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sabato 4 marzo 2017
Spostamenti oligarchici
lunedì 25 agosto 2014
In Siria, il cerchio si chiude
Il Governo di Damasco pronto a collaborare con l'aviazione USA per debellare l'ISIS.
Quando si dice antimperialismo!
Per le puntate precedenti:
USA e Russia salvano Assad al Consiglio di Sicurezza
Gli USA non intendono attaccare la Siria/1
Gli USA non intendono attaccare la Siria/2
Gli "antimperialisti" giustificano gli eccidi siriani
Gli USA non intendono attaccare la Siria/3
Gli USA temono la caduta di Assad
Gli USA non intendono attaccare la Siria/4
Via libera USA al massacro dei siriani
Israele si augura che Assad vinca
USA e NATO potrebbero bombardare gli oppositori di Assad
Noam Chomsky nega che ci sia una "guerra coperta" degli USA contro la Siria
Accordo USA-Iran sulla Siria
A breve, proporremo una breve rassegna dei commenti che questi post hanno suscitato. (C.M.)
Quando si dice antimperialismo!
Per le puntate precedenti:
USA e Russia salvano Assad al Consiglio di Sicurezza
Gli USA non intendono attaccare la Siria/1
Gli USA non intendono attaccare la Siria/2
Gli "antimperialisti" giustificano gli eccidi siriani
Gli USA non intendono attaccare la Siria/3
Gli USA temono la caduta di Assad
Gli USA non intendono attaccare la Siria/4
Via libera USA al massacro dei siriani
Israele si augura che Assad vinca
USA e NATO potrebbero bombardare gli oppositori di Assad
Noam Chomsky nega che ci sia una "guerra coperta" degli USA contro la Siria
Accordo USA-Iran sulla Siria
A breve, proporremo una breve rassegna dei commenti che questi post hanno suscitato. (C.M.)
martedì 24 giugno 2014
Dialogo a tre sul nostro futuro
Vi proponiamo un dialogo (via mail)
fra i curatori del blog. Senza pretese di grande profondità teorica, crediamo che sia interessante
per i lettori, poiché vengono toccati temi sui quali in molti ci arrovelliamo. Vengono messi a confronto punti di vista e prospettive
diverse, che offriamo alla vostra valutazione.
FT: Voi sapete qualcosa di questa iniziativa? http://www.fiom-cgil.it/web/aree/europa/news/573-lanciata-la-campagna-contro-il-ttip-da-60-associazioni-in-europa
CM: Alcuni movimenti locali seguono la vicenda da un po', mi sembra con scarsi risultati.
FT: Non è strano, più il nemico si allontana, meno è facile costruire opposizione. In fondo è sensato non crederci. Pensa: una trattativa fra UE e USA, che cosa pensi di poterci fare? Davvero dovremmo riuscire a dire che l'unica cosa sensata sarebbe uscire da quest'incubo e tornare in una condizione in cui possiamo pensare di incidere nella realtà.
CM: Io non penserei di poter incidere nemmeno se comandassi un nucleo di Tupamaros armati fino ai denti, figurati. Del resto ve l'ho scritto: l'orizzonte concettuale della mia attività politica concreta è racchiuso nei confini del comune di Genova.
Cosa intendi, in pratica, con la frase “uscire da quest'incubo e tornare in una condizione in cui possiamo pensare di incidere nella realtà.”?
FT: Sei molto ottimista. Dubito che al momento si possa andare oltre la dimensione del condominio...
Uscire dall'incubo significa ricondurre il maggior numero di decisioni politiche in ambiti ove sia possibile la partecipazione democratica. La sovranità dovrebbe tornare alla stato nazionale (in parte c'è già, come spesso hai sostenuto tu, ma in buona parte è stata ceduta).
Poi però la sovranità, che appartiene al popolo, dovrebbe essere esercitata dai cittadini laddove è loro possibile, anche aumentando le competenze e le risorse degli enti locali.
Il punto centrale però è il discorso sulla globalizzazione. Se la si considera un dato di fatto indiscutibile, e non modificabile, allora possiamo anche piantarla lì, tanto non possiamo fare proprio nulla. Né a livello planetario, né a Genova.
CM: Il problema per me è il seguente: noi possiamo anche dichiarare modificabile e discutibile la globalizzazione, non è un problema. Di irreversibile c'è solo la morte. Concettualmente sfondi una porta aperta. Politicamente le cose si complicano. La domanda che mi pongo è: "Come si attua la de-globalizzazione?"
Facciamo un'ipotesi di "fantascienza", e assumiamo di poter disporre, noi, di un notevole potere politico in ambito nazionale. Una volta al potere attuiamo misure de-globalizzatrici. Cominciamo dal blocco dei movimenti di capitale: senza di esso non si fa nulla. Ottimo, abbiamo creato un isola nel sistema finanziario internazionale; essa finirebbe stritolata nel giro di pochi mesi, o meglio ci stritolerebbero prima i cittadini, una volta che si siano accorti che non possono usare le loro carte di credito una volta usciti dai patrii confini (e mille altre limitazioni). Tutta roba già successa agli inizi degli anni '80, quando Mitterand provò a socialistizzare la Francia: bloccò i movimenti di capitale, nazionalizzò le banche, fece anche tante altre cose carine. Durò un anno. Figuratevi adesso.
La de-globalizzazione mi sembra analoga al disarmo: chi disarma per primo? Non credo proprio che sia alcunché di realizzabile per iniziativa unilaterale di uno stato solo (a meno che non si tratti degli Stati Uniti). O si fa in contemporanea tra i principali stati industrializzati, o non ha senso farlo.
L'eventuale de-globalizzazione dovrebbe essere frutto dell'azione coordinata di vasti movimenti internazionali. Allora potrebbe funzionare. Non è più fantascientifico di una nostra presa del potere in ambito nazionale, se ci riflettete.
Va detto infine che se per caso esistessero vasti movimenti internazionali in grado di agire in maniera coordinata tra loro, allora a quel punto si perderebbe la necessità di de-globalizzare: le forze popolari avrebbero la possibilità di gestire in maniera democratica le dinamiche economiche sovra-nazionali, per esempio inibendo la concorrenza tra stati e lavoratori.
La morale della favola è: se tanto è tutto utopico, scegli l'utopia che ti esalta di più (o quella che ti deprime di meno)
FT: Uhm... credo che quel che dici sia molto più fantascientifico di una presa di potere a livello nazionale. Però resta il problema che poni: che te ne fai del potere a livello nazionale, se gli altri sono tutti dentro la globalizzazione? Tuttavia non credo che la questione sia esattamente nei termini che indichi tu, perché probabilmente, in realtà, ci sono paesi che stanno cercando vie alternative. Forse. In Sudamerica per esempio. In ogni caso quel che è certo è che si scatenerebbero guerre terribili, sia in questo scenario, che nel caso della presa di potere da parte di movimenti internazionali (a meno che essi non riescano ad assumere contemporaneamente il comando di tutte, o quasi, le forze armate importanti del Mondo, il che è un tantino improbabile).
CM: Sudamerica? Non credo proprio, guarda il Brasile di oggi...
Sinceramente, non vedo alternative a livello mondiale. I paesi si differenziano per il modo di stare dentro la globalizzazione, ma nessuno la mette in discussione; il primo che lo facesse si autodistruggerebbe. Nessun capitalismo nazionale rinuncerà mai al mercato mondiale (anche perché credo che le classi dirigenti siano abbastanza memori di quel che è successo l'ultima volta...)
Quel che invece può accadere è che il mercato mondiale si segmenti in alcune macro-aree. Il TTIP è un passo verso tale direzione. È possibile che, in risposta all'iniziativa USA di creare tale "NATO economica" anche altri gruppi di stati apparecchino qualcosa (ma non è affatto detto: Giappone, Russia, India e Cina si mandano a quel paese ogni volta che possono).
