Tra i caratteri distintivi della nuova Unione, già all'indomani di quel primo novembre, spiccano il nuovo metodo di assunzione delle decisioni a livello europeo, in sempre più campi a maggioranza e non all'unanimità; le nuove e inedite materie di cooperazione tra Stati membri dell'Unione, in particolare la Giustizia Civile e gli Affari Interni (GAI), nonché la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC); e sopratutto l'adozione di una nuova valuta comune a tutti gli Stati membri, ossia l'Euro. L'adozione dell'Euro è a tutt'oggi un obbligo vincolante per tutti e 28 gli Stati membri, anche se molti di essi hanno la possibilità di usufruire di una deroga transitoria, almeno finché non soddisferanno i parametri di accesso alla valuta unica (fissati nello stesso Trattato di Maastricht, e puntualizzati nel successivo Patto di Stabilità e Crescita).
È corrente presso la comunità degli studiosi del fenomento eurounitario la convinzione che l'Euro abbia costituito, per la Francia, la contropartita necessaria per concedere alla Germania il proprio assenso (o quantomeno la propria mancata opposizione) alla riunificazione tedesca. La questione è ricostruita, con grande ampiezza di dettagli e profondità di analisi, qui (prende un po' di tempo, ma merita). È necessario puntualizzare che il progetto dell'Euro non nasce con il crollo del Muro, ma alcuni anni prima, con il celebre Piano Delors; ma, come dimostra questo articolo d'epoca, tale Piano sarebbe molto probabilmente rimasto lettera morta senza un avvenimento di portata storica come il crollo del "campo socialista".
Il processo di riunificazione tedesca, infatti, non infuse soltanto un inquietante sensazione di déjà vu nei vertici politici dell'Europa Occidentale, assai timorosi di quel che sarebbe potuto accadere in seguito alla ri-nascita del gigante tedesco; essa offrì la dimostrazione plastica del punto cui fosse giunto il potere di influenza della Bundesbank, e quindi dell'economia della Germania Occidentale, sugli equilibri interni degli altri Stati europei. All'indomani del crollo del Muro, quando la prospettiva della fusione delle due Germanie divenne concreta, la Bundesbank, timorosa di nuove ondate inflazionistiche, decise unilateralmente un deciso aumento del tasso di interesse, che si riflesse nel rendimento dei titoli decennali tedeschi.
Si sviluppò una dinamica ben descritta in questo articolo. La parità tra i due marchi, l'impennata dei tassi di interesse, la privatizzazione (e lo smantellamento) dell'industria dell'Est, unite all'immissione nell'economia capitalistica di milioni di lavoratori provenienti dai Laender orientali, avrebbero avuto pesanti effetti sulla disoccupazione in Germania, che a metà degli anni '90 raggiunse livelli record; ma la prima conseguenza dell'impennata dei rendimenti dei Bund fu il crollo del valore degli altri titoli di Stato europei. Ecco la dinamica dei tassi di interesse sui titoli decennali inglesi:
In un regime di libertà di circolazione dei capitali, un aumento del rendimento di certi titoli produce fenomeni di "fuga dei capitali" dai paesi con tassi meno profittevoli; per cercare di contrastare questa fuga, i governi di Italia, Regno Unito e Svezia tentarono di agire per la via dell'innalzamento del tasso di interesse; Ciò provocò l'eccessiva onerosità del servizio sul debito pubblico e il depauperamento delle riserve di valuta forte, e in ultima analisi determinò la fine del Sistema Monetario Europeo.
Cos'era accaduto? Semplicemente, la Bundesbank aveva dimostrato (e non era la prima volta) di poter determinare il tasso di interesse interno delle altre economie europee. In un regime di cambi semi-fissi, e soprattutto con la libera circolazione dei capitali, i decisori politici dei paesi europei dovevano fare i conti con le decisioni del banchiere centrale tedesco, il quale non rispondeva dei suoi atti nemmeno al Governo di Bonn (e poi di Berlino).
