martedì 19 marzo 2013

Il reddito di cittadinanza, due anni dopo, è ancora una pessima idea!

Due anni fa, in questo stesso periodo, veniva pubblicato da vari siti web il seguente articolo, "Sul Salario di Cittadinanza", a firma di Badiale e Bontempelli. Rileggere è importante quanto leggere, e invitiamo tutti a rileggere con attenzione questo intervento, tenendo bene a mente che proprio il reddito di cittadinanza è il punto principale del programma di Beppe Grillo. Alle critiche qui riportate non mi sembra di dover aggiungere molto, se non questo: come dimostrano notizie come queste, la proposta di istituire un reddito di cittadinanza non va affatto in contrasto con lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, anzi ci va a pennello. Non è un caso che il modello di Grillo, la Danimarca, che effettivamente conosce una forma avanzata di reddito di cittadinanza, sia anche il paese europeo dove è più facile licenziare; che le riforme Hartz in Germania prevedessero un'ampia rete di sussidi; che personaggi come Elsa Fornero si dicano favorevoli alla proposta.
 Il reddito di cittadinanza è il necessario complemento del programma della "flessicurezza", ossia sgravare le imprese da ogni obbligo verso la stabilità del rapporto di lavoro subordinato e porre i costi di questa scelta (come le indennità di licenziamento) a carico della fiscalità generale, cioè, in larga parte, degli stessi lavoratori. Non si tratterebbe dunque di una misura volta a contrastare le logiche dell'attuale capitalismo, come sperano i suoi sostenitori "radicali" criticati da Badiale e Bontempelli, ma di una mancetta assistenziale per "stare buoni", dunque; un'idea sbagliata, da attuare per di più in un paese che deve rispettare precisi (quanto folli) parametri di bilancio e in un'Unione Europea dove, grazie alla libera circolazione dei capitali e al dumping fiscale le tasse le pagano solo quelli che non riescono a mobilizzare il proprio peculio (lavoratori dipendenti e piccoli imprenditori).
Buona lettura. (C.M.)


di Marino Badiale e Massimo Bontempelli

La richiesta del salario di cittadinanza, o salario minimo garantito, circola da tempo negli ambienti della sinistra radicale. In questo breve articolo sviluppiamo alcune considerazioni critiche, per mostrare come le istanze secondo noi corrette che stanno dietro a questa richiesta siano meglio soddisfatte da una diversa proposta politico-economica.
Per capire quali siano queste istanze, occorre riflettere sulle caratteristiche fondamentali della fase attuale, quella del capitalismo “neoliberista” e “globalizzato”.