La creazione di queste macro-aree potrebbe essere interpretato come un gesto di deglobalizzazione. Tuttavia, non sfugge che all'interno di queste aree il principio "liberista" tipico della globalizzazione verrebbe amplificato. Quindi in realtà si tratta di una globalizzazione più intensa, anche se più ristretta dal punto di vista dei soggetti coinvolti.
È probabile che USA e UE, legate da NATO e TTIP, daranno anche vita a qualcosa di simile ad un coordinamento permanente tra governi: qualcosa di più del G-7 e qualcosa di meno dell'attuale Consiglio Europeo, per dire. Magari, chissà, un giorno ci faranno eleggere una pazzesca assemblea parlamentare atlantica...
Al di fuori di questa area i singoli paesi continueranno la loro corsa verso il turbo-capitalismo, Sudamerica in testa.
Può darsi che in questo scenario le comunità locali diano vita a qualche forma di resistenza. Perché questa resistenza abbia forza, credo debbano esserci due condizioni:
1) forte solidarietà trans-nazionale tra le varie comunità e tra i vari movimenti;
2) totale indipendenza dagli organi dello stato nazionale, in particolare dai suoi addentellati partitici/sindacali/elettorali/istituzionali.
PS Poniamo che la presa del potere a
livello nazionale abbia una possibilità su un milione. Ti concedo
che la prospettiva "internazionalista" ne abbia una su tre
milioni. Praticamente, che cambia? Sono entrambe fantascientifiche.
Solo che la prima, a mio avviso, è un vicolo cieco, la seconda no.
FT: Infatti, il punto è che purtroppo sembra che non esista possibilità alcuna di cambiare veramente le cose. In base a qualche elucubrazione, qualcosa può apparire come vicolo cieco oppure no. Ma il punto è che non esiste possibilità alcuna. Il fatto è che, se siamo sinceri, dobbiamo ammettere che la classe dominante ha saputo unirsi. Nonostante divisioni, lotte intestine etc... ha saputo trovare un terreno comune, intorno al quale costruire un sistema condiviso (il che naturalmente non esclude che esistano fratture, battaglie, guerre).
E quindi, forse correttamente, pensi che l'unica strada sia quella di unire le forze dei dominati, contro i dominanti. Ma dubito che sia un tragitto che si possa realmente percorrere.
Guarda, facciamo un esempio banale: non riescono nemmeno a mettersi insieme le 16/17 squadre di serie A che non contano nulla, contro le 3/4 che contano. E' un caso interessantissimo, purtroppo. Se facessero "cartello", le 16/17 ricaverebbero tutte un grande vantaggio. Ma appena una di loro prova a costruire un po' di consenso su dei cambiamenti, le 3/4 reagiscono, e col loro potere, con concessioni e favori, distruggono l'unità creata.
Cambieremo il Mondo quando il Sassuolo vincerà lo scudetto.
CM: Oh! È proprio la mancanza di questa sincerità che critico in molti autori "anti-sistema"! Mancanza di sincerità accompagnata da wishful-thinking “crollista”. Io credo che fra i pre-requisiti dell'essere "rivoluzionari" sia convincersi del fatto che le classi dominanti la sanno lunga, ma davvero lunga, e che l'ultima cosa che faranno sarà permettere a dei pirla come noi di prevalere.
L'esempio che prendi è perfetto. È una conseguenza dell'effetto band-wagoning: la prima cosa che passa per la testa del debole non è diventare forte unendosi ad altri deboli, ma proteggere la propria debolezza affiliandosi a qualche soggetto forte. Ci sono anche casi più estremi della serie A: 180 stati nel mondo non riescono a coalizzarsi contro uno solo, gli USA...
Detto ciò, io studio la storia e l'attualità del medio oriente. Da questo studio ho tratto la convinzione che i miracoli esistono. Quel che sta accedendo ora in Iraq, per fare un esempio, è semplicemente miracoloso. Faremo miracoli? Probabilmente no. Però conserveremo la soddisfazione di non esserci resi complici di questo schifo di realtà.
FT: Su questo hai ragione: non possiamo essere complici. Il brutto è che poi tendono ad asfaltarti... temo che in Iraq sia questione di tempo...
MB: aggiungo anche il mio illuminato parere, visto che non sono intervenuto finora:
1.Probabile che la fase "neoliberista-globalizzata" del capitalismo sia entrata in una crisi senza uscita, e si stia lentamente, e sulla nostra pelle, elaborando una nuova forma del dominio capitalistico.
2.Probabile che questa nuova forma presenterà "grandi spazi" in competizione (economica, politica e militare).
3.Proprio questa configurazione potrebbe però riaprire spazi all'agire di uno Stato-nazione nel quale le forze antisistemiche siano arrivate al potere. In estrema sintesi, un tale Stato potrebbe giocare sulle rivalità fra i grandi centri di potere in competizione fra loro. L'analogia storica che ho in mente è quella del movimento dei paesi non allineati al tempo della guerra fredda, o del Vietnam che riuscì ad essere equidistante fra Russia e Cina, e a farsi aiutare da entrambi nella lotta contro gli USA, quando Russia e Cina si prendevano a cannonate sull'Ussuri (se ricordo bene).
Utopia per utopia....
CM: quella che tu indichi non è affatto un'utopia, ma la realtà odierna dei rapporti internazionali. Fuori dai grandi blocchi ci sono già oggi stati che praticano la politica dei due forni: un po' con gli USA, un po' con Russia-Cina. È la realtà di Iran, Arabia Saudita, a tratti persino Israele, Pakistan, il Viet Nam di oggi, molti stati africani, il Brasile...
Il punto è che lo "spazio di manovra" garantito dall'equidistanza, oltre a esporre a rischi chi lo pratica, non equivale alla possibilità di praticare politiche anti-capitalistiche. Infatti, nessuno degli stati citati fa un passo in quella direzione: nessuno si azzarda a mettere in discussione il mercato mondiale. Che destreggiarsi tra grandi potenze capitalistiche dia luogo alla possibilità di implementare politiche anti-capitalistiche è tutto da dimostrare.
MB: D'accordo, quindi la proposta di una politica dei due o tre forni non è utopica, anche nella realtà attuale. Il lato utopico sta nell'idea che in uno Stato arrivino al potere forze antisistemiche...
FT: Infatti, il punto è che purtroppo sembra che non esista possibilità alcuna di cambiare veramente le cose. In base a qualche elucubrazione, qualcosa può apparire come vicolo cieco oppure no. Ma il punto è che non esiste possibilità alcuna. Il fatto è che, se siamo sinceri, dobbiamo ammettere che la classe dominante ha saputo unirsi. Nonostante divisioni, lotte intestine etc... ha saputo trovare un terreno comune, intorno al quale costruire un sistema condiviso (il che naturalmente non esclude che esistano fratture, battaglie, guerre).
E quindi, forse correttamente, pensi che l'unica strada sia quella di unire le forze dei dominati, contro i dominanti. Ma dubito che sia un tragitto che si possa realmente percorrere.
Guarda, facciamo un esempio banale: non riescono nemmeno a mettersi insieme le 16/17 squadre di serie A che non contano nulla, contro le 3/4 che contano. E' un caso interessantissimo, purtroppo. Se facessero "cartello", le 16/17 ricaverebbero tutte un grande vantaggio. Ma appena una di loro prova a costruire un po' di consenso su dei cambiamenti, le 3/4 reagiscono, e col loro potere, con concessioni e favori, distruggono l'unità creata.
Cambieremo il Mondo quando il Sassuolo vincerà lo scudetto.
CM: Oh! È proprio la mancanza di questa sincerità che critico in molti autori "anti-sistema"! Mancanza di sincerità accompagnata da wishful-thinking “crollista”. Io credo che fra i pre-requisiti dell'essere "rivoluzionari" sia convincersi del fatto che le classi dominanti la sanno lunga, ma davvero lunga, e che l'ultima cosa che faranno sarà permettere a dei pirla come noi di prevalere.
