giovedì 31 gennaio 2013
Indicazioni di voto
In tanti ci avete chiesto delucidazioni sul "che fare"; anzi, visto che le elezioni si avvicinano, sul "chi votare". Se non rispondevamo non era per ritrosia, ma per oggettiva mancanza di scelte accettabili sul piano dell'offerta elettorale. Ma alla fine abbiamo trovato una forza politica seria, rispettabile e in grado di rappresentarci:
Il P.U.D.E.!
E, mutuando lo slogan del mitico Partito Marxista-Leninista Italiano, proclamiamo a gran voce: VOTALO ASTENENDOTI!
lunedì 28 gennaio 2013
Quello che sta per succedere e perché
sabato 26 gennaio 2013
E' vero che in Germania si guadagna più che da noi, o è vero che si contengono i salari?
di Fabrizio Tringali
Il blog byoblu.com (con il quale ho il piacere di collaborare) ha recentemente pubblicato un video in cui si sostiene che il "costo della vita" in Germania è inferiore a quello italiano, mentre gli stipendi sono di gran di lunga superiori. Sembra così avallata la tesi che vede nella nazione tedesca il modello da seguire per superare la crisi economica che ci affligge.
Abbiamo già parlato di quanto sia falsa l'idea che in Germania si guadagni il doppio rispetto all'Italia.
I contenuti di questo filmato ci offrono ulteriori spunti per sfatare ulteriormente quelli che, in realtà, non sono altro che luoghi comuni, spesso usati per mascherare le reali ragioni della crisi.
I contenuti di questo filmato ci offrono ulteriori spunti per sfatare ulteriormente quelli che, in realtà, non sono altro che luoghi comuni, spesso usati per mascherare le reali ragioni della crisi.
Dunque, il video mostra come molti beni di consumo vengano venduti a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati in Italia. Probabilmente questo è vero, anche se magari non è così dappertutto. Certamente potremmo trovare supermercati italiani dove molta merce risulta più a buon mercato rispetto a negozi tedeschi.
Ma non è questo il punto. Ciò che conta è che in Germania i prezzi crescono meno che da noi. Su questo non ci piove. Noi, critici dell'euro, non facciamo quasi altro che sottolineare questo fatto, perché è su questo che si è costruita la maggior competitività della Germania rispetto a noi (che è il motivo per cui siamo in crisi, dato che avendo lo loro stessa moneta, non possiamo difenderci svalutando).
Ma non è questo il punto. Ciò che conta è che in Germania i prezzi crescono meno che da noi. Su questo non ci piove. Noi, critici dell'euro, non facciamo quasi altro che sottolineare questo fatto, perché è su questo che si è costruita la maggior competitività della Germania rispetto a noi (che è il motivo per cui siamo in crisi, dato che avendo lo loro stessa moneta, non possiamo difenderci svalutando).
La questione centrale diventa quindi quella di capire come ha fatto la Germania a far crescere meno i suoi prezzi. Lo ha fatto contenendo i salari e comprimendo, così, la domanda interna (una bassa domanda interna frena l'aumento dei prezzi).
E qui casca l'asino. Il video infatti afferma il contrario: si parla dello stipendio della cassiera del supermercato (1800 euro, che non è certo alto se è lordo, ed anzi è davvero basso se la signora ha una alta anzianità di servizio), degli stipendi medi (che sono effettivamente alti), e del premio di produzione della Volkswagen.
Il fatto è che se guardiamo agli stipendi degli operai specializzati, dei lavoratori assunti magari 20 anni fa (quindi con lunga anzianità e garanzie contrattuali), probabilmente troveremo che molti di essi stanno meglio dei corrispettivi italiani.
I loro salari alzano la media totale.
Ma questi lavoratori non rappresentano che una parte del mondo salariato tedesco. E, prevalentemente, non è su di loro che si è scagliata la mannaia delle tanto decantate (dalla UE) riforme del lavoro introdotte in Germania.
