di Fabrizio Tringali
Nei
dibattiti sull'entusiastica adesione all'euro da parte della sinistra
italiana si finisce spesso per ripercorre le tappe che
hanno portato il nostro Paese dentro un sistema monetario europeo a
cambi fissi.
E' ancora più importante farlo oggi, mentre la BCE probabilmente sta già scrivendo il durissimo memorandum che l'Italia dovrà rispettare per restare nell'euro, ultimo atto del percorso di commissariamento del nostro Paese.
E' ancora più importante farlo oggi, mentre la BCE probabilmente sta già scrivendo il durissimo memorandum che l'Italia dovrà rispettare per restare nell'euro, ultimo atto del percorso di commissariamento del nostro Paese.
Infatti,
già durante la discussione sull'adesione dell'Italia allo SME
emersero i rischi che l'Italia avrebbe corso legando il valore del
cambio della lira a quello di monete di Paesi come la Germania:
deflazione, spinta al ribasso dei diritti e dei salari dei ceti medi
e popolari, innalzamento della disoccupazione, politiche di rigore
destinate a portare il Paese ad avvitarsi in spirali recessive.
In
molti ricordano che il PCI si oppose allo SME, mentre furono proprio
i partiti suoi eredi (cioè quelli nati dal suo scioglimento), a
portarci nell'attuale moneta unica europea.
E'
utile ritornare al 1978 per capire meglio cosa successe allora. Anche
perché, come sempre, la comprensione di ciò che è accaduto nel
passato, aiuta a mettere a fuoco le ragioni di quel che accade nel
presente.
Dopo
la fine del sistema di Bretton Woods, i Paesi forti dell'Europa, come
la Francia e soprattutto la Germania Ovest, iniziano a spingere per
la creazione di un sistema a cambi fissi tra i Paesi
del
vecchio continente. Il primo esperimento, il cosiddetto “serpente
monetario” non ottiene grande successo. Agli inizi del 1978 inizia
ad essere progettato il Sistema Monetario Europeo.
A
gestire i confronti fra i Paesi europei, e l'eventuale ingresso
dell'Italia nel nuovo sistema, è il governo Andreotti IV, un
monocolore DC tenuto in vita dall'appoggio esterno del PCI.
In
quella fase, il partito di Berlinguer è quindi un interlocutore
importante per i ministri che partecipano alle fasi di preparazione
dei vertici europei che porteranno alla nascita dello SME.
All'interno
del PCI vi sono posizioni diverse, ma in sostanza il partito esprime
fin da subito la propria netta adesione ad un sistema europeo che
porti a cambi fissi tra le valute. Lo stesso fa la CGIL di Lama
(si veda questo interessante articolo),
nonostante siano chiare le conseguenze per i lavoratori che tale
scelta comporta.
Il
PCI tenta di mitigare i prevedibilissimi effetti nefasti del “vincolo
esterno” costituito dall'appartenenza allo SME, ponendo alcune
condizioni, che inizialmente lo stesso governo democristiano assume
come proprie. Esse sono riassunte nel discorso tenuto alla Camera dal ministro
Pandolfi il 10 ottobre 1978, scaricabile qui.
In
sintesi la richiesta è quella di far anticipare l'instaurazione
della fissità dei cambi da un periodo di transizione meno rigido, e
poi accompagnare il regime a cambi bloccati con misure a favore delle
economie
meno prospere e, soprattutto, con regole capaci di “stabilire,
nel caso di deviazione degli andamenti di cambio, una equilibrata
distribuzione degli oneri di aggiustamento tra paesi in disavanzo
esterno e paesi in avanzo” [dal discorso del ministro Pandolfi
alla Camera, 10/10/1978].
Ma
il vertice di Bruxelles del dicembre 1978 vede la sconfitta della
posizione italiana. Francia e Germania spingono per dar vita
immediatamente al sistema a cambi fissi, e non accettano le proposte
della delegazione italiana, limitandosi ad accordare al nostro Paese
una banda di oscillazione maggiore rispetto a quella prevista per gli
altri (6% invece che 2,5%).
Poco
dopo il suddetto vertice, nell'aula della Camera dei deputati si
svolge la discussione sulla proposta di adesione immediata
dell'Italia allo SME.
