Nel post di ieri abbiamo un po' scherzato sulle prossime elezioni. Per dire qualcosa di più serio, pubblico di seguito due lettere indirizzate al Manifesto (in particolare a R.Rossanda) e scritte nel '96, a ridosso delle elezioni che portarono al potere il centrosinistra. Da allora sono passati (quasi) diciassette anni, ed è ovvio che moltissime cose sono cambiate: all'epoca c'era un diverso sistema elettorale (il cosiddetto “Mattarellum”), Rifondazione era una componente importante dello schieramento di centrosinistra, si discuteva molto sul pericolo “fascista” rappresentato dalle destre, e così via. E' pure ovvio che sono cambiato anch'io, e molte cose oggi le scriverei diversamente. Nonostante tutto questo, ritengo oggi di poter riproporre queste lettere, perché sono convinto che la questione sostanziale che esse pongono, e cioè in sostanza la fine della “sinistra emancipativa”, sia ancora fondamentale. Su questo tema aggiungo qualche commento alla fine.
1. Prima lettera a R. Rossanda
Pisa, 5/4/1996
Cara signora Rossanda,
vorrei sottoporLe alcune riflessioni sul problema dell' “astensionismo di sinistra”. So che
questa mia lettera risulterà troppo lunga per la pubblicazione ma vorrei lo stesso tentare di sviluppare un ragionamento che vada oltre l'affermazione “mi sono stufato, non voto”.
Decida Lei cosa fare di questo mio tentativo.
lo ho deciso che non voterò per i collegi uninominali, mentre voterò Rifondazione per la
quota proporzionale.
L'argomento di base con cui motivo questa mia scelta è quello che espone bene Revelli
all’inizio del suo ultimo libro su Le due destre: oggi non abbiamo di fronte una destra e una
sinistra ma un destra “populista” (Fini e Berlusconi) che si contrappone a una destra “tecnocratica”. La parte politica che ancora si chiama “sinistra” è semplicemente una delle componenti di
questa destra tecnocratica, la componente delegata a mediare il consenso popolare a politiche
economiche antipopolari. Una tesi di questo genere non dovrebbe suonare poi così strana, alle
orecchie di chi fa o legge il manifesto: qual è il giudizio che voi date sulle politiche economiche
dei governi che in questi anni sono stati più o meno sostenuti dalla sinistra, da Ciampi a Dini?
Immagino che sarete d’accordo con me nel sostenere che, nella sostanza, abbiamo assistito ad un immane attacco a ciò che i ceti meno abbienti avevano conquistato, in termini di servizi e di
redditi. C'è qualche motivo per credere che qualcosa cambierebbe, in caso di vittoria elettorale
del centrosinistra alle prossime elezioni? Nella Sua Nota a margine di oggi, Lei mi spiega che
questo attacco alla qualità della vita degli strati inferiori della popolazione, questa nuova “questione sociale” «[_.. ] è la necessaria conseguenza della logica politica del G7 e delle direttive del FMI e non si può voler queste e risolvere quella». Verissimo, sono pienamente d’accordo. Detto
in altro modo, una volta che si siano accettati in pieno e fino in fondo, come ha fatto la sinistra,
tutti i vincoli del capitale, dalla centralità dell’impresa e del profitto ai parametri di Maastricht,
resta ben poco su cui discutere: la sostanziale distruzione dello stato sociale e l'abbassamento
dei livelli di reddito degli strati inferiori della popolazione sono conseguenze necessarie. A me
sembra che dalla Sua analisi si deduca che centrodestra e centrosinistra, una volta al potere,
farebbero probabilmente le stesse cose, visto che hanno entrambi accettato gli stessi rigidi vincoli. Ripeto, queste cose voi de il manifesto le sapete meglio di me, visto che è dai vostri articoli
che le imparo: perché dunque stupirsi se qualcuno tira quella che a me sembra semplicemente la
conclusione logica di tutto il vostro discorso?
L’unica risposta possibile a questi argomenti mi sembra essere quella del pericolo fascista: se
davvero la destra di Fini e Berlusconi rappresenta un pericolo per la democrazia, allora tocca a
noi turarci il naso e votare per chi ci è capitato nel collegio.
La mia risposta è molto semplice: non credo ci sia oggi in Italia un serio pericolo fascista.