È noto che due aspetti fondamentali della fase attuale sono da una parte il grande trasferimento di ricchezza dai ceti medi e bassi ai ceti alti, dall'altra (collegato al primo) la nuova creazione di un marxiano “esercito industriale di riserva” che ha permesso al capitale di infliggere ai lavoratori sconfitte epocali. Disoccupazione e precarizzazione da un lato, impoverimento dall'altro, questo è il destino che nel neoliberismo spetta ai ceti subalterni dei paesi occidentali.Il valore della richiesta del salario minimo garantito sta nel fatto che va ad incidere su entrambi questi aspetti, contrastando le tendenze antipopolari del capitalismo odierno.
Infatti, ove il salario di cittadinanza fosse finanziato con rinnovate forme di tassazione (diretta o indiretta) sui ceti alti, esso rappresenterebbe una forma di redistribuzione di ricchezza dall'alto verso il basso, e quindi un contrasto alla redistribuzione dal basso verso l'alto tipica del trentennio di ferro del neoliberismo.
Inoltre esso costituirebbe un grande rafforzamento dei lavoratori nei confronti del capitale: un lavoratore disoccupato che disponga di un adeguato salario di cittadinanza non è più indifeso di fronte al datore di lavoro, non è più costretto ad accettare qualsiasi offerta. Il salario di cittadinanza rende quindi la disoccupazione un'arma meno efficace nelle mani del capitale.
Se questi sono i punti a favore della proposta del salario di cittadinanza, cerchiamo adesso di vedere quali sono i suoi limiti. Il problema principale sembra essere quello delle prospettive.
Il salario di cittadinanza è pensato all'interno dell'attuale organizzazione economica e sociale, oppure è pensato come un elemento di una diversa organizzazione? È chiaro che nel primo caso, nel caso cioè in cui il salario di cittadinanza viene pensato come un elemento di redistribuzione interno all'attuale organizzazione economica e sociale, sorge subito una seria obiezione. Esso appare infatti come una delle forme di redistribuzione tipiche della fase “keynesiano-fordista” del capitalismo, cioè del “trentennio dorato” del capitalismo del dopoguerra. Ma tale fase è finita negli anni Settanta e non c'è modo di farla rinascere.
Le sconfitte del movimento operaio negli ultimi trent'anni sono radicate appunto in questo, nel fatto cioè di difendere una forma organizzativa dell'economia e della società che ha avuto successo finché si era dimostrata compatibile con l'accumulazione del capitale, e che è stata smantellata quando ha smesso di esserlo.
All'interno dell'attuale fase del capitalismo non ci può essere salario di cittadinanza per gli stessi motivi per i quali non ci possono più essere pensioni dignitose, scuole pubbliche di buon livello, sanità per tutti (abbiamo approfondito questo tema nell’articolo “Bisogna finire, bisogna cominciare”).
Se si vuole dare un senso alla richiesta del salario di cittadinanza occorre quindi inserirla all'interno di una elaborazione teorica e politica che fornisca le coordinate generali di una diversa organizzazione economica e sociale. Noi riteniamo che una tale elaborazione debba avere a proprio fondamento la nozione di “decrescita”, intesa come la diminuzione della produzione di beni sotto forma di merci e la creazione di una economia non mercantile basata sullo scambio di beni e servizi non mercificati.
A partire da tale nozione è possibile pensare alla difesa di alcune delle conquiste ottenute nella fase “keynesiano-fordista”, per esempio i servizi pubblici gratuiti: si tratta di pensare tali servizi come una rete di scambi non mercantili che vanno a costituire una parte non monetaria del reddito di tutti i cittadini che ne usufruiscono.
In questo modo una parte sempre maggiore del reddito di ciascuno avrà carattere non monetario. In questa ottica, la richiesta del salario minimo garantito non appare sensata: se vogliamo costruire una società di “frugale abbondanza” (Latouche) uscendo dall'opulenza infelice che oggi contraddistingue le società occidentali, se vogliamo una società dove il denaro conti di meno perché ciò di cui si ha bisogno lo si ottiene in forme non mercantili, ci servono servizi sociali estesi e gratuiti, ma non ci serve il salario minimo garantito.
In estrema sintesi: all'interno dell'attuale organizzazione economica e sociale il salario minimo garantito è impossibile, in una società della decrescita è inutile.
Si potrebbe allora pensare al salario di cittadinanza come una arma per l'agitazione politica, come una richiesta da fare sapendo che essa è irricevibile dagli attuali ceti dominanti, per mostrare così con nettezza il carattere antipopolare di tali ceti. Ci sembra però che da questo punto di vista si tratti di uno strumento inefficace. Mentre le altre conquiste della fase “keynesiano-fordista” (pensioni, scuola, sanità) sono entrate nella coscienza comune come diritti, per cui il farne la base di rivendicazioni può in effetti intercettare larghi consensi, la richiesta del salario di cittadinanza al momento sembra propria di gruppi di intellettuali e militanti abbastanza ristretti.
Ma è possibile ottenere altrimenti i risultati importanti che sarebbero ottenuti dal salario di cittadinanza e che abbiamo sopra indicati?
A nostro avviso è possibile, in perfetta coerenza con quanto abbiamo appena detto a proposito dei servizi sociali in una società della decrescita. Ciò di cui c'è bisogno per trasferire ricchezza dall'alto al basso, e per ridare potere contrattuale ai lavoratori, sono infatti da una parte massicce assunzioni di disoccupati da parte della Pubblica Amministrazione, dall'altra una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro. I nuovi lavoratori assunti dallo Stato sarebbero pagati con un forte prelievo di ricchezze ai ceti alti, e sarebbero destinati a due scopi essenziali: da una parte, appunto, la creazione (o ri-creazione) di una vasta rete di servizi sociali universali e gratuiti, dall'altra un vasto lavoro di risanamento a manutenzione del paese (manutenzione delle ferrovie, risanamento del dissesto idrogeologico, manutenzione e miglioramento ecologico del patrimonio edilizio, e così via).
In questo modo si realizza l'obiettivo di redistribuzione del reddito dall'alto al basso, perché i salari dei nuovi assunti sono reddito fornito alle classi subalterne, e anche perché i servizi sociali gratuiti forniti grazie ai nuovi lavoratori diventano una componente non monetaria del reddito di tutti i cittadini. È poi del tutto ovvio che in questo modo si rafforzano i lavoratori, per il banale motivo che si elimina la disoccupazione.
Per quanto riguarda la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, essa permetterebbe a tutti di organizzare e gestire reti di scambi non mercantili di beni e servizi, sottraendo quindi ampie zone della società al dominio della logica capitalistica.
Questo tipo di proposte ha poi il vantaggio di poter acquisire un largo consenso sociale: quello dei disoccupati che trovano un lavoro, quello dei lavoratori che vedono diminuire il proprio carico di lavoro, quello di tutti i cittadini che ritrovano servizi sociali efficienti e gratuiti grazie ai nuovi assunti.
È evidente, infine, che entrambe le proposte che abbiamo discusso (salario di cittadinanza da un lato, assunzioni massicce nello Stato e diminuzione dell'orario di lavoro dall'altro) hanno bisogno di grandi risorse finanziarie, e appare difficile poterle realizzarle entrambe. Una scelta è necessaria, e, per gli argomenti esposti, a nostro avviso la scelta vincente nella lotta contro l'attuale capitalismo distruttivo è quella della lotta alla disoccupazione tramite assunzioni statali e della diminuzione dell'orario di lavoro.