Questo stato di cose indusse il Presidente francese Mitterand a recuperare il vecchio piano Delors, e a proporlo ad un riluttante Kohl al fine di arrivare ad un accordo che facesse viaggiare in parallelo l'unificazione tedesca con quella europea. Il piano francese, condiviso da molti altri vertici politici dell'allora Comunità Europea, mirava ad "annacquare" lo strapotere tedesco in una rete di governance multilaterale, in cui nella determinazione del tasso di interesse comune non avrebbe contato, come nella situazione creatasi nel 1989-1990, solo il parere del rappresentante tedesco, ma anche quello dei partner europei.
Una simile logica di scambio ha probabilmente dominato anche i successivi accordi europei, in particolare quelli relativi alla determinazione dei parametri di bilancio, l'ammissione di paesi come Grecia e Spagna nell'Euro, l'allargamento dell'Unione a tutta l'Europa orientale.
La Germania, o meglio i rappresentanti del suo establishment, hanno accettato di abbandonare il Marco ("un grande sacrificio", secondo Mario Monti), sfidando oltretutto la sensibilità dell'opinione pubblica tedesca; in questo hanno cercato in primo luogo l'intesa e la non ostilità dei loro importanti alleati occidentali, ma non è da escludere che sin dal principio abbiano intuito gli immensi vantaggi economici di cui il loro complesso industriale e finanziario avrebbe beneficiato. Sicuramente le élite occidentali (e francesi in particolare) non riuscirono minimamente a immaginare che un giorno ci saremmo trovati in una situazione analoga all'attuale, dove tutti i paesi europei non sembrano che satelliti della potenza tedesca: i nuovi Stati dell'Europa orientale sono ridivenuti il Lebensraum economico di Berlino, la Francia e i PIIGS il terreno di conquista delle sue imprese e delle sue banche, e la valuta unica il migliore strumento per mantenere margini competitivi sui mercati extra-europei. E così l'Euro, che doveva essere lo strumento per contenere la temuta German Dominance, ne è divenuto il principale veicolo di affermazione. In ciò è riassunta la cifra della débacle a cui è andata incontro la classe dirigente francese in questi vent'anni. Sorge un interrogativo. Ma come hanno fatto a non presagire nulla? Come è stato possibile che, per evitare il verificarsi di un certo fenomeno, si affidassero ad un meccanismo che amplificava tale fenomeno? Ignoranza, cialtroneria, istinto suicida?
È in realtà abbastanza facile svelare l'arcano: le classi dirigenti europee (non si parla ovviamente di quella tedesca) non potevano contrastare il processo di accumulazione capitalistica e il parallelo smantellamento del vecchio "modello sociale europeo" che costituivano, a tutti gli effetti, il modello della loro azione politica. Salutare come una sciagura il crollo dell'Est socialista, preoccuparsi degli effetti sui salari della creazione di milioni di disoccupati, ravvisare una minaccia nelle riforme del lavoro in senso neoliberista, denunciare l'atteggiamento deflazionistico di una Banca Centrale indipendente e di una strategia economica improntata al più bieco mercantilismo non cooperativo: fare tutto questo è decisamente chiedere troppo a soggetti che sulle parole "riforme", "competitività", "mercato", "crescita" hanno investito tutto il proprio capitale politico.
È l'abbraccio dell'ideologia neoliberista che ha reso possibile il grande abbaglio, che ha condotto i leader europei, come tanti lemming, in processione verso il precipizio. Come potevano criticare una Germania che dava mostra di aderire, nella maniera più coerente e completa, ai dettami del credo economico e politico in cui loro stessi credevano? Certo, c'era qualcuno che sognava che alla fine l'Euro si sarebbe dimostrato utile per avvicinare i cittadini al contatto con la durezza del vivere. Ma a parte qualche tecnocrate, pochi appartenenti alle élite occidentali pensavano di entrare in un meccanismo infernale nel quale chi è al governo dei vari paesi è destinato a perdere le elezioni immediatamente successive, non prima ovviamente di aver provato a elemosinare qualcosa, col cappello in mano, dal Cancelliere tedesco.