La linea che il PCI aveva tenuto era stata completamente sconfitta, le
condizioni poste non erano state accolte, e il partito non può non
trarne delle conseguenze. E' sbagliato, però, sostenere che il PCI votò
contro lo SME. Il comportamento del partito fu molto meno netto, e
ciò rappresentò un chiaro messaggio ai ceti dirigenti.
Il
gruppo comunista, infatti, chiese, ed ottenne, lo spezzettamento in
tre parti della mozione in votazione, e votò contro solo sulla
seconda parte (quella che conteneva l'impegno per l'adesione
immediata dell'Italia allo SME). Sulla prima e sulla terza parte il
PCI si astenne. Non solo: il PCI non aprì immediatamente una crisi
di governo (anche se l'esecutivo cadde comunque il mese successivo).
Era
chiaro che né il PCI, né la CGIL intendevano fare le barricate
contro lo SME, così come iniziava ad apparire evidente che tentare di
“mitigarne” gli effetti era impossibile: i Paesi più forti non
avevano nessuna intenzione di concedere meccanismi di riequilibrio
fra gli Stati in surplus e quelli in disavanzo (esattamente come
oggi), ed i ceti dirigenti dei Paesi più deboli non avevano nessuna
intenzione di insistere (perché sapevano che la rigidità del
sistema avrebbe aperto loro la possibilità di distruggere i diritti
del lavoro, abbassare i salari, privatizzare ogni cosa, azzerando la
forza contrattuale dei lavoratori).
Tutto
fu ancora più chiaro nel periodo successivo: il PCI fu estromesso
dall'area di governo, nel 1981 avvenne il “divorzio” fra Tesoro e
Banca d'Italia (che privò il nostro Paese dell'effetto
calmierante
sui tassi di interesse sul debito costituito dall'acquisto dei titoli
stessi da parte della Banca Centrale, con l'ovvio effetto di
imbrigliare ancora di più la nostra economia e di obbligare il nostro
Paese ad affidarsi totalmente al mercato per finanziarsi, costringendolo a seguire le scelte dei Paesi più forti dell'area
SME, cosa che porterà alla crisi del 1992), infine venne attaccata, con successo, la “scala mobile” al fine di abbattere le barriere alla
moderazione salariale.
Il
risultato del referendum del 1985 sancì la totale sconfitta della
linea del PCI e della maggiore confederazione sindacale: non era più
possibile realizzare forme di opposizione “collaborativa” con i
ceti dominanti, come quelle realizzate nel “trentennio dorato”,
che temperassero le scelte del governo in modo da ottenere risultati
positivi per i ceti subalterni.
I
ceti dirigenti italiani ed europei si avviavano sulla strada
dell'attacco totale ai lavoratori, ai diritti conquistati, allo stato
sociale, al settore pubblico dell'economia.
Il
PCI e la CGIL si trovarono quindi di fronte ad un bivio storico:
difendere gli interessi dei ceti medi e popolari assumendo posizioni
nettamente contrarie al processo di unificazione europeo (che vedeva
proprio nello SME il suo fulcro), e avviando così uno scontro molto
duro (e dagli esiti imprevedibili) con i ceti dominanti, oppure
accettare supinamente le scelte dei ceti dominanti stessi, accantonando le
condizioni poste al tempo della discussione sull'ingresso dell'Italia
nello SME e proponendosi come forze di governo “responsabili” ed
“europeiste”.
Inutile dire quale strada scelsero...
P.s.:
Regalo una chicca a coloro che hanno letto fin qui: sapete chi
intervenne alla Camera per il PCI nel dibattito sullo SME? Sostenendo
che il vertice di Bruxelles del dicembre 1978 aveva sancito (cito
letteralmente): “la conferma di una sostanziale resistenza dei
paesi a moneta più forte, della Repubblica federale di Germania, e
in modo particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni
effettivi ed a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio
tra gli andamenti delle monete e delle economie di paesi della
Comunità. E così venuto alla luce un equivoco di fondo, di cui le
enunciazioni del consiglio di Brema sembravano promettere lo
scioglimento in senso positivo e di cui, invece, l’accordo di
Bruxelles ha ribadito la gravità: se cioè il nuovo sistema
monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei
paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e
dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a
moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della
Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla
deflazione.”
