domenica 6 aprile 2014
Alle spalle dei rivoluzionari
J.B.Schor, Nati per comprare, Apogeo 2005. J.Balkan, Assalto all'infanzia, Feltrinelli 2012.
Ci siamo chiesti tempo fa “perché la gente non si ribella?” e abbiamo esaminato alcune possibili risposte. Avevamo detto che forse, per trovare risposte convincenti, occorre indagare temi di psicologia e antropologia. Qualche indizio (non una risposta compiuta, s'intende) mi sembra di averlo trovato in questi due libri, che descrivono, in modi diversi ma convergenti, come l'attuale sistema economico stia invadendo la sfera dell'infanzia per trasformare, ad un'età sempre minore, i bambini in consumatori compulsivi. Si tratta di un esempio perfetto di ciò che, assieme al compianto Massimo Bontempelli, avevamo chiamato “capitalismo assoluto”: il fenomeno per il quale la logica del profitto e dell'accumulazione capitalistica si estende a tutti gli ambiti della vita, anche a quelli che tradizionalmente ne erano immuni, o solo marginalmente sfiorati. Dal mio punto di vista, è particolarmente notevole il modo, descritto in questi libri, in cui le corporations sono riuscite a penetrare nella scuola: prima come sponsor, favorite dalla cronica mancanza di fondi delle scuole pubbliche, poi addirittura donando alle scuole stesse “pacchetti educativi” completi di programmi e materiale didattico. Per cui, come osserva allarmata Juliet Schor, a pag.104 del suo libro, ormai “le corporations redigono i programmi di studio”. Entrambi i libri parlano della situazione negli USA, ma non è difficile immaginare che prima o poi cose del genere si produrranno anche nel nostro paese: basti pensare a come le scuole siano sempre più oppresse da ristrettezze economiche, per capire che le resistenze a questo tipo di pratiche, resistenze che indubbiamente in Italia ci sono e forti, tenderanno sempre più ad essere sommerse dalle necessità finanziarie.
Lasciamo ai lettori di scoprire, leggendo questi due libri, le tecniche e le strategie di marketing delle corporations nella loro marcia verso la conquista dell'infanzia.
Quello che mi preme è rilevare come una generazione educata al consumismo compulsivo avrà difficoltà, una volta cresciuta, a pensare una società alternativa a quella appunto consumistica. Più in profondità, riprendendo un'osservazione di Massimo Bontempelli (di cui adesso non so ritrovare il luogo), è probabile che un'educazione costruita sull' “usa e getta” consumistico abbia difficoltà a darsi della basi caratteriali solide per la vita, e tenda a creare personalità conformistiche e deboli. E' solo un'intuizione, ma è probabile che qui ci sia una parte della risposta al “perché la gente non si ribella”. In ogni caso, è chiaro che, perseguendo il proprio profitto nei modi descritti in questi due libri, le corporations stanno lavorando “alle spalle dei rivoluzionari”: mentre questi ultimi si sforzano di produrre discorsi razionali per convincere gli adulti, il capitalismo assoluto sta conquistando l'anima dei nostri figli.
(M.B.)
Questo post viene pubblicato anche su "Appello al popolo": http://www.appelloalpopolo.it/?p=11032
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Se non sbaglio questa era anche la tesi (che ormai considererei un fatto) proposta sia da Giulietto Chiesa sia da Paolo Barnard.
RispondiEliminaPenso che il consumismo sia veramente una parte importante della risposta alla domanda.
In fin dei conti non erano gli stessi gesuiti che dicevano: "Datemi un bambino fino a dieci anni e io vi darò l'uomo".
Naturalmente l'uomo che in questo caso intendiamo è un consumatore privo di capacità critiche.
Rimane però una ulteriore domanda, ma se mancano i soldi per essere consumatori cosa accadrà? La percentuale enorme di disoccupazione e i redditi sempre più bassi, senza soldi è difficile che si diventi consumatori compulsivi, sono fattori che lavorano contro questa visione, oppure avremo le rivolte come a Londra qualche tempo fa per assaltare i negozi e rubare il capo griffato o il nuovo ipod?
