Chi sfogli un qualunque manuale di diritto dell'UE troverà, espresso in un modo o nell'altro, l'argomento secondo il quale una delle dimostrazioni più evidenti della forza e della vitalità della UE è la capacità di quest'ultima di espandersi, attraendo e inglobando sempre nuovi Stati. In effetti la storia dell'UE (e delle Comunità prima di essa) è una storia di numerosi successivi allargamenti, verso tutti i punti cardinali. Negli ultimi anni il punto cardinale più fecondo è stato quello orientale. È di pochi mesi fa l'ingresso della Croazia in qualità di 28esimo Stato membro.
Oggi, tuttavia, ha avuto luogo un episodio di una certa importanza. L'Ucraina ha scelto di non associarsi all'UE. Non si discuteva dell'adesione di questo paese all'Unione, ma solo di una partnership bilaterale privilegiata- partnership che comunque è stata accettata, nell'ambito dello stesso vertice, da Georgia e Moldavia. Ma il punto politico rimane. L'Ucraina, paese strategico come pochi in Europa, tra Est e Ovest ha optato per il primo, invertendo una tendenza ultra-ventennale. L'ottima Adriana Cerrettelli, sul Sole24Ore, parla di "fine della capacità magnetica dell'Europa", e mette in connessione l'evento con la perdita di consenso alla costruzione eurounitaria anche all'interno degli stessi paesi UE. L'Europa ha perso appeal, come ha ammesso Enrico Letta. Non è così stupefacente, se si considera che oggi il biglietto da visita della UE nel mondo è la Grecia.
L'Unione ha probabilmente perduto la sua capacità espansiva. Ha, a suo tempo, sbattuto la porta in faccia alla Turchia (per fortuna dei Turchi). Sta vedendo allontanarsi sempre di più il Regno Unito. La Russia preme ai suoi confini, ed esercita una forza attrattiva che fino a qualche tempo non aveva. Il sistema UE ha raggiunto il suo limite estremo. È arrivato il tempo dell'implosione? (C.M.)
giovedì 28 novembre 2013
La critica all'Euro è alla portata di tutti
Una lettura istruttiva quella dell'articolo di Fabio Sabatini, nel quale il giovane ricercatore di economia presso la Sapienza di Roma propone una precisa tassonomia di chi, sui media di ogni tipo, discute di materie economiche. Le due classi principali nelle quali si articola tale tassonomia sono quella degli economisti e quella degli economisti-che-non-lo-sono. In essenza, è economista chi si occupa professionalmente, in un'università o in un un ente analogo, di ricerca (e di didattica) economica, e che riesce a far pubblicare con una certa costanza i risultati dei suoi lavori su riviste scientifiche accreditate. La seconda classe è composta da tutti coloro che, pur non soddisfacendo i requisiti appena esposti, si presentano sulla scena del dibattito politico-culturale con l'etichetta di economista. Il che non significa che siano necessariamente dei cialtroni (in questo Sabatini è chiaro), né che non abbiano alcun titolo a discettare di materie economiche; solo, dovrebbero essere più rigorosi nel presentare il proprio curriculum.
Una simile classificazione può essere utile ai fini di una maggiore trasparenza nel dibattito pubblico. I cittadini hanno diritto di conoscere esattamente, e senza ambiguità, il pedigree scientifico di chiunque prenda la parola con fare da esperto. L'economia è una scienza, con le sue regole e anche con le sue liturgie. Quindi, ben venga l'invito a una definzione (e ad una auto-rappresentazione) più rigorosa della qualifica di economista.
Certo, il criterio proposto non può andare del tutto esente da critiche. In primo luogo esso non coincide con quello offerto dall'Enciclopedia. Ma questo si spiega col fatto che quella di Sabatini è una tipica definizione stipulativa. In secondo luogo, il criterio pare un po' troppo esigente, e porta a risultati largamente contro-intuitivi come quello di considerare un soggetto laureato in economia, che ha ricoperto posizioni di vertice in una istituzione economica, e che insegna materie economiche in un ateneo, come Claudio Borghi, un economista-che-non-lo-è. In terzo luogo, il criterio proposto non tiene conto dell'eventualità che l'accesso al mondo accademico sia fortemente condizionato dalla Doxa dominante nella comunità degli studiosi, e che potrebbe portare ad escludere e ad emarginare le posizioni critiche ed eterodosse. In quarto luogo, stimola qualche dubbio il fatto che la tabella sia stata formata con il contributo di Alberto Bisin, uno che fino all'altro ieri credeva alle lauree di Oscar Giannino. Infine, proprio la presenza di quest'ultimo economista (Bisin, non Giannino) procura inevitabilmente il sospetto che questa classificazione sia, almeno in parte, strumentale alla polemica tra gli economisti vicini a Bisin e buona parte di quelli che vengono definiti non-economisti. Dato che i primi non riescono a prevalere nettamente sui secondi, si ricorre alla squalificazione tassonomistica.
Al di là di questi aspetti critici, il criterio di Sabatini può essere accolto favorevolmente; tuttavia, è proprio la severità di tale criterio che ci illumina su una realtà molto interessante.
Gli autori di questo blog non sono economisti, non hanno mai affermato di esserlo, e non hanno mai corso il rischio di apparire come tali. E tuttavia sono riusciti a sostenere diversi confronti con economisti (in senso stretto), confronti che vertevano su complesse questioni di economia monetaria e macroeconomia. Mi riferisco, ovviamente, all'opera di divulgazione svolta da Badiale e Tringali con la loro Trappola dell'Euro. Nei vari incontri dedicati all'approfondimento e alla promozione di tale libro, diversi docenti di materie economiche hanno avuto modo di poter esprimere il loro parere. Non uno ha abbracciato in toto la strategia politica proposta dal libro; non uno ne ha messo in discussione la fondatezza economica. E così i nostri due autori, assolutamente non economisti, sono riusciti a sostenere un dibattito con vari discussants molto qualificati, su posizioni di parità.
E qui arriviamo al cuore del problema. È evidente che l'iniziativa di Sabatini è legata a doppio filo al dibattito sull'Euro. La proliferazione di "economisti" è legata all'esplodere della crisi dell'Euro. Le criticità tecniche di questa moneta non sono concettualmente difficili; comprendere le origini e la dinamica della crisi è alla portata di chiunque sia dotato della buona volontà di studiare. Perché la questione, in fin dei conti, è semplice. L'inadeguetezza e le contraddizioni del meccanismo che ci sovrasta sono talmente enormi e palesi da poter essere colte da tutti.
Ecco perché sembra di assistere ad una moltiplicazione degli economisti. Non ci vuole un dottorato di ricerca per dire cose molto sensate sull'Euro. Il corollario di queste considerazioni è che, alla fine, sugli estremi dell'analisi della crisi sono tutti d'accordo. Ci si divide dopo, sulle strategie da approntare per affrontarla.
Su questo sarebbe utile che si impegnassero i ricercatori come Sabatini. Se la grande maggioranza della comunità scientifica è d'accordo sulle cause della crisi dell'Euro, o meglio della crisi che l'Euro ci procura, viene da chiedersi perché così pochi (almeno in Italia) non ne traggano le debite conseguenze. Mancanza di coraggio, di interesse? Eccesso di prudenza? Ignavia? Ecco un bel tema di ricerca. (C.M.)
Aggiornamento: nel frattempo il nome di Borghi è stato preso di peso dalla lista degli "economisti-che-non-lo-sono" e spostato nella lista degli economisti tout court. Il criterio di Sabatini è severo, ma Borghi di più!
Una simile classificazione può essere utile ai fini di una maggiore trasparenza nel dibattito pubblico. I cittadini hanno diritto di conoscere esattamente, e senza ambiguità, il pedigree scientifico di chiunque prenda la parola con fare da esperto. L'economia è una scienza, con le sue regole e anche con le sue liturgie. Quindi, ben venga l'invito a una definzione (e ad una auto-rappresentazione) più rigorosa della qualifica di economista.
Certo, il criterio proposto non può andare del tutto esente da critiche. In primo luogo esso non coincide con quello offerto dall'Enciclopedia. Ma questo si spiega col fatto che quella di Sabatini è una tipica definizione stipulativa. In secondo luogo, il criterio pare un po' troppo esigente, e porta a risultati largamente contro-intuitivi come quello di considerare un soggetto laureato in economia, che ha ricoperto posizioni di vertice in una istituzione economica, e che insegna materie economiche in un ateneo, come Claudio Borghi, un economista-che-non-lo-è. In terzo luogo, il criterio proposto non tiene conto dell'eventualità che l'accesso al mondo accademico sia fortemente condizionato dalla Doxa dominante nella comunità degli studiosi, e che potrebbe portare ad escludere e ad emarginare le posizioni critiche ed eterodosse. In quarto luogo, stimola qualche dubbio il fatto che la tabella sia stata formata con il contributo di Alberto Bisin, uno che fino all'altro ieri credeva alle lauree di Oscar Giannino. Infine, proprio la presenza di quest'ultimo economista (Bisin, non Giannino) procura inevitabilmente il sospetto che questa classificazione sia, almeno in parte, strumentale alla polemica tra gli economisti vicini a Bisin e buona parte di quelli che vengono definiti non-economisti. Dato che i primi non riescono a prevalere nettamente sui secondi, si ricorre alla squalificazione tassonomistica.
Al di là di questi aspetti critici, il criterio di Sabatini può essere accolto favorevolmente; tuttavia, è proprio la severità di tale criterio che ci illumina su una realtà molto interessante.
