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lunedì 17 novembre 2014

Alluvioni. Due autocitazioni e un'osservazione finale

 Marino Badiale

A proposito degli ultimi problemi meteorologici, che mi hanno impedito di partecipare ad una iniziativa a Torino (vedi post di ieri), mi permetto due autocitazioni, alle quali aggiungo un commento alla fine.

“Proviamo a fare qualche esempio, che spero chiarisca cosa intendiamo qui per “irrazionalismo”. Da diversi anni si ha in Italia il fenomeno che le normali piogge autunnali causano allagamenti e disagi. È un fenomeno che indica con chiarezza una netta e sorprendente incapacità, da parte di un paese avanzato come l'Italia, di affrontare alcuni problemi di base di gestione del territorio, di fronte a problemi meteorologici che non appaiono così eccezionali. Probabilmente ogni tanto le piogge autunnali sono un po' più abbondanti del solito. Ma stiamo parlando comunque di piogge autunnali in un paese di clima temperato, non di uragani tropicali a Mondovì o dello scioglimento di tutti i ghiacciai della Terra o dell'aumento di dieci metri del livello dei mari. Ricordiamo adesso come, da qualche anno a questa parte, tutti i più importanti media esaltino i nuovi ritrovati delle tecnologie informatiche e le nuove possibilità che essi aprono all'economia e alla cultura. Ecco allora un'osservazione che si impone a chiunque si dia la pena di riflettere, e che la cultura di massa evita accuratamente di considerare significativa: com'è possibile che il progresso permetta di avere, per esempio, i cellulari collegati a internet, ma non si riesca a impedire che le piogge d'autunno uccidano un certo numero di persone? Cos'è mai questo progresso, chi lo dirige, chi decide che su certi temi si investono soldi ed energie mentre altri problemi sono lasciati al caso e alla bontà del cielo?”
(M.Badiale, Difficili mediazioni, Aracne 2008, pag.36).


“La prima cosa che dovrebbe essere chiesta ai politici, e di cui essi mancano del tutto a destra, al centro e a sinistra, suscitando ciò nonostante una indignazione molto inferiore a ciò che sarebbe naturale, è l'attenzione verso ogni grave fattore di disagio a cui vengono richiamati dalle persone. Faccia il lettore un esperimento mentale. Immagini che in una qualsiasi città (escludendo quindi i piccoli borghi, perché lì il sindaco è talvolta vicino ai suoi compaesani, non in quanto politico, ma appunto in quanto compaesano), un qualsiasi cittadino, senza usare alcuna violenza, senza entrare in un gruppo di pressione, e senza usare forme drammatiche di protesta, segnali un suo grave fattore di disagio: ad esempio, è sotto sfratto e non ha altra casa dove andare ad abitare, oppure ha un congiunto invalido che non è in grado di assistere, oppure non gli arriva ai rubinetti che acqua inquinata, oppure non può arrivare a casa senza passare per una strada deserta e non illuminata dove si sono verificate aggressioni, oppure deve attraversare in bicicletta una rotonda dove sono all'ordine del giorno investimenti da parte degli automobilisti, oppure abbia qualche altro problema. Immagini il lettore che il cittadino faccia presente il suo disagio a qualche autorità deputata a interessarsi di cose di questo genere e a risolverle. Ripetiamo: senza usare una qualche forma di pressione, ma semplicemente segnalando il proprio problema di cittadino. Si prosegua nell'esperimento mentale: che cosa succederà? Niente. Nessuno presterà attenzione al suo disagio. Ecco: questa disattenzione come regola segnala che abbiamo a che fare non con politici, ma con miserabili politicanti.”
(M.Badiale, M.Bontempelli, La sfida politica della decrescita, Aracne 2014, pag.99-100)

Il senso dell'accostare queste due citazioni spero risulti chiaro: alluvioni e disagi si ripetono da anni, inducendo giornali e telegiornali a ripetere sempre gli stessi titoli, senza che nessuno faccia realmente qualcosa per attaccare il problema della cattiva gestione del territorio, in Liguria e in tutta l'Italia. Questo perché incidere seriamente su questo problema vuol dire rimettere in discussione tutte le nozioni accettate di progresso, sviluppo e così via. E una classe di politicanti che è semplicemente un'articolazione di un ceto dominante a cui non interessa più nulla del benessere dei cittadini, non ha nessun interesse a impegnarsi in questo. Questo significa semplicemente che per poter pensare di affrontate questo problema occorre spazzare via l'intero ceto politico. Ma gli insegnamenti delle disavventure idrogeologiche di queste settimane non si limitano a questo. Se per esempio parliamo dell'uscita dall'euro, sappiamo tutti, e lo abbiamo detto e scritto, che non sarà una passeggiata, che ci saranno problemi da risolvere e prezzi da pagare. Ma come si può pensare di affrontare questi problemi con una classe politica che non è capace neppure di impedire il ripetersi di drammi e morti dovuti al fatto che d'autunno piove (come credo succeda, nel nostro paese, più o meno dalla fine dell'ultima glaciazione)? A me sembra evidente che la richiesta di uscita da euro e UE deve accompagnarsi alla creazione di nuove forze politiche che distruggano e facciano sparire le attuali. Non sarà facile, la porta è davvero stretta, ma di questo ha già detto, meglio di me, uno che se intendeva:

Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi sono quelli che la trovano (Matteo 7:13-14)”

mercoledì 1 ottobre 2014

(R)allentamento dell'austerità. E poi?

L'Italia e la Francia dichiarano che, per loro decisioni unilaterale, il raggiungimento degli obiettivi europei in tema di risanamento dei bilanci pubblici è rinviato, se non proprio accantonato. Sono soprattutto i toni dell'esecutivo francese a far pensare a una sorta di "rottura" dell'ordine austeritario fino ad oggi imperante (del resto i conti di Parigi saranno sorvegliati da un delegato di quell'esecutivo).
I prossimi sviluppi di questa vicenda potranno svolgere la funzione di 'test' di validità di due contrapposte teorie: quella che vede le istituzioni europee come padrone degli stati, ben esemplificata qui, e quella che intende le stesse istituzioni come mera emanazione degli esecutivi nazionali (impostazione rintracciabile qui).
Al di là di quest'ultimo aspetto, si può convenire sul punto che i governi nazionali dell'eurozona (e in particolare il "direttorio" costituito dagli esecutivi di Germania, Francia e Italia) stiano cercando di stabilizzare le condizioni dell'eeconomia europea, in modo da prevenire cataclismi paragonabili a quelli occorsi nel 2011. Dunque l'allentamento dell'austerià praticato da Roma e Parigi va messo in parallelo con gli abbozzi di espansione fiscale messi in atto da Berlino, nonché con la politica monetaria iper-accomodante della BCE. I governi nazionali, in questo schema, guadagnerebbero due-tre anni di tempo per "fare le riforme", cioè completare la normalizzazione neo-liberista delle società europee, senza con questo mettere a repentaglio la tenuta dell'eurozona. Non è molto diverso, in fin dei conti, da quanto suggerito da Alesina & Giavazzi.
Questi tentativi avranno successo? La condizione fondamentale è che il PIL europeo torni a crescere, e in maniera abbastanza omogenea, in modo da non lasciare singoli stati in gravi difficoltà. Putroppo, quello di cui i governi nazionali non tengono conto è che ci troviamo, con tutta probabilità, in una fase di Stagnazione Secolare (per chiarire il concetto, qui e qui). Dunque se è plausibile che la stagione dell'austerità si avvii al termine, è probabile che ciò avvenga contemporaneamente al tramonto dell'epoca della crescita.
Se così stanno le cose, tutti i piani dei decisori politici europei sono destinati al fallimento. Fallimento di cui saremo noi a pagare il prezzo. (C.M.)

lunedì 9 giugno 2014

La tragedia della crescita

È superfluo ritornare sulle malefatte della nostra classe politico-imprenditoriale: è come sparare sulle ambulanze. Il livello di corruttela ha ormai raggiunto picchi inauditi, e i casi dell'EXPO e del MOSE sono lì a dimostrarlo (come presto sarà per il caso della TAV).
Non è superfluo, invece, concentrarsi sull'unanime coro che si è levato,in questi giorni, da parte degli esponenti del ceto politico non ancora lambiti dall'azione degli inquirenti: "mettete in galera i delinquenti, ma per favore completiamo le opere". È un messaggio che pare stare a cuore sopratutto a Matteo Renzi.
Eppure il problema, più che nelle tangenti, sta proprio nelle opere. Meglio: le une e le altre sono figlie della stessa logica. Una logica improntata all'autodistruzione.
Consigliamo vivamente di leggere questo articolo dello storico dell'arte Tomaso Montanari, introdotto da Miguel Martinez. La lettura consente di comprendere fino in fondo la tragedia che sta dietro quest'ennesima grande opera. In buona sostanza, essa è funzionale all'iper-sfruttamento turistico di una Venezia ridotta a Disneyland; iper-sfruttamento che è incompatibile con l'equilibrio ambientale che ha permesso a Venezia di nascere e di conservarsi in tutta la sua bellezza.
È possibile che la nostra specie, e persino buona parte del nostro benessere, sopravvivano all'incalzare della legge delle riproduzione allargata del capitale, nota anche come crescita del PIL; è assai improbabile che vi riesca il nostro patrimonio culturale, e con esso quel che resta della nostra civilità.

