrarsi alle regole dell'Unione europea”, si comprende perfettamente che la battaglia per l'uscita dall'euro è realizzabile, anzi è già iniziata, e il M5S ha il pregio di aver definito il quadro giuridico in cui praticarla, nel rispetto della Costituzione. Vincerla significherebbe abbattere uno dei pilastri dell'impalcatura liberista europea che sorregge il mercato unico (presto allargato anche agli USA tramite il trattato “TTIP”).
A noi piacerebbe che la stessa battaglia venisse combattuta direttamente contro la UE, ma non si può non riconoscere che oggi l'euro rappresenta il grimaldello politico sul quale costruire un movimento di pensiero e di azione che metta in discussione lo stato esistente delle cose.
Chiunque voglia fare politica e incidere davvero sulla realtà, deve porsi il problema di capire, in ogni determinata situazione storica, quali sono i temi sui quali è possibile agire concretamente, e con qualche speranza di successo. L'euro è uno di questi.
(Marino Badiale, Fabrizio Tringali)




12 commenti:

  1. Avete ragione, ma forse il problema è: quanto ci si può fidare del M5S? Io sto contando i post contro l'euro, vedo che aumentano e mi rinfranco. Penso, però, che continuerò a contare ancora per un po', prima di ricontattare i miei ex sodali del MoV. :-)

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  2. Ci sono parecchie cose da dire ma proverò ad essere sintetico.
    1) “la rincorsa all'abbassamento del costo del lavoro e la finanziarizzazione dell'economia sono fenomeni globali, non limitati all'eurozona, e che occorre attaccare il quadro di regole che li determinano, a partire dalla denuncia dei trattati UE.”
    Non mi pare questione da poco. Credo che occorra fare un’analisi più approfondita. Non ho ancora letto Piketty ma svariati articoli sul suo libro e penso di aver compreso il senso. Gattei rielabora quell’analisi in funzione della caduta del saggio di profitto. Come è noto, se c’è troppo capitale, lo sfruttamento deve crescere proporzionalmente per assicurare lo stesso saggio. Non voglio dire che siano parole conclusive ma, sicuramente, da tenere in conto.
    2) “…l'uscita dall'euro è condizione necessaria, seppur non sufficiente, per impostare politiche in difesa dei ceti subalterni e di fuoriuscita da un capitalismo sempre più vorace e distruttivo.”
    Se è vero che siamo in presenza di una crisi globale del capitalismo, non è affatto detto che il recupero della facoltà di gestire una propria moneta abbia effetti positivi per i lavoratori. “Condizione non sufficiente”. Bisogna indagare un po’ di più. Se servisse solo a svalutare la lira per permettere più esportazioni senza svalutare il lavoro, potrebbe non bastare. Sempre meglio svalutare la moneta che svalutare il lavoro, d’accordo. Ma non è affatto detto che l’austerità (cioè la mancanza di investimenti) non smetta. È quello che è accaduto in Italia negli anni ’70 del resto. E, come avvenne in quegli anni, dopo la fine di Bretton Woods, non è da escludere che si verifichi un aggancio al dollaro.
    3) Cosa voglio dire? Voglio dire che l’aggregazione generica che si sta configurando in Italia nella battaglia contro l’euro rischia di essere troppo generica. Rischia di caricarsi di aspettative che non si verificheranno. La piccola e media azienda del nord-est ha bisogno di svalutare, moneta o lavoro, l’importante è tornare ad essere competitiva. Non credo però che abbia nessuna voglia di investire in innovazione per far crescere la competitività da quel lato. Occorre pertanto definire un programma completo e vedere chi si aggrega. Avere come compagni di viaggio Salvini e la Meloni francamente non mi soddisfa. Cosa ne penserebbero ad esempio di un piano di investimenti pubblici poderosi, dello Stato “occupatore di ultima istanza”?

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    1. Ammesso e non concesso che il problema sia di carattere globale, è giusto sacrificare un intero popolo sull'altare della competitività economica? E' giusto essere condannati senza speranza se non siamo abbastanza bravi a fare investimenti o ridurre la burocrazia e la corruzione? Limitare la discussione agli aspetti tecnici è riduttivo. Uno stato senza sovranità monetaria è uno stato ricattabile e subordinato a poteri finanziari privati. L'euro è lo strumento di realizzazione di un disegno preordinato di superamento degli stati nazionali a favore di un potere di carattere privatistico ed elitario che agisce "al riparo dal processo democratico" (Mario Monti 1998). Uscirne è quindi giusto non tanto per le considerazioni di ordine economico (che pure sono importanti), quanto per restituire allo Stato le sue prerogative di autorità a presidio dei diritti costituzionali. Una volta recuperata la piena sovranità monetaria (e quindi politica) saremo liberi di farci del male come vogliamo, ma l'avremo deciso noi come popolo, non ci sarà stato imposto da un vincolo esterno.

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    2. Questa risposta mi convince di non essere stato molto efficace. Forse, lo spirito che si coglie da quello che ho scritto è che ritengo avventuristica l'uscita dell'Italia dall'euro.
      In realtà non è così, io non l'ho detto.
      Quello che suggerisco è di andare in profondità, non raccogliere alleati solo perché sono contro la moneta unica. Mi riferisco all'espressione "condizione necessaria ma non sufficiente". Uscire dall'euro solo per svalutare non mi sembra per niente sufficiente, appunto. Occorre definire una prospettiva più ampia e vedere chi ci sta. Perché, non facciamo finta di dimenticarcelo, siamo dentro rapporti capitalistici, non c'è "volemose bene" e poi si vede.
      Se di sovranità si tratta, allora esercitiamola fino in fondo. Se si parla di investimenti pubblici, mi spiacerebbe trovarmi con i liberisti di turno, dopo l'uscita dall'euro, che pensano solo ai profitti della fabbrichetta. E se parlo di stato come "occupatore" di ultima istanza significa avviare un New Deal. Credo che i compagni di avventura ce li dobbiamo scegliere con criterio.