Siamo messi proprio bene.
Come nota di ottimismo ricordo i referenda del 2011, i quali ci hanno detto che con organizzazione e obiettivi chiari si può costruire qualcosa anche nei tempi bui che stiamo vivendo.
Riccardo.
Una risposta interessante la dà Zygmunt Bauman, Modernità liquida
RispondiEliminaLo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi
Il passaggio dalla modernità solida a quella fluida indica che tutte le certezze su cui si è costruita la modernizzazione fino ad oggi stanno venendo meno, sostituite da una fase di sfrenata deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali; non sorprende, allora, che questa nuova fase veda al centro del suo sviluppo proprio l’individuo.
Gli uomini e le donne che popolano le società avanzate sono sempre più convinti che il loro successo/insuccesso dipenda esclusivamente dalle loro proprie capacità, senza nessun soccorso da parte della società (intesa in modo ampio); ci troviamo, insomma, nella situazione in cui, tramontato il sogno di una autorità centrale, sia essa lo stato o il capitale, che garantisca la strada per il progresso, il mondo si trasforma in una distesa di opportunità pronte ad esser colte dai soggetti, per guadagnare il maggior numero di soddisfazioni possibili: “Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca”.
Chi può aiutarmi a raggiungere gli obbiettivi giusti? Questa sembra essere la domanda più importante che si pone il soggetto nella modernità fluida, e le risposte a questi quesiti fondamentali per ogni individuo vengono portate direttamente a casa dai talk-show televisivi, il cui scopo è appunto quello di risolvere i problemi privati portandoli al pubblico dibattito. Secondo l’autore, ci troviamo dinanzi ad una vera e propria colonizzazione della sfera pubblica da parte di problematiche che fino a poco tempo fa erano di pertinenza esclusiva della sfera privata.
Attraverso questi esempi, il sociologo polacco ridefinisce il confine tra la sfera pubblica e quella privata; il fatto che i problemi privati invadano lo spazio pubblico della discussione, non traduce queste problematiche in questioni pubbliche ma, ed è l’aspetto più importante, toglie lo spazio a tutti gli argomenti pertinenti alla sfera pubblica. Il primo risultato di tale condotta è la fine della Politica come argomento di dibattito pubblico, e di conseguenza la fine dell’agire politico del cittadino.
Nella modernità liquida, è il consumo la priorità di ogni individuo, e principalmente il consumo/acquisto di identità personali attraverso l’identificazione. Questo genere di mercato delle identità ben si combina con i processi di flessibilità propri della modernità liquida, ma, avverte l’autore, il genere di consumismo che riguarda le società di oggi è ben diverso dal fenomeno del consumismo dell’epoca solido moderna; in questa, infatti, il consumo era inserito nella dialettica del bisogno/mancanza, mentre nella modernità liquida, il consumo è rivolto unicamente verso l’appagamento dei desideri. La natura autoreferenziale del desiderio, che ha per oggetto se stesso, chiarisce bene come il fenomeno consumo divenga così una compulsiva ricerca di soddisfazione che non si esaurisce mai, e dunque infinita.
Scusate se metto qui questo commento, cancellate pure se non lo ritenete opportuno essendo OT.
RispondiEliminaVoglio riportare qui quanto o letto su repubblica a proposito della vittoria del "caro Viktor", così è stato appostrofato dal padre della patria germanica ed europea Helmut Kohl nelle elezioni ungheresi, vittoria ottenunta col 48% in totale assenza di libertà informativa (mi pare che facendo un raffronto tra il nostro sitema informativo e il loro da noi abbiamo ancora una informazione obiettiva, limpida, corretta, onesta e priva di pregiudizi/ali e ho detto tutto).