Gli autori di questo blog non sono economisti, non hanno mai affermato di esserlo, e non hanno mai corso il rischio di apparire come tali. E tuttavia sono riusciti a sostenere diversi confronti con economisti (in senso stretto), confronti che vertevano su complesse questioni di economia monetaria e macroeconomia. Mi riferisco, ovviamente, all'opera di divulgazione svolta da Badiale e Tringali con la loro Trappola dell'Euro. Nei vari incontri dedicati all'approfondimento e alla promozione di tale libro, diversi docenti di materie economiche hanno avuto modo di poter esprimere il loro parere. Non uno ha abbracciato in toto la strategia politica proposta dal libro; non uno ne ha messo in discussione la fondatezza economica. E così i nostri due autori, assolutamente non economisti, sono riusciti a sostenere un dibattito con vari discussants molto qualificati, su posizioni di parità.
E qui arriviamo al cuore del problema. È evidente che l'iniziativa di Sabatini è legata a doppio filo al dibattito sull'Euro. La proliferazione di "economisti" è legata all'esplodere della crisi dell'Euro. Le criticità tecniche di questa moneta non sono concettualmente difficili; comprendere le origini e la dinamica della crisi è alla portata di chiunque sia dotato della buona volontà di studiare. Perché la questione, in fin dei conti, è semplice. L'inadeguetezza e le contraddizioni del meccanismo che ci sovrasta sono talmente enormi e palesi da poter essere colte da tutti.
Ecco perché sembra di assistere ad una moltiplicazione degli economisti. Non ci vuole un dottorato di ricerca per dire cose molto sensate sull'Euro. Il corollario di queste considerazioni è che, alla fine, sugli estremi dell'analisi della crisi sono tutti d'accordo. Ci si divide dopo, sulle strategie da approntare per affrontarla.
Su questo sarebbe utile che si impegnassero i ricercatori come Sabatini. Se la grande maggioranza della comunità scientifica è d'accordo sulle cause della crisi dell'Euro, o meglio della crisi che l'Euro ci procura, viene da chiedersi perché così pochi (almeno in Italia) non ne traggano le debite conseguenze. Mancanza di coraggio, di interesse? Eccesso di prudenza? Ignavia? Ecco un bel tema di ricerca. (C.M.)
Aggiornamento: nel frattempo il nome di Borghi è stato preso di peso dalla lista degli "economisti-che-non-lo-sono" e spostato nella lista degli economisti tout court. Il criterio di Sabatini è severo, ma Borghi di più!
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martedì 26 novembre 2013
TelePD
Tutti i genovesi che hanno vissuto (e sofferto) le cinque giornate di sciopero dei lavoratori del trasporto pubblico (AMT) ricordano bene come, sia pur in un contesto di grande disagio, la solidarietà per la lotta degli autisti fosse assolutamente egemone. La pagina Facebook di sostengo ai lavoratori ha raggiunto le ventitremila adesioni. Le principali squadre di calcio cittadine hanno espresso la loro solidarietà.
Giovanni Floris, uno dei principali Marescialli del PUDE, decide di documentare la vicenda su Ballarò. Lo fa a modo suo. Manda un inviato, che trova per strada una vecchina. "Che ne pensa dello sciopero?" "È uno schifo". "È veramente una vergogna".
Ed ecco che, con una intervista assolutamente casuale (si fa per dire), i telespettatori di tutta Italia si sono fatti un'idea equilibrata dell'opinione pubblica genovese. La parola ora passa all'esperto. Chi intervisterà Ballarò per avere un'opinione sugli aspetti economici della vicenda AMT? Fra tutti, non trova di meglio che interrogare Carlo Stagnaro, che è di Genova, ma sopratutto è super-liberista. D'altronde Ballarò è una trasmissione di sinistra, è normale che i pareri li chieda ai fanatici delle privatizzazioni.
Gran finale: intervista al Mercato Orientale. Per chi non lo sapesse, un luogo storico della città, dedicato al commercio ortofrutticolo. L'inviato si avvicina ad una negoziante con un approccio assolutamente super-partes: "lo sciopero l'ha danneggiata?" "tantissimo, le vendite sono crollate del 70%. Le cose stavano andando meglio, ma lo sciopero è stato una vera mazzata". Segue una sommaria quanto commovente esposizione di tutte le magagne che rendono impossibile la vita dell'odierno commerciante; la signora non ce la fa più, e prorompe in lacrime a pochi centimetri dal microfono.
Riassumendo: i lavoratori AMT hanno commesso una vera porcata, facendosi odiare dalla cittadinanza, rovinando la vita della gente per bene, e tutto per difendere sprechi-inefficienze-ruberie ecc. che sono il portato inevitabile dell'intervento della mano pubblica in economia. Ecco come Floris ha pensato di raccontare le cinque giornate di Genova.
Ancora una volta, Rai 3 si dimostra l'epicentro dello schifo televisivo. Questo è il canale televisivo semi-ufficiale della sinistra di questo paese. Ridateci Emilio Fede, allora. (C.M.)
Giovanni Floris, uno dei principali Marescialli del PUDE, decide di documentare la vicenda su Ballarò. Lo fa a modo suo. Manda un inviato, che trova per strada una vecchina. "Che ne pensa dello sciopero?" "È uno schifo". "È veramente una vergogna".
Ed ecco che, con una intervista assolutamente casuale (si fa per dire), i telespettatori di tutta Italia si sono fatti un'idea equilibrata dell'opinione pubblica genovese. La parola ora passa all'esperto. Chi intervisterà Ballarò per avere un'opinione sugli aspetti economici della vicenda AMT? Fra tutti, non trova di meglio che interrogare Carlo Stagnaro, che è di Genova, ma sopratutto è super-liberista. D'altronde Ballarò è una trasmissione di sinistra, è normale che i pareri li chieda ai fanatici delle privatizzazioni.
Gran finale: intervista al Mercato Orientale. Per chi non lo sapesse, un luogo storico della città, dedicato al commercio ortofrutticolo. L'inviato si avvicina ad una negoziante con un approccio assolutamente super-partes: "lo sciopero l'ha danneggiata?" "tantissimo, le vendite sono crollate del 70%. Le cose stavano andando meglio, ma lo sciopero è stato una vera mazzata". Segue una sommaria quanto commovente esposizione di tutte le magagne che rendono impossibile la vita dell'odierno commerciante; la signora non ce la fa più, e prorompe in lacrime a pochi centimetri dal microfono.
Riassumendo: i lavoratori AMT hanno commesso una vera porcata, facendosi odiare dalla cittadinanza, rovinando la vita della gente per bene, e tutto per difendere sprechi-inefficienze-ruberie ecc. che sono il portato inevitabile dell'intervento della mano pubblica in economia. Ecco come Floris ha pensato di raccontare le cinque giornate di Genova.
Ancora una volta, Rai 3 si dimostra l'epicentro dello schifo televisivo. Questo è il canale televisivo semi-ufficiale della sinistra di questo paese. Ridateci Emilio Fede, allora. (C.M.)
Addendum a 'Fine del Mondo Arabo'
Di seguito proponiamo un bel pezzo di Guido Olimpio, pubblicato sul Corriere della Sera di oggi. Esso dimostra come i maneggi per arrivare a un accordo USA-Iran fossero in atto già dal 2009, e che il loro principale ostacolo fosse l'ingombrante presenza pubblica di un presidente eletto coi brogli e negatore della Shoah come Ahmadinejad (come da noi correttamente riferito). L'alleanza con Teheran non è un'idea estemporanea, ma fa parte di una strategia USA di lungo corso. E con ciò speriamo di aver fatto giustizia di tutte le sparate complottistiche sulle presunte manovre anti-Assad degli USA. (C.M.)
lunedì 25 novembre 2013
Fine del Mondo Arabo
Poco più di un mese fa parlavamo delle trattative in corso per far sì che venissero rimosse, da parte del Consiglio di Sicurezza ONU, tutta la serie di sanzioni internazionali volte a impedire che l'Iran ottenga l'arma nucleare. Due settimane fa era stata raggiunta una bozza d'accordo, elaborata dal rappresentante dell'UE, Catherine Ashton, d'accordo con il Segretario di Stato Usa Kerry e il Ministro degli Esteri iraniano Zarif.
Il rappresentante dell'Iran "antimperialista" è quello che sorride a destra.
Tuttavia, la Francia era riuscita a bloccare sul nascere l'accordo, evidentemente convinta dall'Arabia Saudita con validi argomenti. Anche la Russia non sembrava così entusiasta di concedere l'arma atomica all'Iran, visto il recente innamoramento tra il regime di Putin e quello filo-saudita di Al Sissi al Cairo. A tutto questo va aggiunta l'incessante azione di lobbying israeliana, dato che Tel Aviv non è certo contenta di perdere il monopolio nucleare nel medio oriente. L'accordo con l'Iran sembrava destinato a rimanere lettera morta.
Il rappresentante inglese, quello UE, quello tedesco, quello cinese, al centro la coppia dell'anno, e in fondo a destra si vedono, di spalle, il ministro russo Lavrov, e sopratutto quello francese Fabius, autore del clamoroso voltafaccia che ha reso possibile l'accordo.
A dire il vero, l'accordo in sé non configura una licenza, concessa all'Iran, di dotarsi di un arsenale atomico. A rigore, l'Iran avrebbe potuto procurarselo anche senza l'avallo USA. Il punto fondamentale è che, da oggi, l'Iran è entrato a far parte della comunità dei "paesi per bene", e che questo è il primo passo per la formazione di una stabile alleanza USA-Iran.