13 commenti:

  1. "Se si vuole dare un senso alla richiesta del salario di cittadinanza occorre quindi inserirla all'interno di una elaborazione teorica e politica che fornisca le coordinate generali di una diversa organizzazione economica e sociale. Noi riteniamo che una tale elaborazione debba avere a proprio fondamento la nozione di “decrescita”, intesa come la diminuzione della produzione di beni sotto forma di merci e la creazione di una economia non mercantile basata sullo scambio di beni e servizi non mercificati.
    A partire da tale nozione è possibile pensare alla difesa di alcune delle conquiste ottenute nella fase “keynesiano-fordista”, per esempio i servizi pubblici gratuiti: si tratta di pensare tali servizi come una rete di scambi non mercantili che vanno a costituire una parte non monetaria del reddito di tutti i cittadini che ne usufruiscono."

    Vi cito, perchè in questo periodo c'è una sostanziale incongruenza, una mistica della dialettica: nessuna decrescita è possibile all'interno di qualsiasi modello (anche di welfare) fordista.
    Poi continuate così
    "In estrema sintesi: all'interno dell'attuale organizzazione economica e sociale il salario minimo garantito è impossibile, in una società della decrescita è inutile. "
    Prospettive politiche e programmatiche? eccole:
    "A nostro avviso è possibile, in perfetta coerenza con quanto abbiamo appena detto a proposito dei servizi sociali in una società della decrescita. Ciò di cui c'è bisogno per trasferire ricchezza dall'alto al basso, e per ridare potere contrattuale ai lavoratori, sono infatti da una parte massicce assunzioni di disoccupati da parte della Pubblica Amministrazione, dall'altra una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro. I nuovi lavoratori assunti dallo Stato sarebbero pagati con un forte prelievo di ricchezze ai ceti alti, e sarebbero destinati a due scopi essenziali: da una parte, appunto, la creazione (o ri-creazione) di una vasta rete di servizi sociali universali e gratuiti, dall'altra un vasto lavoro di risanamento a manutenzione del paese (manutenzione delle ferrovie, risanamento del dissesto idrogeologico, manutenzione e miglioramento ecologico del patrimonio edilizio, e così via)."
    Questo è più che sufficiente per chiarire il perchè la sinistra non riesce a parlare a tutti: non saranno gli espropri a farla ritornare ad essere egemone, anzi c'è ben poco da espropriare, dato che i miliardi questa gente non li possiede in Italia. E ciò e riconosciuto anche da voi a fine scritto:
    "È evidente, infine, che entrambe le proposte che abbiamo discusso (salario di cittadinanza da un lato, assunzioni massicce nello Stato e diminuzione dell'orario di lavoro dall'altro) hanno bisogno di grandi risorse finanziarie, e appare difficile poterle realizzarle entrambe. Una scelta è necessaria, e, per gli argomenti esposti, a nostro avviso la scelta vincente nella lotta contro l'attuale capitalismo distruttivo è quella della lotta alla disoccupazione tramite assunzioni statali e della diminuzione dell'orario di lavoro."
    Ovvero, formuliamo la meta, senza sapere come arrivarci.