Storicamente, questa è la quarta disfatta storica della Francia in poco più di un secolo. Nella guerra del 1870-71 l'Impero di Luigi Bonaparte fu umiliato da una rampante (e industrializzata) Prussia. Nel corso della Prima Guerra Mondiale soltanto l'intervento di un'enorme coalizione anti-tedesca permise ai francesi di reggere l'urto tedesco, e a determinare l'esito del conflitto fu soltanto il diffondersi di idee socialiste, pacifiste, rivoluzionarie tra l'esercito e la classe operaia tedesca. Nel corso della Seconda Guerra, le élite francesi non opposero alcuna seria resistenza all'attacco hitleriano, e dopo il Blitzkrieg si decisero a collaborare con i tedeschi, in una posizione di semi-colonia. E oggi... oggi paghiamo le conseguenze di aver fatto entrare una Germania unita e iper-mercantilista in un meccanismo di governance pensato per includere una Germania divisa e sostanzialmente keynesiana (il Piano Delors). Come caricare su una barca un elefante, invece di una mucca. La barca sta affondando.
Unione Europea ed Euro da una parte, pensiero (e prassi) neoliberista dall'altra: ecco le due facce della stessa medaglia, anzi della stessa moneta. Non si può pensare seriamente di contrastare l'uno senza opporsi alle altre, e viceversa. L'abbaglio del neoliberismo ha già condotto le classi dirigenti dell'Europa Occidentale e Meridionale al più completo discredito; presto porterà alla loro definitiva disfatta. (C.M.)
Grazie per la dovizia di considerazione e i preziosi riferimenti.
RispondiEliminadavvero ottimo
RispondiEliminasi dice sempre: "per tre volte la Germania...", ma si dimentica l'altra faccia della medaglia, la discesa che sta nella salita, e cioé le 4 volte in cui la Francia si è fatta distruggere. E siamo ancora lì, a proposito di "tendenze strutturali" di fondo, le dinamiche sono ancora le stesse.
Il problema francese è centrale nel comprendere il disastro dell'Euro, soprattutto per comprendere il perché l'Euro, nonostante i risultati, sia ancora lì, e non venga spazzato via. Insomma, se il calabrone vola il perché bisogna cercarlo in Francia, e nella sua incapacità di gestire una nuova visione di ruolo e identità internazionale del paese. Per questo l'euro sta sopravvivendo ai disastri, perché l'unica alternativa che i francesi sono capaci di pensare è velleitaria, in quanto presuppone ancora la Francia nel ruolo di grande potenza - a questo proposito l'uscita di heisbourg è stata importantissima, non era una critica dell'euro, era una spiegazione del suo successo nonostante le macerie che si lascia dietro. é ovvio: se fuori dall'euro c'è la strada heisbourg, l'unica pensabile dall'attuale establishment francese, allora il dominio tedesco ha una vita lunga davanti a sé. Non era una critica all'euro, era la dichiarazione di un fallimento di cui continuano a non comprendere i motivi
saluti e avanti così
urs
condivisibile l'analisi storica di quanto è accaduto in Europa ,ma il finale non convince, non penso che le elite siano destinate alla disfatta e anche se lo fossero sarebbero subito sostituite da altre elite in linea con lo stesso pensiero che ha sostenuto la fondazione dell'Unione europea, il capitalismo ha enormi leve su cui agire e non abbandona una elite senza averne trovata prima un'altra, l'unica disfatta che vedo all'orizzonte e la nostra corredata come sempre da disoccupazione crescente , salari al ribasso, insicurezza sociale e povertà, il vero interrogativo è : quali personaggi costituiscono la nuova elite italiana?
RispondiEliminaMa infatti è quello che ho scritto: si tratta del fallimento di QUESTE élite. Nulla esclude che le nuove élite siano anche peggiori. È il caso del FN francese, ad esempio.
EliminaOttimo pezzo.