Cosa cambia per il mondo? Non moltissimo, a dire il vero: semplicemente, non sentiremo più la nenia dell'imminente attacco all'Iran, di come l'Iran combatta l'imperialismo, di come la Siria sia sotto attacco, e altre demenziali sciocchezze. La sinistra "antimperialista" globale perde il suo principale, se non unico, argomento, e probabilmente sarà condannata a tacere per un po'. Tanto di guadagnato.
Cosa cambia per il mondo arabo? Tutto. Un Iran nucleare, per di più con avallo USA, significa né più nè meno l'instaurazione di una soffocante egemonia persiana nella regione, accompagnata dallo smantellamento degli Stati arabi da sempre bersaglio dell'Iran khomeinista: i principati petroliferi del Golfo persico. In particolare l'Arabia Saudita, con la sua minoranza sciita incidentelmente insediata proprio nella provincia petrolifera del regno, è semplicemente spacciata. Il Bahrein rischia l'annessione tout court. E anche il Qatar, che tanto ha trescato negli anni passati insieme al regime di Teheran e ai suoi alleati, probabilmente non riuscirà a salvarsi.
In quanto a Israele, essa si terrà ben stretta i territori palestinesi, e nessuna le torcerà mai più un capello, ma dovrà verosimilmente al ruolo di media potenza regionale a cui aspirava.
Il nuovo accordo Kerry-Zarif si annuncia ancora più devastante, per gli arabi, del famigerato patto Sykes-Picot. Ignoriamo quali possano essere le vie d'uscita da una situazione così nera. L'unica, magrissima consolazione è che su questo blog un simile esito era stato ampiamente previsto, fin dall'inizio, e che era stata proprio questa chiave di lettura a farci comprendere che in Siria non ci sarebbe mai stato un attacco occidentale, e che in generale gli USA non lavoravano al rovesciamento di Assad. Chissà se i tanti nostri detrattori, tutti finissimi esperti di geopolitica, avranno il buon gusto di venire qui ad ammettere che avevano torto. (C.M.)
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giovedì 21 novembre 2013
Internazionalismo 0.0
Troviamo in rete un notevole articolo a firma di Giulietto Chiesa, e ne constatiamo i toni sorprendentemente duri, al limite (anzi, oltre il limite) dell'insulto. "Schizzi di stupidità", "robaccia di scarto", "gramigna, spazzatura, rifiuti". Ecco gli epiteti che Chiesa riserva agli oppositori dell'Euro. Mai nessuno dei Marescialli del PUDE (che pure sappiamo essere usi alla menzogna, che è una forma di violenza) aveva finora adoperato un simile linguaggio.
Ma sorvoliamo (bontà nostra) sulla forma, e concentriamoci sulla sostanza. Chiesa dice di volere un'Europa democratica e solidale, giusta e pacifica. Grazie tante, chi non la vorrebbe. Dopodiché chiarisce che la vorrebbe anche abbastanza forte per contare nell'arena mondiale. "Nessuno dei nemici giurati dell'Europa e dell'euro dice queste cose" conclude Chiesa, probabilmente perché si tratta di nazionalisti xenofobi che vogliono "un'Europa fatta di staterelli più o meno grandi, che chiudono le frontiere interne, che cominciano a disputarsi territori contesi, che deportano gl'immigrati, che segregano le minoranze etniche e linguistiche al loro interno".
Ora, qui sono almeno tre cose che non vanno.
- Chiesa crede negli Stati Uniti d'Europa. Ciò lo pone in ritardo di almeno un secolo. Chi segue il percorso politico di Chiesa sa che lui vorrebbe un'Europa un po' più vicina a Putin, alla Cina e all'Iran, e un po' più lontana dagli USA e da Israele. Un progetto squisitamente geopolitico dunque, e in quanto tale destinato alle élite (a meno che non si creda che i lavoratori siano pronti a lottare per la costruzione di un nuovo polo geopolitico). Non si capisce però su quali élite una simile costruzione dovrebbe poggiare. Le classi dirigente europee sono tutte fortissimamente filo-USA, e tutto hanno in mente tranne cercare di costruire un nuovo ordine mondiale.
- Chiesa vuole cambiare i Trattati europei, così da costruire l'Europa "buona". Ma non indica la strada da seguire per arrivare a quel cambiamento. Eliminando a priori l'uscita dall'Euro, sottrae alla sua stessa piattaforma politica l'unico mezzo di pressione concretamente esercitabile, condannandosi alla demagogia.
- Chiesa si sbaglia. È vero che ci sono vari fascisti e altre schifezze che predicano l'uscita dall'Euro, anche in Italia. Tuttavia, il nostro sa benissimo che ci sono parecchi soggetti che si oppongono all'Euro da posizioni democratiche e progressiste. Lo stesso Bagnai, vero bersaglio di questo articolo, è europeista e per nulla xenofobo, come sa qualunque suo lettore. In quanto a noi, tutti i nostri lettori possono capire quanto sia assurdo assimilare le nostre posizioni a quelle della destra xenofob.
L'articolo ha ricevuto 19 (finora) commenti da 19 persone diverse. È un numero superiore alla media dei commenti di quel sito. Tra questi troviamo due apprezzamenti, una critica, e sedici sberleffi. Leggere per credere.
Un'accoglienza così rovinosa per un articolo è abbastanza insolita, tanto più sul sito curato direttamente dall'autore dell'articolo (ecco cosa si dice su altri siti). Il che pare autorizzare una conclusione: Chiesa sta perdendo, o ha già perso, il consenso del proprio pubblico.
Viene da chiedersi il perché. Avanzo un'ipotesi. Giulietto Chiesa, come molti altri, predica il cambiamento, la difesa dei diritti, la giustizia sociale, ecc ecc. I suoi lettori ne condividono la visione del mondo. Discorsi simili vengono fatti anche da personaggi come Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Gustavo Zagrebelsky; in una parola gli organizzatori della manifestazione del 12 ottobre. Tuttavia, questi ultimi partivano dal presupposto che l'Euro non debba essere messo in discussione. Invece la principale organizzazione che ha contribuito alle manifestazione del 18-19 ottobre, il sindacato USB, parlava di rompere con l'Unione Europea.
Come siano andate le cose è noto. La manifestazione del 12 è scivolata nel nulla, come se non fosse mai avvenuta: non ha avuto alcun impatto politico percepibile. Quella del 18-19 ha occupato la scena dei media per giorni, e in molti ambienti la si descrive con un evento di svolta. Ciò è stato determinato dalle posizioni di alcuni organizzatori in tema di UE? Certo che no. Queste posizioni, e i diversi esiti delle due manifestazioni, sono due effetti della medesima causa: la coerenza imposta dalla radicalità. Quando si affermano certe cose con serietà, convinzione e la giusta dose di intransigenza, è naturale accogliere tutte le implicazioni logiche di quanto si dice.
Nello specifico, se si afferma di volere, senza compromessi, difendere i diritti e la giustizia sociale, e si riconosce (e tutti lo riconoscono!) che l'Euro le minaccia entrambe, allora segue logicamente che è necessario combattere l'Euro. As simple as that. Chi è radicale nella difesa di certi valore non ammette deviazioni dal percorso logico su descritto. La radicalità e la coerenza premiano chi le fa proprie, ed è abbastanza evidente che la manifestazione del 18-19 ottobre è stata percepita come molto più radicale e coerente di quella del 12.
La mancanza di radicalità e coerenza, sia in Chiesa sia in Rodotà e simili, si riflette dapprima sulle posizioni ambigue nei riguardi dell'Europa, e poi, quando "si viene al dunque", nella difesa sperticata dell'UE. Evidentemente la difesa dei diritti e della giustizia sociale non è il primo e irrinunciabile pensiero di Rodotà e Chiesa; nel caso di quest'ultimo, il primo pensiero è costruire la fantomatica "Europa dei popoli" in funzione anti-americana. Non si tratta, come è stato scritto qualcuno, di Internazionalismo 2.0. Questo è Internazionalismo 0.0. (C.M.)
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martedì 19 novembre 2013
Ore decisive per Genova/2
Oggi a Genova è sciopero a oltranza dei lavoratori del servizio di trasporto pubblico.
Questi lavoratori, che si oppongono all privatizzazione della loro Azienda, saranno oggi (ore 14) presenti alla seduta del consiglio comunale che dovrebbe decidere sulla loro sorte. Ci andranno in compagnia dei dipendenti della locale azienda di raccolta e trattamento dei rifiuti, di quella dedicata alla manutenzione e alla cura del verde cittadino, e di altre realtà economiche ancora a capitale pubblico.
L'ingresso dei privati nel servizio di trasporto è già avvenuto, a Genova, in anni passati, ed è già fallito; i privati si sono ritirati, lasciando una voragine nei conti dell'Azienda.
Siamo solidali con i lavoratori che, difendendo i propri diritti e le proprie condizioni di vita, tutelano i beni comuni e il patrimonio di tutta la cittadinanza.
Questi lavoratori, che si oppongono all privatizzazione della loro Azienda, saranno oggi (ore 14) presenti alla seduta del consiglio comunale che dovrebbe decidere sulla loro sorte. Ci andranno in compagnia dei dipendenti della locale azienda di raccolta e trattamento dei rifiuti, di quella dedicata alla manutenzione e alla cura del verde cittadino, e di altre realtà economiche ancora a capitale pubblico.
L'ingresso dei privati nel servizio di trasporto è già avvenuto, a Genova, in anni passati, ed è già fallito; i privati si sono ritirati, lasciando una voragine nei conti dell'Azienda.