E' sui giovani, che cercano per la prima volta un lavoro, oppure sui meno giovani che lo perdono, che si concentra l'aggressione ai diritti e ai salari. E' soprattutto grazie a loro che la Germania vanta la più alta quota di lavoratori a basso reddito di tutta l'Europa occidentale (il 22.2%).
Ecco perché, nonostante sia vero che esistano lavoratori tedeschi con alti stipendi, è del tutto corretto sostenere che la Germania abbia aumentato la propria competitività mantenendo bassa l'inflazione grazie al contenimento delle retribuzioni.
Chi dovesse avere ancora dubbi, ma non avesse voglia di leggersi la documentazione che abbiamo pubblicato, si fidi almeno delle parole del Commissario UE agli Affari Sociali (la Germania ha tenuto i salari troppo bassi rispetto al resto d'Europa) e di quelle di Roland Berger, "superconsulente" di Angela Merkel (sono i sacrifici dei lavoratori tedeschi ad aver permesso di abbassare i costi dei prodotti tedeschi e guadagnare competitività).
I loro salari alzano la media totale.
Ma questi lavoratori non rappresentano che una parte del mondo salariato tedesco. E, prevalentemente, non è su di loro che si è scagliata la mannaia delle tanto decantate (dalla UE) riforme del lavoro introdotte in Germania.
E' sui giovani, che cercano per la prima volta un lavoro, oppure sui meno giovani che lo perdono, che si concentra l'aggressione ai diritti e ai salari. E' soprattutto grazie a loro che la Germania vanta la più alta quota di lavoratori a basso reddito di tutta l'Europa occidentale (il 22.2%).
Ecco perché, nonostante sia vero che esistano lavoratori tedeschi con alti stipendi, è del tutto corretto sostenere che la Germania abbia aumentato la propria competitività mantenendo bassa l'inflazione grazie al contenimento delle retribuzioni.
Chi dovesse avere ancora dubbi, ma non avesse voglia di leggersi la documentazione che abbiamo pubblicato, si fidi almeno delle parole del Commissario UE agli Affari Sociali (la Germania ha tenuto i salari troppo bassi rispetto al resto d'Europa) e di quelle di Roland Berger, "superconsulente" di Angela Merkel (sono i sacrifici dei lavoratori tedeschi ad aver permesso di abbassare i costi dei prodotti tedeschi e guadagnare competitività).
giovedì 24 gennaio 2013
Contraddizioni in seno al mainstream
Claudio Martini
Wolfgang Munchau è un noto economista e commentatore tedesco, che ha già dimostrato di possedere notevole lucidità nell'analisi della crisi europea.
Il suo articolo sul Financial Times ha rappresentato un colpo durissimo inferto alla credibilità tecnica di Mario Monti, ed è sintomo di un discreto quanto importante cambio di rotta di una delle "navi ammiraglie" del mainstream globale. Su questo torneremo tra poco. Ora non possiamo non notare come le tesi di Munchau confortino chi crede che alla fine, per quanto possa essere spessa la coltre della disinformazione, la verità venga sempre a galla. Nell'intervista al Corriere di oggi Munchau non fa che ripetere gli argomenti da sempre proposti anche da questo blog, e sintetizzabili nella frase: il problema è l'Euro, non il debito pubblico. Facile comprendere la reazione non esattamente composta di Mario Monti, nonché quella della premiata ditta Alesina&Giavazzi (comico il loro riferimento all'"evidenza empirica" per dimostrare che tagliando i redditi pubblici si aumenti il totale dei redditi nazionali, cioè il PIL. Per loro rimandiamo a Keynes Blog.
Naturalmente Munchau rimane un economista da Financial Times, e cioè un economista ortodosso, anche se non omodosso. Da qui il riferimento all'ineludibile (per loro) riforma del lavoro.
