lunedì 24 giugno 2013

La nuova N.A.T.O. (North Atlantic TRADE Organization)


Claudio Martini

Una riflessione a partire da questa notizia.

Se due o più paesi si accordano per costituire un mercato comune tra di loro, presumibilmente ciò sarà realizzato mediante l'adozione di un pacchetto di regole condivise. Il fine di queste regole dovrebbe essere quello di ridurre al minimo la differenza di regime giuridico tra le transazioni internazionali (tra i paesi aderenti al mercato) e quella intra-nazionali. L'apice della disomogeneità nel trattamento giuridico si raggiunge quando le transazioni intra-nazionali sono qualificate come lecite, mentre quelle internazionali sono senz'altro vietate. Ciò, in ipotesi, configura l'isolazionismo estremo in materia commerciale, la negazione degli scambi con l'Estero, l'autarchia. Viceversa, l'esatta parificazione di trattamento giuridico tra i due tipi di transazione coincide con la massima apertura dell'economia nazionale nei confronti del commercio estero.

Storicamente i periodi di "chiusura" dei mercati internazionali sono avvenuti a seguito dell'implementazione di politiche mercantilistiche aggressive da parte di alcuni attori internazionali. L'esempio più evidente è quanto avvenuto tra le due guerre mondiali, quando si verificò una vera segmentazione dei traffici internazionali: le grandi potenze non commerciavano più tra di loro.
Ciò non desta sorpresa. Una condizione fondamentale per conservare un mercato internazionale "affollato" è la fiducia e il reciproco rispetto. Chi attua politiche aggressive si autoesclude dal consesso dei paesi commercianti, e se tutti diventano aggressivi viene meno lo stesso commercio mondiale. Vediamo più da vicino le conseguenze pratiche di questi concetti.

Il commercio internazionale, in sé, non rappresenta un disvalore: permette anzi una più ottimale allocazione dei fattori produttivi. Un esempio banale: se i paesi del Golfo non potessero esportare il loro petrolio non saprebbero praticamente che farsene, mentre i paesi industrializzati soffrirebbero una penuria di carburanti. Quindi l'apertura dei confini nazionali ai traffici commerciali di per sé non danneggia le economie dei paesi che la vivono, anzi.


Ma il liberoscambismo può anche produrre effetti profondamente distorsivi.
È facile che il libero mercato causi una polarizzazione delle condizioni in cui si trovano i soggetti che stanno su quel mercato. Se per esempio un paese si specializza nell'esportare materie prime, mentre un altro si specializza nella manifattura, ed entrambi condividono un regime di libero scambio, è molto probabile che il primo paese gradualmente si impoverisca, a tutto vantaggio del secondo. Mettere nello stesso mercato economie molto disomogenee può essere razionale da un punto di vista economico complessivo, ma controproducente per alcune delle economie che partecipano al mercato.

Un discorso a parte meritano i mercati costituiti dall'associazione di economie omogenee. Se mettiamo assieme solo economie industrializzate che hanno raggiunto un significativo e paragonabile livello di sviluppo, la dinamica intrinseca del mercato comune non dovrebbe, di per sé sola, produrre significativi squilibri. Quindi se questi squilibri comunque si verificano è probabile che vi sia una causa ulteriore, che non è necessariamente implicata nell'adozione del mercato unico. Un regime di libero scambio tra Francia e Algeria produrrà molto facilmente una polarizzazione, per cui la prima diventerà sempre più ricca e la seconda sempre più povera. Ma un regime di libero scambio tra Italia e Germania può provocare squilibri solo se uno dei due attori mette in atto comportamenti ulteriori: precisamente, se mette in atto politiche mercantilistiche e aggressive.

Per parlar chiaro, la Grecia nel 2001 non era nelle esatte condizioni economiche dell'Olanda, ma non era nemmeno l'Angola. Persino l'adozione dell'euro, di per sé, non sarebbe stata sufficiente per produrre la polarizzazione che è effettivamente avvenuto, per cui siamo arrivati ad una Germania prima potenza manifatturiera del mondo e ad una Grecia ormai classificata come "paese in via di sviluppo". Fondamentali sono state le politiche del lavoro tedesche, la contrazione dei redditi relativamente alla produttività, il ferreo controllo dell'inflazione.
In sostanza la Germania (e non solo lei) è stata sleale con gli altri membri del mercato di cui fa parte. Ha fatto venire meno la condizione fondamentale perché un mercato comune ci sia: la fiducia, il reciproco rispetto.

Ma la Grecia non può farci niente, perché è nell'Unione Europea.