E
sottolineando il rischio che: “le regole dello SME ci possano
portare ad intaccare le nostre riserve e a perdere di competitività,
ovvero a richiedere di frequente una modifica del cambio, una
svalutazione ufficiale e brusca della lira fino a trovarci nella
necessità di adottare drastiche politiche restrittive”? E'
stato proprio colui che oggi, peggior presidente della Repubblica
della storia d'Italia, è capace di affossare la Costituzione
pur di difendere l'euro e i vincoli europei.
P.s.2:
La lettura dei dibattito dell'epoca mette in luce quanto fossero
prevedibili gli effetti che l'introduzione della rigidità del cambio
avrebbe determinato: deflazione, spinta al “rigore”,
disoccupazione, depauperamento delle condizioni di vita dei ceti medi
e popolari. Essi furono dettagliatamente descritti ben prima della
realizzazione concreta dello SME. I ceti dirigenti (dei partiti di
maggioranza, di quelli di opposizione, dei sindacati) sapevano. Ed
hanno scelto deliberatamente di accettare tutto ciò.
P.s.3:
Vi ho detto che per il PCI intervenne Napolitano. Ecco, tanto per
avere l'idea del ceto politico che ci ritroviamo, sapete chi
intervenne per il PSI? Fabrizio Cicchitto.
Ecco qui i testi del dibattito sullo SME che si è svolto alla Camera dei
deputati il 13 dicembre 1978.
P.s.4: Mercoledi 12 Settembre esce in libreria "La trappola dell'euro - la crisi, le cause, le conseguenze, la via d'uscita"
P.s.4: Mercoledi 12 Settembre esce in libreria "La trappola dell'euro - la crisi, le cause, le conseguenze, la via d'uscita"
Ringrazio Fabrizio per l'eccellente contributo
RispondiEliminami auguro che fara' parte del libro ....
Ps:sto' leggendo l'intervento di cicchitto e napolitano -da qui l'italiano aulico che è uscito
sopra- e sono interessanti e molto sorprendenti
(per quanto credo che l'intervento di napolitano
sia stato scritto da qualcun'altro...)
Nel libro "La trappola dell'euro" non si parla tanto di questo, quanto dei dibattiti successivi che analizzano gli effetti dello SME e i rischi connessi all'euro prossimo venturo.
RispondiEliminaCi troverai una chicca molto interessante: una lunga citazione di un testo di economia politica del 1991, che mostra come già all'epoca (e in realtà anche prima, appunto ai tempo dello SME) fosse già tutto chiaro.... ma le forze che hanno dato vita all'euro hanno evitato di farcelo sapere....
E comunque ne parlerò nel prossimo libro, dove spiegherò perché il PCI, alla fine, decise di accettare supinamente le scelte dei ceti dominanti, e le terribili conseguenze che ne sarebbero ovviamente scaturite.
RispondiEliminaSarei veramente interessato a sapere come mai il PCI abbia assunto questa posizione. Non riesco proprio a capire.
EliminaGrazie signor Fabrizio Tringali.
RispondiEliminail popolo italiano gliene renderà merito .
Giobbe8871
il Governatore Baffi era il più acerrimo nemico dello SME ( sistema monetario a cambi fissi )- ECU.
RispondiEliminaL'ho appreso da Nino Galloni.
giobbe 8871
ma grazie alla vostra opera di informazione documentata, ho scoperto che un collaboratore del Governatore Baffi, Rinaldo Ossola (vero difensore dell'Italia ) era ancora più ostile ai diversi sistemi monetari a cambi valutari fissi.
RispondiEliminanel 1970 il piano di Hans Werner Sinn ( capo IFO a Monaco di Baviera ) prevedeva cambi fissi senza banda di oscillazione.
Crucchi maledetti.
Giobbe 8871
Molto interessante, condivido su FB, In un paese soggetto ad amnesie storiche articoli del genere sono fondamentali.
