martedì 9 dicembre 2014

La demagogia penale e la lezione di Beccaria

Vi proponiamo adesso un esempio di demagogia populista.
Si tratta di un (progettato) intervento legislativo in materia penale; si qualifica come demagogico essenzialmente perché, invece di tendere alla risoluzione dei problemi per i quali è stato concepito, introduce regole inutili, fuorvianti e ingiustificate: tutto ciò al solo fine di fare scena, non di governare razionalmente la società.
Renzi ha promesso di inasprire le pene per la corruzione, intervenendo anche in materia di prescrizione. Torneremo su questo secondo aspetto in un'altra occasione.

 L'inasprimento delle pene per la corruzione
Attualmente le pene per la corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (corruzione propria) vanno da 4 a 8 anni (art. 319 c.p.), mentre quelle per la corruzione per un atto dell'ufficio (corruzione impropria) corrono tra 1 e 5 anni (art. 318). Lasciamo ora da parte la fattispecie più grave di corruzione, quella in atti giudiziari (art. 319-ter).
L'annunciato intervento di Renzi dovrebbe innalzare il minimo edittale della corruzione propria da 4 a 6; ciò al fine non tanto di impedire agli imputati di "patteggiare" la pena (in virtù del meccanismo di cui al 444 c.p.p., in teoria si può patteggiare anche un tentato omicidio), quanto di far sì che non possano usufruire della sospensione condizionale della pena e sopratutto dell'affidamento in prova ai servizi sociali: grazie al gioco delle attenuanti, giungere alle soglie previste per l'attivazione di questi istituti (rispettivamente 2 e 3 anni di pena comminata) non è così difficile se si parte da un minimo di 4 anni; diventa (quasi) impossibile se si parte da 6. Ecco la ratio dell'intervento.
Balza agli occhi il fatto che in questa maniera viene parificato il minimo edittale della corruzione propria con quello della concussione (art. 317), delitto comunemente ritenuto assai più grave del mercimonio delle funzioni pubbliche. Se però si dà uno sguardo alle altre parti del Codice, si scopre che la soglia minima di 6 anni è superiore a quella prevista per i seguenti delitti:
  • Violenza sessuale (art. 609-bis), il cui minimo è 5 anni
  • Rapina a mano armata (art. 628 comma 2), 4 anni e 6 mesi
  • Estorsione (art 629), 5 anni
  • Disastro doloso (quello della vicenda Eternit), 3 anni
  • L'associazione per delinquere aggravata (art. 416, commi 2-3-4), 4 anni
  • Associazione di tipo mafioso armata (art. 416-bis, comma 4), 5 anni
  • Sequestro di persona minore (art 605 comma 3), 3 anni
  • l'abbandono di persona minore o incapace da cui derivi la morte (art. 591 comma 2), 3 anni
Ed è pari al minimo edittale delle seguenti fattispecie:
  • Sfruttamento della prostituzione minorile
  • Sfruttamenti di minori nella produzione di materiale pornografico
  • Estorsione aggravata (art. 629 comma 2)
  • Lesione personale gravissima, da cui derivi la perdita di un arto, di un senso, una malattia insanabile ovvero una deformazione (art. 583 comma 2)
  • Omicidio della persona consenziente (art. 579)
Questi paragoni dovrebbero suggerire al lettore una considerazione: che forse abbiamo un po' perso il senso della misura.
Il lettore forcaiolo però potrebbe non essere soddisfatto di questa suggestione. Potrebbe chiedersi se l'inasprimento delle pene per la corruzione, per quanto sproporzionato, non sia utile per debellare il fenomeno. La risposta tuttavia è un secco no.

Cosa andrebbe fatto in realtà
Innanzitutto occorre chiarire che l'inasprimento delle pene non avrà alcun effetto sui procedimenti in corso, quelli che tanto hanno allarmato l'opinione pubblica: si applicherà invece ai delitti di corruzione commessi all'indomani dell'entrata in vigore della nuova legge. Ne vedremo gli effetti tra parecchi mesi, nel migliore dei casi. Quel che conta davvero è che innalzare le pene, di per sé, non serve a nulla, se non a confezionare uno spot a misura di premier.
Il perché è facile da intuire, ma per essere chiari diamo la parola a Cesare Beccaria:

Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse. La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre maggior impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità.



Non mi sembra di poter aggiungere altro.

Il risultato da raggiungere, in tema di corruzione, non è dunque la severità del castigo, ma la sua certezza. L'unico modo per concretizzare tale certezza è di introdurre un conflitto di interessi all'interno del sodalizio tra corrotto e corruttore.