L'esempio che prendi è perfetto. È una conseguenza dell'effetto band-wagoning: la prima cosa che passa per la testa del debole non è diventare forte unendosi ad altri deboli, ma proteggere la propria debolezza affiliandosi a qualche soggetto forte. Ci sono anche casi più estremi della serie A: 180 stati nel mondo non riescono a coalizzarsi contro uno solo, gli USA...
Detto ciò, io studio la storia e l'attualità del medio oriente. Da questo studio ho tratto la convinzione che i miracoli esistono. Quel che sta accedendo ora in Iraq, per fare un esempio, è semplicemente miracoloso. Faremo miracoli? Probabilmente no. Però conserveremo la soddisfazione di non esserci resi complici di questo schifo di realtà.
FT: Su questo hai ragione: non possiamo essere complici. Il brutto è che poi tendono ad asfaltarti... temo che in Iraq sia questione di tempo...
MB: aggiungo anche il mio illuminato parere, visto che non sono intervenuto finora:
1.Probabile che la fase "neoliberista-globalizzata" del capitalismo sia entrata in una crisi senza uscita, e si stia lentamente, e sulla nostra pelle, elaborando una nuova forma del dominio capitalistico.
2.Probabile che questa nuova forma presenterà "grandi spazi" in competizione (economica, politica e militare).
3.Proprio questa configurazione potrebbe però riaprire spazi all'agire di uno Stato-nazione nel quale le forze antisistemiche siano arrivate al potere. In estrema sintesi, un tale Stato potrebbe giocare sulle rivalità fra i grandi centri di potere in competizione fra loro. L'analogia storica che ho in mente è quella del movimento dei paesi non allineati al tempo della guerra fredda, o del Vietnam che riuscì ad essere equidistante fra Russia e Cina, e a farsi aiutare da entrambi nella lotta contro gli USA, quando Russia e Cina si prendevano a cannonate sull'Ussuri (se ricordo bene).
Utopia per utopia....
CM: quella che tu indichi non è affatto un'utopia, ma la realtà odierna dei rapporti internazionali. Fuori dai grandi blocchi ci sono già oggi stati che praticano la politica dei due forni: un po' con gli USA, un po' con Russia-Cina. È la realtà di Iran, Arabia Saudita, a tratti persino Israele, Pakistan, il Viet Nam di oggi, molti stati africani, il Brasile...
Il punto è che lo "spazio di manovra" garantito dall'equidistanza, oltre a esporre a rischi chi lo pratica, non equivale alla possibilità di praticare politiche anti-capitalistiche. Infatti, nessuno degli stati citati fa un passo in quella direzione: nessuno si azzarda a mettere in discussione il mercato mondiale. Che destreggiarsi tra grandi potenze capitalistiche dia luogo alla possibilità di implementare politiche anti-capitalistiche è tutto da dimostrare.
MB: D'accordo, quindi la proposta di una politica dei due o tre forni non è utopica, anche nella realtà attuale. Il lato utopico sta nell'idea che in uno Stato arrivino al potere forze antisistemiche...
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mercoledì 11 giugno 2014
Per chi vuole vedere...
Nell'Iraq Nord-occidentale si scatena l'insurrezione sunnita contro il governo settario sciita di Nuri Al Maliki. A Baghdad giunge la solidarietà, nonché l'offerta di aiuto sul campo, da tre capitali: Damasco, Teheran e Washington.
martedì 26 novembre 2013
Addendum a 'Fine del Mondo Arabo'
Di seguito proponiamo un bel pezzo di Guido Olimpio, pubblicato sul Corriere della Sera di oggi. Esso dimostra come i maneggi per arrivare a un accordo USA-Iran fossero in atto già dal 2009, e che il loro principale ostacolo fosse l'ingombrante presenza pubblica di un presidente eletto coi brogli e negatore della Shoah come Ahmadinejad (come da noi correttamente riferito). L'alleanza con Teheran non è un'idea estemporanea, ma fa parte di una strategia USA di lungo corso. E con ciò speriamo di aver fatto giustizia di tutte le sparate complottistiche sulle presunte manovre anti-Assad degli USA. (C.M.)
lunedì 25 novembre 2013
Fine del Mondo Arabo
Poco più di un mese fa parlavamo delle trattative in corso per far sì che venissero rimosse, da parte del Consiglio di Sicurezza ONU, tutta la serie di sanzioni internazionali volte a impedire che l'Iran ottenga l'arma nucleare. Due settimane fa era stata raggiunta una bozza d'accordo, elaborata dal rappresentante dell'UE, Catherine Ashton, d'accordo con il Segretario di Stato Usa Kerry e il Ministro degli Esteri iraniano Zarif.
Il rappresentante dell'Iran "antimperialista" è quello che sorride a destra.
Tuttavia, la Francia era riuscita a bloccare sul nascere l'accordo, evidentemente convinta dall'Arabia Saudita con validi argomenti. Anche la Russia non sembrava così entusiasta di concedere l'arma atomica all'Iran, visto il recente innamoramento tra il regime di Putin e quello filo-saudita di Al Sissi al Cairo. A tutto questo va aggiunta l'incessante azione di lobbying israeliana, dato che Tel Aviv non è certo contenta di perdere il monopolio nucleare nel medio oriente. L'accordo con l'Iran sembrava destinato a rimanere lettera morta.
Il rappresentante inglese, quello UE, quello tedesco, quello cinese, al centro la coppia dell'anno, e in fondo a destra si vedono, di spalle, il ministro russo Lavrov, e sopratutto quello francese Fabius, autore del clamoroso voltafaccia che ha reso possibile l'accordo.
A dire il vero, l'accordo in sé non configura una licenza, concessa all'Iran, di dotarsi di un arsenale atomico. A rigore, l'Iran avrebbe potuto procurarselo anche senza l'avallo USA. Il punto fondamentale è che, da oggi, l'Iran è entrato a far parte della comunità dei "paesi per bene", e che questo è il primo passo per la formazione di una stabile alleanza USA-Iran.
Cosa cambia per il mondo? Non moltissimo, a dire il vero: semplicemente, non sentiremo più la nenia dell'imminente attacco all'Iran, di come l'Iran combatta l'imperialismo, di come la Siria sia sotto attacco, e altre demenziali sciocchezze. La sinistra "antimperialista" globale perde il suo principale, se non unico, argomento, e probabilmente sarà condannata a tacere per un po'. Tanto di guadagnato.
Cosa cambia per il mondo arabo? Tutto. Un Iran nucleare, per di più con avallo USA, significa né più nè meno l'instaurazione di una soffocante egemonia persiana nella regione, accompagnata dallo smantellamento degli Stati arabi da sempre bersaglio dell'Iran khomeinista: i principati petroliferi del Golfo persico. In particolare l'Arabia Saudita, con la sua minoranza sciita incidentelmente insediata proprio nella provincia petrolifera del regno, è semplicemente spacciata. Il Bahrein rischia l'annessione tout court. E anche il Qatar, che tanto ha trescato negli anni passati insieme al regime di Teheran e ai suoi alleati, probabilmente non riuscirà a salvarsi.
In quanto a Israele, essa si terrà ben stretta i territori palestinesi, e nessuna le torcerà mai più un capello, ma dovrà verosimilmente al ruolo di media potenza regionale a cui aspirava.
Il nuovo accordo Kerry-Zarif si annuncia ancora più devastante, per gli arabi, del famigerato patto Sykes-Picot. Ignoriamo quali possano essere le vie d'uscita da una situazione così nera. L'unica, magrissima consolazione è che su questo blog un simile esito era stato ampiamente previsto, fin dall'inizio, e che era stata proprio questa chiave di lettura a farci comprendere che in Siria non ci sarebbe mai stato un attacco occidentale, e che in generale gli USA non lavoravano al rovesciamento di Assad. Chissà se i tanti nostri detrattori, tutti finissimi esperti di geopolitica, avranno il buon gusto di venire qui ad ammettere che avevano torto. (C.M.)
