Esistono ormai molte analisi che
spiegano come i Trattati che costituiscono l'UE rappresentino la
negazione di alcuni dei principi fondamentali della nostra Carta
Costituzionale. Fra molti altri, si possono vedere alcuni articoli
sul sito “Appello al popolo” (qui e qui), e anche il recente libro di un grande costituzionalista come Gianni Ferrara.
Di fronte alle argomentazioni sostenute
nei testi citati, argomentazioni che credo difficilmente aggirabili,
la linea di difesa di chi dice di voler salvare i principi di civiltà
sociale contenuti nella nostra Costituzione, ma non accetta la parola
d'ordine dell'uscita unilaterale dall'UE, è quella del “cambiare i
Trattati”. Questa parola d'ordine può essere declinata in molti
modi, e ovviamente si sposa molto bene con gli slogan sul “più
Europa” e sulla “Europa dei popoli” che abbiamo già criticato
in vari luoghi.
Cerchiamo adesso di capire perché non
abbia nessun senso la proposta di “cambiare i Trattati”. Si
tratta, nella sostanza se non nella forma, della proposta di scrivere
e far adottare una Costituzione europea che sia ispirata a principi
del tutto opposti a quelli dei Trattati. Si noti che, se anche non
esiste una Costituzione europea, i vari Trattati ne fanno benissimo
le veci, e si possono in pratica considerare l'essenza di ciò che è
oggi l'UE.
La prima osservazione critica è che
per cambiare i Trattati occorre l'unanimità degli Stati membri. La
proposta di cambiare i Trattati in senso favorevole ai diritti dei
lavoratori e dei ceti subalterni richiede cioè che si formino e si
mantengano, per un periodo di tempo sufficiente, maggioranze
politiche che condividano questi obiettivi, in tutti e 27 i paesi UE.
Basta che un paese si opponga, e la proposta è bloccata.
Questa difficoltà “tecnica”,
d'altro canto, è solo un aspetto della difficoltà politica e
culturale di fondo.
L'obiezione fondamentale alla proposta
di “cambiare i Trattati” sta nel fatto che non esiste una
soggettività politica continentale in grado di imporre il
cambiamento nel senso dei valori auspicati. Come abbiamo già avuto modo di dire, non esiste un popolo europeo. Chi elaborerebbe le
proposte? Quali forze politiche se ne farebbero carico? Chi
condurrebbe le trattative e sottoscriverebbe gli inevitabili
compromessi?
Possiamo pure immaginare di realizzare, superando tutte le difficoltà tecniche e politiche, quella che
sarebbe, nelle attuali circostanze, la cosa migliore: un'Assemblea
Costituente Europea eletta a suffragio proporzionale. Davvero è
possibile pensare che da una cosa del genere nascerebbe una
Costituzione attenta ai valori di giustizia sociale, emancipazione,
armonia con l'ambiente? E' quasi sicuro che le forze che in modi
diversi si ispirano a questi valori sarebbero divise e i loro
discorsi sarebbero una cacofonia di proposte slegate fra loro. Una
unità popolare a livello continentale si crea con un lungo lavoro di
scambi, di incontri, con lotte collettive, con l'adozione di una lingua
comune. Come abbiamo rilevato più volte, l'indifferenza dei popoli
europei al dramma del popolo greco mostra con chiarezza come si sia
lontanissimi da una vera unità popolare europea. E si noti che non si
tratta qui solo della mancanza di empatia e di spirito di ribellione
contro l'ingiustizia. La solidarietà col popolo greco risponderebbe agli
stessi interessi materiali dei popoli europei, perché è chiarissimo che
quello svolto in Grecia è solo un esperimento che verrà poi
replicato in tutti i paesi del Sud Europa, e non solo.
Una Assemblea Costituente Europea non
farebbe allora che ribadire le distanze e le incomprensioni fra i ceti
popolari europei. D'altra parte, le posizioni dei ceti dominanti
sarebbero espresse in modo molto più unitario e risulterebbero alla
fine vincenti. I ceti dominanti, come abbiamo più volte detto, sono
gli unici in grado di agire a livello europeo perché sono unificati
da lingua, cultura e valori (anche se parzialmente divisi, come è
ovvio, da interessi materiali). Dopotutto, se esistono i Trattati, e
quindi l'UE, è appunto perché li hanno fatti i ceti dominanti.
Anche a livello nazionale l'adozione di
una Costituzione non è certo un affare di tutti i giorni. Le
Costituzioni nascono in momenti molto particolari, in risposta a
grandi movimenti sociali e ideali, o a grandi crisi. La nostra
Costituzione è nata perché il rifiuto del nazifascismo ha portato
all'unità su alcuni principi di fondo la grande maggioranza del
popolo italiano e le principali foze politiche che tale maggioranza
esprimevano.
Oggi la crisi economica, che è la crisi della forma "neoliberista" e "globalizzata" che ha assunto il capitalismo negli ultimi trent'anni, non produce solidarietà a livello continentale, ma divisioni e contrapposizioni. L'unità dei popoli europei
non c'è e non si vede quando possa sorgere, nel breve e medio periodo. Di conseguenza, non c'è
nessuna possibilità di “cambiare i Trattati” in senso favorevole
ai ceti popolari. L'unica opzione realistica per salvare quel che resta di civiltà sociale nel nostro paese è l'abbandono
unilaterale dell'UE.
(M.B.)
Io non ho dubbi al riguardo, occorre abbandonare la UE e ripristinare i diritti costituzionali. La nostra costituzione è ancora giovane e valida.
RispondiEliminaPer questo occorre una consapevolezza che arriverà solo dai prossimi shock, quando saranno colpiti anche coloro che sinora sono stati risparmiati. Incluso me che forse non sono stato abbastanza colpito, del resto ho ancora un contratto, precario, ma ce l'ho.