RispondiEliminaL'unico neo sta a mio avviso nel voler ricondurre il comportamento delle elite europee (escluse le tedesche, ovviamente) alla solita tesi del pasticcionismo. Della quale è ormai la stessa legge delle probabilità a dimostrare l'inverosimiglianza. Tantopiù dopo che si è individuato, correttamente, il Padoa Schioppa-pensiero. Che dovrebbe rappresentare non solo una chiave di decodifica illuminante, ma anche un minimo comun denominatore dela mentalità tipica del tecnocrate ademocratico.
Credo allora che sapessero perfettamente dove stavano andando a parare. Ma che nella farneticazione esaltata del loro fondamentalismo iperliberista abbiano omesso di considerare gli effetti della moneta unica e dei trattati nel loro insieme, tanto erano abbagliati ed esaltati dalla possibilità concreta di vedere realizzati gli incubi peggiori della loro ideologia degenerata.
Del resto questo è tipico della forma mentale del tecnocrate, in particolare quando abbraccia una teoria che gli appare particolarmente affascinante: come ho potuto imparare nel corso della mia vita professionale, tende ad analizzarne minuziosament e ad esaltarne gli aspetti che fanno.più comodo alla sua tesi, per voltare semplicemente le spalle a tutto ciò che non fa comodo a quel che intende dimostrare.
Ecco allora che il miraggio del riuscire finalmente a disciplinare le classi subordinate e ridurle all'impotenza imponendo ad esse il volere e l'interesse esclusivo di quelle dominanti, senza che potessero opporre azioni in grado quantomeno di mitigare un attacco alle loro condizioni di vita storicamente mai sperimentato prima, deve essere stato una sirena irresistibile per quei tecnocrati, che altro non sono se non individui reduci da decenni di lavaggio del cervello eseguito instillando in essi l'idolatria per soluzioni economico-sociali dalle contraddizioni enormi, che però sono stati addestrati a non vedere.
Le condizioni attuali dei paesi non germanofoni sono i risultati, resi più plausibili nelle origini descritte dalla disabitudine di quelle elite a valutare gli esiti a lungo termine delle loro tattiche, per ragionare invece in termini di obiettivi determinati anno per anno e di bilanci stilati con la medesima cadenza.
C'è da consderare inoltre che proprio il vedere a portata di mano l'ottenimento dei risultati il cui ottenimento è il solo obiettivo in base al quale sono stati programmati, abbia indotto in quei tecnocrati una foga di giungere al traguardo agognato, tale da indurli a spingere sull'acceleratore in maniera esasperata e incontrollata, portandoli infine a un risultato piuttosto comune in situazioni del genere. Ovverosia quello che a furia di inseguire a testa bassa un determinato traguardo, si finisce con il superarlo senza neppure accorgersene.
Va da sé che a quel punto l'elastico rappresentato dai destini di un intero continente, teso in maniera troppo energica e sconsiderata, tenda a ritornare con tanta più forza nella posizione di riposo, trascinando con sé tutto quanto non è riuscito a staccarsene per tempo.
"fare tutto questo è decisamente chiedere troppo a soggetti che sulle parole "riforme", "competitività", "mercato", "crescita" hanno investito tutto il proprio capitale politico."
RispondiEliminaNonché quello intellettivo, che deve essere ben poca cosa, proprio perché carente della consapevolezza del principio di specularità che oltretutto è uno degli elementi fondamentali delle parti più pregnanti di questo pezzo.
Da bravi scolari hanno mandato a memoria la lezione imposta dai loro cattivi maestri. Ma come chiunque esegue quel compito meccanicamente, non sono stati in grado di comprendere che disciplinare a tal punto la maggioranza della popolazione europea, per ridurre alla disoccupazione una parte quasi altrettanto numerosa, avrebbe si prodotto un crollo spettacolare dei costi di produzione, ma anche una crisi da sovrapproduzione ancora più clamorosa, proprio perché coloro ai quali si è decurtato a tal punto il potere d'acquisto si ritrovano fatalmente nelle condizioni di non poter comperare nulla più di quanto è strettamente necessario alla loro stretta sopravvivenza.
D'altronde non è che da tecnocrati allevati come polli in batteria si può pretendere la stessa lucidità di visione del primo Ford che si trova a passare sulla loro strada.