mercoledì 24 ottobre 2012

Vedere la proboscide e non l'elefante/5- Che ci sta a fare la UE

 Claudio Martini

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Il sistema giuridico dei trattati è basato sull'attribuzione alle istituzioni dell'Unione della competenza ad agire, per mezzo degli strumenti previsti dai trattati stessi, in una serie di materie e solo in quelle. L'Unione non dispone di una competenza generale, e l'art 5 TUE stabilisce che essa agisce "esclusivamente nei limiti delle competenze attribuite dagli stati membri".
Con il Trattato di Lisbona, e per la precisione con disposizioni degli articoli iniziali del TFUE, è stato approntato un catalogo dei settori nei quali la UE ha competenza, sia esclusiva (e allora normativa UE esaurirà l'intera disciplina giuridica di quel settore) sia concorrente (e allora la competenza degli stati avrà vigore solo nella misura in cui l'UE non abbia esercitato la propria).  Fra i settori in cui la UE ha competenza esclusiva troviamo la politica monetaria (almeno fra gli aderenti alla UEM), la politica commerciale, l'unione doganale e la definizione delle regole necessarie al funzionamento del mercato interno; fra i settori in cui la competenza  europea è concorrente rispetto a quella degli stati sono enumerati l'energia, i trasporti e le reti infrastrutturali, l'ambiente e la salute, la pesca e l'agricoltura, la coesione sociale e la protezione dei lavoratori, e altro ancora. L'art 2 del TFUE contiene inoltre un vago riferimento ad una competenza UE per "definire e attuare una politica estera e di sicurezza comune".



Questo metodo dell'attribuzione tassativa "per elenchi" delle competenze  non è un fenomento inedito nella storia degli ordinamenti. Esso ricalca, per esempio, l'esperienza degli USA. Ma anche nello Stato regionale italiano funziona pressapoco così: con la riforma del Titolo V della Costituzione si è passati da un'enumerazione delle competenze delle regioni, da esercitare nel rispetto dei principi dell'ordinamento italiano, ad una enumerazione delle competenze esclusive dello stato, seguite da un elenco delle competenze concorrenti delle regioni, tutte da esercitare, stavolta, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117)
Il metodo degli elenchi sarebbe teso, in teoria, a limitare i poteri dell'ente "centrale" a favore degli enti "decentrati". L'idea è che, attribuendo un numero finito e predeterminato di poteri all'ente centrale, si raggiunga il risultato di delimitarlo e "ingabbiarlo". In realtà nella maggior parte di questi ordinamenti esiste sempre una clausola che consente di forzare il limite stesso dell'elenco, permettendo all'ente "centrale" di allargare la propria sfera d'azione. Vale per gli USA: l'ultimo dei poteri attribuiti al governo federale consente a quest'ultimo di approvare tutte le misure "necessarie e appropriate", a suo esclusivo giudizio, per l'effettivo esercizio delle competenze federali; vale per l'Italia, dove la lettera "m" del secondo comma del 117 attribuisce allo Stato competenza esclusiva in materia di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", clausola che, nella sua indeterminatezza, almeno astrattamente permetterebbe grandissime ingerenze dello Stato nelle competenze degli enti locali.
Vale anche per l'Europa?

Torniano ai settori di competenza concorrente. Quali siano i limiti dell'azione normativa della UE in questi settori (specie in quelli a competenza concorrente) è tuttora oggetto di dibattito, in quanto i trattati lasciano i confini di tale azione piuttosto incerti. Sostanzialmente i trattati elencano i settori e il tipo di competenza, ma non individuano la competenza che effettivamente la UE esercita in quelle materie. Quel che è certo è che la giurisprudenza della CGUE, unica istituzione a cui, di fatto, è devoluto il compito di tracciare quei confini, ha in questi anni costantemente allargato il campo d'azione della normativa UE, privilegiando interpretazioni idonee ad ampliare la portata delle competenze comunitarie.

