di Fabrizio Tringali
In questo blog abbiamo più volte discusso dell'esaurimento dell'antitesi politica fra destra e sinistra, sottolineando come le forze che si riconoscono nell'una o nell'altra siano oramai dedite a rappresentare parti diverse dello stesso ceto dominante.
Alla vigilia di nuove elezioni amministrative, dimostriamo ancora una volta che le politiche realizzate dagli uni e dagli altri sono infatti praticamente identiche (almeno nei settori economicamente e socialmente più importanti), analizzando il caso che esemplifica più di tutti l'inutilità dell'alternanza fra centrodestra e centrosinistra: la vittoria di Pisapia a Milano.
Dallo svolgimento delle ultime elezioni amministrative in poi, cioè da circa un anno, la sinistra cerca di far leva sull'elettorato sottolineando il “vento del cambiamento” iniziato con la vittoria in importanti città come Napoli e Milano.
Dallo svolgimento delle ultime elezioni amministrative in poi, cioè da circa un anno, la sinistra cerca di far leva sull'elettorato sottolineando il “vento del cambiamento” iniziato con la vittoria in importanti città come Napoli e Milano.
In
effetti, nel capoluogo lombardo, la sinistra del centrosinistra è
riuscita, dapprima, ad imporre un suo candidato all'intera
coalizione, e successivamente a sfatare il “mito” per cui un
candidato proveniente dall'ala radicale non sarebbe in grado di
coagulare consenso sufficiente per vincere elezioni importanti. Il
tutto in “casa” di Berlusconi e della Lega.
La
vittoria di Pisapia, quindi, sembrava dimostrare due fatti politici
estremamente rilevanti:
- La sinistra poteva vincere le elezioni e determinare così un reale cambiamento di politiche rispetto a quelle attuate dal centrodestra.
- Tale vittoria poteva essere ottenuta esprimendo leader capaci di raccogliere un ampio consenso e quindi di spostare la maggioranza delle preferenze dall'area di centrodestra a quella di centrosinistra.
Ma
l'analisi dei fatti concreti dice che nessuno di questi due fatti
politici si è realizzato.
Per
quanto riguarda il primo punto, sia la composizione della giunta
Pisapia, che gli atti concreti relativi alle questioni più
controverse, indicano chiaramente che gli elementi di continuità
politica nell'amministrazione della città prevalgono rispetto a
quelli di discontinuità.
Pisapia
assegna un importantissimo assessorato a Bruno Tabacci, parlamentare
dell'UDC, partito che si era presentato con un proprio candidato alle
amministrative del 2011, e che nei cinque anni precedenti aveva
governato insieme a Letizia Moratti con la maggioranza di
centrodestra1.
Così le deleghe per la definizione delle politiche relative a
entrate, uscite, investimenti e mutui, e quelle relative ai tributi
locali vengono assegnate ad un politico che appartiene ad un'area
politica avversaria.
Inoltre,
non appena ottenuta la guida della giunta comunale, Pisapia ha
immediatamente confermato il terribile progetto “Expo 2015”.
Per
quanto riguarda il secondo punto, e cioè la capacità della
sinistra, e del suo candidato, di spostare preferenze dall'area di
centrodestra a quella opposta, una semplice analisi del voto indica
che la vittoria di Pisapia è il risultato di un mero
riposizionamento di forze politiche, ed in particolare essa è frutto
della scissione interna al PDL.
Pisapia
non aumenta affatto i voti del centrosinistra, ed anzi prende 3.600
suffragi in meno di quelli ottenuti dalla stessa coalizione alle
elezioni precedenti, nel 2006.
Ma
Letizia Moratti, diversamente dal 2006, nel 2011 non ha più i voti
del "terzo polo", nato dall'unione fra i fuoriusciti del
PDL e le forze di centro.
E'
importante notare che al primo turno il “terzo polo” presenta un
proprio candidato, mentre nel secondo turno lascia libertà di voto.
Ma le voci di un accordo Pisapia-Tabacci (quest'ultimo è un
esponente di spicco del terzo polo) e le prese di posizione esplicite
a favore di Pisapia2
da parte di importanti esponenti della borghesia milanese,
spingeranno elettori del “terzo polo” a sostenere il candidato di
centrosinistra al secondo turno.
Ecco
i numeri:
-
Ferrante, candidato centrosinistra nel 2006, al primo turno prese
319.487 voti
-
Pisapia nel 2011 prende al primo turno 315.862 voti (3.600 voti in
meno di quelli presi da Ferrante)
- La
Moratti nel 2006 prese 353.410 voti e vinse al primo turno (aveva AN
e UDC a sostegno, che presero rispettivamente 51 e 14 mila voti)
- La
Moratti nel 2011 prende al primo turno 273.401 voti, cioè 80mila
voti in meno del 2006 (poco più di quelli di AN e UDC del 2006) e va
al ballottaggio con Pisapia. Il terzo polo prende 36mila voti, quindi
molti meno della somma AN-UDC del 2006, ma la componente di FLI è
nata da poco e non è ancora organizzata)
- Al
ballottaggio va a votare un numero di persone non molto dissimile da
quello del primo turno: 671.417 (due settimane prima i votanti erano
stati 673.185 )
- Al
ballottaggio Pisapia vince con 365.657 voti, cioè guadagna 50mila
voti rispetto al primo turno. Questi voti in più provengono
prevalentemente dall'elettorato del terzo polo (36mila voti al primo
turno) e del movimento 5 stelle (21mila voti). Si tratta di forze che
per motivi diversi desiderano dare una spallata al governo
Berlusconi. Pur non essendoci apparentamenti espliciti è ragionevole
pensare che molti elettori di queste forze politiche abbiano
interesse a far perdere il candidato di centrodestra.
