venerdì 26 aprile 2013

Decrescita/3

Continuiamo nella pubblicazione di testi che permettano di impostare correttamente la discussione sulla decrescita. Questa volta si tratta di un testo dello studioso francese Anselm Jappe, le cui osservazioni mi sembrano largamente condivisibili.
Il testo di Jappe era già apparso in italiano qui e qui, mentre qui trovate il testo originale.
(M.B.)

Alla seconda parte


Decrescenti ancora uno sforzo! Pertinenza e limiti degli obiettori di crescita

Anselm Jappe

Il discorso della "decrescita" è una delle rare proposte teoriche un po' nuove apparse negli ultimi decenni.
La parte del pubblico che è attualmente sensibile al discorso della "decrescita" è ancora abbastanza ristretta. Tuttavia, questa parte è incontestabilmente in aumento. Ciò traduce una presa di coscienza effettiva di fronte agli sviluppi più importanti degli ultimi decenni: soprattutto l'evidenza che lo sviluppo del capitalismo ci trascina verso una catastrofe ecologica, e che non è qualche filtro in più, o delle automobili un po' meno inquinanti, che risolveranno il problema.

Si sta diffondendo una sfiducia nei confronti dell'idea stessa che una crescita economica perpetua sia sempre desiderabile, e, allo stesso tempo, un'insoddisfazione verso le critiche del capitalismo che gli rimproverano essenzialmente la distribuzione ingiusta dei suoi frutti, o soltanto i suoi "eccessi", come le guerre e le violazioni dei "diritti umani".
L'attenzione per il concetto di decrescita traduce l'impressione crescente che è tutta la direzione del viaggio intrapreso dalla nostra società ad essere cattiva, almeno da alcuni decenni, e che siamo di fronte ad una "crisi di civiltà", con tutti i suoi valori, anche a livello di vita quotidiana (culto del consumo, della velocità, della tecnologia, ecc.). Siamo entrati in una crisi che è economica, ecologica e energetica allo stesso tempo, e la decrescita prende in considerazione tutti questi fattori, nella loro interazione, invece di voler "rilanciare la crescita" con delle "tecnologie verdi", come fa una parte dell'ecologismo, o di proporre una semplice gestione differente della società industriale, come fa una parte delle critiche che si ispirano al marxismo.
La decrescita piace anche perché propone modelli di comportamento individuali che si può cominciare a praticare qui ed ora, ma senza limitarsi a ciò, e perché riscopre delle virtù essenziali, come la convivialità, la generosità, la semplicità volontaria e il dono. Ma attira pure con il suo aspetto gentile che lascia credere che si possa operare un cambiamento radicale con un consenso generale, senza passare attraverso antagonismi e forti scontri. Si tratta di un riformismo che si vuole veramente radicale.
Il pensiero della decrescita ha senz'altro il merito di voler veramente rompere con il produttivismo e l'economicismo che hanno a lungo costituito il fondo comune della società borghese e della sua critica marxista. Una critica profonda del modo di vita capitalista sembra, in principio, più presente presso i decrescenti che, ad esempio, presso i sostenitori del neo-operaismo che continuano a credere che lo sviluppo delle forze produttive (soprattutto sotto la sua forma informatica) apporterà l'emancipazione sociale. I decrescenti tentano anche di scoprire degli elementi di una società migliore nella vita di oggi, spesso lasciati in eredità dalle società precapitaliste, come l'usanza del dono. Non rischiano dunque di puntare, come altri, sulla continuazione della decomposizione di tutte le forme tradizionali di vita e sulla barbarie considerate utili nel preparare una rinascita miracolosa.
Il problema è che i teorici della decrescita restano molto nel vago per ciò che concerne le cause della corsa alla crescita. Nella sua critica dell'economia politica, Marx ha già dimostrato che la sostituzione della forza lavoro umana attraverso l'uso della tecnologia diminuisce il "valore" rappresentato in ogni merce, il che spinge il capitalismo ad aumentare permanentemente la produzione. Sono le categorie di base del capitalismo -il lavoro astratto, il valore, la merce, il denaro, che non appartengono affatto a ogni modo di produzione, ma al solo capitalismo- che generano il suo cieco dinamismo. Oltre al limite esterno, costituito dall'esaurimento delle risorse, il sistema capitalista conteneva già sin dall'inizio un limite interno: di dover ridurre -a causa della concorrenza- il lavoro vivo che costituisce allo stesso tempo la sola fonte del valore. Da alcuni decenni, questo limite sembra essere stato raggiunto, e la produzione di valore "reale" è stato ampiamente sostituito dalla sua simulazione nella sfera finanziaria. Inoltre, il limite esterno e il limite interno hanno cominciato ad apparire pubblicamente allo stesso momento: verso il 1970. L'obbligo di crescere è dunque consustanziale al capitalismo; il capitalismo non può esistere che come fuga in avanti e crescita materiale permanente per compensare la diminuzione del valore. Così, una vera "decrescita" non sarà possibile che a prezzo di una rottura totale con la produzione di merci e denaro.
Ma i "decrescenti" arretrano in generale davanti a questa conseguenza che può apparire loro troppo "utopistica". Alcuni si sono tuttavia allineati intorno allo slogan "Uscire dall'economia". Ma la maggior parte resta troppo nel quadro di una "scienza economica alternativa" e sembra credere che la tirannia della crescita non sia che una specie di malinteso che si potrebbe confutare a forza di colloqui scientifici che discutano del miglior modo di calcolare il prodotto interno lordo. Molti decrescenti cadono nella trappola della politica tradizionale, vogliono partecipare alle elezioni o far firmare dei documenti agli eletti. A volte, è anche un discorso un po' snob con cui dei ricchi borghesi placano i loro sensi di colpa recuperando ostentatamente le verdure scartate alla fine del mercato. E se la volontà esposta di sottrarsi alla vecchia divisione "destra-sinistra" può sembrare inevitabile, bisogna comunque interrogarsi perché una certa "Nuova Destra" ha mostrato interesse per la decrescita, così come sul rischio di cadere in un'apologia acritica delle società "tradizionali" nel Sud del mondo.
Vi è dunque una certa ingenuità nel credere che la decrescita potrebbe diventare la politica ufficiale della Commissione europea o qualcosa del genere. Un "capitalismo decrescente" sarebbe una contraddizione in termini, impossibile quanto un "capitalismo ecologico". Se la decrescita non vuole ridursi ad accompagnare e giustificare l'impoverimento "crescente" della società e questo rischio è reale: una retorica della frugalità potrebbe servire ad indorare la pillola ai nuovi poveri e a trasformare ciò che è una imposizione in un'apparenza di scelta, ad esempio frugare tra i rifiuti- essa deve prepararsi a degli scontri e a degli antagonismi. Ma questi antagonismi non coincideranno più con le antiche linee di suddivisione costituite dalla "lotta di classe". Il necessario superamento del paradigma produttivista -e dei modi di vita che li accompagna- troverà delle resistenze in tutti i settori sociali. Una parte delle "lotte sociali" attuali, nel mondo intero, è essenzialmente una lotta per l'accesso alla ricchezza capitalista, senza mettere in questione il carattere di questa pretesa ricchezza. Un operaio cinese o indiano hanno delle valide ragioni per richiedere un salario migliore, ma se lo ottiene, acquisterà probabilmente un'automobile e contribuirà così alla "crescita" e alle sue conseguenze nefaste sul piano ecologico e sociale. Bisogna sperare che vi sarà un avvicinamento tra le lotte condotte per migliorare lo statuto degli sfruttati e degli oppressi e gli sforzi per superare un modello sociale basato sul consumo individuale a oltranza. Forse alcuni movimenti contadini del Sud del mondo vanno già in questa direzione, soprattutto recuperando alcuni elementi delle società tradizionali come la proprietà collettiva della terra o l'esistenza di forme di riconoscimento dell'individuo che non sono legate alla sua prestazione sul mercato.
In breve: il discorso dei decrescenti sembra più promettente di molte altre forme di critica sociale contemporanea, ma deve ancora svilupparsi e soprattutto perdere le sue illusioni sulla possibilità di semplicemente addomesticare la bestia capitalista attraverso degli atti di buona volontà.