Oggi il corruttore è punito con le medesime pene del funzionario corrotto (art. 321). Ciò determina una solida comunanza di interessi tra i due soggetti, che hanno solo vantaggi dalla mutua e reciproca protezione. Ciò rende il lavoro degli inquirenti estremamente difficile, e la probabilità di essere assolti da un'accusa di corruzione piuttosto alta.

Ora, quando lo stato ha voluto realmente debellare un fenomeno, ha introdotto un conflitto di interessi all'interno del gruppo criminale. Negli anni '70 questo paese era tormentato dal fenomeno dei sequestri estorsivi. Lo stato ha stroncato tale tendenza inasprendo sì la cornice edittale (che è la più spaventosa dell'intero Codice: da 25 a 30 anni!), ma prevedendo una serie di attenuanti, di cui menzioniamo la più significativa. Art. 630 c.p, quarto comma:
 Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall'articolo 605.

L'art. 605 incrimina il sequestro semplice, con una soglia minima di pena pari a sei mesi. In pratica il concorrente che si dissocia dal gruppo di sequestratori può vedere la propria pena ridotta di 50 volte; ed appare evidente come livelli di pena così alti siano congegnati apposta per rendere estremamente appetibile la conseguenza della dissociazione.
Questo semplice esempio dimostra che il legislatore, quando vuole, sa esattamente quali strumenti attivare per realizzare un vero contrasto di un fenomeno criminale.
In quest'ottica sarebbe sufficiente abrogare l'art. 320 c.p. per spezzare la comunanza di interessi tra corruttore e corrotto, rendendo così molto più facili le indagini e infliggendo un colpo durissimo ai fenomeni corruttivi.
Se poi si volessero davvero debellare la corruzione, basterebbe introdurre un secondo comma al nostro 320: non è punibile il concorrente nel reato che, per primo, denuncia la consumazione dello stesso.
Questa disciplina si potrebbe applicare anche ai procedimenti in corso, perché non configura una nuova incriminazione, bensì un'esimente speciale, capace di dispiegare i propri effetti anche retroattivamente.
E' facile prevedere che assisteremmo, all'indomani dell'approvazione, ad una corsa a chi arriva primo all'autorità giudiziaria...
Se la soluzione appare un po' troppo forte per i palati fini e garantisti, timorosi del fatto che l'esimente rappresente un'ipotesi talmente ghiotta da spingere qualcuno ad inventarsi accuse ai danni dei propri ex-sodali, è sufficiente inserire un correttivo: estendere a questi soggetti il regime di valutazione delle dichiarazioni provenienti da imputati nel medesimo reato o in procedimenti connessi (art. 192 c.p.p., commi 2 e 3); con la conseguenza che tali dichiarazioni non sarebbero sufficienti da sole a sostenere un'accusa in giudizio, ma dovrebbero essere corroborate da ulteriori elementi che le suffraghino.
Ecco la soluzione dell'emergenza (?) corruzione in Italia. Purtroppo non è abbastanza demagogica e spettacolare per essere adottata; e sopratutto non è abbastanza innocua (bene intendenti pauca). (C.M.)

1 commento:

  1. Una volta erano i parrucconi perbenisti (termine antico per "buonista") e clericali - i seguaci della concezione del diritto di Mastro Titta e di Monaldo Leopardi, al quale appunto il Beccaria stava sugli zebedei - ad essere convinti che sia l'asprezza delle pene a disincentivare i reati.
    Oggi è l'opinione pubblica "demogratiga", almeno qui in Italia.
    Chi ha tempo e modo dovrebbe dedicarsi a ricostruire come sia successo, e per responsabilità di chi o di cosa (ho qualche sospetto, ma il sospetto non è prova, dalle parti dell'Editoriale Repubblica-L'Espresso)
    A proposito di "demogratigo", l'accezione dominante di questo termine nel lessico italiano è "non trattare male la servitù". Per convincersene basta andare su leo, dizionario di tedesco con traduzioni in diverse lingue. I tedeschi, in fatto di linguistica - si sa - bisogna lasciarli perdere.
    Se si guarda la traduzione di "democrazia" in tedesco dall'Italiano, questa accezione compare al primo posto.
    https://dict.leo.org/itde/index_de.html#/search=Democrazia&searchLoc=-1&resultOrder=basic&multiwordShowSingle=on
    E questo in nessun'altra lingua. Provare per credere, sempre su leo, con "Democracy" inglese, "Démocratie" francese, "Democracia" in castigliano e portoghese, демократия in russo.

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