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venerdì 1 novembre 2013
La Germania esporta troppo
Ieri sul sito di Repubblica è apparso questo articolo. E' chiaro che le osservazioni critiche rivolte alla Germania, riportate nell'articolo citato, sono comprensibili solo in base al tipo di analisi svolte da tempo in questo blog (e in tanti altri, s'intende).
(M.B.)
(M.B.)
sabato 28 settembre 2013
Barack e Hassan, amici per la pelle (degli arabi)
Il segretario di Stato USA John Kerry incontra il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif durante la 68esima sessone dell'Assemblea Generale dell'ONU. Foto di Jason DeCrow, Associated Press, 26 settembre 2013. I termini dell'incontro sono descritti qui.
Tempo fa, su questo blog segnalammo i tentativi di "riconciliazione" che, al riparo della propaganda, le cancellerie di Washington e Teheran stavano mettendo in pratica (qui e qui). Abbiamo più volte parlato di una questione che è legata a doppio filo a questa tematica, e cioè quella siriana, ipotizzando che Obama non avesse per nulla in animo di promuovere un regime change a Damasco e congetturando che USA e alleati non avrebbero mai attaccato la Siria, e tantomeno l'Iran. Congettura che ha sempre superato la prova dei fatti.
Qualche settimana fa l'attacco chimico a Ghouta, nei dintorni della capitale siriana, costato la vita a più di 1700 innocenti, fece apparire del tutto probabile l'attacco occidentale contro il regime di Assad. Invece, nel giro di poco l'occasione che rischiava di travolgere quel regime si è trasformata in un grande successo diplomatico di Damasco e dei suoi alleati. In un primo tempo Obama ha tergiversato, riferendo la questione al Congresso, cosa che non è tenuto a fare e che con riguardo al caso libico non ha ovviamente fatto. Dopodiché, d'accordo con i diplomatici russi, ha offerto un'ancora di salvezza la regime: la consegna delle armi chimiche, in cambio dell'impunità. Così ora Assad è un interlocutore; avrà a disposizione alcuni mesi per fingere di consegnare le armi, potrà continuare lo sterminio del suo popolo con mezzi convenzionali, e non dovrà temere un attacco sulla cui possibilità ben pochi, ora, scommetterebbero.
Questi fatti si ricollegano al nuovo clima che si è venuto a creare tra gli USA e l'Iran, e che lasciano presagire un futuro di relazioni molto diverse da quelle che (almeno all'apparenza) hanno caratterizzato gli ultimi anni. Un ruolo fondamentale lo gioca il nuovo presidente iraniano, che verosimilmente potrà rappresentare la "faccia buona" del regime iraniano, quella che non pone in imbarazzo i diplomatici occidentali (Ahmadinejad era troppo compromesso con il negazionismo della Shoah).
Da parte americana la disponibilità ad avviare il confronto è massima, come ben inquadrato da Lucio Caracciolo. Una disponibilità talmente estrema da consentire alla controparte iraniana di "fare la preziosa" (pare che comunque Obama e Rohani si siano sentiti per telefono). Il Presidente iraniano non ha comunque avuto problemi ad incontrare Hollande.
Passando dall'ambito dei balletti diplomatici a quello delle dichiarazioni pubblici e degli atti politici vincolanti, da segnalare il discorso di Obama all'ONU, in cui il Presidente USA dichiara di essere contrario a una soluzione militare per la Siria, e che l'Iran ha tutto il diritto di sviluppare la tecnologia nucleare, sia pur per scopi pacifici; discorso che, non ha caso, è stato accolto con favore dalla stampa iraniana.
La questione del nucleare riveste un'importanza fondamentale, perché determinerà i rapporti di forza tra le varie potenze in Medio Oriente; e su di essa pare che l'accordo USA-Iran sia già stato raggiunto.
Con simili premesse, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Siria, ieri in calendario, non poteva assomigliare a nulla di diverso da un appeasament tra il regime di Assad e l'occidente. La risoluzione infatti pone in capo al regime (di cui non si afferma chiaramente la responsabilità per l'eccidio di Ghouta) l'obbligo di smantellare l'arsenale chimico, ma non prevede alcuna sanzione in caso di inadempimenti o ritardi! Non stupisce dunque che abbia trovato la piena approvazione del rappresentante siriano all'ONU.
Stiamo dunque per entrare nell'era dell'alleanza USA-Iran. Non che uscissimo da una fase di autentica inimicizia: al di là dello scontro verbale, Teheran e Washington non si sono mai fatte nulla che minacciasse in maniera irreparabile i rispettivi interessi, e anzi hanno collaborato su vari fronti (un esempio fra i tantissimi). Tuttavia, almeno sulla carta i due paesi non avevano relazioni diplomatiche. Sta cambiando tutto, e questo non rappresenta una buona notizia per gli arabi. Sia l'Iran che gli USA condividono il medesimo disegno di dominio neo-coloniale del mondo arabo. È abbastanza probabile che Obama e Rohani passeranno alla storia come i nuovi Sykes e Picot. A pagare, come sempre, sarà la dignità e l'indipendenza degli arabi. (C.M.)
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giovedì 25 luglio 2013
Dallo Stato sociale allo Stato penale
Nell'ambito del diritto internazionale si definisce la sovranità come
l'elemento giuridico costitutivo di quell'entità che chiamiamo Stato.
"Sovrano" significa, etimologicamente, "che sta sopra". Per essere precisi, ciò che sta più sopra di tutto. La sovranità è un potere supremo, nel preciso senso che, per definizione, non può riconoscere nulla ad di sopra di sé, pena lo smarrimento della propria natura.
"Sovrano" significa, etimologicamente, "che sta sopra". Per essere precisi, ciò che sta più sopra di tutto. La sovranità è un potere supremo, nel preciso senso che, per definizione, non può riconoscere nulla ad di sopra di sé, pena lo smarrimento della propria natura.
Si usa distinguere tra sovranità interna ed esterna. La prima definisce
la relazione tra il potere supremo di cui sopra e i soggetti radicati in
un territorio: questi devono essere, appunto, soggetti (sub-iecti) a quello, altrimenti non
sussiste sovranità. La seconda invece definisce la relazione tra il
potere supremo e gli altri poteri supremi, le altre sovranità. Tra di
esse deve essere vigente un rapporto di reciproca indipendenza e
autonomia, altrimenti non si può davvero distinguere tra le diverse sovranità.
La manifestazione più evidente della sovranità esterna è la sovranità militare (con la sua propaggine diplomatica). La sovranità interna è più complessa. Si compone della sovranità politica, della sovranità giurisdizionale, della sovranità amministrativa... ma le due modalità di espressione più evidenti della sovranità interna sono quella economica e quella punitiva.
Con la sovranità economica lo Stato interviene nelle questioni economiche, ridistribuendo ricchezze e redditi tra le classi, dando impulso alla produzione, rimuovendo storture e inefficienza, dirigendo e indirizzando lo sviluppo del sistema.
Con la sovranità punitiva (o penale) lo Stato si arroga il diritto di infliggere sanzioni ai consociati, privando loro della libertà personale, dei loro beni, in casi estremi della vita stessa.
Non c'è dubbio che la sovranità punitiva sia quella che ha maggiori probabilità di ferire e traumatizzare i consociati. Essa è una manifestazione di forza, e anche quando non trascende in violenza manifesta il volto duro e temibile dello Stato. È senz'altro una forza da mitigare, una prerogativa statale da limitare il più possibile.