Parlavamo di un cambio di rotta. Basta leggere l'ultimo editoriale del FT in risposta alle polemiche suscitate da Munchau. Fino a qualche tempo fa il consenso della comunità finanziaria internazionale, espresso dalla loro stampa, appariva granitico per Mario Monti. Adesso il giudizio è più sfumato, anche Bersani va bene. Probabilmente hanno pesato le interviste, rilasciate proprio al FT, dello stesso Bersani prima e di Stefano Fassina poi (da leggere, quest'ultima, solo per le enormità pronunciate dal responsabile economico del PD).
Possiamo concludere che le élite finanziarie internazionali conoscono perfettamente l'origine della crisi italiana ed europea; e che dal loro giudizio dipende, in questa fase, l'accesso al ruolo di Presidente del Consiglio .
martedì 22 gennaio 2013
Loro lo sanno
Vi proponiamo oggi un articolo di
Lucrezia Reichlin, dal Corriere della Sera. Si tratta di un testo che
sostiene tesi molto “ortodosse” (Bagnai direbbe “omodosse”),
quindi lontane dalle opinioni di chi scrive questo blog. Ci sembra
però un testo interessante, visto il periodo elettorale, perché
mostra come i ceti dominanti italiani ed europei abbiano ben chiara
la futilità dell'opposizione destra/sinistra: una volta accettati
l'euro e i vincoli europei, anche Hollande deve rassegnarsi alle
politiche di austerità, e le chiacchiere della campagna elettorale
finiscono dove meritano, nella spazzatura. Ci piacerebbe che una
simile chiarezza fosse condivisa anche dai ceti subalterni (francesi,
italiani, europei) e dai “loro” intellettuali.
(M.B.)
(M.B.)
domenica 20 gennaio 2013
I video di Rivalta
Sulla pagina youtube di UkaFlesh è possibile vedere i video della serata di Rivalta, con i nostri interventi e quelli di Davide Bono
mercoledì 16 gennaio 2013
I prodigi della Corte (in)Costituzionale
Claudio Martini
Come commentare l'ultima sentenza della Corte Costituzionale, la prima del 2013, quella che risolve il conflitto di attribuzioni sollevato da Giorgio Napolitano in favore di quest'ultimo?
In primo luogo possiamo ricordare che quest'esito era ampiamente prevedibile, e da noi a suo tempo previsto.
Poi possiamo prendere atto della incontenibile soddisfazione della stampa mainstream, che non aspettava migliore occasione per manifestare il proprio conformismo (qui e qui).
E se poi volessimo sentire il parere di un giurista, allora dovremmo rivolgerci a Franco Cordero. Il quale ha scritto il miglior commento a questa sentenza...più di un mese fa, quando era noto soltanto il dispositivo. Non c'era bisogno di aspettare le motivazioni, a quanto pare. Non sembra ci sia molto da aggiungere. Ingiustizia è fatta.
Oppure, potremmo cogliere alcuni aspetti della sentenza che oscillano tra il ridicolo e l'inquietante, com'è prassi nel nostro paese nei suoi momenti difficili.
Infatti è evidente come tutta la parte in diritto delle motivazioni è attraversata da una deferenza quasi sacrale dei confronti di Napolitano, e di malcelata paura che qualcuno scopra che diamine ha detto quell'uomo. Davvero, sembra di vedere i giudici che cercano un angolino dietro al quale nascondersi. E questo fa dire loro delle mezze scempiaggini.
lunedì 14 gennaio 2013
Venerdi a Rivalta, Sabato a Milano
Prossime presentazioni de "La trappola dell'euro"
(cliccare le immagini per le info)
Venerdi 18 Gennaio - Rivalta (Torino)
Sabato 19 Gennaio - Milano
domenica 13 gennaio 2013
Elezioni e M5S, perché gridare al boicottaggio è controproducente
di Fabrizio Tringali
Da settimane, ormai, Beppe Grillo
lamenta continui tentativi di boicottaggio, il cui obiettivo sarebbe
quello di impedire la partecipazione del M5S alle elezioni, o almeno
ridimensionarne il probabile successo elettorale.
