venerdì 9 gennaio 2015

Una reazione viscerale e qualche riflessione

Parto da un dato elementare, dalle mie reazioni emotive di fronte alla strage di Parigi: come tutti, ho provato orrore, dolore per le vittime, ansia per le possibili conseguenze politiche. Le stesse emozioni che provai l'11 settembre. Ma stavolta c'è una cosa in più: la paura. L'attentato di Parigi mi ha fatto provare paura, e questa è un reazione che non avevo avuto l'11 settembre. Ho cercato di capire il motivo di questa diversa reazione, e sono arrivato a concludere che, per dirlo in estrema sintesi, il motivo è che l'11 settembre hanno sparato nel mucchio, a Parigi invece hanno preso bene la mira.
Cerco di spiegarmi meglio. Premetto una cosa ovvia, cioè che le considerazioni seguenti non hanno nulla a che fare con un giudizio morale, e che non intendono in nessun modo fare graduatorie nell'orrore o nella riprovazione morale verso gli assassini. Voglio solo, ripeto, spiegare il perché di questa mia diversa reazione, e fare qualche riflessione su questo.
L'11 settembre, dicevo, hanno sparato nel mucchio. Hanno colpito una massa indifferenziata di persone, che sono state uccise semplicemente perché si trovavano lì. Se guardiamo alle conseguenze sulla vita quotidiana della persona media (e mettiamo quindi per il momento sullo sfondo l'orrore, la riprovazione, la condanna morale)  un simile evento ci appare analogo a un disastro naturale, a un terremoto o a un'inondazione. Si tratta di qualcosa di brutto, che sarebbe meglio non ci fosse, ma rispetto al quale la vita quotidiana cambia poco. Almeno, questo è stata la mia reazione istintiva: c'è un pericolo in più, oltre ai terremoti, alle alluvioni, agli incidenti stradali, alle fughe di gas, ed è rappresentato da questi pazzi che fanno attentati. Nessuno è contento di questo, ma, come non si smette di uscire di casa o di prendere il treno per paura dei terremoti o delle alluvioni, allo stesso modo si continua a vivere sapendo che ci sono gli attentati aerei. Che altro si può fare? Qualsiasi cosa si faccia, si è comunque in pericolo (piccolo o grande) e allora tanto vale continuare a vivere come prima.
Adesso invece è diverso. A Parigi, ripeto, hanno preso bene la mira. Non hanno colpito persone di passaggio, con lo scopo generico di spargere terrore. Hanno colpito un preciso gruppo di persone, per dei precisi motivi: perché quelle persone hanno fatto uso della libertà di espressione, bene o male ancora garantita nei nostri paesi, in un modo inaccettabile per gli attentatori. Non si è quindi trattato di una generica dichiarazione di “guerra all'Occidente”, ma di una precisa dichiarazione di guerra a chiunque si esprima in forme o contenuti non conformi all'ideologia degli attentatori.
Cerco di spiegarmi meglio: gli attentatori dell'11 settembre, o quelli della metropolitana di Madrid, non intendevano certo impedire alla gente di prendere l'aereo o la metropolitana (o di entrare in un grattacielo): il loro messaggio non era “vi uccidiamo perché avete preso l'aereo”. Invece gli attentati di Parigi hanno ucciso proprio per impedire a un giornale, e quindi ovviamente a tutti i giornali, di esprimere determinati contenuti. Il loro messaggio è “vi uccidiamo perché avete fatto questo, e uccideremo chiunque farà cose simili”. Così, mentre l'11 settembre non vuole imporre esplicitamente niente di preciso, gli attentati di Parigi lo vogliono fare: ci dicono “non devi dire o pubblicare questo”. Ma allora cambiano la mia vita. Mentre dopo l'11 settembre potevo dire “qualsiasi cosa io faccia, il pericolo è lo stesso, tanto vale continuare a vivere come prima”, adesso so che se dico certe cose o diffondo certe immagini sono in pericolo, se non lo faccio sono tranquillo. È allora ovvio che tutto questo mette in questione la libertà di espressione. Il messaggio che ci arriva da questi attentati è un attacco diretto e preciso al cuore di alcune delle conquiste fondamentali della nostra storia.
Mi sembra allora che si possa affermare che chi ha ispirato questi attentati,  che lo abbia chiaro in mente oppure no, mira ad un obiettivo di ampio respiro: modificare l'assetto delle libertà civili in Occidente.
Se tutto questo è sensato, si tratta di un fatto nuovo e molto grave, che rende, io credo, ancora più difficile la nostra lotta per una fuoriuscita civile e umana dall'attuale organizzazione sociale ed economica. Mi sembra cioè, per essere chiari, che i tragici fatti di Parigi abbiano l'effetto di restringere drammaticamente lo spazio politico e intellettuale per una posizione che si voglia alternativa agli “opposti integralismi” occidentalisti e islamisti.
Di questo mi sembra non si rendano conto molte persone che stimo, che tendono a reagire secondo schemi consolidati negli ambienti “alternativi”: per esempio sollevando al solito il sospetto della “false flag”, o ricordando che l'Occidente è responsabile di crimini peggiori, o che in altri paesi simili stragi sono all'ordine del giorno senza suscitare l'attenzione dei media. Tutte cose che possono naturalmente dirsi senza scandalo, ma che secondo me non colgono davvero il problema, serissimo, che i tragici fatti di Parigi pongono a chi voglia contrastare lo stato presente delle cose.
A mio modesto avviso, solo assumendo con estrema chiarezza e rigore la necessità di una difesa indefettibile dei principi fondamentali della nostra convivenza civile, stabiliti dalla nostra Carta Costituzionale, si può sperare di uscire dalla morsa in cui rischiamo di dibatterci.
(M.B.)


