Finora i capitali deboli non si sono ribellati a questa dinamica, anche perché hanno potuto scaricare il prezzo della propria debolezza sui ceti subalterni: le perniciose riforme che hanno colpito tutti i PIIGS negli ultimi anni servono a rendere conveniente la permanenza nell'euro dei capitali deboli, che hanno potuto recuperare col taglio dei salari quella competitività che hanno perduto rinunciando alla possibilità di svalutare. Dunque quello tra i capitali sarebbe sì un conflitto, ma nel cui ambito si possono stipulare anche tregue e accordi, ovviamente a spese dei lavoratori.
Se la parte analitica risulta convincente, anche quella relativa alla proposta politica può dirsi felice. Oltre agli accenni alla necessità di porre restrizioni alla libera circolazione dei capitali, e anche all'essere pronti a estendere simili restrizioni al movimento delle merci (prospettive di cui abbiamo già parlato), nel testo si indica la strada dello Stato come datore di lavoro di prima istanza. La formula è ovviamente concepita in contrapposizione col ruolo di "prestatore di ultima istanza" cui il pensiero mainstream vorrebbe ridurre le autorità pubbliche (in particolare la Banca Centrale). Lo Stato dovrebbe intraprendere la produzione di beni e servizi per i cittadini attraverso una campagna di massicce assunzioni nel settore pubblico. Questo ridurrebbe significativamente la disoccupazione, ma sopratutto inciderebbe sul potere del Capitale sul denaro. Nelle parole dei due autori:
Una proposta, a ben guardare, molto simile (sia pur con diverse sfumature) a quella contenuta qui (tesi 14). Ma non è l'unico punto di contatto che è possibile rintracciare tra i due tipi di riflessione. Cavallaro e Brancaccio, sul finire del saggio, insistono molto sull'importanza di occupare le "casematte" all'interno della sfera pubblica e delle istituzioni per arrivare ad una implementazione pratica delle proposte anti-capitaliste; e in diverse occasioni l'economista ha chiarito che parlare di decrescita è sensato, ma solo se si entra in un quadro di economia pianificata dallo Stato (questo l'intervento più recente). E un accento simile si trova nella visione propria degli autori di questo blog. Visione che risulta piuttosto originale nel quadro del dibattito sul concetto di decrescita, come ben chiarito qui.Di prima istanza, si badi, ossia non per fini di mera assistenza, ma in primo luogo per la produzione di quelle basic commodities che maggiormente incidono sulle condizioni del progresso materiale e civile della società e che, proprio per ciò, non dovrebbero esser lasciate alla ristretta logica dell’impresa capitalistica privata. (...) se è vero che il potere del capitale è il potere di governare l’allocazione del lavoro sociale sulla base di una logica riproduttiva espressa in forma di «domanda monetaria», una razio-nalità economica antagonistica rispetto a quella del capitale non potrà che manifestarsi preliminarmente nella forma di un potere sul denaro: cioè di una «signoria politica» che ne reprima il ruolo capitalistico di generatore e allocatore del lavoro disponibile.
Insomma, la crisi ha almeno un lato positivo: ci costringe a riflettere. Come si vede ci sono molti temi su cui ragionare, e molte risorse interpetative a disposizione di chi non rinuncia al pensiero critico. (C.M.)
Un lettore ci ha fatto notare un problema col primo link, ora dovrebbe essere risolto. Lo ringraziamo.
RispondiEliminaGrazie per avere richiamato l'attenzione su questa splendida introduzione. Io la avevo letta già nel 2011, quando uscì con la ristampa di Hilferding. Da allora ho iniziato a seguire Brancaccio.
RispondiEliminaMino
Incredibile la capacità di Hilferding, grazie al supporto del pensiero di Marx, di prevedere i meccanismi della crisi capitalistica odierna già nel primi del secolo scorso. Occorre lggere "il capitale finanziario" anche per completare l'opera di Marx il quale, per i motivi anagrafici, non ha potuto descrivere i cambiamenti delle forme del capitalismo moderno.
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