Naturalmente posso sbagliarmi, però vorrei se ne discutesse seriamente. E la prima condizione
per una discussione seria è una definizione un po’ precisa dei termini della questione. Io non
credo all’utilità dei concetti che, per coprire realtà diversissime fra loro, finiscono per non significare più nulla. Sforzandomi di dare un significato preciso all'espressione “pericolo fascista”,
direi che condizione necessaria perché se ne possa parlare è per me la presenza di un “tentativo
armato di abbattimento della democrazia, con base di massa”: ovvero la presenza di bande armate che assaltano le istituzioni democratiche fino alla presa del potere (con colpo di stato o
“libere elezioni” come nella Germania del ’33). Quando parlate di “pericolo fascista” voi intendete seriamente qualcosa di questo tipo? Se la risposta è sì, vi faccio notare che allora votare
Dini non basta: se davvero è questo il pericolo, occorre prepararsi seriamente alla guerra civile. Occorre contattare le gerarchie militari per assicurarsene l'appoggio o la neutralità, occorre
approntare strutture segrete pronte a intraprendere la lotta armata in clandestinità, occorrono
depositi d’armi ecc. ecc. Ritenete che pensare a una cosa del genere oggi in Italia sia folle? Sono
perfettamente d'accordo, ma è una conseguenza necessaria della tesi che stiamo discutendo; se
la conseguenza è assurda, lo è anche la premessa. Se siamo d’accordo che tutto questo è assurdo,
vuol dire che non è a “quel” tipo di pericolo fascista che voi pensate. Ma allora a cosa? Forse a
una involuzione autoritaria dello stato, a una serie di “riforme” che diminuiscano gli spazi di
libertà, mettendo fuorigioco ogni possibilità di partecipazione e di controllo dal basso, senza però toccare i fondamentali principi liberali (libertà della persona, libertà di pensiero, di associazione ecc.). Ora, se e a questo che pensate, sono d’accordo con voi: c’è oggi in Italia un progetto avanzato che va in questa direzione. Solo che rispetto a questi problemi la “sinistra” è del tutto indistinguibile dalla destra. Il punto fondamentale di questo passaggio, e voi lo sapete meglio di me, è stata la legge elettorale maggioritaria: che è stata voluta dalla “sinistra” molto più che da
Fini (che si è opposto) o da Berlusconi (che non era entrato in politica); Un altro snodo fondamentale di questo progetto è oggi il presidenzialismo, rispetto al quale la sinistra per la quale Lei mi dice di votare si è mostrata disposta a giungere a patti con Fini e Berlusconi. [...]
Proprio le trattative di alcuni mesi fa fra PDS e destra sul presidenzialismo mi permettono di
passare ad un ulteriore argomento contro la tesi del “pericolo fascista”. È fin troppo facile la
ritorsione polemica: come si può seriamente sostenere che Fini e Berlusconi rappresentano un
pericolo fascista e poi trattare con loro addirittura il tema delle riforme istituzionali? È una
contraddizione talmente clamorosa da far gridare terra e cielo. Lei potrà obbiettarmi che si tratta di errori soggettivi, che nulla tolgono all'oggettività del pericolo fascista. Rispondo che non so
se siano “errori” oppure no, ma delle due l’una: o il vertice del PDS crede sinceramente al
pericolo fascista di Fini e Berlusconi, e allora se va a trattare con loro le riforme istituzionali è
semplicemente un gruppo di pazzi irresponsabili, e non si vede che garanzia contro il “pericolo fascista” possano rappresentare dei tipi che pensano di difendere la democrazia trattando le
riforme istituzionali con i nemici della democrazia; oppure, semplicemente, D’Alema e il vertice del PDS non credono neppure loro al “pericolo fascista" e questo “pericolo” è solo un espediente per guadagnare voti (o per non perderne), speculare allo spauracchio del “comunismo”
agitato dalla destra.
Non le nascondo che [...] propendo per la seconda ipotesi. E questo non perché io sia dotato
di poteri telepatici e possa scrutare nella mente di D’Alema, ma semplicemente in base al noto
principio del “guardare a quello che la gente fa, non a quello che racconta” (qualcosa del genere
deve averlo detto anche Marx, da qualche parte...)
A questo punto posso riassumere le mie tesi.