Siamo solidali con i lavoratori che, difendendo i propri diritti e le proprie condizioni di vita, tutelano i beni comuni e il patrimonio di tutta la cittadinanza.
domenica 17 novembre 2013
Lo si sa da molto tempo
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per il mantenimento della supremazia economica. (...) Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei...
Ma a qual fine? Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme i diritti sociali in Europa, e per conservare tutti insieme il primato sulla Cina e i paesi emergenti , che sono molto lesi
dall'attuale distribuzione del potere politico internazionale e che, negli ultimi dieci anni, si sono rafforzati con rapidità incomparabilmente
maggiore dell'Europa (...), la quale comincia a
putrefarsi per senilità. In confronto alla Cina
l'Europa, nel suo insieme, rappresenta la stasi economica. Sulla base
economica attuale, ossia in regime capitalistico, gli Stati Uniti
d'Europa significherebbero l'organizzazione della reazione per frenare
lo sviluppo più rapido dei paesi emergenti.
Chi lo ha scritto? Vladimir Lenin.
Un secolo fa.
Basta sostituire qualche parola.
Chi lo ha scritto? Vladimir Lenin.
Un secolo fa.
Basta sostituire qualche parola.
sabato 16 novembre 2013
Fatti nuovi
La spaccatura nel Pdl, con la nascita della nuova Forza Italia e di un raggruppamento di destra cosiddetta "moderata", apre nuovi scenari. E' facile pensare che, se la spaccatura è autentica come sembra, la nuova Forza Italia sarà portata ad assumere posizioni in qualche modo analoghe a quelle del Front National di Marine Le Pen. I nuovi scenari aperti da questa prospettiva presentano aspetti inquietanti, ma, se si realizzassero, rappresenterebbero un notevole rimescolamento politico, di cui tenere conto attentamente. Staremo a vedere.
(M.B.)
(M.B.)
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venerdì 15 novembre 2013
L'Europa combatte sé stessa
La principale giustificazione del progetto di annessione europea è la seguente: creando il super-Stato noi europei riusciremo a difendere le nostre rendite di posizione a scapito dell'avanza dei paesi emergenti. Questi infatti crescono troppo, sia dal punto di vista economico sia da quello politico, e noi dobbiamo fare tutti insieme muro contro di loro, o saremo travolti.
Tuttavia, l'unica cosa che sarebbe davvero sensato tentare di difendere, almeno per noi europei, non è la preminenza dell'Occidente, ma la sopravvivenza della Civiltà Occidentale.
Ora, è interessante notare come, mentre in Europa la Civiltà Occidentale dà segni di evidente declino (un buon esempio è questo), gran parte del quale derivato dalle stesse conseguenze del processo eurounitario (altro esempio), il campione indiscusso dei paesi emergenti, la Cina, mostra di voler abbracciare i principi della Civiltà Occidentale.
E così, mentre molti paesi di recente sviluppo raccolgono i frutti della nostra Civiltà, anche se gradualmente e non senza contraddizioni, noi quei frutti li consideriamo come un peso che non possiamo più permetterci. Il legame tra diritti sociali e diritti civili è evidente, e abolendo i primi erodiamo i secondi. In Cina invece (ma non solo) stanno costruendo, a fatica e in tempi non brevi, un nuovo Stato sociale e un nuovo Stato di diritto. E noi ci uniamo per contrastarli.
Queste considerazioni dovrebbero anche l'idea dell'occasione che abbiamo perso in quanto europei: il nostro continente è uno dei pochissimi luoghi del mondo dove alla eguaglianza delle opportunità e alla giustizia sociale si sono accompagnate, senza troppe contraddizioni, la prosperità economica e la libertà politica. Una smentita vivente del liberismo, per il quale giustizia sociale e eguaglianza sono nemiche della crescita economica e della libertà degli individui. Noi avremmo potuto essere ispirazione e modello per tutto il mondo uscito dalla guerra fredda. Invece di difendere il modello sociale europeo, condividendolo con gli altri paesi, abbiamo deciso di smantellarlo, proprio per fare la guerra (commerciale) a quei paesi.
Stanti così le cose, l'Europa non ha più nulla da dire al mondo, se non "spread", "competitività", "riforme". Il futuro non abita più qui. (C.M.)
Tuttavia, l'unica cosa che sarebbe davvero sensato tentare di difendere, almeno per noi europei, non è la preminenza dell'Occidente, ma la sopravvivenza della Civiltà Occidentale.
Ora, è interessante notare come, mentre in Europa la Civiltà Occidentale dà segni di evidente declino (un buon esempio è questo), gran parte del quale derivato dalle stesse conseguenze del processo eurounitario (altro esempio), il campione indiscusso dei paesi emergenti, la Cina, mostra di voler abbracciare i principi della Civiltà Occidentale.
E così, mentre molti paesi di recente sviluppo raccolgono i frutti della nostra Civiltà, anche se gradualmente e non senza contraddizioni, noi quei frutti li consideriamo come un peso che non possiamo più permetterci. Il legame tra diritti sociali e diritti civili è evidente, e abolendo i primi erodiamo i secondi. In Cina invece (ma non solo) stanno costruendo, a fatica e in tempi non brevi, un nuovo Stato sociale e un nuovo Stato di diritto. E noi ci uniamo per contrastarli.
Queste considerazioni dovrebbero anche l'idea dell'occasione che abbiamo perso in quanto europei: il nostro continente è uno dei pochissimi luoghi del mondo dove alla eguaglianza delle opportunità e alla giustizia sociale si sono accompagnate, senza troppe contraddizioni, la prosperità economica e la libertà politica. Una smentita vivente del liberismo, per il quale giustizia sociale e eguaglianza sono nemiche della crescita economica e della libertà degli individui. Noi avremmo potuto essere ispirazione e modello per tutto il mondo uscito dalla guerra fredda. Invece di difendere il modello sociale europeo, condividendolo con gli altri paesi, abbiamo deciso di smantellarlo, proprio per fare la guerra (commerciale) a quei paesi.
Stanti così le cose, l'Europa non ha più nulla da dire al mondo, se non "spread", "competitività", "riforme". Il futuro non abita più qui. (C.M.)
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mercoledì 13 novembre 2013
L'idea della moneta comune fa proseliti/5
Enrico Grazzini, autore certo non nuovo a sortite anti-euro, scritte in uno stile tale da ingenerare il sospetto che tra le sue lettura più assidue vi sia proprio questo blog, sposa l'idea della moneta comune. Lo fa su Micromega, organo della sinistra liberal e da sempre ferreamente anti-berlusconiana. Fatti come questi dimostrano il potere di "penetrazione" nel campo dell'opinione di sinistra di cui è dotata la proposta della moneta comune. Sarebbe il caso di rifletterci. Ricordate il sondaggio di Scenari Economici? Quello che mostra come il consenso all'Euro si aggiri tra l'80 e il 90% dell'elettorato di sinistra? Ebbene, bisognerebbe interrogarsi sulle modalità pratiche di sfaldamento di un consenso apparentemente inscalfibile. La proposta della moneta comune è in grado di "fare breccia" in quell'ambiente, portando su posizioni razionali e condivisibili gran parte di quelli che non si decidono ad aprire gli occhi sulla situazione attuale, e che tuttavia votano. Pensiamoci. (C.M.)
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martedì 12 novembre 2013
Furio Colombo VS Voltaire
Eccezionale articolo di Furio Colombo, che cerca di spiegare perché è giusto mandare in galera chi esprime opinioni o compie ricerche di segno nagazionista e revisionista, in aperta violazione della Carta Europea dei Diritti (art. 11 e 13). Eccezionale per la povertà di argomenti e per la squisita malafede che lo pervade.
Preso atto che i più importanti storici italiani sono contrari all'imposizione della verità di Stato, il nostro cerca di trovare un'appiglio nell'incerta opinione dell'unica studiosa che evidentemente gli dà retta, Liliana Picciotti: "Non so quale sia la formula giuridica per fermare i negazionisti. Mi rendo conto che una legge potrebbe essere inefficace. Eppure avrebbe un forte valore simbolico". Affermazione del tutto arbitraria, visto che sarebbe altrettanto plausibile sostenere che, invece della lotta all'antisemitismo, la nuova legge potrebbe simboleggiare la censura per le opinioni non "in linea". Comunque, il nostro prende le parole della Picciotti e le usa come punto di partenza per un deciso salto lirico:
"Fatalmente è imperfetto e inadeguato ogni strumento che si oppone a progetti di sterminio degli esseri umani o progetti che negano, dopo che quello sterminio sia mai avvenuto, perché non lo rimpiangono e perché, persino inconsapevolmente, non vedono dove sia lo scandalo. Dunque non resta che uno sbarramento istituzionale, alto e simbolico perché anche sulla marea, che sale e si espande, dell’antisemitismo, ci sia un faro acceso che indichi un punto irremovibile".
Mandare qualcuno in galera per affermare un simbolo può, comprensibilmente, suscitare orrore e inquietudine nelle persone sane di mente; va detto però che il diritto penale abbia anche una funzione simbolica è risaputo da tempo. Il codice penale è il prezzario dei valori sociali, diceva lo Jhering. A ben vedere però, la funzione che Colombo affida alla criminalizzazione del negazionismo non è semplicemente simbolica; egli la pone al servizio di una determinata strategia politica e ideologica. Vediamo infatti quale sia il punto illuminato dal faro acceso dal nostro:
"Se non fosse legalmente condannata, la negazione della Shoah (che, dimostra l’esperienza, si trasforma subito in “denuncia dell’imbroglio”) seguirebbe (già accade) la negazione della legittimità dello Stato di Israele(...)e si griderebbe, neonazisti e sinistre insieme, che Israele se ne deve andare, perché fondato sulle false lacrime della Shoah".
