lunedì 2 marzo 2015

La fine della crescita senza fine parte 1




Qualche tempo fa abbiamo discusso del bel libro di Mauro Bonaiuti. Vi proponiamo oggi un intervento sui temi del libro, segnalatoci dallo stesso Bonaiuti che ha curato la traduzione. L'intervento è diviso in due parti, che pubblichiamo fra oggi e domani. Qui trovate l'originale.
(M.B)





Di Nafeez Ahmed




È arrivato il nuovo anno, e la crisi economica globale è ancora grave. Ma mentre gli esperti si
scontrano sul fatto che il 2015 sia l'anno della ripresa o piuttosto quello di una nuova
recessione, nuove ricerche suggeriscono che tutti costoro potrebbero star non vedendo lo
scenario nella sua interezza: il perdurare della crisi economica globale potrebbe essere, cioè,
il sintomo di una crisi più profonda del rapporto tra la nostra civiltà industriale e la natura.

Lungi dal catastrofismo, alcuni economisti vedono l'attuale fase di stagnazione e austerità come parte di una fondamentale fase di transizione verso una nuova forma di società nella
quale potremmo adattarci ai limiti imposti dalla natura e prosperare o, nel negarli, collassare
lasciando alla natura ritrovare un suo equilibrio. Così il 2015 annuncia l'alba di una nuova era
di prosperità, o il crollo dell'economia globale?

Mentre ci si avvicinava al nuovo anno, alcuni esperti hanno affermato con ottimismo che la più parte dei segnali indica che l'economia sia di nuovo sui giusti binari, mentre altri hanno
descritto sorti più tristemente incerte. Di sicuro, con insolita umiltà, molti economisti
mainstream hanno ammesso di non avere idea di cosa ci potesse serbare l'anno in arrivo.
Justin Wolfers del New York Times ha semplicemente consigliato di: "prepararsi al peggio,
sperare per il meglio, e prepararsi ad essere sorpresi."
Molti, però, sono stati schietti nel mettere in guardia che il peggio debba ancora venire. Ad
esempio, David Levy, responsabile della Levy Forecast, fondata nel 1949, e che da decenni
ha saputo prevedere tutti i principali rallentamenti degli Stati Uniti, ritiene che quest'anno ci
sarà una globale "recessione ... peggiore di quella precedente". Secondo l'economista
(indipendente, ndt) Harry Shutt, già consulente per la Banca Mondiale, la Commissione
Europea e le Nazioni Unite, "l'inizio inevitabile di una nuova serie di collassi bancari deve
ora essere visto come imminente," con il 2015 che segna l'inizio di "più vasti collassi
globali." Per Shutt, questa non è una mera ripetizione congiunturale di espansioni e
recessioni, ma un sintomo del fatto che il vecchio paradigma "basato sul primato del profitto
privato è obsoleto" e ci mette in guardia cupamente del fatto che ci troviamo sulla "china di
una nuova epoca buia", mentre i politici continuano a fare affidamento, per affrontare la crisi,
sulla "repressione violenta" e su antiquati strumenti economici. Per Shutt, la crisi economica
riguarda qualcosa di più che il semplice dato economico, ma trova radice nella stessa spinta
predatoria del capitalismo verso la crescita senza fine e verso una conseguente, sempre più
estesa, violazione dei limiti ambientali, il che implica che siamo nel mezzo di una inevitabile
transizione, non solo verso un altro modello di economia, ma anche verso un diverso modello
di civiltà. Potremmo essere sull'orlo di un importante punto di svolta nel modo in cui opera la
nostra civiltà?



Il lungo declino

Alcuni sostengono che, proprio mentre l'economia sta andando fuori controllo, stanno
germogliando semi di speranza. Anche se le crisi globali accelerano - e questo comprende il
rischio di catastrofe climatica, l'instabilità energetica, e molte altre crisi oltre alla crisi
economica- una serie di rivoluzioni sistemiche interconnesse sta convergendo in una
direzione che potrebbe facilitare una trasformazione positiva dell'economia globale: da un

modello che massimizza l'accumulo materiale di pochi, a uno capace di soddisfare le
esigenze, e il benessere, di tutti.

Questa è la conclusione di "The Great Transition", un nuovo e importante libro pubblicato
dalla Routledge nella serie di 'Studi di Economia ecologica' e scritto dal Prof. Mauro
Bonaiuti, economista presso l'Università di Torino, in Italia. Il libro di Bonaiuti applica gli
strumenti delle scienze della complessità per capire la reale dinamica, e le implicazioni, di
una crisi economica globale che si è fatta improvvisamente evidente a partire dal 2008.