I due blocchi elettorali contrapposti oggi in Italia hanno lo stesso progetto economico e sociale, basato sulla distruzione dello stato sociale e sull’asservimento ai diktat dei “mercati” e
delle grandi istituzioni finanziarie internazionali. Questo progetto implica la “riduzione” degli
spazi di democrazia, per poter gestire i conflitti che esso genera. Proprio perché il ceto dirigente
del centrosinistra sa di essere in sostanza indistinguibile dal centrodestra, e di non poter quindi fornire alcun motivo sensato per essere votato al posto del centrodestra, è costretto a ricorrere a espedienti (il “pericolo fascista”) ai quali è il primo a non credere.
Questo è quanto mi sento di sostenere pacatamente e razionalmente. Le posso assicurare che
non sono né triste né arrabbiato né deluso. Il PDS è oggi al di là della possibilità di farmi arrabbiare, e nell’anno di grazia 1996 non posso essere “deluso” da Dini, Prodi, Veltroni e D’Alema più di quanto nel 1986 potessi essere “deluso” da Craxi, De Mita, Andreotti e Forlani.
Termino qui. Non ho affrontato altri temi che pure mi stanno a cuore (il ruolo di Rifondazione, per esempio), ma so di essere stato già troppo lungo.
Le sarei grato se potesse rispondermi. Resto in ogni caso il Suo affezionato lettore
Marino Badiale
2. Seconda lettera a R. Rossanda
Pisa, 5/5/1996
Cara signora Rossanda,
Torno a scriverLe dopo le elezioni, cercando di riprendere il filo del discorso che Le avevo fatto in una mia lettera “pre-elettorale". Lettera in cui cercavo di motivarLe le ragioni della mia
scelta di non votare nei collegi maggioritari. Mi dispiace che abbia ritenuto di non rispondermi, e
Le confesso che continuare a scrivere senza poter sperare in una risposta è leggermente frustrante. Però lo scriverle mi aiuta a fissare le mie idee, e quindi continuerò ad affliggerLa con le mie riflessioni.
Come Le dicevo nella mia precedente lettera, non ho condiviso la posizione de il manifesto sul voto all’Ulivo, così come non condivido il vostro ottimismo (più dei Suoi colleghi che Suo, mi pare) per la vittoria del centrosinistra. Devo anzi dire che il dibattito post-elettorale de il manifesto (saltare sul carro del vincitore oppure no? Continuare a fare la coscienza critica della sinistra o tentare di “condizionare da sinistra” il governo?) mi ha lasciato sconcertato, sembrandomi piuttosto assurdo rispetto alla realtà. Dietro a questo dibattito c’è sempre, mi pare, il modello "Fronte Popolare" (unione democratica di anticapitalisti da una parte e "borghesia progressista" dall’altra), assieme ad una immagine “geometrica” della sinistra come di un continuo di posizioni politiche organizzate sull’asse moderazione-estremismo, all’interno del quale si lotta per spostare più in qua o più in là la posizione del necessario compromesso.
Ora, è vero che i compromessi fra estremisti e moderati sono l'anima della politica, e che l’intera storia della sinistra del Novecento si può leggere entro queste categorie. Il punto della discussione consiste però nel fatto che è l’intero sistema di queste immagini di sfondo, “metafisiche influenti” o paradigmi che dir si voglia, ad essere posto in questione, spesso sulle stesse pagine de il manifesto (per es. in un articolo di Revelli dell'll febbraio, ma è solo un esempio fra i molti). A me sembra che una conseguenza delle analisi che molte persone stanno svolgendo da anni sia la seguente: nell'epoca del capitalismo globale, nell'epoca del dominio del capitale finanziario transnazionale, non esiste più una "borghesia progressista", cioè una borghesia interessata ad una politica dei redditi che sostenga la domanda interna. Non intendo argomentare qui questa tesi, che mi pare molti sostengano meglio di quanto potrei fare io. Volevo solo provare a vedere se essa ci può dire qualcosa sulla situazione italiana. Se questa tesi è vera, vuol dire semplicemente che non c’è più una borghesia “progressista” e “rooseveltiana” con cui allearsi, e l’Ulivo non è allora l’alleanza fra una sinistra più o meno radicale e una borghesia moderata e riformista. Proviamo a vedere se questa tesi è sensata. Proviamo a vedere cosa hanno di "progressista" in senso classico Ulivo e PDS. Una volta, quando le parole significavano qualcosa, riformista e progressista era chi voleva aumentare le pensioni, allargare i servizi sanitari, favorire l'accesso di tutti all'istruzione, aumentare (lentamente, per carità) i sa1ari, e lo faceva nelle forme “socialdemocratiche” che tutti conosciamo. Oggi chi passa per “progressista” vuole al contrario ridurre pensioni e salari, tagliare istruzione e sanità. Invece di giocare con le parole "destra" e "sinistra", non bisognerebbe guardare a quello che concretamente il PDS (per esempio) ha fatto in questi anni? Come le dicevo nella mia precedente lettera, penso che noi si sia d'accordo sul fatto che uno dei dati essenziali della realtà odierna consiste in un immane trasferimento di ricchezza dagli strati inferiori a quelli superiori della popolazione, in un immane attacco ai livelli di vita e di consumo degli strati inferiori. Ora, ha fatto qualcosa il PDS per opporsi a tutto questo? E se non l’ha fatto finora, c'è motivo di pensare che lo farà da ora in avanti? Certo, adesso il PDS è al governo mentre prima non lo era; ma le idee con cui si governa le si costruisce stando all'opposizione, le si costruisce scegliendo i temi che si giudicano importanti e imponendo il confronto su di essi. Non Le pare che il PDS, se avesse voluto davvero difendere i lavoratori, avrebbe avuto a più riprese l'occasione per farlo, in questi anni? [...]