lunedì 24 febbraio 2014

Il Ministro delle Equazioni (nel governo di Peppa Pig)



La composizione del nuovo governo non ha suscitato grandi entusiasmi, neanche tra i renzini più affezionati. È di tutta evidenza che si tratta di un'accozzaglia di "mezze figure", alcune delle quali  della statura necessaria per far parte di un Governo; ed è altrettanto evidente che lo scarso peso dei "nomi" ministeriali fa da pendant alla centralità assoluta e preponderante del premier, sulle cui esili spalle graverà tutto il peso dell'azione dell'esecutivo.
La complessiva marginalità delle figure che guidano i dicasteri è inoltre confermata da un dettaglio: il governo è stato formato trascurando qualsiasi criterio di rappresentanza dei territori. In un consesso di diciotto poltrone siedono cinque emiliani e due liguri, ma nessun veneto, o piemontese, o campano, o pugliese. Se queste persone contassero davvero qualcosa non sarebbe così.

Vorrei richiamare l'attenzione su un aspetto, che forse non tutti hanno notato, ma che pure è rivelatore. Uno dei due ministri liguri è lo spezzino Orlando, che è appena passato dall'Ambiente alla Giustizia. Il punto è che Orlando ha, come unico titolo di studio, la maturità scientifica. Per il resto ha sempre e solo fatto politica; la sua professione risulta essere quella di "dirigente di partito". Ricordiamo, di passata, che il Ministro della Giustizia è l'unico membro del Governo, a parte il Presidente del Consiglio, a venire menzionato in Costituzione. Questo per dire della importanza cardinale di questo ruolo. Si tratta, palesemente, di un ruolo di enorme responsabilità, che presuppone un alto livello di competenza. Se non altro, per permettere al Guardasigilli di valutare la bontà delle varie soluzioni, dei vari progetti di riforma.
Un discorso abbastanza simile, peraltro, lo si potrebbe fare per Beatrice Lorenzin, confermata al Ministero della Salute... con la maturità classica. E così come Orlando non potrebbe fare il cancelliere di tribunale (se non per le mansioni più semplici), Lorenzin non potrebbe fare l'infermiera.

Mi si risponderà: il capo di un dicastero non deve essere uno scienziato o un intellettuale. Deve essere in grado di dirigere una macchina burocratica; e nulla più dell'esperienza di partito è formativo in questo senso. E poi attorno ai ministri ci sono fior di capi di gabinetto, alti funzionari, consiglieri di ogni sorta, ecc. Io stesso sono personalmente a conoscenza delle persone che, dall'alto delle loro cattedre universitarie, “scrivono i testi” di Orlando. Dunque le competenze, negli uffici del Ministro, in un modo o nell'altro ci sono. 

Ma ora facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo che al Ministero dell'Economia fosse andato, non un super-tecnico FMI-OCSE-ISTAT come Pier Carlo Padoan, ma un soggetto con un diploma di ragioneria. Cosa sarebbe accaduto? È facile immaginarlo: sgomento e terrore si sarebbero impadroniti delle redazioni dei giornali e telegiornali, nazionali ed esteri. Alla Giustizia può andare uno con il CV (e la faccia) di Orlando, ma l'Economia non può certo essere gestita da chi non ha gestito almeno una docenza in atenei internazionali.