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  2. il senso è CHE si deve garantire la sopravvivenza, Punto.
    O si autorizzano e avalano i suicidi. W l'eliminazione fisica in base al censo.
    D'altra parte la costituzione l o dice, l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro, chi non ce l'ha non merita di vivere a seguire questa logica.

    Bei principi, nemmeno nel medioevo

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  3. L'articolo mi pare appropriato nei contenuti e anche nella tempistica. Grillo continua ad propagandare la decrescita e la colpevolizzazione degli statali via debitopubblicobrutto e questo mostra verso quale direzione egli voglia spingere il M5S. Bene quindi che si chiarisca questo, specialmente ad usum grillini.

    Ritengo anche importante inquadrare bene le argomentazioni portate avanti dai descrescisti, perché rischiano di essere un versione ecologically correct dell'austerità per spingerci ad essere contenti della povertà (vedi, puoi tornare ad una vita più sana). Occorre puntualizzare che una trasformazione della società in senso meno consumistico e più ecologico non può avvenire con politiche restrittive e deflattive.

    Infine temo che il richiamo a "massicce assunzioni di disoccupati da parte della Pubblica Amministrazione" possa suonare come un eresia dopo decenni di lavaggio del cervello filoprivatista. Quello che manca è una descrizione delle precedenti esperienze positive di ricostruzione fatte dallo stato. Penso ad esempio l'opera di elettrificazione condotta dall'enel, giusto per citare un caso. Ricordo che un mio zio che era nel gruppo che materialmente montava i pali, ed era una gran fatica. Questo anche per dimostrare quanto falsà sia l'identità pubblico_dipendente=fannullone.

    Le risorse per questi progetti, ovviamente, possiamo trovarle solo uscendo dall'euro.

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    1. Le risorse per questi progetti si possono trovare anche per altra via, stante l'impossibilità di convincere il grande pubblico ad uscire dall'euro.
      Questa via sono i certificati di credito fiscale esposti qui: http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/01/certificati-di-credito-fiscale-per.html e qui:http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2013/02/ccf-volevate-i-numeri-eccoveli.html

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  4. Dice barbara - garantire almeno la sopravvivenza - no suicidio per mancanza di mezzi. Punto.
    Il salario minimo garantito non è proponibile perchè porterebbe sicuramente al ribasso generalizzato dei salari.

    Il reddito di cittadinanza (ammontare da discutere), attribuito dalla nascita,permette all'individuo di vivere con dignità (zoccolo di consumo minimo su cui calibrare le attività economiche di base;agricoltura,energia,trasporti, educazione) ma non di avere qualcosa in più a cui in genere si tende. Un lavoro vero verrebbe comunque ricercato e gradito appena in grado di entrarci.Il resto sono accomodamenti contabili, regole di buon senso. Io la vedo così.

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  5. concordo ed evidenzio anche un aspetto: con il reddito di cittadinanza si elargisce del denaro ad un disoccupato, ma non gli si consente di rientrare in modo efficace nel mondo del lavoro, la proposta di assunzione pubblica ha invece il pregio di far uscire il lavoratore dalla condizione di disoccupazione e gli permette di non vedere svalutate le proprie capacità dall'inattività, inoltre si rafforza lo stato sociale e la coesione sociale. In ogni caso entrambe le soluzioni sono possibili solo fuori dai vincoli dell'unione europea e dell'euro e a patto che la Banca Centrale ritorni sotto il controllo del Ministero del Tesoro.