Ma se questi fatti concreti sembrano sorreggere la tesi della fine di una "borghesia progressista", possiamo provare a tirarne le conseguenze. E la conseguenza fondamentale a me sembra
riassumibile in una semplice frase: la sinistra è finita. La sinistra è stata nel Novecento il luogo
in cui i rivoluzionari e i moderati, quelli che volevano superare il capitalismo e quelli che volevano riformarlo e migliorarlo, hanno trovato uno spazio di discussione e di compromesso, costruito obbiettivi comuni, elaborato un comune sentire. Oggi non c'è più nessuna sinistra perché non ci sono più né riformisti né rivoluzionari. Si potrebbe forse precisare che, per maggiore paradosso, gli unici riformisti in senso "classico" si presentano, almeno in Italia, sotto le spoglie "rivoluzionarie" di Rifondazione, ma questo non cambia la questione. È vero che c'è ancora qualcuno che sostiene le posizioni classiche della sinistra moderata, riformista e socialdemocratica (appunto Rifondazione) ma lo fa in un contesto che non ha più nulla in comune con quel "luogo" che è stata la sinistra del Novecento, come l’ho descritta sopra.
Certo, invece di sostenere una tesi forte come quella che ho appena esposto è sempre
possibile un’altra strategia, di fronte alle manifeste insufficienze di quella che continuiamo a chiamare "sinistra moderata". Si possono sempre criticare gli "errori", i "ritardi", la deriva moderata" e sostenere che proprio tali realtà rendono fondamentale il ruolo di una "sinistra critica" che, senza rompere i ponti con la sinistra moderata, cerchi di "condizionarla", di "ancorarla", di
"risospingerla a sinistra". È questa una risposta che è sempre possibile dare, e credo che non
esistano argomenti definitivi per convincere chi abbia scelto di rispondere sempre e comunque
in questo modo. Così come non esistevano argomenti definitivi per convincere un tolemaico ad
abbandonare il geocentrismo: dopotutto, aggiungendo un numero sufficiente di epicicli, era
possibile far tornare i conti. Vorrei però farLe notare come questo tipo di risposte assomiglino
ormai troppo a quelle che il PCI dava a chi, negli anni Cinquanta e Sessanta, chiedeva un atteggiamento più critico nei confronti dei paesi dell’Est. Mi pare (mi corregga Lei, io ero troppo
piccolo per ricordare) che la risposta "ufficiale" del partito fosse, più o meno, che certo, c'erano
ritardi ed errori, ma proprio per questo non si potevano rompere i rapporti col "campo socialista" ma bisognava tentare di condizionarne l'evoluzione in senso democratico. A un certo punto,
se non sbaglio, un gruppo di persone interne al PCI decise che non era più sufficiente parlare di
"errori" e che più dell'etichetta "campo socialista" contavano gli atti e le scelte che le entità
raggruppate sotto quell’etichetta concretamente operavano. Io Le chiedo se con l'etichetta "sinistra" e con le concrete forze politiche raggruppate in essa non si sia giunti ad una situazione
analoga. Le chiedo se una "deriva moderata" possa durare in eterno o non arrivi prima o poi ad
un approdo, alla trasformazione del PDS nel diretto erede della DC in quanto partito interclassista
delegato a organizzare il consenso popolare alle politiche economiche antipopolari di Ciampi, Dini, Maccanico e dei "poteri forti" che in essi si esprimono, Certo, tutto quanto vado dicendo può essere sbagliato, "fuori dal mondo", frutto di cecità politica e "astratto furore" di un professore universitario lontano dal mondo reale. Ma se concreti bisogna essere, allora chi obbietta alle mie tesi ha il dovere, mi sembra, di dire in che cosa, concretamente, la politica economica del PDS e del governo Prodi sarà diversa da quella del governo Dini. Qual è la differenza concreta fra il fatto che l'ineluttabile manovra economica di 60.000 miliardi la faccia Prodi oppure Berlusconi.