Questo fatto è talmente ovvio da risultare stupefacente. E costringe e tornare con la memoria al passato, scoprendo che per trovare gli ultimi ministri “politici” all'Economia e affini (Tesoro, Finanze, Bilancio), se si esclude l'ibrida figura di Tremonti, bisogna risalire ai tempi di Rino Formica e Giovanni Goria. Come mai?
Ritengo che le ragioni siano due, entrambe piuttosto importanti, ma la seconda di più.
  1. l'Economia è al centro della nostra società; o meglio non l'economia, ma un suo aspetto, e cioè la crescita. La crescita è considerata dalle classi dominanti (e quindi dall'intera società) il valore più importante; anzi la premessa e il presupposto di tutti i valori. Per essere chiari, le garanzie e i diritti di cui godiamo in quanto cittadini sono variabili dipendenti della crescita del PIL: devono esserle sacrificati quando è necessario, e possono essere riconosciuti solo a condizione che l'economia e la produzione si espandano. Se così stanno le cose, allora le figure veramente decisive nel Governo sono solo quelle del premier e quello del Ministro dell'Economia. Gli altri personaggi che vi gravitano attorno sono, appunto, solo dei personaggi. Non è indispensabile che siano così competenti.
  2. A guidare ministeri come Salute e Giustizia possono andare dei politici “puri”. Ma a quello dell'Economia devono esserci dei tecnici. Questo è un punto essenziale. Se presso i media mainstream (ma non solo) è completamente assurdo pensare a un non economista in quel dicastero è perché quella economica viene considerata una scienza esatta. In un simile ambito la discrezionalità politica è ridotta al minimo, così come lo sarebbe in una operazione chirurgica: non saranno certo le scelte politico-ideologiche del medico a determinare l'esito dell'operazione. E così anche le scelte di politica economica sono frutto di valutazioni scientifiche obiettive; anzi a ben guardare non sono nemmeno delle vere e proprie scelte, dato che sono determinate dalla necessità della scienza. Dunque a sorvegliarne l'esecuzione non possono che essere degli scienziati, dei tecnici: Dini Ciampi Siniscalco Grilli Saccomanni Padoa Schioppa... Anzi, dato che l'economia determina tutto il resto (vedi punto 1), è sensato che siano degli economisti a ricoprire direttamente l'ufficio del Primo Ministro, come nel caso di Monti. 
     
    Insomma, Pier Carlo Padoan è un soggetto iper-competente, padrone di una scienza esatta quanto la matematica: è il Ministro delle Equazioni. Risolvere le equazioni non è questione di opzioni politiche, ma di competenza tecnica. La soluzione dei problemi è unica, è quella esatta. È evidente, è necessario, che si privatizzi, che si licenzi, che si tagli lo stato sociale. Lo dice la scienza. Non ci sono alternative.(C.M.)



martedì 18 dicembre 2012

Completiamo l'analisi (corretta) del Sole 24 Ore


di Fabrizio Tringali

E' davvero interessante leggere quanto scrive IlSole24Ore. Il quotidiano di Confindustria illustra molto bene le principali falle della moneta unica.
Vediamole(*):

1) l'euro è troppo forte, occorre una svaluzione competitiva;

2) il pareggio di bilancio (contenuto nel fiscal compact approvato dal Consiglio europeo a marzo 2012) è improponibile in un contesto di austerity;

3) il parametro debito/pil (su cui si basano i palleti del fiscal compact) è obsoleto. Come può scendere il debito/pil se, per effetto dell'austerity, decresce il Pil, ovvero il denomintarore di questo rapporto?

4) l'austerità a tutta forza, sostanzialmente oggi imposta ai Piigs, non paga. Lo evidenziano anche i dati sul moltiplicatore fiscale del Fmi;

5) rigore, crescita, equità. Lo slogan del premier Mario Monti rischia di restare solo tale dato che al momento c'è solo rigore. Siamo ancora lontani da crescita dell'economia reale e dall'equità sociale. Come è possibile praticare equità sociale se l'austerity, attuata in un contesto di recessione e di globalizzazione dei mercati, si trasforma automaticamente in un deragliamento dello stato sociale e dei diritti acquisiti in decenni dai cittadini? ;

6) anche se la Germania si oppone e probabilmente continuerà ad opporsi anche dopo le elezioni di settembre 2013 l'unica strada per proteggere i debiti sovrani dalla speculazione è la condivisione del debito dei Paesi membri. Come accade negli Stati Uniti dove un eventuale default della California non intacca il rendimento dei titoli di Stato permettendo al Paese di finanziare il suo enorme debito pubblico a tassi bassissimi (quelli che oggi paga la Germania per intenderci);

7) le misure sin qui adottate stanno causando gravi problemi nel mercato del lavoro. La disoccupazione nell'Ue è all'11,2% contro il 7,7% degli Usa. E quella giovanile è abbondantemente oltre il 30%;

8) oltre alla disoccupazione non si sta facendo nulla per i giovani (se non precarizzarli sempre più con una riforma del mercato del lavoro che prevede solo una flessibilità in uscita) e per le pensioni. E' stimato che le nuove leve andranno in pensione in futuro con un assegno pensionistico pari al 30% di quello che sarà il loro ultimo stipendio. Un livello inaccettabile per una democrazia che dovrebbe, in un equilibrato rapporto tra tasse e servizi, la serenità dei cittadini in tutte le fasce d'età;

