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sabato 22 marzo 2014

La "Democrazia sfigurata" è la democrazia tirannica

Nadia Urbinati ha dato alle stampe un voluminoso saggio sulla crisi della democrazia moderna. Si intitola Democrazia sfigurata. Il popolo fra opinione e verità, e il suo contenuto viene discusso qui. Se dobbiamo dar credito alla studiosa di scienze politiche, questo blog ha ancora una volta colto nel segno. Scrivevamo:
La democrazia dei risultati adotta un approccio conseguenzialista, e ritiene legittimo quel governo che riesce a conseguire i propri fini istituzionali. La democrazia delle regole adotta un approccio deontologico, e ritiene legittimo quel governo che nasce ed opera in conformità a norme che consentano ai cittadini di influire sulle grandi scelte politiche. (...)l'operato della BCE, per esempio, può essere considerato rispettoso della democrazia, ma non perché Draghi debba rispondere del proprio operato ai cittadini, bensì in quanto la BCE produce una buona gestione della politica monetaria europea. Questa concezione spesso si accompagna ad un'altra, anch'essa assai diffusa tra gli studiosi: quella del ritorno delle élites. I problemi del mondo moderno sono troppo complessi per essere gestiti da profani. Il ruolo dell'elettore, dunque, è di scegliere il tecnico giusto: anzi, di scegliere i tecnici, evitando di farsi attrarre dalle sirene del populismo.
Sostiene Urbinati, parlando delle caratteristiche delle democrazie contemporanee:
[esiste la] la tendenza «epistemica», in sostanza la depoliticizzazione della democrazia in nome di una conoscenza più o meno scientifica che dovrebbe portare alla scelta giusta: il governo dei tecnici, insomma, fenomeno provato non solo dall’Italia. Anche questo uno «sfigurare» la democrazia delle procedure (...) È il passaggio dal metodo proceduralista puro a quello conseguenzalista.
Urbinati evidentemente si esprime meglio di noi. Ma l'identità di vedute è chiara. Tra le principali caratteristiche (non l'unica: aprite il primo link) della democrazia contemporanea c'è l'assolutizzazione del punto di vista tecnico, rappresentativo di certi interessi particolari, a metro di giudizio oggettivo delle scelte politiche. Con il che la democrazia è svuotata.  Per altri versi ne avevamo già parlato.
È interessante notare (e Urbinati lo fa) come il modello del governo dei tecnici vada a braccetto con quello del governo del Leader (che in italiano significa Duce). Tecnocrazia e plebiscitarismo carismatico: ecco i due corni della realtà politica dei nostri giorni. Due poli che hanno in comune il disprezzo per le regole formali, e badano soltanto ai risultati, scelti in base a criteri che si pretendono oggettivi e neutrali; in una una frase, il disprezzo per democrazia. (C.M.)

lunedì 24 febbraio 2014

Il Ministro delle Equazioni (nel governo di Peppa Pig)



La composizione del nuovo governo non ha suscitato grandi entusiasmi, neanche tra i renzini più affezionati. È di tutta evidenza che si tratta di un'accozzaglia di "mezze figure", alcune delle quali  della statura necessaria per far parte di un Governo; ed è altrettanto evidente che lo scarso peso dei "nomi" ministeriali fa da pendant alla centralità assoluta e preponderante del premier, sulle cui esili spalle graverà tutto il peso dell'azione dell'esecutivo.
La complessiva marginalità delle figure che guidano i dicasteri è inoltre confermata da un dettaglio: il governo è stato formato trascurando qualsiasi criterio di rappresentanza dei territori. In un consesso di diciotto poltrone siedono cinque emiliani e due liguri, ma nessun veneto, o piemontese, o campano, o pugliese. Se queste persone contassero davvero qualcosa non sarebbe così.

Vorrei richiamare l'attenzione su un aspetto, che forse non tutti hanno notato, ma che pure è rivelatore. Uno dei due ministri liguri è lo spezzino Orlando, che è appena passato dall'Ambiente alla Giustizia. Il punto è che Orlando ha, come unico titolo di studio, la maturità scientifica. Per il resto ha sempre e solo fatto politica; la sua professione risulta essere quella di "dirigente di partito". Ricordiamo, di passata, che il Ministro della Giustizia è l'unico membro del Governo, a parte il Presidente del Consiglio, a venire menzionato in Costituzione. Questo per dire della importanza cardinale di questo ruolo. Si tratta, palesemente, di un ruolo di enorme responsabilità, che presuppone un alto livello di competenza. Se non altro, per permettere al Guardasigilli di valutare la bontà delle varie soluzioni, dei vari progetti di riforma.
Un discorso abbastanza simile, peraltro, lo si potrebbe fare per Beatrice Lorenzin, confermata al Ministero della Salute... con la maturità classica. E così come Orlando non potrebbe fare il cancelliere di tribunale (se non per le mansioni più semplici), Lorenzin non potrebbe fare l'infermiera.