Ed ecco che tutto si spiega! La criminalizzazione del negazionismo non è volta a combattere l'antisemitismo, ma a cementare la percezione di legittimità di Israele, unico vero interesse di Colombo. Il quale con questo articolo dimostra tre cose:
Preso atto che i più importanti storici italiani sono contrari all'imposizione della verità di Stato, il nostro cerca di trovare un'appiglio nell'incerta opinione dell'unica studiosa che evidentemente gli dà retta, Liliana Picciotti: "Non so quale sia la formula giuridica per fermare i negazionisti. Mi rendo conto che una legge potrebbe essere inefficace. Eppure avrebbe un forte valore simbolico". Affermazione del tutto arbitraria, visto che sarebbe altrettanto plausibile sostenere che, invece della lotta all'antisemitismo, la nuova legge potrebbe simboleggiare la censura per le opinioni non "in linea". Comunque, il nostro prende le parole della Picciotti e le usa come punto di partenza per un deciso salto lirico:
"Fatalmente è imperfetto e inadeguato ogni strumento che si oppone a progetti di sterminio degli esseri umani o progetti che negano, dopo che quello sterminio sia mai avvenuto, perché non lo rimpiangono e perché, persino inconsapevolmente, non vedono dove sia lo scandalo. Dunque non resta che uno sbarramento istituzionale, alto e simbolico perché anche sulla marea, che sale e si espande, dell’antisemitismo, ci sia un faro acceso che indichi un punto irremovibile".
Mandare qualcuno in galera per affermare un simbolo può, comprensibilmente, suscitare orrore e inquietudine nelle persone sane di mente; va detto però che il diritto penale abbia anche una funzione simbolica è risaputo da tempo. Il codice penale è il prezzario dei valori sociali, diceva lo Jhering. A ben vedere però, la funzione che Colombo affida alla criminalizzazione del negazionismo non è semplicemente simbolica; egli la pone al servizio di una determinata strategia politica e ideologica. Vediamo infatti quale sia il punto illuminato dal faro acceso dal nostro:
"Se non fosse legalmente condannata, la negazione della Shoah (che, dimostra l’esperienza, si trasforma subito in “denuncia dell’imbroglio”) seguirebbe (già accade) la negazione della legittimità dello Stato di Israele(...)e si griderebbe, neonazisti e sinistre insieme, che Israele se ne deve andare, perché fondato sulle false lacrime della Shoah".
Ed ecco che tutto si spiega! La criminalizzazione del negazionismo non è volta a combattere l'antisemitismo, ma a cementare la percezione di legittimità di Israele, unico vero interesse di Colombo. Il quale con questo articolo dimostra tre cose:
- Che non ha molta fiducia nelle capacità dello sionismo di conquistare una autentica simpatia politica tra i cittadini;
- Che per giustificare l'esistenza di Israele si sente costretto a rifarsi alla folle mitologia della "compensazione", secondo la quale gli ebrei hanno diritto di occupare le terre dei palestinesi perché i tedeschi li hanno sterminati;
- Che l'ex-Senatore Colombo ha una così spiccata coscienza liberale e adesione agli ideali dello Stato di Diritto da non esitare a porre il diritto penale al servizio di una sfacciata operazione ideologica. Un vero "uso politico della Giustizia". (C.M.)
lunedì 11 novembre 2013
L'Unione Europea cancella il Parlamento italiano
È l'unico commento che si può fare di fronte a notizie del genere. (C.M.)
domenica 10 novembre 2013
Avevamo ragione noi...
...ovviamente.
Certo, se ne erano accorti anche altri. E del resto, sarebbe stato del tutto impossibile. L'Unione Europea non ha competenze in campo penale. O meglio: secondo l'art. 4, par. 2, lettera j), TFUE, all'Unione è affidata la competenza (non esclusiva) "spazio di libertà, sicurezza e giustizia". Tale competenza si articola in una serie di norme, contenute nel Titolo V del Trattato, che si occupano principalemente di questioni di giurisdizione e di reciproco riconoscimento delle sentenza. Vediamo le norme che potrebbero interessarci:
È dunque evidente che l'ambito a cui fa riferimento la legge greca non può essere quello della cooperazione giudiziaria; infatti è quello della cooperazione internazionale. Il testo incriminato rimanda alle "misure restrittive" decise in ambito UE. E guardate un po':
E se anche, per un qualche fantascientifico caso, venisse approvata una norma UE che riguarda i reati d'opinione, essa non costituirebbe solo una violazione del riparto di competenza Stati-UE, ma persino una violazione della sostanza del diritto dei Trattati; di questi fa parte integrante anche la Carta di Nizza, la quale statuisce, negli articoli 10-11-12-13, la libertà di professare il proprio pensiero e la propria opinione, di propagandarlo, di ricevere qualsiasi informazione, di riunirsi ed associarsi, senza limiti di alcun genere; anche la Libertà Accademica è rispettata (il che potrebbe creare dei problemi all'inaccorto legislatore italiano). Del resto la stessa UE è firmataria della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che all'art. 9-10-11 contiene disposizioni molto simili (anche se meno garantiste). La Corte di Giustizia della UE è competente ad annullare ogni atto europeo che contrasti i Trattati. Sarebbe fin troppo facile per un qualsiasi avvocato impallinare una norma simile a quella alcuni bloggers italiani hanno immaginato.
Il caso dunque è chiuso. Bufala era, bufala rimane. Né vale il principio che, interpretando estensivamente, si potrebbe far ricadere nelle previsioni della legge greca anche l'espressione di opinioni, perché in Grecia, come in tutta Europa, il diritto penale non ammette l'analogia. (C.M.)
(Già che ci siamo, precisiamo una cosa. Il link contenuto nell'articolo di Bagnai non porta ad un qualche atto legislativo europeo. Che l'Europa avesse messo fuori legge il comunismo era una bufalina già circolata in rete qualche tempo fa, senza però generare grande clamore. Il testo linkato è un elaborato di un'associazione privata, e quel testo ha lo stesso valore giuridico dei post che trovate su questo blog. È stato inviato al Parlamento Europeo, come tantissimi altri documenti sugli argomenti più disparati; non c'è alcuna possibilità che venga approvato, visto che il Parlamento non ha il potere di iniziativa legislativa. Il perseguimento delle opinioni politiche comuniste o "totalitariste" è un problema reale, da anni, in Europa Orientale. Ma questa vicenda, con tutta probabilità, non troverà un esito a livello europeo.)
Certo, se ne erano accorti anche altri. E del resto, sarebbe stato del tutto impossibile. L'Unione Europea non ha competenze in campo penale. O meglio: secondo l'art. 4, par. 2, lettera j), TFUE, all'Unione è affidata la competenza (non esclusiva) "spazio di libertà, sicurezza e giustizia". Tale competenza si articola in una serie di norme, contenute nel Titolo V del Trattato, che si occupano principalemente di questioni di giurisdizione e di reciproco riconoscimento delle sentenza. Vediamo le norme che potrebbero interessarci:
Art 75: (...) per quanto riguarda la prevenzione e la lotta contro il terrorismo e le attività connesse, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, definiscono un insieme di misure amministrative concernenti i movimenti di capitali e i pagamenti, quali il congelamento deicapitali, dei beni finanziari o dei proventi economici appartenenti, posseduti o detenuti da persone fisiche o giuridiche, da gruppi o da entità non statali.non era quanto vi dicevo? E questo non c'entra, e non può c'entrare, coi reati d'opinione.
Emanare direttive che concernono "norme minime relative alla definizione dei reati" non significa introdurre nuove fattispecie incriminatrici, ma fornire indicazioni sul modo migliore di "descrivere" delle condotte che sono GIÀ punite negli ordinamenti nazionali. Il Consiglio europeo può individuare altre sfere di criminalità, oltre a quelle su nominate (distanti anni luce dai reati d'opinione), ma l'eventualità che lo faccia è remotissima, perché dovrebbe deliberare all'unanimità.Art 83: Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.
È dunque evidente che l'ambito a cui fa riferimento la legge greca non può essere quello della cooperazione giudiziaria; infatti è quello della cooperazione internazionale. Il testo incriminato rimanda alle "misure restrittive" decise in ambito UE. E guardate un po':
TITOLO IV: MISURE RESTRITTIVE
Articolo 215 (ex articolo 301 del TCE)
Dove sembra evidente che tali "persone" debbano comunque essere cittadini di paesi terzi. Come è facile vedere, la legge greca non fa altro che iterare il disposto del Trattato.
1. Quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo V del trattato sull'Unione europea prevede l'interruzione o la riduzione, totale o parziale, delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta congiunta dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, adotta le misure necessarie. Esso ne informa il Parlamento europeo.
2. Quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo V del trattato sull'Unione europea lo prevede, il Consiglio può adottare, secondo la procedura di cui al paragrafo 1, misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, di gruppi o di entità non statali.
E se anche, per un qualche fantascientifico caso, venisse approvata una norma UE che riguarda i reati d'opinione, essa non costituirebbe solo una violazione del riparto di competenza Stati-UE, ma persino una violazione della sostanza del diritto dei Trattati; di questi fa parte integrante anche la Carta di Nizza, la quale statuisce, negli articoli 10-11-12-13, la libertà di professare il proprio pensiero e la propria opinione, di propagandarlo, di ricevere qualsiasi informazione, di riunirsi ed associarsi, senza limiti di alcun genere; anche la Libertà Accademica è rispettata (il che potrebbe creare dei problemi all'inaccorto legislatore italiano). Del resto la stessa UE è firmataria della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che all'art. 9-10-11 contiene disposizioni molto simili (anche se meno garantiste). La Corte di Giustizia della UE è competente ad annullare ogni atto europeo che contrasti i Trattati. Sarebbe fin troppo facile per un qualsiasi avvocato impallinare una norma simile a quella alcuni bloggers italiani hanno immaginato.