Gli suggerirei maggiore prudenza. Non
solo per amore di verità, ma anche, anzi soprattutto, per evitare
effetti disastrosi nel prossimo futuro.
Secondo Grillo gli attacchi al M5S si
sarebbero concretizzati, dapprima, nel tentativo di cambiare la legge
elettorale per impedire al M5S di vincere, poi nell'anticipo della
data del voto, che avrebbe reso difficile la raccolta delle firme
necessarie per la presentazione delle liste, e infine con lo “scippo”
del simbolo elettorale che si è verificato in questi giorni al
Viminale.
In realtà, è abbastanza evidente che
nessuno di questi casi ha rappresentato una seria minaccia al M5S.
Dati gli accordi di coalizione tra i
partiti, la possibilità che il M5S conquisti la maggioranza dei voti
è quasi nulla. Ed anche se alla Camera avvenisse il miracolo, al
Senato la vittoria sarebbe comunque impossibile, proprio a causa
della legge elettorale attuale. E in Italia vige ancora il
bicameralismo perfetto, quindi la probabilità che dopo le elezioni
il M5S possa formare un governo è pari a zero (il che non è
ovviamente un demerito, un consenso a due cifre sarebbe già un
risultato notevole per un movimento così giovane).
Il punto è che Napolitano voleva che
fosse cambiata la legge elettorale per garantirsi il Monti-bis, non
per sbarrare la strada ad una ipotetica vittoria del M5S. Ma quando
Berlusconi ha tolto la fiducia al governo, tutti hanno capito che non
avrebbe accettato una legge elettorale costruita ad arte per
determinare il Monti-bis, così la stessa idea di cambiare il porcellum è decaduta, nonostante gli inviti del PDL a proseguire nel
tentativo di riforma.
Anche l'anticipo della data delle
elezioni è stata una decisione presa indipendentemente da
valutazioni relative al M5S, tanto che il governo, su sollecitazione
di Napolitano, si è apprestato a ridurre drasticamente il numero di
firme necessarie per presentare le liste. E' vero che una tale misura
serviva anche a tanti partitini della casta, ma se il governo avesse
voluto, avrebbe potuto agevolmente tagliar fuori il M5S dai benefici
del provvedimento: sarebbe bastano fare come nel 2008, quando una
norma ad-hoc permise di presentare liste a chiunque fosse sostenuto
da almeno due parlamentari (tutti i partitini sarebbero stati salvi,
mentre il M5S sarebbe rimasto fuori).
Infine la questione del simbolo. Questo
è in effetti un attacco al movimento, e bene ha fatto byoblu.com
a pubblicare il materiale ricevuto da Anonymous: qualcuno che sta
tentando di rompere le uova nel paniere al M5S c'è.
Ma probabilmente non si tratta della
“casta”, bensì di qualche personaggio improbabile e non molto
rilevante. Il quale non ha grandi possibilità di raggiungere i suoi
scopi, qualunque essi siano, dato che non ha le migliaia di firme
autenticate che servono a presentare il simbolo sulla scheda
elettorale. Il M5S invece le ha raccolte tutte quante. Ed ha già
registrato quel simbolo per consultazioni elettorali importanti a
livello comunale e regionale.
Il Ministro dell'Interno è già intervenuto ufficialmente per rassicurare sia Grillo che Ingroia (anche il simbolo di
Rivoluzione Civile è stato “clonato”), ed è molto probabile che
entro un paio di giorni la questione sia risolta: sia il magistrato
che il M5S vedranno il proprio simbolo sulla scheda elettorale, senza
che vi siano altri loghi “civetta”, come è giusto che sia.
Rivolgo quindi un invito ai miei tanti
amici del M5S a smettere di gridare al boicottaggio contro il M5S.
Siamo in campagna elettorale, e capisco
che far credere che il movimento sia vittima di un'aggressione da
parte del “sistema”, aiuti a “compattare le truppe”, e ciò
può essere molto utile per massimizzare i consensi elettorali.