Quella crisi, sostiene Bonaiuti, è il sintomo di un più esteso "passaggio di civiltà". Le società
capitalistiche avanzate, prendendo a raffronto il periodo successivo seconda Guerra
Mondiale, sono entrati in una "fase di rendimenti decrescenti" e questo sulla base, tra gli altri,
di indicatori quali il tasso di crescita del PIL, l'EROEI (Energy Returns on Energy Invested)
delle fonti energetiche, (e cioè quanta energia richiede produrle rispetto a quanto se ne
ricava), e l'indice della produttività manifatturiera.




Fig1 - Il grafico di Bonaiuti mostra il tasso di crescita del PIL in Europa 1961-2011, che evidenzia sul lungo periodo, al di là delle fluttuazioni, una consistente diminuzione





Fig 2. Bonaiuti sottolinea come anche l'EROEI (Energy Return On Energy Invested) sia in declino per
i principali combustibili fossili

Considerate questo: rispetto a questi rendimenti decrescenti, nello stesso periodo e su scala
globale, abbiamo dovuto affrontare aumenti quasi esponenziali nel consumo di energia,
debito pubblico, crescita della popolazione, emissioni di gas serra ed estinzioni di specie.

Per Bonaiuti, i cali nei rendimenti a cui stiamo assistendo sono una conseguenza del
"l'interazione tra i limiti di natura biofisica (l'esaurimento delle risorse, il riscaldamento
globale, ecc.) e la crescente complessità delle strutture sociali (burocratizzazione, riduzione
della capacità di innovazione nei sistemi produttivi, educativi, della salute, ecc.)."





Fig 3. Raffronto tra crescita della popolazione e del consumo energetico globali (Fonte: The Oil
Drum)



Fig 4. Aumento globale del debito in rapporto al PIL 2000-2013 (Fonte: The Telegraph)

Fig. 5 Correlazione tra aumento esponenziale dei consumi, emissioni di C02, estinzioni di specie, e
degrado ambientale (Fonte: Skeptical Science)

La crisi economica non è quindi solo dovuta al debito, o alla deregolamentazione, o alla
volatilità del mercato o a qualsiasi altra ragione di tipo economico. Fondamentalmente, la
crisi è legata al fatto l'economia globale sta continuando a infrangere i limiti della biosfera.
Ironia della sorte, come sottolinea Bonaiuti, mentre l'accumulazione materiale misurata dal
PIL è continuata, oltre una certa soglia, il benessere e la felicità non solo hanno smesso di
crescere, ma sono ora in declino e aumentano la depressione e altri disturbi psicologici - un
fenomeno che gli economisti tradizionali non riescono a spiegare.

Tutto questo comincia invece a trovare un senso se re-inquadriamo la crisi non come
meramente economica, ma come "bio-economica", cioè una crisi in cui il consumo
esponenziale di materia è sempre più destabilizzante per a biosfera. Questo superamento della
soglia ambientale (overshoot) spiega "l'impossibilità da parte del sistema capitalistico di
continuare a produrre benessere sociale e affrontare con un minimo di efficacia la questione
ecologica." E la ragione per cui l'attuale capitalismo non ha più strumenti validi con cui
contrastare la crisi.


Collasso? O rinnovamento! (o entrambi ...?)

La nostra civiltà sta così passando attraverso una vasta, epocale 'fase di transizione' verso una
nuova era, mentre l'attuale capitalismo predatorio globale crolla sotto il peso della propria

sempre crescente insostenibilità. Mentre è in corso questo processo si aprono,
contemporaneamente, una serie di scenari che propongono nuove forme di società e che
fanno intravedere la possibilità di "un grande transizione verso nuove forme istituzionali", un
processo che potrebbe portare con sé anche l'occasione per un più vasto "autogoverno
democratico delle comunità e dei loro territori. "

Nonostante le concrete 'spaccature' che questa transizione comporta (l'ondata senza
precedenti di disordini globali ne è un importante esempio), molte delle quali analizzate in
dettaglio su Motherboard, l'economista italiano è cautamente ottimista sui potenziali risultati
a lungo termine di questo processo.

"Quando il paradigma cambia, come ci insegnano le scienze della complessità, nascono
nuove forme di organizzazione economica e sociale più adatte alla nuova situazione", dice
Bonaiuti." In particolare, in un contesto di crisi globale, o anche di crescita stagnante, la
cooperazione tra organizzazioni economiche decentrate e a scala più piccola, offre maggiori
possibilità di successo. Queste organizzazioni possono portare il sistema verso condizioni di
sostenibilità ecologica, maggiore equità sociale e, con il coinvolgimento dei cittadini e dei
territori, aumentare anche il livello di democrazia".