Il caso dunque è chiuso. Bufala era, bufala rimane. Né vale il principio che, interpretando estensivamente, si potrebbe far ricadere nelle previsioni della legge greca anche l'espressione di opinioni, perché in Grecia, come in tutta Europa, il diritto penale non ammette l'analogia. (C.M.)
(Già che ci siamo, precisiamo una cosa. Il link contenuto nell'articolo di Bagnai non porta ad un qualche atto legislativo europeo. Che l'Europa avesse messo fuori legge il comunismo era una bufalina già circolata in rete qualche tempo fa, senza però generare grande clamore. Il testo linkato è un elaborato di un'associazione privata, e quel testo ha lo stesso valore giuridico dei post che trovate su questo blog. È stato inviato al Parlamento Europeo, come tantissimi altri documenti sugli argomenti più disparati; non c'è alcuna possibilità che venga approvato, visto che il Parlamento non ha il potere di iniziativa legislativa. Il perseguimento delle opinioni politiche comuniste o "totalitariste" è un problema reale, da anni, in Europa Orientale. Ma questa vicenda, con tutta probabilità, non troverà un esito a livello europeo.)
sabato 9 novembre 2013
Su Nazismo e Revisionismo
Ripropongo un testo che risale alla metà degli anni Novanta, ed è stato pubblicato in "Ricercando la comune verità" (edizioni CRT, Pistoia 1999). Il tema mi sembra sempre attuale, visto che l'immagine del nazismo come "male assoluto" resta uno degli aspetti ideologici di fondo del nostro tempo, almeno nei paesi occidentali. All'epoca la mia riflessione su questi temi era ad uno stato iniziale, alcuni temi mi sembrano oggi meno importanti, ma penso di potermi ancora riconoscere nelle tesi di fondo di questo scritto.
(M.B.)
Precisazione (16/11/13): in questo blog discutiamo di nazismo e negazionismo. Non discutiamo né con i nazisti né con i negazionisti. Eventuali commenti dai quali emergano comprensione e sintonia per l'ideologia nazista o per le tesi negazioniste non verranno pubblicati.
Tesi 1. L'essenza dell'orrore nazista non è l'ebreicidio. Essa consiste piuttosto nell'organizzazione sistematica, razionale, tecnologica, del disprezzo verso l'essere umano, della riduzione di uomini e donne a esseri inferiori.
La "deumanizzazione dell'altro" è naturalmente sempre esistita nella storia umana, dai rapporti fra le tribù primitive allo schiavismo del mondo classico al colonialismo europeo. Ciò che il nazismo vi aggiunge di nuovo è l'organizzazione burocratica e l'efficienza tecnologica tipiche di uno stato moderno; con l'effetto di rendere l'opera di asservimento e sterminio contemporaneamente più impersonale e più efficace.
L'organizzazione sistematica dello sterminio totale del popolo ebraico da parte dei nazisti è un dato di fatto accertato dalla ricerca storica. Ci opponiamo quindi alle tesi "negazioniste" che intendono appunto negare questo dato di fatto. Ma ci opponiamo anche alle tesi di chi sostiene che tale sterminio totale, progettato e in parte attuato dal nazismo, fa di quest'ultimo un evento del tutto unico nella storia umana, un assoluto di orrore imparagonabile a qualsiasi realtà precedente. Quest'ultima tesi, che chiameremo "tesi dell'orrore assoluto", sembra dominante nell'opinione pubblica occidentale. Poiché ci opponiamo ad essa, e proponiamo la revisione dell'immagine del nazismo che sembra maggioritaria, possiamo accettare per le nostre tesi la qualifica di "revisioniste".
Tesi 2. La deumanizzazione consiste nel rifiutarsi di riconoscere alcuni esseri umani come tali, riducendoli quindi allo stato di bestie, insetti, cose. Le sorte decisa per questi esseri può variare molto a seconda dei casi, dallo sterminio alla riduzione in schiavitù fino al riconoscimento di qualche garanzia, per quanto all'interno di uno status di non piena umanità. Resta comunque il fatto che la mossa fondamentale è la prima, la deumanizzazione. E' questa che rende concepibile lo sterminio.
Non si possono quindi opporre, come fossero realtà essenzialmente diverse, lo sterminio totale previsto per gli ebrei all'articolazione di sterminio parziale e riduzione in schiavitù progettati dai nazisti per le popolazioni slave dell'Est: entrambe le strategie sono infatti frutto della stessa premessa, la deumanizzazione, e sono articolate all'interno della stessa opera di organizzazione sistematica della deumanizzazione stessa.
(M.B.)
Precisazione (16/11/13): in questo blog discutiamo di nazismo e negazionismo. Non discutiamo né con i nazisti né con i negazionisti. Eventuali commenti dai quali emergano comprensione e sintonia per l'ideologia nazista o per le tesi negazioniste non verranno pubblicati.
Undici Tesi su
Nazismo e Revisionismo
Tesi 1. L'essenza dell'orrore nazista non è l'ebreicidio. Essa consiste piuttosto nell'organizzazione sistematica, razionale, tecnologica, del disprezzo verso l'essere umano, della riduzione di uomini e donne a esseri inferiori.
La "deumanizzazione dell'altro" è naturalmente sempre esistita nella storia umana, dai rapporti fra le tribù primitive allo schiavismo del mondo classico al colonialismo europeo. Ciò che il nazismo vi aggiunge di nuovo è l'organizzazione burocratica e l'efficienza tecnologica tipiche di uno stato moderno; con l'effetto di rendere l'opera di asservimento e sterminio contemporaneamente più impersonale e più efficace.
L'organizzazione sistematica dello sterminio totale del popolo ebraico da parte dei nazisti è un dato di fatto accertato dalla ricerca storica. Ci opponiamo quindi alle tesi "negazioniste" che intendono appunto negare questo dato di fatto. Ma ci opponiamo anche alle tesi di chi sostiene che tale sterminio totale, progettato e in parte attuato dal nazismo, fa di quest'ultimo un evento del tutto unico nella storia umana, un assoluto di orrore imparagonabile a qualsiasi realtà precedente. Quest'ultima tesi, che chiameremo "tesi dell'orrore assoluto", sembra dominante nell'opinione pubblica occidentale. Poiché ci opponiamo ad essa, e proponiamo la revisione dell'immagine del nazismo che sembra maggioritaria, possiamo accettare per le nostre tesi la qualifica di "revisioniste".
Tesi 2. La deumanizzazione consiste nel rifiutarsi di riconoscere alcuni esseri umani come tali, riducendoli quindi allo stato di bestie, insetti, cose. Le sorte decisa per questi esseri può variare molto a seconda dei casi, dallo sterminio alla riduzione in schiavitù fino al riconoscimento di qualche garanzia, per quanto all'interno di uno status di non piena umanità. Resta comunque il fatto che la mossa fondamentale è la prima, la deumanizzazione. E' questa che rende concepibile lo sterminio.
Non si possono quindi opporre, come fossero realtà essenzialmente diverse, lo sterminio totale previsto per gli ebrei all'articolazione di sterminio parziale e riduzione in schiavitù progettati dai nazisti per le popolazioni slave dell'Est: entrambe le strategie sono infatti frutto della stessa premessa, la deumanizzazione, e sono articolate all'interno della stessa opera di organizzazione sistematica della deumanizzazione stessa.
giovedì 7 novembre 2013
L'Euro potrebbe tenere
Sul sito Scenari Economici, dove già era apparso questo importante sondaggio*, sono stati pubblicati i risultati di un'interessantissima simulazione, avente ad oggetto gli effetti, sui principali indicatori economici degli Stati dell'Euro, della rottura, o del mantenimento, della moneta unica. Ciò che rende davvero intrigante questo studio è che non ci si limita a prendere in considerazione l'alternativa secca Euro sì-Euro no, ma si compie una previsione relativamente ad un terzo scenario: quello del mantenimento dell'Euro, nel quadro di un'espansione dei redditi dei paesi Core (i paesi del Centro, cioè Germania e satelliti vari). Sappiamo, o dovremmo sapere, che la crisi dell'Euro è dovuta in primo luogo agli squilibri delle partite correnti tra gli Stati membri, e l'austerità non è che un modo di correggere questi squilibri, ponendo l'intero costo dell'operazione a carico del debitore. Se la Germania facesse crescere i salari e le pensioni, prestasse meno attenzione ai vincoli di bilancio pubblico, e in generale facesse crescere il potere d'acquisto dei suoi cittadini, a parziale detrimento della competitività delle sue imprese, ciò significherebbe che anche il paese creditore per eccellenza si sta facendo carico dei costi del riequilibrio. In fondo, il meccanismo della Moneta Comune non fa che istituzionalizzare un'analoga dinamica "simmetrica" di riequilibrio.
Insomma, se la Germania compisse questa benedetta operazione, che effetto ne scaturirebbe sugli indicatori economici dei principali Stati europei? Ecco qua.
Mentre tenendosi l'Euro la disoccupazione rimarrebbe un problema per gli Stati del Sud (diminuirebbe lentamente, rimarrebbe stabile, in Italia addirittura crescerebbe), e in Germania continuerebbe a rimanere molto bassa, con la fine dell'Euro in Germania la disoccupazione raddoppierebbe; parallelamente, i dati del Sud conoscerebbero un netto miglioramento. Il "terzo scenario" di cui sopra terrebbe bassa la disoccupazione tedesca, ma non a scapito di quella del Sud.