PS Devo a Claudio Martini, che ringrazio, alcune preziose osservazioni su una prima versione di questo articolo

9 commenti:

  1. Caro Marino, da che mondo è mondo gli attentati si fanno per colpire i nemici politici. Mazzini ammazzava i borbonici, i partigiani tedeschi e collaborazionisti, i comunisti gli anticomunisti (e viceversa), le brigate rosse ammazzavano industriali e poliziotti, i carabinieri di Dalla Chiesa ammazzavano i brigatisti, e oggi gli islamisti ammazzano chi gli ridicolizza la superstizione. Senza offesa, hai scoperto l'acqua calda.

    Hai invece ragione quando dici che si restringe lo spazio a disposizione di chi vuole stare a metà nella diatriba fra islamisti e impero statunitense (comprensivo dei satelliti come l'Italia). Ma è una posizione persa in partenza, e questa ne è solo la conferma. La non violenza è l'arma di tutti i perdenti della storia.

    La verità è che il marxismo ha perso la sua partita col crollo dell'URSS e il successivo tradimento di tutte le élites ad esso storicamente collegate. Il risultato è che, incapaci di esercitare la violenza, cioè di far politica, i suoi residui sostenitori arretrano sulla linea delle costituzioni socialdemocratiche e fanno i salti mortali per distinguersi dai movimenti tuttora attivi sull'arena del 'politico', nessuno dei quali incontra il loro favore.

    In politica rimane a metà strada di tutte le battaglie solo chi è impotente a intraprenderne di proprie.

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  2. Post molto deludente. Ci si arrende in qualche modo allo "scontro di civiltà" (palesemente inesistente) inventato dalle classi dominanti occidentali per serrare i ranghi dei sottoposti in previsione del massacro sociale (questo sì il vero attentato alla nostra civiltà) iniziato dopo la caduta del muro.
    L'altra panzana de "la fine della storia" di Fukuyama non è più spendibile e quindi si punta sulla chiamata alle armi di Huntington.
    L'unica paura che ho provato un minuto dopo la notizia è che da oggi si userà l'equazione: "sei contro l'euro, TTip, BCE, ... ergo sei contro la nostra civiltà, sei con i terroristi!"
    Ripeto, post molto deludente. Quando ho visto la firma in calce non ci volevo credere, se anche persone acute come Badiale sono risucchiate nel frame dominante è proprio finita
    Parce sepultis

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  3. A mio modesto avviso l'attentato di Parigi assomiglia molto più agli omicidi di Biagi e D'Antona in Italia che all'11 settembre. La matrice idrologica è certo diversissima, ma il ragionamento "logico" di fondo di chi li ha progettati è lo stesso: "attenzione che ci sono cose che non si possono fare".

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  4. Parlare alla suocera perchè la nuora intenda?

    Ipotesi probabile (forse anche più di una ipotesi), in fin dei conti le gambizzazioni durante gli anni di piombo da noi non erano appunto messaggi trasversali?

    Colpirne uno per educarne cento... mi pare si diceva.