..."E in una prova generale delle elezioni europee, lo ha sicuramente aiutato anche il massiccio appoggio del Partito popolare europeo. Con un caloroso messaggio di Helmut Kohl, il grande ex cancelliere federale e padre della riunificazione tedesca e dell'euro, al "caro amico Viktor". E un grande comizio con ospite d'onore qui il presidente dei Popolari europei, Joseph Daul."...
Il massiccio appoggio del ppe.
E' scritto proprio così.
E' proprio vero l'europa unita è il faro della democrazia, l'ultima ridotta dei diritti civili, democratici, legali, costituzionali, non dimentichiamoci poi i diritti degli animali, il codice Napoleonico, l'Habeas corpus, tutte le istituzioni a salvaguardia della legalità e della civiltà come le corti costituzionali la corte europea dei diritti dell'uomo (anche se non centra niente con l'ue) ecc. Che vadano tutti a ca...re. Ci sarà da rivedere non poche idee che si erano fatte sul caro Viktor a proposito della sovranità monetaria ecc. Le notizie provenienti dalla terra magiara sono un pochettino contrastanti.
Chissà se ci sarà una lenzuolata di Travaglio a tal proposito, naturalmente di scandalo sulle frequentazioni dei pesi massi del ppe (ops pardon, vale solo per la mafia), abbiamo proprio bisogno di qualcuno che sostituisca le encicliche domenicali di Scalfari, un nuovo faro di luce.
E si, il problema era proprio Berlusconi (sia chiaro, non che non lo sia), solo che ci si è dimenticati di guardare nell'altra faccia della medaglia, le colpe degli "onesti", a scanso di equivoci ci metto anche le mie.
Battuta tratta da Frankestein junior:
https://www.youtube.com/watch?v=j2PWCtoFuj8
Qui il link:
http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/06/news/ungheria_dagli_exit-poll_netta_vittoria_di_orban_la_sinistra_tiene_sui_neonazisti-82909948/?ref=HREC1-4
Riccardo.
Caro Badiale, permettimi stavolta di essere in completo disaccordo con te.
RispondiEliminaPer dirla schiettamente, non credo che l'educazione impartita possa fornire danni irreversibili.
Non lo credo perchè il fondamento dell'attività politica è appunto quello di credere che sia possibile convincere, e fare cambiare opinione, se davvero dovessimo credere che la gente venga plasmata con effetti non più modificabili, non avrebbe neanche senso l'attività politica.
Non lo credo ancora di più perchè la mia esperienza di vita mi mostra tutto il contrario, che è possibile, e neanche troppo difficilmente fare cambiare idea alle persone.
Il punto, e lo ribadisco, è avere un gruppo organizzato e coeso che è riuscito al proprio interno a coltivare una ideologia differente, e che è pronto ad operare socialmente in accordo a questa ideologia alternativa.
E in effeti, fino ai commenti al precedente post, vedo che questa capacità di pensare in modo alternativo stenta a svilupparsi in nome di un malinteso realismo.
Io dico pensare rivoluzionario ed agire pragmaticamente (anche se questo aggettivo meriterebbe un approfondimento, lo uso come viene comunuìemente usato, anche se chi lo usa non ha in genere idea di cosa sia il pragmatismo).
Se adesso ci assumiamo sulle nostre proprie spalle le compatibilità del capitalismo, è evidente che rimaniamo prigionieri di quella ideologia.
Se oggi in particolare non siamo in grado di comprendere quanto il globalismo sia antiumano, di quanto sia fondamentale rifiutarlo, non abbiamo speranza alcuna, non sarà una valuta differente, non sarà un po' di liquidità finanzairia in più a cambiare le cose.