9) è stato fatto un passo in avanti con l'Unione bancaria europea. Un primo accordo è stato raggiunto a dicembre. Questo accordo però è un passo indietro rispetto alle aspettative. Sotto il controllo di un ente europeo saranno solo gli istituti con attivi superiori a 30 miliardi. Circa 200 rispetto alle 6mila banche europee. Un passo indietro che favorisce la Germania il cui sistema bancario è ramificato in molte banche regionali e piccole che, svincolate dal controllo europeo, potranno eventualmente continuare ad operare in condizioni di opacità; 

10) la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie ideata dal premio Nobel per l'Economia James Tobin nel 1972. O la attuano tutti i Paesi europei allo stesso tempo oppure c'è il rischio che si creino distorsioni. La Francia l'ha attuata in estate. L'Italia è vicina a un accordo definitivo e dovrebbe adottarla dal 2013. Mentre la Germania prende tempo fino al 2016. E' forse giusto che ci sia questa mancata armonizzazione su una tassa così importante?

(*) Testo tratto da "Le 10 falle del sistema euro" di Vito Lops, pubblicato su vitolops.blog.ilsole24ore.com

Fin qui IlSole24ore.
Purtroppo il quotidiano di Confindustria non dice come si possono tappare tutte queste falle.
Senza la pretesa di indicare tutte le soluzioni necessarie, mi limito ad elencare ciò che, in base all'analisi proposta, si rende imprescindibile:

- Una significativa svalutazione dell'euro
- L'abrogazione del pareggio di bilancio in tutti gli Stati della UE
- La cancellazione dell'obbligo di rispettare i parametri sul rapporto debito/pil
- L'abrogazione del fiscal compact
- L'abrogazione della riforma Fornero e delle leggi che consentono deroghe all'efficacia dei CCNL
- L'introduzione di politiche economiche espansive
- L'introduzione di meccanismi certi e automatici per il riequilibrio fra nazioni in surplus e nazioni in deficit
- L'estensione del controllo europeo sulle banche a tutti gli istituti di credito
- L'introduzione della Tobin Tax da parte di tutti gli Stati della UE

Ora, l'ovvia domanda è la seguente: quante sono le probabilità che tutto ciò venga realizzato?

Sappiamo che i Paesi più forti dell'eurozona sono contrari a tutto ciò. E il problema non è solo questo. Il fatto è che l'intera architettura economico-istituzionale della UE è stata costruita proprio per evitare tutto ciò!
I continui passi verso la spoliazione della sovranità degli Stati aderenti alla UE non sono altro che l'ovvia conseguenza del fatto che la Germania non accetterà mai forme stabili, certe ed automatiche di riequilibrio fra nazioni in surplus e nazioni in deficit.
Accetterà, semmai, forme parziali e temporanee di intervento, ma solo per quei Paesi che chineranno la testa di fronte a qualunque sua pretesa (imposta per il tramite della BCE, della Commissione o del fondo salva-Stati).
Viceversa, l'intera "lista delle cose da fare" è facilmente realizzabile (a livello nazionale, si intende) per uno Stato che recuperi la propria sovranità monetaria, reintroducendo una valuta nazionale, riportando la Banca centrale in mano pubblica e sotto controllo democratico, e implementando proprie politiche economiche in chiave espansiva.
L'Italia è ormai di fronte ad un bivio netto: ridursi a decadente colonia tedesca priva di sovranità, oppure uscire dall'euro e dalla UE.

lunedì 9 aprile 2012

E se lo dice il NYT

Il Mainstream non condivide l'ottimismo del Governo Monti sulle sorti dell'economia italiana (ed europea). Questo articolo del New York Times uscito domenica 8 aprile dovrebbe metterci tutti in guardia, mettendo in chiaro che quella in cui ci trasciniamo da qualche mese non è che una tregua nella crisi dell'Euro (nel senso di cagionata dall'Euro). In particolare Liz Alderman lascia intendere come il LTRO della BCE, lungi dal risolvere i guai europei, non faccia che aggravarli, allontanando le possibili soluzioni. Pezo el tacòn del buso.
Ecco una sommaria traduzione dell'articolo. Chi volesse consultare l'originale non ha che da cliccare qui.
(C.M.)


Di LIZ ALDERMAN

PARIGI —Fino a pochi mesi fa le banche di tutto il mondo si affannavano per liberarsi di grandi quantità di titoli pubblici europei, trasformatisi in titoli "tossici" dopo lo scoppio della crisi dei debiti sovrani.