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    1. Mi pare corretto, infatti il salario non di cittadinanza ma di disoccupazione avrebbe senso solo come misura di emergenza per tutelare le categorie più colpite dalla crisi in parallelo ad un programma di ricostruzione. Io invece temo che vogliano utilizzarlo come copertura per portare a termine lo smantellamento della nostra industria utilizzando la retorica della decrescita. Infatti la frase "diminuzione della produzione di beni sotto forma di merci e la creazione di una economia non mercantile basata sullo scambio di beni e servizi non mercificati" non mi trova del tutto d'accordo. Va bene che il consumismo infelice, che è lo standard della nostra società, vada modificato ma bisogna anche proteggere le nostre industrie. Anche perché, e qui faccio esplicitamente la domanda agli autori: in una società "non mercantile basata sullo scambio di beni e servizi non mercificati" come pensate di equilibrare la bilancia commerciale? Dobbiamo esportare almeno tanto quanto basta per essere in equilibrio con ciò che importiamo. E' questo, a mio avviso, uno dei punti importante che distingue uno sviluppo sostenibile da una decrescita che a ma sembra proprio una truffa.

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    2. #Giovanni

      condivido anch'io il tuo timore; a scanso di equivoci però, specifico che nel mio intervento precedente mentre concordavo con la maggior efficacia di un piano di assunzioni pubbliche rispetto alla semplice elargizione di un reddito di cittadinanza, non intendevo affrontare affatto il tema della decrescita che, per quanto suggestivo, mi lascia perplesso.
      Sono convinto anche io che l'attuale modello di sviluppo sia distruttivo dal punto di vista ambientale e sociale, ma la decrescita diventa facilmente la foglia di fico per coprire politiche di tipo reazionario, come stiamo sperimentando adesso. Quello che ritengo necessario è che lo Stato riprenda il proprio ruolo dirigente all'interno del mercato, orientandolo verso quelle attività economiche più compatibili con l'ambiente e in grado di accrescere la coesione sociale. Questo tipo di attività non necessariamente portano a ridurre il PIL, anzi secondo me produrrebbero un aumento del PIL, e quindi non sono decresciste in senso stretto. In conclusione, non si tratta di ridurre il PIL e basta, si tratta di far crescere quelle componenti del PIL che aumentano l'emancipazione dei cittadini dai bisogni primari e che non ne inducano altri prodotti artificiosamente. Faccio un esempio: la Sanità Pubblica accresce certamente il PIL (se faccio un piano di ristrutturazione di Ospedali là dove c'è bisogno e ne costruisco di nuovi là dove non ce ne sono, aumento la quota di PIL orientata socialmente) e al contempo libero il cittadino dal bisogno di procurarsi i mezzi per mantenersi in salute, come ad esempio un'assicurazione privata. Sottraggo così mezzi finanziari al mercato delle assicurazioni, che è un mercato di tipo "speculativo" dove i soldi verrebbero investiti in attività che farebbero accrescere la componente di PIL non socialmente orientata, perchè di solito non è quella in grado di remunerare gli investimenti nei tempi e nei modi che investimenti di tipo speculativo consentirebbero, e magari posso incentivare il cittadino che impiega quei soldi per promuovere consumi di tipo conviviale e che riducano anche la dipendenza del Paese da tecnologie e da risorse importate, ad esempio investendoli nel fotovoltaico ed incentivando l'acquisto di pannelli prodotti in Italia e magari prodotti da un'azienda di Stato aperta per dare lavoro ad altri disoccupati, oppure investimenti nel miglioramento dell'efficienza energetica della propria casa. Questi interventi possono fare aumentare il PIL e riducono la dipendenza da fonti fossili di importazione.
      Con questo esempio intendo supportare l'idea che la proposta del post di privilegiare le assunzioni pubbliche rispetto all'elargizione del reddito di cittadinanza sia più efficace e orientato socialmente. Richiede però che il Governo sia libero di orientare il mercato e per far ciò il Governo deve essere liberato dai vincoli di bilancio che gli sono stati artificiosamente posti dall'appartenenza all'euro.
      Concludo dicendo che secondo me la decrescita è l'altra faccia dello stesso errore, cioè che il benessere di una società sia misurato dal solo PIL: chi propone la crescita quindi si pone come obiettivo l'aumento del PIL, chi declama la decrescita si pone come obiettivo la decrescita del PIL, ma entrambi si concentrano sullo stesso parametro usando il segno della sua derivata come spartiacque tra ciò che è buono e ciò che è cattivo, senza rendersi conto invece che il sistema attuale è arrivato al capolinea perchè non riesce più a far crescere il PIL in modo tradizionale, distruttivo per l'ambiente e per la coesione sociale, mentre i decrescisti forse non si rendono ancora conto che il PIL deve crescere ma nelle sue componenti che favoriscono la coesione e il progresso sociale.