La domanda tutt'altro che retorica di Marino Badiale,pertinente e elementare al tempo stesso, profonda nelle sue semplici implicazioni, merita sempre una risposta ogni qualvolta si è di fronte ad una mancata reazione ad un sopruso così grande come quello compiuto dalle oligarchie ai danni dei popoli d'Europa,del sud in particolare;allora perchè la gente non si ribella,perchè "lascia fare"in modo così rovinoso per le proprie sorti,gli aguzzini riuniti a Berlino e Bruxelles?Ancora una volta concordo con Badiale nell'indagare più a fondo l'aspetto psicologico della condotta fin qui tenuta dalla maggioranza del popolo italiano in particolare,su quello spagnolo,greco e francese invece va fatto un ragionamento diverso,avendo dimostrato una capacità diversa di resistenza lodevole.Per il nostro paese,sarebbe utile invece,rivolgere l'analisi in maniera più convinta a quella psicologia delle masse di cui l'Italia in anni passati e recenti ha dimostrato di essere influenzata,più che da contingenze economiche,derubricate sempre nell'immaginario collettivo come semplici momenti passeggeri che il Messia di turno risolverà.La psicologia delle masse funziona così,come strumento potente in mano alle oligarchie,potente a tal punto da far sembrare un lager il posto migliore in cui è possibile vivere(o sopravvivere).Capisco quanto sia stupefacente,per chi ancora crede in una modifica radicale della società capitalistica(e consumistica),constatare quanto sia debole la resistenza all'intrusione dell'onnisciente ideologia del consumo a tutti i costi,ma sino a quando non si indagheranno anche altri e più decisivi campi d'analisi sociale,non si capirà mai come sia possibile che un lavoratore con un salario da fame si affidi in anni recenti ad un ex consulente della più importante banca d'affari mondiale e oggi ad un ex boy scout già democristiano,convinto di poter avere,perchè così gli è stato inculcato,il giusto riconoscimento materiale che gli spetta in quanto consumatore educato alla corte dell'Eldorato sfavillante delle merci. Luciano
RispondiEliminaIo credo che la domanda non abbia tutto quel senso che di primo acchito pare abbia.
RispondiEliminaLe ribellioni sono gesti estemporanei e hanno una dimensione ristretta che va ad estinguersi nel breve, in buona sostanza non riescono a risultare determinanti nei confronti dei massimi sistemi in atto in quel determinato momento.
Le rivoluzioni invece non nascono dai ceti sociali che stanno alla base di una società, non è mai successo, la rivoluzione Francese, la più famosa, mosse dalla borghesia che convinse, gestì e indirizzò la base della società. Base composta in maggioranza da contadini, cioè gli operai di allora, una classe sociale che aveva un'identità.
Stessa cosa quella Russa, vi era un'identità comune.
Le (poche) conquiste ottenute nell'era industriale, hanno avuto la forza dall'identità comune dell'operaio e dalle medesime difficili condizioni.
Paradossalmente, l'aver prodotto ricchezza generalizzata, e cioè fruibile da una maggioranza, ha posto in essere quelle condizioni che generalmente portano le persone a non aver più necessità di unire le forze, le quali, normalmente. trovano naturale sbocco nella ricerca di un'identità personale o interpersonale.
Se esaminiamo, seppur grossolanamente, la società odierna, possiamo notare come il tessuto sia, da un punto di vista professionale, molto diversificato. Se vi aggiungiamo il fatto che i lavori usuranti si sono ridotti in maniera significativa finendo con l'essere occupati da soggetti di culture meno avanzate, non è poi così difficile capire che la ricerca di una realizzazione che ha una dimensione ristretta e più aderente alla singola personalità possa essere la causa di forza maggiore nella mancanza di una unità d'intenti.
La realizzazione dell'identità personale (più fittizia che reale), questa si, basata sull'idea del possesso di beni, ha messo tutti quelli che l'han perseguita nella condizione incosciente che prova colui che, convinto di essere diventato qualcuno, scopre, senza averne piena consapevolezza, di essere stato un pollo da spennare, cosa che provoca un senso di colpa latente. Il resto lo fa la tivvù.
Il capitalismo moderno ha permesso tutto ciò, ma non ne è la causa. Sarebbe come dire che la pistola fa l'uomo assassino, non è così, l'uomo è assassino, se lo è, di suo.
Sandro Ceccato