Questo in teoria. In pratica, la sovranità punitiva dello Stato non fa che estendersi da almeno trent'anni, in apparente controtendenza con la crisi della sovranità economica. Per rendersi conto della dimensione del fenomeno basta procurarsi Iperincarcerazione, arricchita dalla prefazione di Patrizio Gonnella. Nelle carceri del mondo occidentale assistiamo ad un movimento speculare a quello del Welfare State: più questo si ritira, più quelle si riempono. Siamo ormai passati dallo Stato Sociale allo Stato Penale. E Loiq Wacquant spiega bene il senso del fenomeno: l'espansione carceraria serve da un lato a contenere l'esuberanza degli esiliati dal Welfare State, e dall'altro a rendere appettibile, con l'alternativa della galera, la prospettiva del lavoro precario e sfruttato ai ceti operai e emarginati delle grandi realtà urbane.
Ovviamente il contesto USA, principale focus dell'opera, ha delle sue specificità introvabili nella situazione europea, non foss'altro per le diverse dimensioni del fenomeno. Ma la tendenza è evidente. Lo sgretolamento della sovranità economica lascia il posto ad un incremento tentacolare della sovranità punitiva. Lo Stato nazionale si lascia svuotare delle sue prerogative in campo economico, ma mantiene saldamente la presa sullo strumento repressivo e carcerario, ponendolo al servizio degli interessi delle élites finanziarie che prosperano su quello svuotamento.
Coloro i quali temono, in buona fede, le manifestazioni più ruvide della sovranità, dovrebbero riflettere su questo fenomeno. La sovranità non viene annientata dalla globalizzazione: cambia solamente di segno. Da strumento della emancipazione dei subalterni diventa mezzo per imprigionarli tra i meccanismi della restaurazione neo-liberale. Riflettano quelli che temono il ritorno sulla scena degli Stati nazionali (come se ne fossero mai usciti): l'alternativa non è tra Stato e non-Stato, ma tra Stato Sociale e Stato Penale. La de-nazionalizzazione porta semplicemente all'esaltazione dell'uno a spese dell'altro.
domenica 7 luglio 2013
Egitto: un golpe saudita (che potrebbe rivelarsi salutare)
Man mano che passano le ore la nebbia si dirada, e la situazione in Egitto diventà più decifrabile. A quanto pare il colpo di stato che ha portato alla destituzione e all'arresto di Mohammed Morsi è stato appoggiato, se non proprio organizzato, dai servizi segreti sauditi e degli Emirati Arabi Uniti. Lo dimostrano, al di là dei rumores, il fatto che i primi (e praticamente gli unici) paesi ad aver dimostrato apprezzamento per il cambio di regime ed essersi congratulati con il nuovo presidente Mansour sono stati proprio UAE e Arabia Saudita. Il nuovo Emiro del Qatar ha espresso le stesse congratulazioni in un tempo successivo, e a denti stretti: il Qatar infatti aveva puntato tutto sulla Fratellanza Musulmana, in Egitto come altrove, ed è considerato il soggetto politico che più ha da perdere dalla caduta di Morsi. Turchia e Tunisia protestano apertamente, temendo che lo scenario si riproponga anche da loro. Gli USA sembrano stati colti alla sprovvista, e appaiono in preda a un certo disorientamento. Dal canto suo, il ministro degli Esteri israeliano italiano, Emma Bonino, esprime costernazione e dice che l'Egitto "è a un punto di non ritorno".
Si tratta certamente di un colpo di stato, ed è certo che la reazione di molti islamisti sarà il ricorso alle armi; mossa che non sembra del tutto illegittima, visto che quanto è accaduto negli ultimi giorni è la dimostrazione patente che una "normale" dinamica democratica non può semplicemente aver luogo in Egitto. Tuttavia, non bisogna dimenticare che a rompere la legalità costituzionale è stato lo stesso Morsi, con la sua dichiarazione del 22 novembre 2012, con la quale:
Con una differenza non di poco conto.
Mubarak era sicuramente un autocrate con mille difetti, ma governava l'Egitto (e l'economia non andava malissimo). Morsi lo sgovernava. L'incompetenza e la sciatteria dimostrata dai Fratelli Musulmani nel loro periodo di governo non ha eguali nella storia recente del mondo arabo. Conseguentemente, l'economia è colata a picco.
Oggi le uniche cose che possono salvare gli egiziani dalla carestia (non esagero) sono la stabilità politica, e un forte afflusso di capitali esteri a fondo perduto. Entrambe le condizioni possono avverarsi con l'intervento dell'Arabia Saudita, che però non può tollerare di sostenere finanziariamente un governo retto dalla Fratellanza (il cui fine ultimo e strategico, lo ricordiamo, è proprio "liberare" la "terra santa" islamica, ossia Medina e la Mecca, dall'usurpazione dei Saud). C'è solo da sperare che l'Egitto non precipiti in una guerra civile in stile algerino, che darebbe luogo a una tragedia ancora più orribile di quelle occorse al Libano, all'Iraq, alla Siria.
In ogni caso si tratta di tempi duri per la Fratellanza. Il loro punto di riferimento teorico e spirituale, Yusuf Al Qaradawi, è stato appena espulso dal Qatar, da cui attraverso l'emittente Al Jazeera lanciava sermoni estremisti e pro-Fratellanza; e il movimento ha anche perso la guida dell'opposizione siriana all'estero a favore del candidato filo-saudita (la cui fazione, giova ricordarlo, è guidata da un cristiano marxista, Michel Kilo). Il 2011 è stato l'anno di grazia della Fratellanza, grazie all'aiuto e al sostegno del Qatar e degli USA (e in certi casi anche dell'Iran). Il 2013 sembra davvero che possa rappresentare il loro annus horribilis. (C.M.)
Si tratta certamente di un colpo di stato, ed è certo che la reazione di molti islamisti sarà il ricorso alle armi; mossa che non sembra del tutto illegittima, visto che quanto è accaduto negli ultimi giorni è la dimostrazione patente che una "normale" dinamica democratica non può semplicemente aver luogo in Egitto. Tuttavia, non bisogna dimenticare che a rompere la legalità costituzionale è stato lo stesso Morsi, con la sua dichiarazione del 22 novembre 2012, con la quale:
- cancellava il principio del ne bis in idem per i soggetti, sospettati di essere stati uomini di Mubarak, e che erano usciti prosciolti dai processi seguiti alla caduta del regime, e che perciò avrebbero dovuto essere ri-processati;
- dotava se stesso di pieni poteri per la "salvaguardia della rivoluzione";
- concedeva a se stesso una piena immunità giurisdizionale per i suoi atti;
- negava che un qualsiasi suo atto legislativo potesse essere messo in discussione da una autorità giudiziaria, fosse anche la Corte Costituzionale.
Con una differenza non di poco conto.
Mubarak era sicuramente un autocrate con mille difetti, ma governava l'Egitto (e l'economia non andava malissimo). Morsi lo sgovernava. L'incompetenza e la sciatteria dimostrata dai Fratelli Musulmani nel loro periodo di governo non ha eguali nella storia recente del mondo arabo. Conseguentemente, l'economia è colata a picco.
Oggi le uniche cose che possono salvare gli egiziani dalla carestia (non esagero) sono la stabilità politica, e un forte afflusso di capitali esteri a fondo perduto. Entrambe le condizioni possono avverarsi con l'intervento dell'Arabia Saudita, che però non può tollerare di sostenere finanziariamente un governo retto dalla Fratellanza (il cui fine ultimo e strategico, lo ricordiamo, è proprio "liberare" la "terra santa" islamica, ossia Medina e la Mecca, dall'usurpazione dei Saud). C'è solo da sperare che l'Egitto non precipiti in una guerra civile in stile algerino, che darebbe luogo a una tragedia ancora più orribile di quelle occorse al Libano, all'Iraq, alla Siria.
