martedì 10 aprile 2012

Ultima chiamata per l'euro?

Carlomagno, Euro. Ultima chiamata, Francesco Brioschi Editore, 2012.

”Carlomagno” è il nome collettivo scelto dal gruppo di economisti (quasi tutti docenti all'Università Cattolica di Milano) che ha redatto questo interessante testo sulla crisi dell'euro.

Il libro fa una rapida sintesi storica del percorso che ha portato alla moneta unica e si sofferma sui vari problemi che affliggono l'eurozona. In particolare viene evidenziato il problema cruciale degli squilibri commerciali fra i paesi PIGS e i paesi nordici (pagg.74-79), dovuti alla perdita di competitività dei primi nei confronti dei secondi, e viene argomentato il fatto che la maggiore competitività della Germania “non si fonda (…) su un'accelerazione della produttività (…) ma su un recupero della competitività di prezzo, affidato alla compressione delle dinamiche salariali .(...) L'aspetto importante è che, prima dell'unificazione monetaria, la Germania non avrebbe potuto attuare una simile politica, perché la rivalutazione del marco avrebbe alla lunga compensato i guadagni di competitività realizzati attraverso la riduzione dei salari” (pagg.91-92).
Sono le tesi ormai familiari ai lettori del blog Goofynomics di Alberto Bagnai, e non può che farci piacere vederle ulteriormente ribadite.
Il volume contiene molte altre analisi e informazioni interessanti. Sono rimasto colpito, per esempio, dal fatto, riportato dagli autori, che già nel 1990 un documento della Commissione Europea dichiarava che “si è progressivamente affermato il convincimento che le divergenze economiche reali che si manifestano in squilibri esterni vanno affrontate di norma con misure di aggiustamento interno, piuttosto che con riallineamenti, cioè con un aggiustamento esterno” (pag.28). Gli autori commentano: “un modo molto chiaro di affermare il principio che all'interno di una regione caratterizzata da un regime di cambio fisso l'aggiustamento deve sempre di più affidarsi alla svalutazione interna, fatta da variazioni di prezzi e salari” (ibidem ). Come si vede, la necessità, all'interno della moneta unica, delle attuali misure di attacco ai diritti e ai redditi dei lavoratori era già chiara vent'anni fa.
Dopo aver descritto con molta efficacia i problemi dell'eurozona, gli autori argomentano
che l'unica prospettiva di salvezza per la moneta unica è la creazione di una più stretta unione politica fra i vari paesi dell'eurozona, che preveda un vero governo europeo con una autentica legittimazione democratica. Un tale governo dovrebbe da una parte “essere in grado di decidere direttamente sulla maggior parte delle politiche economiche dei paesi membri, a cominciare da quelli che richiedono aiuti”, e dall'altra “dovrebbe altresì avere a disposizione risorse proprie per aiutare i paesi in difficoltà, senza doverle contrattare continuamente con i paesi forti: dovrebbe sempre idealmente disporre di un proprio “budget” finanziato con risorse tributarie proprie” (pag.152).
È questa la proposta politica nella quale sfocia l'analisi svolta nel volume. Non possiamo ovviamente nascondere il fatto che la riteniamo sostanzialmente inattuabile. Il punto è che non c'è nessuna forza sociale a livello europeo che possa battersi per essa. Abbiamo già argomentato contro l'idea, diffusa a sinistra, che vi possa essere un “popolo europeo” che lotta a livello europeo per una “nuova Europa”, più democratica più solidale eccetera eccetera. Ma anche se guardiamo alle élite europee, non si vede perché dovrebbero avviarsi nella direzione indicata dagli autori. Vale forse la pena spendere qualche parola su questo punto. In effetti perché mai i ceti dirigenti europei dovrebbero desiderare un qualche tipo di Unione Europea maggiormente democratica? Grazie a questa UE e a questo euro stanno realizzando ciò che era nei loro programmi, cioè la distruzione dei diritti conquistati dai ceti popolari europei nei trent'anni del secondo dopoguerra. Una Unione Europea ad alto tasso democratico non potrebbe realizzare quello che stanno realizzando adesso i governi “tecnici” di Italia e Grecia, per esempio. Oggi lo si può fare perché i popoli sono sotto ricatto: la crisi rende necessaria l'austerità, si dice, occorre accettare la distruzione di diritti del lavoro perché altrimenti lo “spread” torna ad alzarsi, e così via. Ma se le ricette proposte dagli autori funzionassero (non possiamo soffermarci qui sulle varie proposte concrete, discusse nel libro, relative alla BCE, agli “eurobond”, etc.), tali ricatti verrebbero disinnescati, e se i popoli europei potessero davvero far sentire la propria voce dentro ad istituzioni europee autenticamente democratiche, nessuno potrebbe costringerli ai duri sacrifici cui vengono oggi sottoposti, in un modo o nell'altro, nei vari paesi in crisi.
Insomma, è ragionevole pensare che alle élite europee una UE più democratica interessi molto poco. Inoltre, la proposta degli autori non può che portare ad esiti che sono sostanzialmente rifiutati dai paesi forti del Nord: questi ultimi dovrebbero infatti, di fronte al problema degli squilibri commerciali dell'eurozona, o aumentare la domanda interna (abbandonando quindi le politiche sulle quali hanno basato il loro predominio economico) oppure accettare una qualche forma di trasferimento finanziario dai paesi forti ai paesi deboli. Si tratta in entrambi i casi di proposte tecnicamente ammissibili ma politicamente irricevibili.
È probabile dunque che la proposta di un rafforzamento delle strutture politiche democratiche europee, sostenuta con molta passione dagli autori, non troverà sbocchi politici ed è probabile che questo porterà, in tempi che non possiamo prevedere, alla fine della moneta unica. Si potrebbe obiettare che in questo modo sembra che venga delineata una qualche forma di autolesionismo da parte delle élite dei paesi forti: se è vero che esse hanno guadagnato dalla moneta unica, perché mai dovrebbero essere insensibili al pericolo del suo dissolvimento? La risposta scherzosa è che forse le élite dei paesi forti si ispirano al brocardo ad impossibilia nemo tenetur. Più seriamente, è
probabile che il puzzle dell'euro sia davvero irrisolvibile, e che il calcolo delle élite sia semplicemente di tentare di ricavarne i maggiori vantaggi finché la situazione regge. I ceti dirigenti europei non brillano certo per grandi visioni strategiche.
In ogni caso, se è vero, come noi riteniamo, quel che gli autori affermano sui problemi dell'eurozona, la questione della validità della loro proposta politica sarà risolta dai fatti: la conseguenza che si ricava dalle analisi svolte in questo testo è che o si andrà verso uno autentico Stato europeo democratico, o l'eurozona si dissolverà. Potremo quindi riparlarne. Nell'attesa, la lettura di questo libro è senz'altro stimolante e istruttiva.

(Marino Badiale)


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