In circostanze normali, la politica mercantilistica tedesca avrebbe come unico risultato la fine del commercio intra-europeo: gli altri paesi si sarebbero tutelati con misure protezioniste, e i mercati si sarebbero segmenti sino a coincidere con i confini nazionali. Ma la costruzione di un complicato castello giuridico-istituzionale come l'Unione Europea impedisce questo "naturale" meccanismo riequilibratore, che ancor prima che economico è di tipo politico.
Ecco cos'è l'UE: un mercato-zombie, ossia un mercato che rimane in piedi nonostante il venir meno delle sue condizioni di vita. La slealtà uccide i mercati internazionali: questo rimane invece dov'è, garantendo a chi si è reso colpevole di slealtà di rimanere impunito, anzi di dettar legge alle sue vittime. Vittime a cui sono stati sottratti i meccanismi di difesa minima.

Questo carattere di irreversibilità è la vera caratteristica pregnante dell'Unione. Di pretesa irreversibilità, badate: non ho perso le speranze!

Nulla ci può far credere che il nascente mercato unico USA-UE non condivida le stesse caratteristiche di irreversibilità anche a fronte di comportamenti sleali dei suoi componenti. Analisti di tutto il mondo segnalano che gli USA di Obama stanno attraversando un periodo di re-industrializzazione. Ciò significa che le imprese manifatturiere americane potrebbero rivelarsi a breve molto competitive. Data che storicamente la politica dei redditi degli USA non è mai stata favorevole ai salariati, è assai probabile che il nuovo mercato diventerà il campo di battaglia tra gli opposti mercantilismi americano e tedesco. In mezzo a tali vasi di ferro i vasi di coccio si sbricioleranno definitivamente.
Noi siamo un vaso di ferro?

3 commenti:

  1. Pur nel consenso di fondo col l'articolo, sento il bisogno di fare alcune osservazioni. Mi scuso per lo stile telegrafico.
    Mi riallaccio alla condivisibilissima affermazione sulla natura politica degli accordi di "libero scambio".
    Tutti i mercati sono però "zombie". Quando vengono meno, è per ragioni politiche, non "di mercato". Il "mercato zombie" dell'Inghilterra e delle sue colonie (India) è durato secoli, così come tutti i mercati coloniali. Sono finiti con le guerre di liberazione nazionale. Eventi politici, non "di mercato".
    Perché non esistono "mercati funzionali" e "mercati disfunzionali", tutti i mercati sono sorretti da quadri politici.
    Il punto è proprio quello della reversibilità degli accordi politici. Il dramma della Ue (cioè, del subcontinente a 27) è esattamente questo: la "irreversibilità" (di stampo dispotico, autocratico e autoritario) del suo "quadro giuridico".
    La Germania è stata sì "sleale" (http://documentazione.altervista.org/le_monde_Flassbeck_Grecia_UME.htm), ma come sono tutti sleali nei mercati finché possono permetterselo. Anche la Francia e l'Italia (e anche la Grecia, con le "carrette del mare") lo sono state, talvolta. Il punto non è questo: il punto è avere costruito un recinto senza vie d'uscita, che incentiva, permette, e perpetua la slealtà privando gli altri di strumenti di difesa. E dove dunque il più grosso ( "il grosso del momento") detta legge, senza vie di scampo.
    Storicamente, la migliore delle premesse per un bagno di sangue.
    L'altro punto è avere costruito una "associazione di Stati" basata su un criterio di "libera competitività", ovvero, il "mercato delle società europee". E così abbiamo avuto e abbiamo il dumping tributario e sociale, ovvero la manifestazione del "mercato" sul piano statuale e dei paesi.
    Questa credo sia proprio un'invenzione originale del subcontinente. Come lo furono all'epoca fascismo e nazismo.

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  2. Se esce la Germania,ed i paesi "ricchi"come dice Bagnai, come ci rapporteremo agli USA? Mi manca qualcosa? Claudio.

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  3. Jacques Sapir ha ipotizzato quali sarebbero gli apprezzamenti/svalutazioni delle valute nazionali, in caso di dissoluzione eurozona, rispetto all'attuale quotazione dell'euro rispetto al dollaro (1,30).
    In particolare, l'Euro tedesco rivaluterebbe del 15% (da 1,30 a 1,495 dollari). L'italia svaluterebbe del 25% (da 1,30 a 0,975).
    Se l'ipotesi è anche approssimativamente corretta questo vuol dire che operiamo con una moneta sopravvalutata del 40% rispetto alla Germania e del 25% rispetto al dollaro. La Grecia, per lo stessa ragione, opera con una sopravvalutazione del 65% e del 50% rispettivamente...
    Stando così le cose, stiamo comprando a buon mercato e vendiamo a caro prezzo, siano i mercati dollaro o tedesco. Facile immaginare a (ulteriore) vantaggio di chi saranno i prossimi accordi commerciali.


    http://russeurope.hypotheses.org/987

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