In ogni caso si tratta di tempi duri per la Fratellanza. Il loro punto di riferimento teorico e spirituale, Yusuf Al Qaradawi, è stato appena espulso dal Qatar, da cui attraverso l'emittente Al Jazeera lanciava sermoni estremisti e pro-Fratellanza; e il movimento ha anche perso la guida dell'opposizione siriana all'estero a favore del candidato filo-saudita (la cui fazione, giova ricordarlo, è guidata da un cristiano marxista, Michel Kilo). Il 2011 è stato l'anno di grazia della Fratellanza, grazie all'aiuto e al sostegno del Qatar e degli USA (e in certi casi anche dell'Iran). Il 2013 sembra davvero che possa rappresentare il loro annus horribilis. (C.M.)
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lunedì 24 giugno 2013
La nuova N.A.T.O. (North Atlantic TRADE Organization)
Claudio Martini
Una riflessione a partire da questa
notizia.
Se due o più paesi si accordano per costituire un
mercato comune tra di loro, presumibilmente ciò sarà realizzato
mediante l'adozione di un pacchetto di regole condivise. Il fine di
queste regole dovrebbe essere quello di ridurre al minimo la
differenza di regime giuridico tra le transazioni internazionali (tra
i paesi aderenti al mercato) e quella intra-nazionali. L'apice della
disomogeneità nel trattamento giuridico si raggiunge quando le
transazioni intra-nazionali sono qualificate come lecite, mentre
quelle internazionali sono senz'altro vietate. Ciò, in ipotesi,
configura l'isolazionismo estremo in materia commerciale, la
negazione degli scambi con l'Estero, l'autarchia. Viceversa, l'esatta
parificazione di trattamento giuridico tra i due tipi di transazione
coincide con la massima apertura dell'economia nazionale nei
confronti del commercio estero.
Storicamente i periodi di "chiusura" dei mercati internazionali sono avvenuti a seguito dell'implementazione di politiche mercantilistiche aggressive da parte di alcuni attori internazionali. L'esempio più evidente è quanto avvenuto tra le due guerre mondiali, quando si verificò una vera segmentazione dei traffici internazionali: le grandi potenze non commerciavano più tra di loro.
Ciò non desta sorpresa. Una condizione fondamentale per conservare un mercato internazionale "affollato" è la fiducia e il reciproco rispetto. Chi attua politiche aggressive si autoesclude dal consesso dei paesi commercianti, e se tutti diventano aggressivi viene meno lo stesso commercio mondiale. Vediamo più da vicino le conseguenze pratiche di questi concetti.
Il commercio internazionale, in sé, non rappresenta un disvalore: permette anzi una più ottimale allocazione dei fattori produttivi. Un esempio banale: se i paesi del Golfo non potessero esportare il loro petrolio non saprebbero praticamente che farsene, mentre i paesi industrializzati soffrirebbero una penuria di carburanti. Quindi l'apertura dei confini nazionali ai traffici commerciali di per sé non danneggia le economie dei paesi che la vivono, anzi.
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lunedì 6 maggio 2013
Si prepara l'attacco alla Siria
Ma non quello che pensate voi...
Vorrei condividere con i lettori una riflessione, riflessione che è sorta in me dopo la lettura di questo articolo.
Ormai l'intero mainstream si è adattato alla narrazione secondo la quale in Siria non assistiamo ad una (sanguinosissima) rivoluzione di popolo contro un tiranno, ma piuttosto allo scontro tra un dittatore laico e una serie di pericolose fazioni jihadiste. Come si vede la sostanza di quello che racconta il mainstream non differisce di molto da quelli che sono i luoghi comuni diffusi nel micro-cosmo "alternativo" e "anti-sistema". Si potrebbe anzi dire che l'unica cosa che distingue gli uni dall'altro sono i giudizi di valore: mentre gli "anti-sistema" giudicano il regime di Assad come qualcosa di positivo, da difendere, il mainstream lo vede piuttosto come un male minore, se comparato al terrorismo jihadista.
Vorrei condividere con i lettori una riflessione, riflessione che è sorta in me dopo la lettura di questo articolo.
Ormai l'intero mainstream si è adattato alla narrazione secondo la quale in Siria non assistiamo ad una (sanguinosissima) rivoluzione di popolo contro un tiranno, ma piuttosto allo scontro tra un dittatore laico e una serie di pericolose fazioni jihadiste. Come si vede la sostanza di quello che racconta il mainstream non differisce di molto da quelli che sono i luoghi comuni diffusi nel micro-cosmo "alternativo" e "anti-sistema". Si potrebbe anzi dire che l'unica cosa che distingue gli uni dall'altro sono i giudizi di valore: mentre gli "anti-sistema" giudicano il regime di Assad come qualcosa di positivo, da difendere, il mainstream lo vede piuttosto come un male minore, se comparato al terrorismo jihadista.
lunedì 8 aprile 2013
Proviamo a unire i puntini: Siria, Iraq, Egitto, Qatar
Claudio Martini
Qualche tempo fa, col semplice metodo della ricerca google riuscii a scrivere un intero articolo sulla povertà in Germania. Applico ora lo stesso metodo ad alcuni fatti mediorientali. Vediamo cosa ne viene fuori...
Partiamo dalla Siria.
Come sa chi segue la situazione siriana, l'opposizione è spaccata sostanzialmente in due parti: l'opposizione all'estero, completamente egemonizzata dagli USA e dal Qatar, e l'opposizione in patria, che potremmo riassumere nella maggioranza (non tutti) i vertici del Free Syrian Army e sopratutto nel gruppo islamista Jabhat Al Nusra. Se il primo troncone, come dicevamo, è in mano agli USA, il secondo è considerato dagli stessi niente di più che un gruppo di terroristi.
Qualche settimana fa, venne diffuso questo video, in cui il primo comandante del FSA, Riad Al Assad (sostituito alla fine del 2012 da Selim Idriss) denunciava l'ingerenza delle potenze occidentali all'interno dell'opposizione siriana; in pratica, criticava gli USA per essersi comprati gli oppositori all'estero, imponendo una posizione dialogante con il regime, mentre sottolineava il ruolo insostituibile nel successo della rivoluzione siriana proprio di JAN, il gruppo considerato terrorista dagli USA.
Pochi giorni dopo Riad Al Assad perdeva la gamba destra (e per poco non la vita) in un attentato esplosivo.
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lunedì 18 febbraio 2013
Liberarsi dei luoghi comuni
Questo blog ha, fra le sue tesi di fondo, quella secondo cui l'atteggiamento degli USA verso l'Euro e verso diversi soggetti internazionali (su tutti l'Iran) sia molto diverso da quello della vulgata (ecco un esempio). Parlo di "vulgata" proprio per chiarire che, per esempio, l'idea di un'America decisa a minare l'Euro è un luogo comune, una chiacchiera da bar, e non riflette quanto ci viene a far sapere la stampa mainstream ogni giorno. Non si tratta dunque di disinformazione da parte dei media, ma di un vero e proprio equivoco fondato su faciloneria e pregiudizi, e alimentato ad arte da alcune realtà intellettuali e politiche.
La questione di quale sia la reale strategia degli USA in questo momento
storico rappresenta a mio avviso la vera questione politica di questi
tempi, da cui discendono tutte le altre. Ciò prelude ad altre
considerazioni, che saranno fatte a tempo debito in altri post. Per ora limitiamoci a segnalare due casi di plateale smentita della
vulgata da parte di alcuni fatti diffusi dal mainstream e non contestati
da nessuno, a nostra conoscenza.
Il primo non ha bisogno di particolari descrizioni: si tratta del viaggio di Napolitano a Washington, che fa il paio con il viaggio di Monti di un anno fa. L'interpretazione di questi viaggi è inequivocabile: gli USA sostengono con forza Napolitano e Monti perché vogliono che l'Italia resti nell'Euro e nell'UE, in quanto pilastro fondamentale di queste due organizzazioni. Questo almeno è chiaro per il Corriere.