6 commenti:

  1. Vorrei sottolineare le contraddizioni tra il dichiararsi decrescente e pretendere di non calcolare il PIL. In realtà, se si vuole decrescere, bisogna calcolarselo il PIL per potere verificare che diminuisca. Solo chi ignora il PIL potrà coerentemente criticare l'economia in modo radicale.
    Sono tuttavia d'accordo con le conclusioni, in particolare sulla natura illusoria del credere di potere anticipare già in questa società la società che auspichiamo.
    Aggiungerei che esiste un altro errore, credere che un modo di vita rispettoso dell'ambiente sia correlato a un semplice atteggiamento di buona volontà. Tutto il contrario, l'ambientalismo è forse la scienza più difficile ed in via di evoluzione, che richiede competenze tecniche, con la conseguenza che anche col massimo di buona volontà si possono tenere comportamenti dannosi per l'ambiente.
    Tutto questo mi porta a credere che anche nel movimento ambientalista sia necessario combattere lo spontaneismo e costruire una forza adeguatamente organizzata, che passa così attraverso la costituzione di un'avanguardia che possa presentarsi come classe dirigente alternativa.
    Infine, un breve commento sulle motivazioni del successo produttivistico del capitalismo. A mio modo di vedere, ciò ècorrelato alla nostra natura, il meccanismo è in fondo analogo all'istinto dei canidi di sotterrare l'osso avanzato. E' quin di necessario costruire una nuova antropologia, ben più sofisticata dall'antropologia liberale ed anche di quella marxista che sono modelli troppo rozzi per potere risultare realistici.

