Si tratta certamente di un colpo di stato, ed è certo che la reazione di molti islamisti sarà il ricorso alle armi; mossa che non sembra del tutto illegittima, visto che quanto è accaduto negli ultimi giorni è la dimostrazione patente che una "normale" dinamica democratica non può semplicemente aver luogo in Egitto. Tuttavia, non bisogna dimenticare che a rompere la legalità costituzionale è stato lo stesso Morsi, con la sua dichiarazione del 22 novembre 2012, con la quale:
- cancellava il principio del ne bis in idem per i soggetti, sospettati di essere stati uomini di Mubarak, e che erano usciti prosciolti dai processi seguiti alla caduta del regime, e che perciò avrebbero dovuto essere ri-processati;
- dotava se stesso di pieni poteri per la "salvaguardia della rivoluzione";
- concedeva a se stesso una piena immunità giurisdizionale per i suoi atti;
- negava che un qualsiasi suo atto legislativo potesse essere messo in discussione da una autorità giudiziaria, fosse anche la Corte Costituzionale.
Con una differenza non di poco conto.
Mubarak era sicuramente un autocrate con mille difetti, ma governava l'Egitto (e l'economia non andava malissimo). Morsi lo sgovernava. L'incompetenza e la sciatteria dimostrata dai Fratelli Musulmani nel loro periodo di governo non ha eguali nella storia recente del mondo arabo. Conseguentemente, l'economia è colata a picco.
Oggi le uniche cose che possono salvare gli egiziani dalla carestia (non esagero) sono la stabilità politica, e un forte afflusso di capitali esteri a fondo perduto. Entrambe le condizioni possono avverarsi con l'intervento dell'Arabia Saudita, che però non può tollerare di sostenere finanziariamente un governo retto dalla Fratellanza (il cui fine ultimo e strategico, lo ricordiamo, è proprio "liberare" la "terra santa" islamica, ossia Medina e la Mecca, dall'usurpazione dei Saud). C'è solo da sperare che l'Egitto non precipiti in una guerra civile in stile algerino, che darebbe luogo a una tragedia ancora più orribile di quelle occorse al Libano, all'Iraq, alla Siria.
In ogni caso si tratta di tempi duri per la Fratellanza. Il loro punto di riferimento teorico e spirituale, Yusuf Al Qaradawi, è stato appena espulso dal Qatar, da cui attraverso l'emittente Al Jazeera lanciava sermoni estremisti e pro-Fratellanza; e il movimento ha anche perso la guida dell'opposizione siriana all'estero a favore del candidato filo-saudita (la cui fazione, giova ricordarlo, è guidata da un cristiano marxista, Michel Kilo). Il 2011 è stato l'anno di grazia della Fratellanza, grazie all'aiuto e al sostegno del Qatar e degli USA (e in certi casi anche dell'Iran). Il 2013 sembra davvero che possa rappresentare il loro annus horribilis. (C.M.)
rinnovo i complimenti per le tue analisi
RispondiEliminala mancanza di progettualità degli Stati Uniti è impressionante
l'asse della fratellanza Turchia-Egitto, nel lungo periodo, metteva in discussione il ruolo americano nella regione, ma anche un Egitto pienamente saldato ai sauditi, benché all'apparenza più vicino all'ordine tradizionale, rimette in discussione i rapporti di forza dentro al patto tra la potenza imperiale e i potentati locali
senza soldi, l'Egitto entra in una spirale già vista, in cui i laici fanno politiche da Washington consensus, e i fratelli sembrano il partito del welfare (e mi pare che alcuni segnali già vadano in questa direzione)
se i soldi arrivano, si possono saldare nuovi blocchi, e le cose entrano in una fase nuova, ma a questo punto il vecchio ordine regionale è andato
saluti
Urs