Queste, cara signora Rossanda, sono le mie opinioni su cosa sia oggi il centrosinistra. Capirà
bene come, con queste idee, io sia rimasto sconcertato, come le dicevo all’inizio, dal dibattito
post-elettorale de il manifesto, dibattito in cui in sostanza si esprime la convinzione di poter
influire in qualche modo sulla "sinistra" al governo. A me sembra davvero una pretesa ingenua,
a partire dalla realtà del capitalismo attuale, com'è descritta da molti e anche sulle colonne de il
manifesto. Ammettiamo pure, per amore di discussione, una cosa a cui non credo per nulla, cioè
che i gruppi dirigenti della "sinistra" siano sinceramente interessati ai livelli di vita delle classi
popolari, e quindi siano sensibili alle proposte di chi, come voi, cerca di spingere la "sinistra"
stessa alla difesa (almeno) di tali livelli di vita. Anche ammettendo questo, quale sarà
possibilità di condizionamento da parte vostra, nell'epoca del capitalismo transnazionale, del dominio globale dei mercati finanziari internazionali? Prodi e Dini hanno ben altri signori a cui
rispondere delle proprie azioni di governo: le istituzioni finanziarie internazionali, l'oligarchia
che comanda i flussi dei "mercati", i vari gruppi economici che controllano tutti i mezzi di
comunicazione: di fronte a questo immenso potere nulla hanno potuto le "sinistre" al governo in
Stati ben più solidi del nostro (la Francia per esempio); come potrebbe sottrarsene una "sinistra"
debole, minoritaria nel paese, giunta al potere solo grazie alle divisioni della destra e solo alleandosi con una parte della destra (perché Dini è destra, spero che almeno su questo siamo d’accordo)? Dove troverebbe questa "sinistra" le idee di cui in questi anni non ha mai fatto sospettare
l’esistenza? Dove troverebbe la forza e il coraggio per opporsi a tutti i "poteri forti" nazionali e
internazionali e ascoltare i consigli di un gruppo di brave persone che stampa un giornale che
vende 40.000 copie?
Si potrebbe obbiettare che oltre a il manifesto c'è dell’altro, c’è per esempio Rifondazione
con i suoi parlamentari indispensabili alla tenuta del governo Prodi. La mia risposta si riaggancia a quanto Le dicevo nella mia precedente lettera e riprende in sostanza le tesi sostenute da P.Anderson su il manifesto, attorno all'epoca del dibattito sul voto al governo Dini. Come si
ricorderà, Le dicevo che io non credo al “pericolo fascista”, non credo che il centrodestra rappresenti un pericolo per la democrazia tale da rendere necessaria l'alleanza con Dini. Ora, Rifondazione ha invece accettato questa impostazione ("battere il pericolo di destra") e in questo
modo si è secondo me preclusa ogni possibilità di incidere realmente sulle scelte del governo
Prodi. Perché per ottenere qualcosa Rifondazione dovrebbe minacciare seriamente di far cadere
il governo. E come potrà essere presa in seria considerazione questa minaccia? Come potrà
Rifondazione votare per far cadere un governo Prodi se non ha voluto o potuto (grazie anche al
contributo di voi de il manifesto) nemmeno votare contro il governo Dini? La "minaccia della
destra" sarà uno spauracchio sempre pronto ad essere agitato per far accettare ogni decisione
contraria agli interessi dei meno abbienti. Se per caso alla fine Rifondazione si stancherà (e questo è comunque ciò che spero), nel frattempo avrà dato al centrosinistra il tempo sufficiente
per un accordo di un qualche tipo con pezzi di "centro", così finalmente il governo potrà liberarsi dal disturbo rappresentato da Rifondazione stessa e il ruolo del voto "comunista" da noi espresso
sarà stato quello del portatore di borracce. Certo, tutto questo non succederebbe se Rifondazione
e "sinistra moderata" trovassero un accordo onorevole per entrambi. Ma qui torniamo come in
un cerchio alle tesi che sostenevo all’inizio, sulla scomparsa della "borghesia progressista":
quale accordo è mai possibile con chi vuole tagliare drasticamente salari e pensioni, istruzione e
sanità? A Bertinotti che chiede il ripristino della scala mobile Prodi risponde "no" e Bertinotti
ribatte "fate allora voi delle proposte", e a me questa pare una discussione assurda: si può discutere delle "proposte", cioè dei mezzi per raggiungere un fine, se si è d’accordo sul fine; ora, credo sia ovvio che la scala mobile è solo un mezzo per il fine "trasferire ricchezza dai profitti ai salari": c’è qualche motivo per pensare che Prodi, Dini e Veltroni siano d’accordo su questo fine e quindi siano interessati a fare proposte alternative per ottenerlo?