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    3. G.B., ma io sono d'accordo con tutto quello che hai scritto. E' solo che siccome (i) la questione decrescista viene usata strumentalmente per gli gli scopi che abbiamo già commentato e (ii) il pubblico comincia a capire l'inganno dell'euro ma purtroppo mi pare ancora del tutto ignaro delle losche intenzioni che si celano dietro la descrescita credo che sia essenziale parlarne.

      Chi meglio degli autori di questo blog potrebbero fare i necessari distinguo, sempre che li condividano. Per questo avevo fatto quella domanda.

      Anche perché ad esempio, se provo a cercare con google "Marino" "Badiale", trovo in terza posizione questo link sul sito di movimento zero, l'associazione di quel Massimo Fini del quale non mi fido per niente, e la cosa mi inquieta. Ricordiamo che la faccia di Fini era stata usata da Grillo in quel primo post dopo le elezioni in cui cercava di attizzare una guerra fra poveri. Allora vorrei capire bene, proprio perché è di grande importanza e perché di questo blog tendenzialmente mi fido, che rapporti ha Badiale con Fini e cosa condivide e cosa no della sua divulgazione.

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    4. Sono d'accordo con moltissime delle cose che scrivi. Solo una domanda, un pò provocatoria (non t'incazzare). Ma chi dovrebbe farla questa decrescita felice, un dittatore illuminato che si mette il mappamondo sulle ginocchia?
      Penso di no, ovviamente.
      Allora dobbiamo parlare di conflitti di classe, di interessi contrapposti, di costruzione di un movimento. Altrimenti non capisco
      Francesco

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  6. Al di la' della poverta' intellettuale di Grillo,va detto che la differenza paradigmatica di Latouche(almeno quello dell'abbondanza frugale)a differenza del M5S è che il primo fornisce la spiegazione del trasferimento di ricchezza nella imcompatibilita' con il Capitalismo,i secondi nella piena compatibilita'.
    Latouche,vi invita, e non solo lui a scendere dalle nuvole.
    Inutili i "bizantinismi" sul come organizzare economia e societa'nel Capitalismo,altro discorso è analizzare da "socialdemocrazia" la possibilita di un pil Keynesiano, ma è proprio qui l'ingenuita' fatale.
    Qualsiasi opzione si scelga ,trovo meglio quella meno populista
    di Badiale e Bontempelli,si finisce sempre per evidenziare la impossibilita' del capitale di auto razionalizzarsi.
    Questa impossibilita' viene definita' nella "mancanza di risorse".....,è ovvio , in questo si rimane prigionieri di una terribile ambiguita'.

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  7. Finalmente il tema sviluppato in modo interessante!
    Qualche piccola considerazione e qualche domanda da parte mia.
    Se è vero che il capitalismo ha oramai sviluppato una grande produttività, non dovrebbe essere un'obiettivo della sinistra puntare sulla piena occupazione e sulla riduzione drastica dell'orario di lavoro? Il vecchio slogan "lavorare meno, lavorare tutti" perchè è stato messo in cantina?
    Anche la decrescita felice, cioè la produzione di merci utili, indispensabili, e la soppressione di tutto ciò che è dannoso e inutile, non necessita di una grande rivoluzione sociale e politica? E non è compatibile con "lavorare meno, lavorare tutti"? Come si fa a spiegare ad un operaio alla catena di montaggio, che deve lavorare otto ore con pause sempre più ridotte, che suo "cugino" percepisce un reddito di cittadinanza senza lavorare? Non si vede l'affinità della richiesta di reddito di cittadinanza con la massima flessibilizzazione del lavoro e l'accantonamento dello statuto dei lavoratori?
    Tutti quesiti che mi faccio, e rivolgo a voi, persone intelligenti che seguite questo blog.
    Francesco

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