Nell'ambito del diritto internazionale si definisce la sovranità come
l'elemento giuridico costitutivo di quell'entità che chiamiamo Stato.
"Sovrano" significa, etimologicamente, "che sta sopra". Per essere precisi, ciò che sta più sopra di tutto. La sovranità è un potere supremo, nel preciso senso che, per definizione, non può riconoscere nulla ad di sopra di sé, pena lo smarrimento della propria natura.
"Sovrano" significa, etimologicamente, "che sta sopra". Per essere precisi, ciò che sta più sopra di tutto. La sovranità è un potere supremo, nel preciso senso che, per definizione, non può riconoscere nulla ad di sopra di sé, pena lo smarrimento della propria natura.
Si usa distinguere tra sovranità interna ed esterna. La prima definisce
la relazione tra il potere supremo di cui sopra e i soggetti radicati in
un territorio: questi devono essere, appunto, soggetti (sub-iecti) a quello, altrimenti non
sussiste sovranità. La seconda invece definisce la relazione tra il
potere supremo e gli altri poteri supremi, le altre sovranità. Tra di
esse deve essere vigente un rapporto di reciproca indipendenza e
autonomia, altrimenti non si può davvero distinguere tra le diverse sovranità.
La manifestazione più evidente della sovranità esterna è la sovranità militare (con la sua propaggine diplomatica). La sovranità interna è più complessa. Si compone della sovranità politica, della sovranità giurisdizionale, della sovranità amministrativa... ma le due modalità di espressione più evidenti della sovranità interna sono quella economica e quella punitiva.
Con la sovranità economica lo Stato interviene nelle questioni economiche, ridistribuendo ricchezze e redditi tra le classi, dando impulso alla produzione, rimuovendo storture e inefficienza, dirigendo e indirizzando lo sviluppo del sistema.
Con la sovranità punitiva (o penale) lo Stato si arroga il diritto di infliggere sanzioni ai consociati, privando loro della libertà personale, dei loro beni, in casi estremi della vita stessa.
Non c'è dubbio che la sovranità punitiva sia quella che ha maggiori probabilità di ferire e traumatizzare i consociati. Essa è una manifestazione di forza, e anche quando non trascende in violenza manifesta il volto duro e temibile dello Stato. È senz'altro una forza da mitigare, una prerogativa statale da limitare il più possibile.
Questo in teoria. In pratica, la sovranità punitiva dello Stato non fa che estendersi da almeno trent'anni, in apparente controtendenza con la crisi della sovranità economica. Per rendersi conto della dimensione del fenomeno basta procurarsi Iperincarcerazione, arricchita dalla prefazione di Patrizio Gonnella. Nelle carceri del mondo occidentale assistiamo ad un movimento speculare a quello del Welfare State: più questo si ritira, più quelle si riempono. Siamo ormai passati dallo Stato Sociale allo Stato Penale. E Loiq Wacquant spiega bene il senso del fenomeno: l'espansione carceraria serve da un lato a contenere l'esuberanza degli esiliati dal Welfare State, e dall'altro a rendere appettibile, con l'alternativa della galera, la prospettiva del lavoro precario e sfruttato ai ceti operai e emarginati delle grandi realtà urbane.
Ovviamente il contesto USA, principale focus dell'opera, ha delle sue specificità introvabili nella situazione europea, non foss'altro per le diverse dimensioni del fenomeno. Ma la tendenza è evidente. Lo sgretolamento della sovranità economica lascia il posto ad un incremento tentacolare della sovranità punitiva. Lo Stato nazionale si lascia svuotare delle sue prerogative in campo economico, ma mantiene saldamente la presa sullo strumento repressivo e carcerario, ponendolo al servizio degli interessi delle élites finanziarie che prosperano su quello svuotamento.
Coloro i quali temono, in buona fede, le manifestazioni più ruvide della sovranità, dovrebbero riflettere su questo fenomeno. La sovranità non viene annientata dalla globalizzazione: cambia solamente di segno. Da strumento della emancipazione dei subalterni diventa mezzo per imprigionarli tra i meccanismi della restaurazione neo-liberale. Riflettano quelli che temono il ritorno sulla scena degli Stati nazionali (come se ne fossero mai usciti): l'alternativa non è tra Stato e non-Stato, ma tra Stato Sociale e Stato Penale. La de-nazionalizzazione porta semplicemente all'esaltazione dell'uno a spese dell'altro.
un taglio nuovo al lato della cessione di svranità---bene! ancora non siamo sazi....
RispondiEliminaA proposito di Stato Penale, per associazione spontanea mi viene in mente l'istituzione - con il Trattato di Velsen del 2007 - della Forza di gendarmeria europea, o Eurogendfor, o EGF, e il contestuale smantellamento dell'Arma dei Carabinieri, come tristemente annunciato dal sito delle forze armate in aprile (http://www.forzearmate.org/wordpress/2013/04/28/carabinieri-anno-2014-inizia-lo-scioglimento-dellarma/) nella quasi indifferenza generale. Non ho capito l'EGF ha chi giura fedeltà (qualcuno forse può illuminarmi). Si sa che non è sottoposta al controllo dei Parlamenti nazionali, e che il coordinamento è affidato ad un Comitato interministeriale (CIMIN). Risultano abbastanza chiare invece le finalità di utilizzo della forza (art. 4 comma 3 del Trattato di Velsen). Non amo il complottismo e i facili allarmismi, tuttavia non ho potuto fare a meno di mettere in relazione il vostro interessante articolo con il recente cambio di paradigma (o meglio, di padrone) delle nostre forze di polizia.
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