Bonaiuti usa il termine 'decrescita' per descrivere questo nuovo paradigma - ma decrescita
non vuol dire banalmente nessuna crescita, o addirittura crescita negativa. Fa riferimento
invece al nuovo pensiero di un "economia post-crescita" nel quale ci si libera dell'ossessione
a considerare l'accumulo materiale come indicatore primario della salute economica.

La crescita infinita è impossibile in un pianeta finito.

Questa prospettiva riconosce che la crescita illimitata è semplicemente impossibile dal punto
di vista biofisico, è una letterale violazione di una delle leggi fondamentali della fisica:
l'inevitabile degradazione dell'energia sancita dalla legge di entropia.

Se Bonaiuti ha ragione, allora dobbiamo aspettarci di vedere sempre più segni di questa
transizione, e con essa, l'emergere di possibili nuove forme di organizzazione economica e
sociale che funzioneranno molto meglio del vecchio paradigma industriale che ancora diamo
per scontato.

E questo è esattamente ciò che sta accadendo.

Nella seconda parte di questo articolo, analizzerò le cinque grandi "rivoluzioni" che si stanno
già sviluppando, che stanno già minando il vecchio paradigma e spianando la strada per le
possibili, valide alternativa che si avvicinano: la rivoluzione informatica, la rivoluzione
energetica, la rivoluzione alimentare, la rivoluzione della finanza e la rivoluzione etica.

I grandi cambiamenti portati da queste rivoluzioni si stanno sviluppando qui e là, per
tentativi, in modo spesso incoerente - ma, nonostante ciò, inesorabilmente, e nei prossimi
anni il sistema avrà sempre più difficoltà a contenerli e a cooptarli.

Tutte queste rivoluzioni comportano una sempre maggiore 'dispersione' del potere tra le
persone e nelle comunità, e si allontanano sempre più dalle tradizionali gerarchie
centralizzate di controllo. Man mano che queste nuove forme si rafforzano e cominceranno
ad interagire, le opportunità di transizione aumenteranno.

Ciò non significa che tutto questo accadrà facilmente, e senza pericoli. Bonaiuti individua
quattro possibili scenari per il futuro, e uno di questi si risolve nel 'collasso'- un'immagine
che in qualche modo si spiega da sola. Coloro che più beneficiano del vecchio paradigma,
saranno gli stessi che più cercheranno di resistere, e per quanto più possibile. Quasi
letteralmente, il futuro della nostra specie, e del pianeta, sarà deciso dal modo, del tutto
imprevedibile, in cui le persone di ogni luogo sapranno rispondere alla realtà del
cambiamento, se lo faranno con la resistenza, la disillusione, l'apatia, o l'impegno,
l'adattamento e l'azione.

Quindi benvenuto al 2015: un anno in cui le nostre scelte possono determinare il futuro del pianeta.

1 commento:

  1. In questi ragionamenti però si perde di vista la vera natura del capitalismo. Cioè di un sistema di rapporti sociali nei quali si estrae valore da esseri umani, in carne e ossa. L'estrazione di valore non necessariamente necessita di consumo di risorse naturali, a meno delle persone stesse.
    Esistono relazioni sociali, rapporti capitalistici, in cui ad essere sfruttata è una particolare risorsa, che è il cervello umano. Penso ad esempio a tutti coloro che si consumano per creare applicazioni per smartphone, ai social network, all'intrattenimento. Persino all'editoria se, anziché andare su carta, andasse sul web.
    La relazione col consumo di risorse naturali (al di fuori dell'uomo) c'è. Perché il ciclo del capitale (acquisto di mezzi di produzione e forza-lavoro) necessita di un ingrediente fondamentale: gli esseri umani. Da sfruttare. Più sono, più possono soddisfare le esigenze di nuova accumulazione (si moltiplicano i vampiri e il loro bisogno di sangue fresco).
    Allora, la crescita demografica si combina perfettamente con l'accumulazione capitalistica. Non è un caso che proprio dove si verifica un grande aumento demografico, si registrano tassi di crescita molto superiori a quelli che si possono misurare dove la crescita demografica è lenta, se non inesistente.
    La relazione quindi esiste. Perché il consumo di risorse naturali dipende dalla crescita demografica. Tante più persone ci sono, tanto più si dovrà produrre grano e mais, si dovranno costruire case, si dovranno riscaldarle, si dovranno produrre tutti i beni essenziali alla riproduzione di un numero sempre maggiore di persone.
    Sicuramente ci sono limiti fisici alla crescita. Parlo del genere umano.
    Messe in fila in questo modo le questioni, mi sembra che siano più facilmente spiegabili.
    Non è accademia. Perché una corretta analisi del mondo in cui viviamo è necessaria per definire meglio il movimento delle cose e la giusta strategia.

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