    Niente di nuovo sotto il sole cari miei.

    Beh cosa posso dire: "avanti Savoia!"

    Riccardo.

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  5. In questo articolo di Sapir (SAPIR: LEZIONI DA UN MASSACRO) ho letto la seguente riflessione:

    "In realtà, così come per fare degli scambi si devono stabilire degli oggetti che non si scambiano, così per integrare e far pervenire degli individui a un principio di tolleranza, devono essere definiti dei confini molto chiari, dei punti sui quali non si può transigere. Ancora una volta, scopriamo i danni causati dallo scandaloso relativismo che si fregia delle insegne delle scienze sociali per sovvertirne meglio gli insegnamenti."

    Trovo che sia una riflessione molto acuta, ma in generale tutto l'articolo è estremamente consigliabile.

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    1. Grazie a Fiorenzo sella segnalazione. Mi sembra che il link non funzioni, l'indirizzo è questo:

      http://vocidallestero.it/2015/01/10/sapir-lezioni-da-un-massacro/

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  6. Andare al cuore del problema. Comincerò col dire una cosa stupida: "Se non esistessero le religioni, l'umanità vivrebbe indubbiamente meglio". Una pia illusione, appunto, perché l'idea religiosa è radicata indissolubilmente nel rapporto dell'uomo con la propria morte, quindi con il pensiero religioso, lo dico da laico, ci devo pur convivere, e fare i conti. Perciò nella tarda modernità, dopo aver raggiunto - almeno buona parte di "noi" europei, od occidentali, una certa, relativa e precaria toleranza nei confronti dell'Altro, ci si ritrova ad assistere a scenari propri della prima modernità. Con gli attori nei ruoli invertiti, naturalmente. Cioè, in un certo senso, la storia si "ripete" nelle stesse forme brutali e sanguinarie che aveva assunto all'origine. E si "ripete" anche perché tra i due calendari topici, il "nostro" e quello islamico, ci sono più o meno sei secoli di differenza. Ossia, l'islamica, rispetto a quella cristiana, è una religione più giovane, quindi più intollerante. Certo, la tecnologia è la stessa, ma il pensiero religioso che l'utilizza no. Dunque, che cosa commetteva la nostra religione giovane sei secoli fa? Delle barbarità, anch'essa. Sarebbe impossibile farne l'elenco, per cui mi limito a ricordare un "cammeo" di Eduardo Galeano. S'intitola "Il sacrilegio", ee è compreso nel primo volume del suo "La memoria del fuoco". Siamo nel 1496 (appunto), sull'isola di Haiti, dove Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, assiste al primo rogo di carne umana. E' quello di sei indigeni, che bruciano per punizione ed esempio perché hanno sepolto le immagini di Cristo e della Vergine. "Nessuno ha domandato loro perché avessero sepolto le immagini - scrive Galeano -. Speravano che i nuovi dei rendessero fertili i campi di mais, yuca, patate dolci e fagioli". (A margine: durante la Conquista spagnola, invece di "più Europa" dicevano "più Colonia", ma i risultati di dominio e controllo sono gli stessi).
    Certo, ormai si sa che la religione non è tutto il problema, spesso è un pretesto dietro cui si celano interessi politici, economici, ma le persone che muoiono sotto il colpi dei fondamentalisti d'ogni tipo (dal norvegese Anders Breivik a quelli del 7 gennaio), non sono meno morte perché la religione è un pretesto.
    E taccio sullo spettacolo per me indegno di giornalisti embedded che spargono quotidianamente menzogne (ad es. sull'euro) e adesso sventolano indignati la bandiera della "libertà di stampa".

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  7. Personalmente ho dei forti dubbi che l'11 settembre sia andata come ci hanno raccontato, quindi lascerei perdere i paragoni. Restiamo a oggi.

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  8. Ho dato un’occhiata al testo di Sapir. Mi limito a dire che fa bene a citare ripetutamente Bodin, perché l’articolo ricalca perfettamente la caratteristica principe del giurista francese: il continuo, confuso e quindi fecondo (perché la logica in ambito pratico gioca un ruolo puramente dissolutivo) trapasso fra piano descrittivo e piano prescrittivo, fra essere e dover essere, fra realtà dei fatti e impulso a ordinarla normativamente. Da un punto di vista analitico il discorso di Sapir è risibile; da un punto di vista politico può essere saggio.

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