RispondiEliminaPreziosa la chicca su Napolitano, ed è incredibile come già nel 1978 venissero fatte analisi che oggi sono puntualmente confermate. Dov'è finita tutta quella lucidità? :(
Con il suo permesso, vorrei citare il pezzo nel mio prossimo post.
Ma certo, citi pure, indicando la fonte. Questo articolo sta suscitando grande interesse, e sono felice che venga ripreso da più parti.
RispondiEliminaLa ringrazio. Ovviamente sarà mio scrupolo citare la fonte e dare il link di questo articolo :)
Eliminahttp://mauropoggi.wordpress.com/2012/09/13/napolitano-a-cernobbio-alcune-annotazioni-a-margine/
EliminaL'articolo è ottimo e importante e spiega non poche posizioni che sembrano nuove e in realtà sono quelle elaborate negli anni ottanta e novanta. Ottimi per davvero i P.S. e penso che da questi bisogna anche ripartire per studiare come fare in modo di sottoporre a verifica corrente le scelte che si fanno nel parlamento. Naturalmente la fase attuale è inedita in quanto con strumenti di comunicazione (oltre il web non andiamo)obiettivamente minimi.
RispondiEliminaDobbiammo fare leva verso forze gigantesche che utilizzano apparati raffinati di formazione dell'opinione pubblica. Non è facile!
Mi sembra quasi incredibile che io e tanti altri dobbiamo sperare in un atto della Corte Costituzionale Tedesca sul MES/ESM.
Naturalmente non è una contraddizione.
Purtroppo oggi lottare significa studiare, e studiare, e dobbiamo vendere cara la pelle.
Felice Di Maro fedimaro@tin.it 3385909735
Sono una persona ignorante in materia, non nascondo che questo articolo non mi convince ma voglio chiederti perchè non citi l'inflazione visto che nei primi anni 80 era il problema principale.
RispondiEliminaTutti scemi a temere l'inflazione?
Poi vorrei chiederti come faremmo a finanziare il debito pubblico se fossimo fuori dall'Euro? Non costerebbe ancora di più?
Grazie
Davide Nigro
Consiglio questo
Eliminahttp://goofynomics.blogspot.it/2012/04/svalutazione-e-salari-ad-usum-piddini.html
L' alta inflazione era dovuta a un fatto esterno: ovvero lo shock petrolifero. Non era colpa del matrimonio tra banca d' italia e tesoro. Si può anche ammettere si doveva entrare nello sme per smorzare gli effetti di quello shock ma in ogni caso bisognava uscirne in tempo e non arrivare al 92, anno in cui bruciammo inutilmente le riserve della banca centrale. Tutti gli agganci nominali sono sempre qualcosa di temporaneo. Ecco perché istituire l' euro, ovvero un qualcosa che ha la volontà di essere " irreversibile" è stato un errore ancora più grande di quello di rimanere troppo a lungo in uno sme il cui impianto ideologico era ben chiaro... del resto è proprio la nostra adesione allo sme che ci obbligò al divorzio tra banca d' italia e tesoro nell'81.
EliminaRingrazio chi ha risposto prima di me. Altre risposte le troverai ne "La trappola dell'euro".
EliminaL'articolo è piaciuto molto anche a me, complimenti. Il PCI fece un po' di manfrina ma era sostanzialmente d'accordo.
RispondiEliminaSegnalo a riguardo un paio di pezzi interessanti: un'intervista a Andreotti ed una a Barca
...poi magari riesci pure a far cambiare idea a Marino su Berlinguer (nel libro "La sinistra rivelata" mi pare di ricordare un elogio seppur timido) :-)
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCertamente la ricostruzione e' puntuale, ma l'analisi mi sembra un po' carente. Ci era in quel momento la speranza, da parte della DC, che l'adesione al progetto monetario europeo, ci aiutasse a superare quelle storture di cui proprio le sinistre sono state e sono tutt'ora responsabili. La riforma delle pensioni, del mercato del lavoro, della burocrazia, della magistratura, dell'energia, la svendita degli asset pubblici, erano bestemmie ! Poi con Craxi ne hanno fatto scempio col sistema 40-30-30% mentre in Germania si faceva sul serio, quindi la speranza ando' a quel paese e dopo 25 anni siamo ancora al punto di partenza, ma con tasse e debito raddoppiati!
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