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  3. "si comprende perfettamente che la battaglia per l'uscita dall'euro è realizzabile, anzi è già iniziata, e il M5S ha il pregio di aver definito il quadro giuridico in cui praticarla, nel rispetto della Costituzione."
    Quale quadro giuridico?Quello di un referendum incostituzionale?
    Da questa situazione non ci tirerà fuori una cosa del genere, non vedo molta differenza tra la frase "facciamo un referendum sull' Euro" e "costruire alleanze internazionali tra paesi periferici e tra segmenti di società per sottrarsi alle regole dell'Unione europea”.

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    1. Per quanto riguarda la questione del quadro giuridico, la risposta è abbastanza semplice: il M5S raccoglie le firme per una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, facendo riferimento ad un preciso precedente (referendum consultivo del 18 giugno 1989). Una legge costituzionale può permettere di istituire un referendum consultivo sull'euro. Poco cambierebbe anche nel caso in cui la via della legge di iniziativa popolare non dovesse risultare legalmente praticabile. Resterebbe una campagna politica di massa, e la legge costituzionale potrebbe essere presentata dai parlamentari M5S, comunque suffragata dalle firme raccolte.
      Quindi, come vede, la campagna lanciata dal M5S è qualcosa di praticabile e concreto. E capace di coinvolgere direttamente i cittadini. Ecco perché si tratta di qualcosa di completamente diverso dal "costruire alleanze internazionali tra paesi periferici e tra segmenti di società per sottrarsi alle regole dell'Unione europea”

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    2. A me non sembra la scelta migliore.
      Se uscire dall' euro è la prima priorità perchè si sceglie lo strumento del referendum, già complesso di suo per fare una proposta di legge, e per di più farlo per un argomento - un trattato internazionale - sul quale si può porre dubbi sulla legalità della faccenda?
      Perchè non far presentare subito la proposta di legge costituzionale ai parlamentari m5s invece di fare un referendum che se và bene si farà tra due anni, magari quando l' euro sarà già crollato?
      Il problema è coinvolgere i cittadini?Non credo, perchè allora non sono stati coinvolti con un referendum anche per cose meno importanti(all' apparenza ovviamente) come la TAV?
      Se Grillo vuole coinvolgere i cittadini e informarli può già farlo, dato che dispone di una potenza di fuoco mediatica non indifferente, anche senza referendum.

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    3. sull'opportunità del referendum si può discutere, ma credo sia la prima volta nella storia della galassia che un movimento propone un referendum su cui non è in grado di dire come la pensa, almeno finché l'irato profeta barbuto non si sveglia una mattina e di punto in bianco decide che è ora di decidere. In ogni caso per quanto mi riguarda sono terrorizzato all'idea che l'irato profeta diventi il campione del fronte no euro. Secondo me è meglio se resta a fare battaglie sugli scontrini, perché se si mette a sbraitare cazzate a vanvera su temi così importanti rischia di fare più danno che altro.

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  4. Ottimo articolo e pessimi commenti. Quando si ha un nemico si cerca di fargli più male possibile. Ciò significa aggredirlo dal suo lato più vulnerabile e questo oggi si chiama euro. La sua disgregazione spezzerebbe la macrostabilità del regime plutocratico e moltiplicherebbe i motivi di dissidio fra le classi dirigenti dei diversi Paesi europei (dissidi che poi si specchiano sui media di regime e vengono imboccati alle masse).

    Le fini discettazioni su metodi, implicazioni e conseguenze dell’uscita da questo e quell’altro sono frutto di gente che non vuol fare la guerra. Vorrebbero il tracollo di un sistema esteso su scala mondiale senza catastrofi e senza storpiare le proprie vite e quelle dei loro figli. L’uscita dell’euro disastrerebbe ulteriormente la situazione del Paese? Benissimo, dolore e disperazione sono la migliore, anzi l’unica scuola di politica per le folle. Secondo voi Lenin e Hitler avrebbero fatto la rivoluzione senza la guerra mondiale e la crisi del ‘29?

    Per quanto riguarda il M5S mi sembra sia un’impresa mediatica quanto Renzi e Berlusconi, cioè l’unica forma di politica in grado di raccoglier voti in mezzo alla feccia teledipendente dell’elettorato odierno. Il referendum sull’euro è un sasso nello stagno per cavalcare il malcontento ed inseguire Lega e Front national, rimandando tutto a data da destinarsi e senza assumersi impegni vincolanti. Intanto però il tema acquista risonanza e la svolta ‘nazionale’ della lega sembra adombrare la formazione di un grande partito di estrema destra anche in Italia, che svolga il tema con maggior determinazione e collegandolo colla crescente insofferenza popolare verso l’invasione extracomunitaria.

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  5. Caro Lorenzo, Lenin fece un partito rivoluzionario, se non sbaglio. Le alleanze tattiche le fece, ovviamente, ma alla luce di una strategia precisa. Che non era "alleiamoci per abbattere lo Zar e poi si vede..."

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  6. @ Francesco: davvero? Secondo te quale fu lo spirito dell'alleanza fra Lenin e i tedeschi che lo trasportarono in Russia sul treno blindato? O lo spirito del suo successore Stalin quando si alleò con Hitler contro le plutocrazie occidentali e subito dopo colle medesime contro Hitler? O della Cina maoista quando si alleò cogli Stati Uniti in funzione antisocietica?

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