Di fronte a queste concretissime domande mi sembra che molti a sinistra assumano un atteggiamento che è ben esemplificato nell’articolo di G. Polo ne il manifesto del 18 aprile. Discutendo le posizioni dell’Ulivo sui problemi dei lavoratori, G. Polo ci spiega con chiari e concreti argomenti che in caso di vittoria dell’ Ulivo "le lavoratrici e i lavoratori italiani dovranno essere più flessibili e mobili [...] dovranno conquistarsi con la produttività (e la fatica) la difesa del proprio potere d’acquisto, dovranno correre e studiare non poco per mantenere o trovare un lavoro. Non conteranno molto e avranno poche certezze". Dopodiché G. Polo aggiunge che "le lavoratrici e i lavoratori" avranno però in cambio "una speranza: quella che la sconfitta delle destre apra una stagione in cui la politica torni ad essere un confronto vero sulle condizioni di vita di donne e uomini, liberando il lavoro dall'oscuramento cui è sottoposto da tempo." Peccato che Polo si dimentichi di portare un solo argomento per rendere credibile, sensata, concreta tale speranza, che resta appesa alla fine del suo articolo come un pensierino edificante o un "wishful thinking".
Mi avvio alla conclusione, e mi permetta alla fine di questa fatica una piccola battuta, scherzosa ma non del tutto. Se quanto vado dicendo è vero, che cosa si può dire della "sinistra moderata"? Quando non è semplicemente una banda di cinici e impostori in lotta per il potere contro analoghe bande di "centro" e di "destra", la "sinistra moderata" appare come la figura di coloro che accettano totalmente il capitalismo attuale e le sue ferree necessità ma si dispiacciono sinceramente per coloro che ne restano stritolati, accettano tutte le regole imposte dai ceti dominanti ma si dispiacciono sinceramente per la violenza, la barbarie e l'inumanità che lentamente ci stanno crescendo attorno. Riprendendo scherzosamente le parole di un saggio morto nel 1883 si potrebbe allora affermare che questa "sinistra" appare come "il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così com'è lo spirito di una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l’oppio per il popolo".
Con questo ho finito, Le porgo i miei migliori saluti e auguri, continuo a sperare in una Sua risposta, e resto in ogni caso il Suo affezionato lettore
Marino Badiale
3.Brevi commenti, febbraio 2013.