Ma un movimento che ambisce a
rappresentare l'alternativa alla casta ha il dovere morale di dire la
verità, indipendentemente dalle convenienze.
Inoltre, i numerosi consensi raccolti,
rischiano di disperdersi facilmente, sciogliendosi ben presto come
neve al sole, se ottenuti grazie alla diffusione della falsa idea che
vi sia in corso un boicottaggio che non c'è. L'elettorato, infatti,
viene indotto a pensare che il “sistema” si sia reso conto del
terremoto politico che una forte presenza in Parlamento del M5S
determinerebbe. E che quindi stia cercando in ogni modo di mettergli
i bastoni fra le ruote.
Ora, una volta celebrate le elezioni, e
ottenuta una buona affermazione, se il M5S non dovesse riuscire a
scatenare lo sconquasso promesso, la sua credibilità verrebbe
immediatamente meno.
E data la complessità del
funzionamento delle Istituzioni, e soprattutto dato il fatto che le
Camere hanno progressivamente perso molto del loro potere a vantaggio
dell'esecutivo, è improbabile che il M5S riesca ad ottenere
risultati importanti nel breve periodo dal suo ruolo di opposizione
parlamentare.
Costruire ad arte “attese” troppo
impegnative è un'arma a doppio taglio. Dapprima può far crescere il
consenso, ma se poi non si riesce a tener fede alle aspettative
create, il consenso raccolto svanisce d'un fiato.
Consiglio quindi ai miei amici del M5S
di concentrarsi un po' meno sui complotti, e un po' di più nella
discussione e nel confronto interno, per capire cosa debba fare, dal
giorno dopo le elezioni, un movimento di alternativa per essere
davvero efficace, una volta ottenuto un nutrito gruppo di
parlamentari.
sabato 12 gennaio 2013
Suggerimenti di lettura per il fine settimana
Costas Lapavitsas è un economista della SOAS (School of Oriental and African Studies) dell'Università di Londra. E' autore, assieme ad altri, di "Crisis in the eurozone", un saggio sulla crisi dell'euro pubblicato l'anno scorso dalle edizioni Verso, di cui è appena uscita una traduzione italiana parziale. Segnaliamo questo articolo comparso sul Guardian, nel quale l'autore risponde a 10 domande sulla crisi greca. I lettori di questo blog non saranno sorpresi da passaggi come questo:
The Greek path to ruin was determined by eurozone membership, similarly to other peripheral countries – Portugal, Ireland and Spain. The periphery adopted the euro hoping that it would lead to convergence with the more developed core. But the monetary union has structural flaws. Within its rigid framework, and faced with frozen German wages, peripheral countries lost competitiveness. Huge external deficits resulted, which were financed by borrowing from the banks of the core. Peripheral banks also took advantage of easy credit to expand domestic lending. By 2009 the peripheral economies were laden with vast debts – domestic and foreign, private and public – making them effectively insolvent
o questo
the current predicament of Greece is not the result of structural weaknesses that have been with us for a long time. The country is on the brink of ruin because it chose to join a flawed monetary union. The euro has brought Greek defects into sharp relief, as it has done for other countries
Suggeriamo anche la lettura di questo articolo di J.Stiglitz che fa alcune considerazioni generali sull'attuale situazione. Segnaliamo in particolare questo passaggio:
Before the 2008 crisis, there was much talk of global imbalances, and the need for the trade-surplus countries, like Germany and China, to increase their consumption. That issue has not gone away; indeed, Germany’s failure to address its chronic external surplus is part and parcel of the euro crisis
(M.B.)