Mi si risponderà: il capo di un dicastero non deve essere uno scienziato o un intellettuale. Deve essere in grado di dirigere una macchina burocratica; e nulla più dell'esperienza di partito è formativo in questo senso. E poi attorno ai ministri ci sono fior di capi di gabinetto, alti funzionari, consiglieri di ogni sorta, ecc. Io stesso sono personalmente a conoscenza delle persone che, dall'alto delle loro cattedre universitarie, “scrivono i testi” di Orlando. Dunque le competenze, negli uffici del Ministro, in un modo o nell'altro ci sono. 

Ma ora facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo che al Ministero dell'Economia fosse andato, non un super-tecnico FMI-OCSE-ISTAT come Pier Carlo Padoan, ma un soggetto con un diploma di ragioneria. Cosa sarebbe accaduto? È facile immaginarlo: sgomento e terrore si sarebbero impadroniti delle redazioni dei giornali e telegiornali, nazionali ed esteri. Alla Giustizia può andare uno con il CV (e la faccia) di Orlando, ma l'Economia non può certo essere gestita da chi non ha gestito almeno una docenza in atenei internazionali.


Questo fatto è talmente ovvio da risultare stupefacente. E costringe e tornare con la memoria al passato, scoprendo che per trovare gli ultimi ministri “politici” all'Economia e affini (Tesoro, Finanze, Bilancio), se si esclude l'ibrida figura di Tremonti, bisogna risalire ai tempi di Rino Formica e Giovanni Goria. Come mai?
Ritengo che le ragioni siano due, entrambe piuttosto importanti, ma la seconda di più.
  1. l'Economia è al centro della nostra società; o meglio non l'economia, ma un suo aspetto, e cioè la crescita. La crescita è considerata dalle classi dominanti (e quindi dall'intera società) il valore più importante; anzi la premessa e il presupposto di tutti i valori. Per essere chiari, le garanzie e i diritti di cui godiamo in quanto cittadini sono variabili dipendenti della crescita del PIL: devono esserle sacrificati quando è necessario, e possono essere riconosciuti solo a condizione che l'economia e la produzione si espandano. Se così stanno le cose, allora le figure veramente decisive nel Governo sono solo quelle del premier e quello del Ministro dell'Economia. Gli altri personaggi che vi gravitano attorno sono, appunto, solo dei personaggi. Non è indispensabile che siano così competenti.
  2. A guidare ministeri come Salute e Giustizia possono andare dei politici “puri”. Ma a quello dell'Economia devono esserci dei tecnici. Questo è un punto essenziale. Se presso i media mainstream (ma non solo) è completamente assurdo pensare a un non economista in quel dicastero è perché quella economica viene considerata una scienza esatta. In un simile ambito la discrezionalità politica è ridotta al minimo, così come lo sarebbe in una operazione chirurgica: non saranno certo le scelte politico-ideologiche del medico a determinare l'esito dell'operazione. E così anche le scelte di politica economica sono frutto di valutazioni scientifiche obiettive; anzi a ben guardare non sono nemmeno delle vere e proprie scelte, dato che sono determinate dalla necessità della scienza. Dunque a sorvegliarne l'esecuzione non possono che essere degli scienziati, dei tecnici: Dini Ciampi Siniscalco Grilli Saccomanni Padoa Schioppa... Anzi, dato che l'economia determina tutto il resto (vedi punto 1), è sensato che siano degli economisti a ricoprire direttamente l'ufficio del Primo Ministro, come nel caso di Monti. 
     
    Insomma, Pier Carlo Padoan è un soggetto iper-competente, padrone di una scienza esatta quanto la matematica: è il Ministro delle Equazioni. Risolvere le equazioni non è questione di opzioni politiche, ma di competenza tecnica. La soluzione dei problemi è unica, è quella esatta. È evidente, è necessario, che si privatizzi, che si licenzi, che si tagli lo stato sociale. Lo dice la scienza. Non ci sono alternative.(C.M.)