Insomma, se la Germania compisse questa benedetta operazione, che effetto ne scaturirebbe sugli indicatori economici dei principali Stati europei? Ecco qua.
Mentre tenendosi l'Euro la disoccupazione rimarrebbe un problema per gli Stati del Sud (diminuirebbe lentamente, rimarrebbe stabile, in Italia addirittura crescerebbe), e in Germania continuerebbe a rimanere molto bassa, con la fine dell'Euro in Germania la disoccupazione raddoppierebbe; parallelamente, i dati del Sud conoscerebbero un netto miglioramento. Il "terzo scenario" di cui sopra terrebbe bassa la disoccupazione tedesca, ma non a scapito di quella del Sud.
martedì 5 novembre 2013
I mini-jobs all'italiana
Nella puntata di Ballarò del 22 ottobre scorso la trasmissione di
Giovanni Floris fece quello che probabilmente sarà ricordato come il
primo servizio giornalistico della sua storia: un'inchiesta sulla
diffusione dei mini-jobs in Germania. Andatela a cercare. È
molto interessante. La giornalista descrive quello dei mini-jobs come
un "meccanismo infernale", una specie di "tunnel",
"dal quale è difficile uscire". Il fatto è che la
retribuzione prevista da tali contratti è talmente ridicola (nella
maggior parte dei casi sotto i 500 euro al mese) da non garantire la
sussistenza del lavoratore che la riceve; conseguentemente, per
vivere, questi lavoratori hanno assoluto bisogno di percepire
tutta una serie di aiuti e sussidi da parte dello Stato, che
comprendono redditi di integrazione del misero salario, aiuti per il
pagamento dell'affitto, buoni per il mantenimento dei figli ecc ecc.
Ma per continuare a percepire tali sussidi, il lavoratore deve
dimostrare di meritarseli: in pratica, non può permettersi di
rifiutare alcuna offerta di lavoro, qualsiasi essa sia, altrimenti
perde il sussidio; e lo Stato, dal canto suo, può permettersi di
esercitare un controllo invasivo e paternalista sui percettori dei
sussidi, con un monitoraggio costante sulla situazione patrimoniale,
sui movimenti di capitale, addirittura sulle abitudini di vita. Il
lavoratore, che vede ridotto al minimo il suo potere contrattuale e
anche un po' la sua dignità, non rappresenta più un grave costo per
l'azienda. E così le imprese ricevono, di fatto, un
finanziamento pubblico, tanto che il giurista Luciano Barra
Caracciolo ha parlato di indebiti aiuti di Stato, che potrebbero
costituire una violazione dei Trattati europei da parte della
Germania. In ogni caso, questa tenaglia rappresentata dalla carota
dei sussidi e dal bastone dei mini-jobs aiuta a capire cosa intendano
i tedeschi per Economia Sociale di Mercato. Senza contare, poi, che i
sussidi, in ultima analisi, li pagano gli stessi lavoratori, nella
veste di contribuenti (le grandi imprese, dalle loro sedi a
Lussemburgo e nelle Isole Cayman, salutano affettuose).
Bene, l'ultima puntata della trasmissione Piazza Pulita, su La 7 il 4 novembre, ha svelato come molti geniali imprenditori italiani abbiano riprodotto, nelle loro aziende e nei loro distretti, condizioni quasi esattamente identiche a quelle tedesche. In via informale, ovviamente.
Il trucco è abbastanza semplice. I lavoratori vengono licenziati, o meglio messi in mobilità; lo Stato, o meglio le regioni, li iscrivono nei programmi della Cassa Integrazione in deroga; i lavoratori vengono poi riassunti, ma "al nero". I lavoratori percepiscono così lo stesso stipendio di prima, magari un po' ribassato, ma stavolta senza che l'imprenditore debba versare loro i contributi sociali (il che avrà effetti devastanti sul loro trattamento pensionistico), ma posso integrare questo magro trattamento retributivo con i denari della Cassa Integrazione. L'autosufficienza dei lavoratori è garantita dallo Stato, cioè dai contribuenti, e per l'impresa si materializza un vantaggio fiscale non indifferente.
Non è straordinario? È la via italiana ai mini-jobs, lastricata di furbizie e illegalità. Non a caso Lorenzo Bini Smaghi, presente nello studio della trasmissione, ha immediatamente riconosciuto le analogie sostanziali con il modello tedesco- beccandosi l'ovvia rampogna di Claudio Borghi.
Questa storia contiene diversi insegnamenti. Innanzitutto dimostra la differenza, nelle modalità pratiche di esercizio del potere, tra le élite tedesche (politiche ed economiche) e quelle italiane. Le prime dichiarano chiaramente quello che vogliono ottenere, e cercando raggiungerlo per vie legali e standardizzate. Le seconde invece non passano per la via maestra delle riforme e del cambiamento delle leggi, ma per quella della fantasia e della violazione delle regole. È questa un'importante questione antropologica. La questione politica è che, come questo caso (insieme a tanti altri) dimostra, euro e mercato unico europeo sono stati visti, dalle classi dirigenti italiane, come un ring sul quale competere con i tedeschi. Anche il mercantilismo italiano ha una sua tradizione, di cui la Legge Maroni-Biagi e la generalizzata tolleranza verso l'evasione fiscale non rappresentano che i più fulgidi esempi. Ma nel confronto con quello tedesco non c'è scampo per le nostre impres(in)e. (C.M.)
Bene, l'ultima puntata della trasmissione Piazza Pulita, su La 7 il 4 novembre, ha svelato come molti geniali imprenditori italiani abbiano riprodotto, nelle loro aziende e nei loro distretti, condizioni quasi esattamente identiche a quelle tedesche. In via informale, ovviamente.
Il trucco è abbastanza semplice. I lavoratori vengono licenziati, o meglio messi in mobilità; lo Stato, o meglio le regioni, li iscrivono nei programmi della Cassa Integrazione in deroga; i lavoratori vengono poi riassunti, ma "al nero". I lavoratori percepiscono così lo stesso stipendio di prima, magari un po' ribassato, ma stavolta senza che l'imprenditore debba versare loro i contributi sociali (il che avrà effetti devastanti sul loro trattamento pensionistico), ma posso integrare questo magro trattamento retributivo con i denari della Cassa Integrazione. L'autosufficienza dei lavoratori è garantita dallo Stato, cioè dai contribuenti, e per l'impresa si materializza un vantaggio fiscale non indifferente.
Non è straordinario? È la via italiana ai mini-jobs, lastricata di furbizie e illegalità. Non a caso Lorenzo Bini Smaghi, presente nello studio della trasmissione, ha immediatamente riconosciuto le analogie sostanziali con il modello tedesco- beccandosi l'ovvia rampogna di Claudio Borghi.
Questa storia contiene diversi insegnamenti. Innanzitutto dimostra la differenza, nelle modalità pratiche di esercizio del potere, tra le élite tedesche (politiche ed economiche) e quelle italiane. Le prime dichiarano chiaramente quello che vogliono ottenere, e cercando raggiungerlo per vie legali e standardizzate. Le seconde invece non passano per la via maestra delle riforme e del cambiamento delle leggi, ma per quella della fantasia e della violazione delle regole. È questa un'importante questione antropologica. La questione politica è che, come questo caso (insieme a tanti altri) dimostra, euro e mercato unico europeo sono stati visti, dalle classi dirigenti italiane, come un ring sul quale competere con i tedeschi. Anche il mercantilismo italiano ha una sua tradizione, di cui la Legge Maroni-Biagi e la generalizzata tolleranza verso l'evasione fiscale non rappresentano che i più fulgidi esempi. Ma nel confronto con quello tedesco non c'è scampo per le nostre impres(in)e. (C.M.)
lunedì 4 novembre 2013
Al Corriere, a volte, ragionano, a Repubblica no
L'ormai celebre editoriale di Eugenio Scalfari, nel quale si accusa Grillo di essere più o meno il nuovo Hitler, non ha scatenato soltanto la veemente reazione dei militanti 5 Stelle, ma anche una risposta da parte di un altro autorevole esponente del mainstream. Quando è troppo è troppo, e se gli argomenti che vengono impiegati nella difesa a oltranza dello Status Quo e della UE superano eccessivamente i confini della logica e della misura finiscono per nuocere alla stessa causa che dovrebbero sostenere. Ma andiamo con ordine.
Scalfari mescola critiche legittime (anche se iperboliche) all'autoritarismo di Grillo, con "argomenti" che dovrebbero far arrossire chi li adotta, come quando accusa Grillo di opporsi a tutti i partiti, a tutte le istituzioni, a tutti i ministri. E cosa dovrebbe fare un partito di opposizione, secondo il fondatore di Repubblica?
Il nostro poi si impegola in una riflessione (piuttosto sghemba) della "fine della privacy" nell'era di Internet, e poi arriva finalmente all'unico punto che veramente gli preme:
Un colossale Non Sequitur: siccome Grillo è cattivo e le "reti interconnesse" hanno cancellato la privacy, bisogna fare gli Stati Uniti d'Europa. Un'inferenza paragonabile a quella che facesse derivare la necessità di uscire con l'ombrello dal fatto che c'è un terremoto in Cornovaglia. Ovviamente la conclusione dell'editoriale non ha quasi nessun legame con il corpo dello stesso, ma poco importa; si dice che Catone concludesse qualsiasi ragionamento con il leitmotiv "e comunque Cartagine deve essere distrutta". Per Scalfari vale lo stesso. Gli Stati Uniti d'Europa si devono fare, al di là di qualsiasi argomentazione e plausibilità; la loro necessità è autoevidente, e se non sei d'accordo giù insulti. Ed ecco illustrato cosa intende Scalfari per dialettica democratica.