The Greek path to ruin was determined by eurozone membership, similarly to other peripheral countries – Portugal, Ireland and Spain. The periphery adopted the euro hoping that it would lead to convergence with the more developed core. But the monetary union has structural flaws. Within its rigid framework, and faced with frozen German wages, peripheral countries lost competitiveness. Huge external deficits resulted, which were financed by borrowing from the banks of the core. Peripheral banks also took advantage of easy credit to expand domestic lending. By 2009 the peripheral economies were laden with vast debts – domestic and foreign, private and public – making them effectively insolvent
o questo
the current predicament of Greece is not the result of structural weaknesses that have been with us for a long time. The country is on the brink of ruin because it chose to join a flawed monetary union. The euro has brought Greek defects into sharp relief, as it has done for other countries
Suggeriamo anche la lettura di questo articolo di J.Stiglitz che fa alcune considerazioni generali sull'attuale situazione. Segnaliamo in particolare questo passaggio:
Before the 2008 crisis, there was much talk of global imbalances, and the need for the trade-surplus countries, like Germany and China, to increase their consumption. That issue has not gone away; indeed, Germany’s failure to address its chronic external surplus is part and parcel of the euro crisis
(M.B.)
martedì 8 gennaio 2013
Stati Uniti d'Europa? Un progetto pericoloso e reazionario
Claudio Martini
Coloro che parlano di stato federale europeo in genere svalutano l'argomento del Demos. Quando si oppone loro il semplice fatto che non esiste qualcosa di paragonabile ad un popolo europeo, essi spesso ribattono indicando esempi di felice convivenza e cooperazione tra popoli diversi chiusi negli stessi confini. Tra questi c'è la Svizzera, ma si potrebbero citare tanti altri paesi, incluso quello che sembra il vero modello degli europeisti, ossia gli Stati Uniti d'America. In effetti l'omogeneità etnica-culturale sembra essere l'eccezione, e non la regola, dello scenario delle formazioni statuali odierne. Sono davvero pochi gli stati, come le Coree o il Giappone, dove lo stesso gruppo etnico rappresenta più del 95% del totale della popolazione. Stati che appaiono monolitici ai nostri occhi superificiali, come la Cina, la Russia o l'Iran, sono in realtà complessi ordinamenti federali caratterizzati da un'ampia varietà etnica e linguistica. Per non parlare di veri universi multiculturali come l'India o la maggior parte degli stati africani.
Eppure questo argomento ha qualcosa che non va. Quando noi constatiamo l'assenza di un popolo europeo non pretendiamo certo che sia condizione per avere una federazione europea che tutti gli abitanti del continente europeo appartengano allo stesso popolo. Sulla scorta degli esempi sopra fatti, basterebbe individuare un'etnia dominante.
Prendiamo la Svizzera.
domenica 6 gennaio 2013
Krugman, Stiglitz, Stockhammer sulla crisi dell'euro
Segnaliamo oggi alcuni interventi di economisti, che propongono argomentazioni in sintonia con le analisi sulla base delle quali impostiamo molte delle nostre riflessioni politiche.
P. Krugman riassume le critiche di molti economisti rispetto alla creazione dell'euro, e ricorda che molti dei punti critici attuali erano stati previsti.
J. Stiglitz spiega come le politiche di austerità imposte ai paesi della periferia possano solo peggiorare la situazione (qui in italiano).
E. Stockhammer (della Kingston University, Londra) spiega che i problemi attuali dell'Europa sono legati agli sbilanci commerciali fra i vari paesi, e che l'unica soluzione ad essi è una maggiore inflazione nei paesi in surplus.
Nessuno di questi articoli propone la fine dell'euro o il suo abbandono da parte di uno o più Paesi come via di uscita dalla crisi. Vengono bensì elencate una serie di soluzioni che probabilmente, se realizzate, potrebbero aiutare l'eurozona ad allontanarsi dal baratro.
Tuttavia le politiche economiche che andrebbero perseguite (aumenti salariali nei paesi del centro, aumento generale dell'inflazione, trasferimenti dal centro verso i paesi in crisi), sono in netto contrasto con i voleri e gli interessi dei Paesi più forti, in particolare con quelli della Germania.
Una volta compresa l'irrealizzabilità pratica di tali politiche, non resta che prendere atto del fatto che l'unica via di salvezza risiede nel ritorno alla moneta nazionale.