Ma la "capacità espansiva" di cui gode il diritto dell'UE non è dovuta solo alla costante giurisprudenza della CGUE, bensì a un dato di diritto positivo: la Clausola di Flessibilità. Presente fin dalle origine dei trattati, tale clausola consente, a determinate condizioni, un'azione della UE anche al di fuori delle specifiche attribuzioni di competenza. La sua più recente formulazione, l'art 352 del TFUE, recita infatti: "se un'azione della UE appare necessaria, nel quadro delle politiche definiti e dai trattati, per realizzante uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri d'azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della commissione e previa approvazione del parlamento, adotta le disposizioni appropriate." Pur essendo sottoposta a condizioni procedurali rigorose, la clausola di flessibilità ha permesso, negli anni, di ampliare anche considerevolmente la sfera d'azione della UE, permettendo all'ordinamento comunitario di "autofondarsi" al di fuori delle procedure normalmente necessarie per modificare i trattati UE. Una controprova dell'importanza di questa regola è fornita dall'esclusione, stabilita dallo stesso art 352, del settore della politica estera e di sicurezza comune (campo nel quale gli stati sono tradizionalmente più refrattari ad attribuire competenze) dall'ambito di applicazione della clausola di flessibilità.

Riassumendo, la UE può "muoversi" solo nell'ambito delle competenze ad essa attribuite agli stati, ambito che però è suscettibile di allargamenti grazie alla clausola di flessibilità; le competenze si dividono per settori, a seconda dei quali assumono la qualifica di "esclusive" o "concorrenti". Nei settori dove la competenza della UE è esclusiva OGNI iniziativa degli Stati è di per sé illecita; in quelli dove la competenza è concorrente solo qualora non invada lo spazio già occupato dalla normativa UE.
Giova ricordare che agli stati non è comunque concessa una piena libertà d'azione nei settori che sono semplicemente lasciati fuori dall'enumerazione dei Trattati; infatti qualsiasi norma nazionale di qualunque settore  non potrà comunque entrare in contrasto, sia pure indirettamente, con norme dell'ordinamento UE (principio di prevalenza del diritto comunitario).

Questo quadro tuttavia non definisce esattamente come vengono ripartite le competenze concorrenti tra l'ordinamento comunitario e quelli nazionali. In questo caso interviene il Principio di Sussidiarietà, "codificato" all'art 5 del TUE, in virtù del quale "nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene, soltanto se e in quanto, gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione."

Ma chi decide qual è il livello volta per volta più adatto per conseguire un determinato obiettivo? Si tratta, chiaramente, di un criterio più politico che giuridico, anche se la CGUE è conpetente ad invalidare gli atti adottati in carenza di tale principio. Per "vigilare" sull'osservanza dell'art 5, ai parlamenti nazionali vengono trasmessi gli atti nel corso dl procedimento che porterà alla loro adozione, in modo che ogni assemblea nazionale possa eccepire la contrarietà del rpogetto al principio di sussidiarietà.

Questo principio è un vero "leitmotiv" dei tecnocrati di Bruxelles e dei "riformisti" nostrani. è comune dire che esso conosce due accezioni: sussidiarietà in senso verticale e in senso orizzontale. La prima si riferisce ai diversi livelli istituzionali: è meglio che di questa cosa se ne occupi lo Stato o la Regione? La seconda afferisce alla divisione dei compiti tra le istituzioni e i cittadini nello svolgimento di una data attività: è meglio che questo servizio lo eroghi il Comune o un'associazione di volontariato? Finora la sussidiarietà in senso verticale è sempre servita a svuotare di poteri di competenze lo Stato a favore dell'UE; mentre quella orizzontale è sempre stata molto utile a favorire la svendita dei servizi pubblici: se il livello più adeguato a svolgere una data attività è quello del privato cittadino, magari imprenditore, perchè non affidare a lui quell'attività?
 Non stupisce quindi che questo principio di derivazione comunitaria sia poi stato costituzionalizzato nel nostro ordinamento.

In conclusione, si può affermare con sicurezza che le competenze e i poteri attribuiti alla UE sono estesi e importanti, e che sfera d'azione delle istituzioni comunitarie è dotata di strumenti che le consentono di allargarsi e espandersi, al momento opportuno, secondo le convenienze politiche delle classi dominanti europee.

Ora che sappiamo in che ambito l'UE sviluppa la sua opera, andremo presto a vedere

- come essa si sviluppa

- cosa finora ha prodotto questo sviluppo.

2 commenti:

  1. 'Non stupisce quindi che questo principio di derivazione comunitaria sia poi stato costituzionalizzato nel nostro ordinamento. '

    ***non è chiaro questo passaggio e il link non funziona...

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    1. È vero, non funge. Mi riferivo all'art 118 cost.

      http://www.governo.it/governo/costituzione/2_titolo5.html

      Interessante anche il confronto con la formulazione precedente (clicca sulla nota affianco al numero dell'articolo)

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