Un simile, vergognoso atteggiamente ha fatto alzare il sopracciglio persino ad Angelo Panebianco, che ha risposto, quasi punto per punto, allo sproloquio scalfariano (e il primo ad accorgersene è stato Marco Cattaneo, mi sembra). Panebianco è lucido e lapidario:
E ancora:
Se ne sono accorti! Alla lunga, non è possibile rimuovere il problema del crescente euroscetticismo con l'insulsa etichetta di "populismo". L'editorialista del Corriere sembra comprendere che se il mainstream continuerà a non degnare del minimo rispetto i propri oppositori, alla fine verrà coinvolto in una vera crisi di legittimità.
Putroppo però per chi, come Panebianco, sostiene nonostante tutto il progetto eurista, gli euro-fanatici alla Scalfari, nella loro tracotanza, almeno una ragione ce l'hanno: mentre gli argomenti a favore di Euro e UE sono pochi e gracili, quelli contro traboccano, sono tali e tanti da ricomprendere in essi l'intero spettro delle possibili posizioni politiche, potendo addirittura restituire senso a termini come Destra e Sinistra. In un confronto dialettica onesto e serrato, è facile prevedere chi avrebbe la meglio. Ecco perché gli euro-fanatici di Repubblica sono costretti a rifugiarsi nei Non Sequitur, abbandonando la lucidità che evidentemente al Corriere ancora conservano. (C.M.)
Scalfari mescola critiche legittime (anche se iperboliche) all'autoritarismo di Grillo, con "argomenti" che dovrebbero far arrossire chi li adotta, come quando accusa Grillo di opporsi a tutti i partiti, a tutte le istituzioni, a tutti i ministri. E cosa dovrebbe fare un partito di opposizione, secondo il fondatore di Repubblica?
Il nostro poi si impegola in una riflessione (piuttosto sghemba) della "fine della privacy" nell'era di Internet, e poi arriva finalmente all'unico punto che veramente gli preme:
Se per concludere andiamo dal più grande al meno grande, deriva da questa analisi la vitale importanza che l’Europa divenga al più presto uno Stato federale, l’euro non sia in nessun caso messo a rischio, gli strumenti politici europei si trasformino in strutture federali alle quali i governi, i Parlamenti, le Corti costituzionali, la Difesa, la politica estera dei singoli Stati trasferiscano i loro poteri.
Un colossale Non Sequitur: siccome Grillo è cattivo e le "reti interconnesse" hanno cancellato la privacy, bisogna fare gli Stati Uniti d'Europa. Un'inferenza paragonabile a quella che facesse derivare la necessità di uscire con l'ombrello dal fatto che c'è un terremoto in Cornovaglia. Ovviamente la conclusione dell'editoriale non ha quasi nessun legame con il corpo dello stesso, ma poco importa; si dice che Catone concludesse qualsiasi ragionamento con il leitmotiv "e comunque Cartagine deve essere distrutta". Per Scalfari vale lo stesso. Gli Stati Uniti d'Europa si devono fare, al di là di qualsiasi argomentazione e plausibilità; la loro necessità è autoevidente, e se non sei d'accordo giù insulti. Ed ecco illustrato cosa intende Scalfari per dialettica democratica.
Un simile, vergognoso atteggiamente ha fatto alzare il sopracciglio persino ad Angelo Panebianco, che ha risposto, quasi punto per punto, allo sproloquio scalfariano (e il primo ad accorgersene è stato Marco Cattaneo, mi sembra). Panebianco è lucido e lapidario:
È inutile, e controproducente, continuare a spendere vuota retorica a favore di una ipotesi di super Stato — gli Stati Uniti d’Europa — che probabilmente non nascerà mai e che, comunque, in questa fase storica, non interessa alla maggioranza degli europei.
E ancora:
(...) chi vuole mettere in sicurezza l’euro (e bisognerebbe fare il possibile per metterlo in sicurezza) ha l’onere di individuare soluzioni realistiche, accettabili per i diversi Stati nazionali, rinunciando alle solite fughe in avanti, rinunciando a perorare l’idea di un impossibile Stato sovranazionale.
Se ne sono accorti! Alla lunga, non è possibile rimuovere il problema del crescente euroscetticismo con l'insulsa etichetta di "populismo". L'editorialista del Corriere sembra comprendere che se il mainstream continuerà a non degnare del minimo rispetto i propri oppositori, alla fine verrà coinvolto in una vera crisi di legittimità.
Putroppo però per chi, come Panebianco, sostiene nonostante tutto il progetto eurista, gli euro-fanatici alla Scalfari, nella loro tracotanza, almeno una ragione ce l'hanno: mentre gli argomenti a favore di Euro e UE sono pochi e gracili, quelli contro traboccano, sono tali e tanti da ricomprendere in essi l'intero spettro delle possibili posizioni politiche, potendo addirittura restituire senso a termini come Destra e Sinistra. In un confronto dialettica onesto e serrato, è facile prevedere chi avrebbe la meglio. Ecco perché gli euro-fanatici di Repubblica sono costretti a rifugiarsi nei Non Sequitur, abbandonando la lucidità che evidentemente al Corriere ancora conservano. (C.M.)
domenica 3 novembre 2013
A vent'anni da Maastricht
Il primo novembre 1993 entrava in vigore il Trattato di Maastricht, atto istitutivo dell'Unione Europea. L'Unione si affiancherà alle vecchie Comunità europee, quella del Carbone e dell'Acciaio e quella Economica, sostituendole del tutto tra il 2000 e il 2009. Oggi l'Unione Europea trova il suo fondamento para-costituzione nel Trattato sull'Unione Europea (TUE), in cui è confluito il Trattato di Maastricht, mentre gli strumenti normativi alla base delle vecchie Comunità (in primo luogo il Trattato di Roma, entrato in vigore nel 1957) sono stati trasposti nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE).
Tra i caratteri distintivi della nuova Unione, già all'indomani di quel primo novembre, spiccano il nuovo metodo di assunzione delle decisioni a livello europeo, in sempre più campi a maggioranza e non all'unanimità; le nuove e inedite materie di cooperazione tra Stati membri dell'Unione, in particolare la Giustizia Civile e gli Affari Interni (GAI), nonché la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC); e sopratutto l'adozione di una nuova valuta comune a tutti gli Stati membri, ossia l'Euro. L'adozione dell'Euro è a tutt'oggi un obbligo vincolante per tutti e 28 gli Stati membri, anche se molti di essi hanno la possibilità di usufruire di una deroga transitoria, almeno finché non soddisferanno i parametri di accesso alla valuta unica (fissati nello stesso Trattato di Maastricht, e puntualizzati nel successivo Patto di Stabilità e Crescita).
È corrente presso la comunità degli studiosi del fenomento eurounitario la convinzione che l'Euro abbia costituito, per la Francia, la contropartita necessaria per concedere alla Germania il proprio assenso (o quantomeno la propria mancata opposizione) alla riunificazione tedesca. La questione è ricostruita, con grande ampiezza di dettagli e profondità di analisi, qui (prende un po' di tempo, ma merita). È necessario puntualizzare che il progetto dell'Euro non nasce con il crollo del Muro, ma alcuni anni prima, con il celebre Piano Delors; ma, come dimostra questo articolo d'epoca, tale Piano sarebbe molto probabilmente rimasto lettera morta senza un avvenimento di portata storica come il crollo del "campo socialista".
Tra i caratteri distintivi della nuova Unione, già all'indomani di quel primo novembre, spiccano il nuovo metodo di assunzione delle decisioni a livello europeo, in sempre più campi a maggioranza e non all'unanimità; le nuove e inedite materie di cooperazione tra Stati membri dell'Unione, in particolare la Giustizia Civile e gli Affari Interni (GAI), nonché la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC); e sopratutto l'adozione di una nuova valuta comune a tutti gli Stati membri, ossia l'Euro. L'adozione dell'Euro è a tutt'oggi un obbligo vincolante per tutti e 28 gli Stati membri, anche se molti di essi hanno la possibilità di usufruire di una deroga transitoria, almeno finché non soddisferanno i parametri di accesso alla valuta unica (fissati nello stesso Trattato di Maastricht, e puntualizzati nel successivo Patto di Stabilità e Crescita).
È corrente presso la comunità degli studiosi del fenomento eurounitario la convinzione che l'Euro abbia costituito, per la Francia, la contropartita necessaria per concedere alla Germania il proprio assenso (o quantomeno la propria mancata opposizione) alla riunificazione tedesca. La questione è ricostruita, con grande ampiezza di dettagli e profondità di analisi, qui (prende un po' di tempo, ma merita). È necessario puntualizzare che il progetto dell'Euro non nasce con il crollo del Muro, ma alcuni anni prima, con il celebre Piano Delors; ma, come dimostra questo articolo d'epoca, tale Piano sarebbe molto probabilmente rimasto lettera morta senza un avvenimento di portata storica come il crollo del "campo socialista".
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venerdì 1 novembre 2013
La Germania esporta troppo
Ieri sul sito di Repubblica è apparso questo articolo. E' chiaro che le osservazioni critiche rivolte alla Germania, riportate nell'articolo citato, sono comprensibili solo in base al tipo di analisi svolte da tempo in questo blog (e in tanti altri, s'intende).
(M.B.)
(M.B.)
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