L'alternativa, infatti, se non si corre presto ai ripari, è il deperimento del Paese sotto la falce del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, dell'austerità. Assieme alla sua riduzione a mera colonia priva di sovranità.
(M.B.)
P. Krugman riassume le critiche di molti economisti rispetto alla creazione dell'euro, e ricorda che molti dei punti critici attuali erano stati previsti.
J. Stiglitz spiega come le politiche di austerità imposte ai paesi della periferia possano solo peggiorare la situazione (qui in italiano).
E. Stockhammer (della Kingston University, Londra) spiega che i problemi attuali dell'Europa sono legati agli sbilanci commerciali fra i vari paesi, e che l'unica soluzione ad essi è una maggiore inflazione nei paesi in surplus.
Nessuno di questi articoli propone la fine dell'euro o il suo abbandono da parte di uno o più Paesi come via di uscita dalla crisi. Vengono bensì elencate una serie di soluzioni che probabilmente, se realizzate, potrebbero aiutare l'eurozona ad allontanarsi dal baratro.
Tuttavia le politiche economiche che andrebbero perseguite (aumenti salariali nei paesi del centro, aumento generale dell'inflazione, trasferimenti dal centro verso i paesi in crisi), sono in netto contrasto con i voleri e gli interessi dei Paesi più forti, in particolare con quelli della Germania.
Una volta compresa l'irrealizzabilità pratica di tali politiche, non resta che prendere atto del fatto che l'unica via di salvezza risiede nel ritorno alla moneta nazionale.
L'alternativa, infatti, se non si corre presto ai ripari, è il deperimento del Paese sotto la falce del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, dell'austerità. Assieme alla sua riduzione a mera colonia priva di sovranità.
(M.B.)
venerdì 4 gennaio 2013
I nostri interventi al compleanno di Goofynomics
Grazie a ecodellarete pubblichiamo i video dei nostri interventi al convegno che si è tenuto a Pescara lo scorso primo dicembre.
Gli altri video della giornata sono presenti sul blog di Alberto Bagnai: http://goofynomics.blogspot.it/2012/12/i-video-di-pescara.html
Gli altri video della giornata sono presenti sul blog di Alberto Bagnai: http://goofynomics.blogspot.it/2012/12/i-video-di-pescara.html
Marino Badiale:
Fabrizio Tringali:
mercoledì 2 gennaio 2013
Thriller Ingroia e gli zombie arancioni
di Marino Badiale e Fabrizio Tringali
Abbiamo assistito in questi giorni a
movimenti convulsi nel mondo “a sinistra del PD”, sfociati nel
probabile scioglimento del neonato movimento “Cambiare si può” e
nella formazione di un cartello elettorale di partitini (PRC, PdCI,
IdV, Verdi) sotto la candidatura di Ingroia.
E' l'ennesima riproposizione del solito
copione, già mille volte recitato: a ridosso delle elezioni c'è sempre qualcuno che propone la formazione di una lista capace
di riunificare quel che resta dell'arcipelago della sinistra
alternativa (stavolta mettendoci in mezzo anche l'IdV pur di
raccattare i voti necessari a superare lo sbarramento), e di
riconnetterlo alle tante realtà di cittadinanza attiva nella
società. Basterebbe chiedersi come mai ne è disconnesso per capire
quanto sia inutile un tale lavoro. E invece ogni volta la stessa
storia di tentativi finiti male: abortiti ancora prima di nascere o
trasformati in carrozzoni ad uso dei capibastone dei vari partitini,
destinati a disintegrarsi (fortunatamente) immediatamente dopo le
elezioni.
Lo scopo dichiarato di questi tentativi
di aggregazione è sempre lo stesso: costruire una sinistra vera,
buona, giusta, capace di rinverdire i suoi antichi ideali, che mandi
in soffitta quella falsa, cattiva, ingiusta, traditrice, cioè quella
che effettivamente esiste oggi.
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