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  2. perchè non cominciate a rinunciare ad internet e ai computer,per iniziare voi a decrescere?Si puo' benissimo vivere senza computer e telefonini,no?D'altronde,è stata la società capitalistica a farli diventare dei bisogni no?Cominciate a rinunciarvi voi,date il buon esempio

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  3. "Vorrei sottolineare le contraddizioni tra il dichiararsi decrescente e pretendere di non calcolare il PIL. In realtà, se si vuole decrescere, bisogna calcolarselo il PIL per potere verificare che diminuisca": non capisco benissimo il senso di queste frasi. Nessuno, a mia conoscenza, chiede che non venga più calcolato il PIL. Il PIL è un dato, come tanti altri, utile a capire lo stato dell'economia. Il pensiero della decrescita contesta l'idea che la "crescita", cioè l'aumento del PIL, sia lo scopo principale della politica economica, e in ultima analisi della politica tout court.

    "Solo chi ignora il PIL potrà coerentemente criticare l'economia in modo radicale": mi sembra un'affermazione azzardata. Per criticare l'economia bisogna conoscerla.

    "E' quindi necessario costruire una nuova antropologia, ben più sofisticata dall'antropologia liberale ed anche di quella marxista che sono modelli troppo rozzi per potere risultare realistici": in linea generale posso condividere queste affermazioni, ma l'elaborazione di qualcosa come una "nuova antropologia" mi sembra una faccenda davvero troppo impegnativa per un blog.

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  4. La sintesi estrema a cui mi sono costretto per ragioni di sintesi nello scrivere il commento, sicuramente ha nociuto alla sua chiarezza. Poichè in queste settimane sono ripetutamente intervenuto su questo blog sulla questione della decrescita, pensavo che fosse possibile legare questo al complesso dei miei interventi, ma evidentemente mi sbagliavo: riprendo quindi la questione dall'inizio.
    La mia opinione è che per il pensiero dominante, quello liberale, la politica è totalmente sottomessa all'economia, tutto si deve piegare all'esigenza di massimizzare il PIL. Anche il pensiero alternativo di gran lun ga prevalente, il marxismo, in fondo non può uscire da questa logica, bisogna liberare le forze produttive anche per i marxisti che così giudicano il capitalismo come un passaggio intermedio positivo verso il comunismo. Naturalmente, queste due ideologie si dividono su come vada ripartita la ricchezza, ma che aumentare la ricchezza sia un vantaggio, è una caratteristica comune a liberali e comunisti.
    Di fronte a questo pensiero dominante, si è sviluppata la teoria della decrescita che al contrario predica la necessità di ridurre il PIL. Tuttavia, altri, tra cui anch'io, obiettiamo che se ci si impone un certo andamento del PIL, si rimane anche in questa ipotesi succubi dell'economia perchè ancora una volta un obiettivo economico (la diminuzione del PIL stavolta) detta le scelte politiche. Non si tratta certo di ignorare l'economia, ma soltanto di metterla al posto che le spetta, che non può che essere ancillare nei confronti della politica. Pertanto, riteniamo che non si debba parlare di decrescita, ma soltanto di rimettere la politica al posto di comando, sostituendo la parola d'ordine dei movimenti ambientalisti da "decrescita" a "sostenibilità". Con questo termine, si utilizza un criterio che va gestito dalla politica, pianificando l'economia, e così entrando nel merito di ogni singola scelta di politica economica, abbandonando del tutto ogni forma di automatismo nei meccanismi dell'economia.

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    1. E' inutile discutere delle cose su cui si concorda. Il pensiero della decrescita, per quel che io ne ho capito, non dice “bisogna assolutamente diminuire il PIL”, ma dice “bisogna svincolarsi dal dogma della crescita del PIL”, con l'avvertenza che questo “svincolamento”, se realizzato, porterebbe con ogni probabilità, a regime, alla diminuzione del PIL. Poiché una simile tesi è eresia o follia per il pensiero dominante, è giusto secondo me sottolinearla usando il termine “decrescita”, che appunto segna la rottura col pensiero dominante. Il termine “sostenibilità” è più confuso, ambiguo e “recuperabile”, per esempio nell'espressione “sviluppo sostenibile”. Ma sia chiaro che adesso stiamo discutendo dell'opportunità comunicativa di un termine rispetto a un altro, non della sostanza.

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    2. Caro Badiale,
      io la penso diversamente. Credo che sia abbastanza scontato che a scrivere su un determinato blog, siano coloro che si sentono più vicini agli articoli postati. E' una fortuna quindi che si possa discutere, a volte più pacatamente, a volte più animatamente, su aspetti in qualche modo di contorno.
      Ora, questa questione del termine "decrescita" non è certo la fondamentale, ma trovo sbagliato sottovalutarne l'importanza.
      La mia opinione è che la serietà nella proposta politica ambientalista sia di estrema importanza, e non trovo serio dire "decrescita" solo per distinguersi dai sostenitori della crescita, ma non ripeterò qui le mie argomentazioni.
      Per me, trovare questo blog su cui posso confrontarmi davvero su questioni che mi coinvolgono così profondamente, lo considero molto positivamente, e spero che ci siano occasioni di confronto anche in futuro, magari anche di persona, senza che qualche parola che possa apparire più aspra possa occultare il fatto di fondo, che ci consideriamo parte di un comune progetto politico.

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