Il secondo è rappresentato da un articolo di Maurizio Molinari di qualche giorno fa: fu lo stesso Obama a impedire che i ribelli siriani ricevessero armi. Alcuni membri dell'amministrazione proponevano, per opportunismo, di cavalcare la tigre della rivoluzione siriana e guadagnarsi credito presso quest'ultima con aiuti e rifornimenti; altri, la maggioranza, hanno invece scommesso sulla permanenza al potere di Bashar Assad, anche al costo di un genocidio.
Ciò è coerente con il quadro da noi delineato in questi mesi, e sopratutto combacia con l'evidenza di un occidente che, a due anni dalle prime manifestazioni, non ha mosso un dito per far cadere il tiranno siriano. (C.M)
Il primo non ha bisogno di particolari descrizioni: si tratta del viaggio di Napolitano a Washington, che fa il paio con il viaggio di Monti di un anno fa. L'interpretazione di questi viaggi è inequivocabile: gli USA sostengono con forza Napolitano e Monti perché vogliono che l'Italia resti nell'Euro e nell'UE, in quanto pilastro fondamentale di queste due organizzazioni. Questo almeno è chiaro per il Corriere.
Il secondo è rappresentato da un articolo di Maurizio Molinari di qualche giorno fa: fu lo stesso Obama a impedire che i ribelli siriani ricevessero armi. Alcuni membri dell'amministrazione proponevano, per opportunismo, di cavalcare la tigre della rivoluzione siriana e guadagnarsi credito presso quest'ultima con aiuti e rifornimenti; altri, la maggioranza, hanno invece scommesso sulla permanenza al potere di Bashar Assad, anche al costo di un genocidio.
Ciò è coerente con il quadro da noi delineato in questi mesi, e sopratutto combacia con l'evidenza di un occidente che, a due anni dalle prime manifestazioni, non ha mosso un dito per far cadere il tiranno siriano. (C.M)
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martedì 8 gennaio 2013
Stati Uniti d'Europa? Un progetto pericoloso e reazionario
Claudio Martini
Coloro che parlano di stato federale europeo in genere svalutano l'argomento del Demos. Quando si oppone loro il semplice fatto che non esiste qualcosa di paragonabile ad un popolo europeo, essi spesso ribattono indicando esempi di felice convivenza e cooperazione tra popoli diversi chiusi negli stessi confini. Tra questi c'è la Svizzera, ma si potrebbero citare tanti altri paesi, incluso quello che sembra il vero modello degli europeisti, ossia gli Stati Uniti d'America. In effetti l'omogeneità etnica-culturale sembra essere l'eccezione, e non la regola, dello scenario delle formazioni statuali odierne. Sono davvero pochi gli stati, come le Coree o il Giappone, dove lo stesso gruppo etnico rappresenta più del 95% del totale della popolazione. Stati che appaiono monolitici ai nostri occhi superificiali, come la Cina, la Russia o l'Iran, sono in realtà complessi ordinamenti federali caratterizzati da un'ampia varietà etnica e linguistica. Per non parlare di veri universi multiculturali come l'India o la maggior parte degli stati africani.
Eppure questo argomento ha qualcosa che non va. Quando noi constatiamo l'assenza di un popolo europeo non pretendiamo certo che sia condizione per avere una federazione europea che tutti gli abitanti del continente europeo appartengano allo stesso popolo. Sulla scorta degli esempi sopra fatti, basterebbe individuare un'etnia dominante.
Prendiamo la Svizzera.
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lunedì 22 ottobre 2012
Gli USA vogliono distruggere l'Iran. Ma anche no.
Nucleare iraniano, sì USA ad una trattativa diretta
Nucleare, accordo USA-Iran (ma Casa Bianca smentisce)
Iran open to nuclear talks after U.S. election, diplomats say
Iran, like US, denies plan for one-on-one nuclear talks
E innumerevoli altri. Non c'è che dire, il mainstream ha notato che tra le diplomazie dei due paesi sta succedendo qualcosa. A qualcuno potrà apparire sorprendente- ma non ai lettori di questo blog.
giovedì 19 luglio 2012
Cade Assad? Gli USA sono nel panico
Il ministro della difesa USA è molto preoccupato per la piega che potrebbero prendere gli eventi in siria dopo il colpo mortale subito dal regime di Assad.
Allo stesso tempo il ministro degli esteri britannico, William Hague, condanna l'attentato di Damasco.
E proprio quando i giorni del regime siriano siano ormai contati, per la prima volta si parla di ricorrere alle regole del Capitolo VII dello Statuto dell'Onu (quelle che consentono gli interventi "umanitari", per capirci).
Alle 16 ora italiana il Consiglio di Sicurezza si esprimerà- e noi ne daremo conto.
Ma già adesso possiamo tirare le somme. Qual è l'unica spiegazione plausibile dello "strano" comportamento occidentale nei confronti della Siria?
L'unica spiegazione plausibile è quella che abbiamo sempre avanzato: per varie e decisive ragioni (per le quali rimandiamo sia ai post già pubblicati, sia a quelli che scriveremo a breve) gli USA non vorrebbero un cambio di regime a Damasco, men che meno un cambio in senso democratico e rappresentativo del popolo siriano: e se la situazione dovesse precipitare, sono pronti a iniziative estemporanee pur di "dirottare" la rivoluzione siriana.
AGGIORNAMENTO: Oggi (giovedì 19 luglio) il Consiglio di Sicurezza ha bocciato una proposta di risoluzione che prevedeva nuove sanzioni al regime di Damasco. Probabilmente gli USA volevano salvare l'attuale assetto di potere in Siria, sacrificando Assad (mediante esilio dorato). L'oltranzismo russo glielo ha impedito. Quando il regime cadrà, cadrà in tutti i suoi elementi. La situazione è sfuggita di mano agli USA. Hanno sottovalutato i siriani.
Allo stesso tempo il ministro degli esteri britannico, William Hague, condanna l'attentato di Damasco.
E proprio quando i giorni del regime siriano siano ormai contati, per la prima volta si parla di ricorrere alle regole del Capitolo VII dello Statuto dell'Onu (quelle che consentono gli interventi "umanitari", per capirci).
Alle 16 ora italiana il Consiglio di Sicurezza si esprimerà- e noi ne daremo conto.
Ma già adesso possiamo tirare le somme. Qual è l'unica spiegazione plausibile dello "strano" comportamento occidentale nei confronti della Siria?
L'unica spiegazione plausibile è quella che abbiamo sempre avanzato: per varie e decisive ragioni (per le quali rimandiamo sia ai post già pubblicati, sia a quelli che scriveremo a breve) gli USA non vorrebbero un cambio di regime a Damasco, men che meno un cambio in senso democratico e rappresentativo del popolo siriano: e se la situazione dovesse precipitare, sono pronti a iniziative estemporanee pur di "dirottare" la rivoluzione siriana.
AGGIORNAMENTO: Oggi (giovedì 19 luglio) il Consiglio di Sicurezza ha bocciato una proposta di risoluzione che prevedeva nuove sanzioni al regime di Damasco. Probabilmente gli USA volevano salvare l'attuale assetto di potere in Siria, sacrificando Assad (mediante esilio dorato). L'oltranzismo russo glielo ha impedito. Quando il regime cadrà, cadrà in tutti i suoi elementi. La situazione è sfuggita di mano agli USA. Hanno sottovalutato i siriani.
giovedì 21 giugno 2012
Spunti di riflessione sulla Siria, sui presunti rischi di intervento NATO, sui rapporti con gli USA
Vi invitiamo a considerare i seguenti spunti di riflessione.
In primo luogo, l'ennesima presa di posizione di Henry Kissinger contro l'ipotesi di intervento militare in Siria.
Poi, le voci su un probabile "scambio" avvenuto tra gli USA e la Russia in sede ONU. Come è noto la Russia (che si porta dietro la Cina) non ha posto il veto contro la risoluzione che consentiva il bombardamento della Libia, mentre ha sempre difeso a spada tratta Bashar Assad. In base alla ricostruzione de "La Stampa", la Russia avrebbe permesso alla NATO di distruggere la Libia in cambio della licenza di uccidere accordata ad Assad.