- Al
ballottaggio la Moratti si ferma a 297.874 voti. Dunque ne guadagna
24mila rispetto al primo turno. Questi voti provengono,
probabilmente, da una parte minoritaria del terzo polo (l'ala
filo-berlusconiana) e da altre forze ostili al centrosinistra, come
Forza Nuova e i federalisti di Pagliarini, rispettivamente 2mila e
4mila voti al primo turno.
Dunque,
l'analisi del voto del 2011 chiarisce che Pisapia non ha guadagnato
un solo suffragio rispetto a Ferrante, candidato del centrosinistra
nel 2006. Pisapia ha vinto solo perché il "terzo polo" ha abbandonato la
Moratti, e ha riversato i propri voti su di lui al secondo turno. E
così hanno fatto anche gli elettori del movimento 5 stelle.
E'
importante notare anche che il dato del 2011 relativo all'astensione
è pressoché identico a quello del 2006. Nel 2011 votano 673.185
persone, pari al 67,56% . Nel 2006 votano 695.912 persone, pari al
67,52% degli aventi diritto dell'epoca. La percentuale è la stessa,
mentre il dato numerico è leggermente inferiore nel 2011, ma anche
gli aventi diritto erano meno che nel 2006.
Dunque
Pisapia non ha spostato preferenze da una coalizione all'altra e non
ha conquistato un solo voto dall'astensione che resta al 32,5%3.
La
vittoria di Pisapia a Milano si configura, quindi, come un mero
ricambio di oligarchie al potere.
Non
stupisce quindi che il nuovo sindaco di Milano, non appena assunta la
carica, si appresti ad affermare che gli è impossibile realizzare
politiche favorevoli ai ceti medi e popolari, come per esempio il
miglioramento dei servizi pubblici.
In
una lettera spedita a tutti i milanesi, dopo soli due mesi dalla
vittoria elettorale, Pisapia afferma di essere costretto ad aumentare
le tasse (addizionale irpef) e le tariffe dei servizi (biglietti
dell'autobus).
"Non
c'era alternativa” sostiene, a causa della condizione
disastrata del bilancio: “il bilancio che abbiamo trovato era un
bilancio non veritiero, le entrate più importanti semplici voci
astratte"4.
E'
importante notare che lo stesso Pisapia, pochissimi giorni prima del
voto, aveva dichiarato di aver studiato approfonditamente il bilancio
del Comune, le sue risorse e i suoi sprechi, insieme a ben 1200
persone che hanno contribuito ad elaborare il suo programma5.
Appare
quindi molto improbabile che né Pisapia, né le forze politiche che
lo hanno sostenuto e che facevano parte del consiglio comunale negli
anni precedenti (avendo quindi facilità di accesso agli atti ed ai
documenti di bilancio), non conoscessero lo stato delle casse
comunali.
Sta
di fatto che il nuovo sindaco di Milano, appena assunta la carica,
dichiara l'impossibilità di realizzare politiche diverse dai
predecessori e favorevoli ai ceti medi e popolari, e
contemporaneamente sposa apertamente la linea dei “sacrifici” e
del “rigore”, considerandola inevitabile.
La
lettera che Pisapia invia ai concittadini si chiude così:
“Cari
milanesi, avevamo solo due strade: chiudere gli occhi, mantenere il
deficit e ipotecare il futuro oppure chiedervi sacrifici, risanare il
bilancio e investire risorse per costruirlo, il futuro."
C'è
da aspettarsi che i candidati del centrosinistra che risulteranno
vincenti alle prossime elezioni amministrative facciano altrettanto.
P.s. Chi risiede in Sardegna vada a votare per i referendum!
Note:
1)
E' interessante notare che le forze di sinistra radicale non hanno
nulla in contrario al fatto che l'assessorato più importante venga
assegnato ad avversario. Si veda per esempio la nota del PDCI, leggibile cliccando qui.
2)
Si veda per esempio l'articolo di A. Statera: "Quei borghesi
autoconvocati che a Milano tifano Pisapia", La Repubblica
online, 24 maggio 2011 - leggibile cliccando qui.
3)
Tutti i dati relativi alle elezioni amministrative di Milano del
2006 e del 2011 sono consultabili qui:
4)
Il testo completo della lettera è leggibile cliccando qui.
5)
Si veda per esempio la news pubblicata su leggo.it in data 26
Maggio 2011, leggibile cliccando qui.
Moltissime sono le perplessità sul primo anno di Pisapia. E che destra e sinistra siano due categorie prive ormai di contenuto proprio è ormai evidente.
RispondiEliminaFrancamente, però, l'articolo mi pare un po' zoppicante. La disamina della dinamica elettorale che ha portato alla vittoria di Pisapia è ineccepibile, ma arriva fuori tempo massimo: le stesse conisderazioni si potevano già fare un anno fa.
Non è poi così ferreo il nesso logico secondo cui data la suddetta dinamica (appoggio decisivo del terzo polo) la giunta Pisapia, ipso facto, espressione di un'avvicendamento oligarchico. Io penso che lo sia, in effetti, ma potrebbe pure darsi che un fortunoso gioco elettorale premi una coalizione genuinamente progressista (nel senso più nobile della parola), a prescindere dall'ampiezza reale dell'appoggio popolare.
Del resto, finché restiamo nell'ambito del sistema di rappresentanza democratica, dobbiamo pur fare i conti con questo piccolo dettaglio: che la prospettiva socialdemocratica, non dico socialista, è minoritaria (nonostante i referendum su acqua pubblica ecc.) e che certe alleanze sono inevitabili. Dunque il dilemma è sempre il solito, prosaico come non mai: a quale livello di compromesso si può scendere?
E' qui che andrà giudicato Pisapia. Le premesse, Expo in primis, non sono incoraggianti, su questo siamo d'accordo.