Ancora, la dichiarazione congiunta di Vladimir Putin e Barack Obama che segna un deciso riavvicinamento delle posizioni dei due paesi sulla questione siriana.
Infine il recente rapporto del Washington Institute messo in evidenza dai media italiani ed esteri, nel quale si afferma che fra le file del fronte anti-Assad sarebbero presenti miliziani "jihadisti". Il WI è molto legato alla lobby sionista negli USA, e la base delle sue argomentazioni è piuttosto fragile. Ma la sua posizione non è certo isolata, almeno da quando la stessa Hillary Clinton ha dichiarato che armare i ribelli siriani sarebbe come armare Al Qaeda. Non ci interessa ora discutere se sia più o meno vero che dei "jihadisti" stiano combattendo in Siria. Preferiamo attirare l'attenzione su queste immagini:
O magari su questo video.
Quelle che si vedono sono bandiere di Al Qaeda. La città dove sono state prese queste immagini è Bengasi, Libia. Che l'opposizione libica fosse egemonizzata da elementi vicini all'estremismo islamico è il segreto di Pulcinella. Eppure per gli USA ciò non ha portato alcun imbarazzo. Aiutare Al Qaeda in Libia è tornato loro utile, mentre sostengono che sarebbe sbagliato farlo in Siria: è evidente la contraddizione che emerge dell'accostamento dei fatti da una parte, e delle dichiarazioni ufficiali USA dall'altra.
Non stupisce che i siriani stiano cominciando ad avere seri dubbi sulla volontà degli USA di liberarli da Bashar Assad. Kafr Anbel è una cittadina siriana in provincia di Idlib, teatro di innumerevoli manifestazioni anti-regime. Le manifestazioni di Kafr Anbel hanno la particolarità di essere accompagnate da cartelli con disegni e vignette, spesso molto divertenti. In una delle più recenti gli USA vengono riconosciuti come complici dei nemici del popolo siriano:
Ma qualcuno si spinge più in là, fino a immaginare Obama come grande burattinaio dei protettori di Assad.
In primo luogo, l'ennesima presa di posizione di Henry Kissinger contro l'ipotesi di intervento militare in Siria.
Poi, le voci su un probabile "scambio" avvenuto tra gli USA e la Russia in sede ONU. Come è noto la Russia (che si porta dietro la Cina) non ha posto il veto contro la risoluzione che consentiva il bombardamento della Libia, mentre ha sempre difeso a spada tratta Bashar Assad. In base alla ricostruzione de "La Stampa", la Russia avrebbe permesso alla NATO di distruggere la Libia in cambio della licenza di uccidere accordata ad Assad.
Ancora, la dichiarazione congiunta di Vladimir Putin e Barack Obama che segna un deciso riavvicinamento delle posizioni dei due paesi sulla questione siriana.
Infine il recente rapporto del Washington Institute messo in evidenza dai media italiani ed esteri, nel quale si afferma che fra le file del fronte anti-Assad sarebbero presenti miliziani "jihadisti". Il WI è molto legato alla lobby sionista negli USA, e la base delle sue argomentazioni è piuttosto fragile. Ma la sua posizione non è certo isolata, almeno da quando la stessa Hillary Clinton ha dichiarato che armare i ribelli siriani sarebbe come armare Al Qaeda. Non ci interessa ora discutere se sia più o meno vero che dei "jihadisti" stiano combattendo in Siria. Preferiamo attirare l'attenzione su queste immagini:
O magari su questo video.
Quelle che si vedono sono bandiere di Al Qaeda. La città dove sono state prese queste immagini è Bengasi, Libia. Che l'opposizione libica fosse egemonizzata da elementi vicini all'estremismo islamico è il segreto di Pulcinella. Eppure per gli USA ciò non ha portato alcun imbarazzo. Aiutare Al Qaeda in Libia è tornato loro utile, mentre sostengono che sarebbe sbagliato farlo in Siria: è evidente la contraddizione che emerge dell'accostamento dei fatti da una parte, e delle dichiarazioni ufficiali USA dall'altra.
Non stupisce che i siriani stiano cominciando ad avere seri dubbi sulla volontà degli USA di liberarli da Bashar Assad. Kafr Anbel è una cittadina siriana in provincia di Idlib, teatro di innumerevoli manifestazioni anti-regime. Le manifestazioni di Kafr Anbel hanno la particolarità di essere accompagnate da cartelli con disegni e vignette, spesso molto divertenti. In una delle più recenti gli USA vengono riconosciuti come complici dei nemici del popolo siriano:
Ma qualcuno si spinge più in là, fino a immaginare Obama come grande burattinaio dei protettori di Assad.
Probabilmente loro, a differenza di molti cosiddetti "anti-imperialisti" nostrani, si ricordano che la Siria, nonostante la propaganda anti-americana e anti-israeliana del regime, molto spesso, è andata a braccetto proprio con gli USA e con Israele. Ricordano, per esempio, che La Siria e i suoi alleati hanno ammazzato in Libano più palestinesi di quanti ne abbia mai fatti fuori Israele; che Hafez Assad, da ministro della difesa nel 1970, è stato tra i maggiori responsabili della disfatta palestinese in Giordania ("Settembre Nero"); che nel 1991 la Siria ha schierato le proprie truppe affianco a quelle di George Bush nella guerra all'Iraq; che il regime di Assad, in quarant'anni, non ha fatto un bel niente per liberare il Golan....
mercoledì 30 maggio 2012
Congetture e confutazioni
L'ultimo post di Claudio Martini sulla
situazione in Siria ha suscitato molte reazioni. Siamo lieti di aver ravvivato la discussione intorno a
questa delicato tema, tuttavia dispiace notare che alcune delle
critiche che ci sono state mosse sembrano non aver capito il senso
del discorso che stiamo proponendo. Certo, per capirlo è necessario leggere i vari post che abbiamo dedicato a questi temi, e si sa che il lettore
internettiano medio va piuttosto di fretta.
Vogliamo allora spiegare, più
chiaramente di quanto fatto finora, il senso di quello che stiamo
cercando di comunicare. Cominciamo con una affermazione utile,
ancorché banale: non abbiamo tesi precostituite, non vogliamo ad
ogni costo sostenere un punto preciso. Ci interessa capire quello che
sta succedendo.
mercoledì 2 maggio 2012
Conferme iraniane
Notizia di due giorni fa, ma non per questo meno fresca. E utile, perchè ci dice come il mainstream stia cominciando a rendersi conto di quanto la rumorosa psicosi da domani attaccheranno l'Iran! fosse, appunto, una rumorosa psicosi.
Importante è soprattutto il riferimento alla Conferenza di Istanbul, dove i delegati americani e persiani hanno potutto scambiarsi direttamente i loro pareri, ovviamente lontano dall'attenzione dei media. Se tutto procede come sembra, in tempi non lontani gli USA e la Repubblica Islamica raggiungeranno un honorable agreement, sia sul nucleare sia sulla sotanziale spartizione del Medio Oriente tra le loro sfere di influenza. Nessuna sorpresa per i nostri lettori: lo avevamo anticipato qui e qui (C.M.)
Importante è soprattutto il riferimento alla Conferenza di Istanbul, dove i delegati americani e persiani hanno potutto scambiarsi direttamente i loro pareri, ovviamente lontano dall'attenzione dei media. Se tutto procede come sembra, in tempi non lontani gli USA e la Repubblica Islamica raggiungeranno un honorable agreement, sia sul nucleare sia sulla sotanziale spartizione del Medio Oriente tra le loro sfere di influenza. Nessuna sorpresa per i nostri lettori: lo avevamo anticipato qui e qui (C.M.)
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