Diciassette anni non sono pochi. Basti pensare cos'era l'Europa nel 1906, oppure nel 1967: se si aggiunge 17 si arriva al 1923 oppure al 1984, e si capisce bene quali immensi cambiamenti possano avvenire in diciassette anni. Il fatto di affermare, come ho scritto all'inizio, che dopo diciassette anni queste lettere sono ancora attuali, almeno rispetto al problema fondamentale che esse indicavano, mi appare come un fatto profondamente negativo. Nel '96 scrivevo (e non ero l'unico, s'intende) che il "popolo di sinistra" e i suoi intellettuali doveva accettare a livello cognitivo la realtà della trasformazione irreversibile della sinistra in ceto politico delegato, assieme a quello di destra, ad amministrare il potere per conto dei ceti dominanti nazionali e internazionali; ceti dominanti che a loro volta avevano seppellito il "compromesso socialdemocratico" del secondo dopoguerra e avevano come progetto prioritario la distruzione dei diritti e dei livelli di vita conquistati dai ceti popolari. Una volta accettata questa verità, che a me sembrava ormai, nel '96, del tutto evidente, bisognava ovviamente porsi il problema di come salvare gli ideali ancora validi della sinistra storicamente esistita (la giustizia sociale, l'emancipazione) in tale nuovo contesto. E questa discussione era ovviamente tutta da fare, ma poteva partire solo dopo la rottura decisa e irreversibile con il ceto politico di sinistra. Dopo diciassette anni, purtroppo, siamo ancora fermi allo stesso punto. Il "popolo di sinistra", assieme ai suoi intellettuali, continua a discutere dei rapporti fra "sinistra moderata" e "sinistra radicale" come se fossimo negli anni Settanta, come se avessimo di fronte il Partito Comunista di Berlinguer. Basta leggere le discussioni "elettorali" ospitate in questo periodo dal Manifesto per capire come questo mondo di sinistra si rifiuti di prendere atto della realtà, anche quando intervengono persone di valore come Paolo Favilli o Piero Bevilacqua (che pure dicono cose piuttosto diverse, ma all'interno dello stesso quadro di riferimento, quello che appunto già diciassette anni fa io giudicavo obsoleto). Bisognerebbe indagare le ragioni di questo incantesimo, di questa strana "sospensione del tempo". Ma non è questo il luogo per farlo. Qui possiamo solo osservare che, alla fine, la realtà non può mai essere del tutto "sospesa": se non la si affronta per quello che è, la realtà si prende le sue rivincite. E in questo caso la rivincita è la lenta dissoluzione della sinistra italiana, il suo spegnersi a poco a poco, il suo diventare sempre più marginale e ininfluente. E qui per "sinistra" non intendiamo naturalmente il PD, ma appunto coloro che ancora si ispirano agli ideali della sinistra storica. Non avendo voluto guardare la realtà, ormai da decenni la sinistra non produce più nulla (né politica né cultura), e attira sempre meno persone. La morte per consunzione di questa sinistra è uno spettacolo triste, ma è soprattutto uno spreco di energie e risorse, perché si poteva tentare un esito diverso. Bisognava però, per riprendere il vecchio detto di Althusser, "ne pas se raconter d'histoire", non raccontare e non raccontarsi frottole.
(M.B.)
PS Se per caso qualcuno se lo chiede: no, la Rossanda non ha risposto. Le lettere vennero pubblicate in un mio libretto uscito nel '99, "Ricercando la comune verità" (ed. CRT, Pistoia).
"Il fatto di affermare, come ho scritto all'inizio, che dopo diciassette anni queste lettere sono ancora attuali, almeno rispetto al problema fondamentale che esse indicavano, mi appare come un fatto profondamente negativo."
RispondiEliminaLo è, ma certo non per colpa di chi, seguendo il consiglio di Althusser, "ne se raconte pas d'histoire", bensì per colpa di chi quelle storie segue a raccontarsele, continuando a giudicare per quello che sente dire e non per quello che vede fare.
Chissà se in questa "sospensione della realtà" c'entra qualcosa l'enorme importanza assunta, nel costruire una capacita cognitiva individuale, dall'informazione massificata e mercificata?
RispondiEliminaPer tornare al '900, il lavoratore costruiva la sua storia vivendo una realtà oppressiva comune ad altri lavoratori come lui: era facile l'identificazione in una classe. Oggi, con decine di contratti di lavoro, le partite IVA, la trasformazione del cittadino in consumatore, anche consumatore di tempo-lavoro è completa.
Ai consumatori si fornisce informazione tramite pubblicità. I politici si sono trasformati in pubblicitari, tutto cinismo e sondaggi.
Che fare?
Sperare in un blackout planetario che porti al potere la minoranza della popolazione mondiale che oggi vive senza elettricità e sa come fare?
Sperare di sopravvivere alla prossima guerra mondiale fra Estasia e Atlantide?
Confidare che il capitale sovranazionale avrà pur sempre bisogno di qualcuno che manutenga i cessi e far studiare da idraulico i figli?
Non so!
Vi prego di credere che solitamente non sono di umore così tetro, ma il constatare che la distruzione del (mio) mondo procede ben lubrificata mi fa dare il peggio di me.
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RispondiEliminaIl punto é che La Sinistra italiana mente DA SEMPRE, così come mente la Destra, il Centro e il resto. Ma mentre la destra mente con sufficienza, cinicamente, beffandosi della "plebe", la prerogativa della Sinistra é sempre stato il volto addolorato e afflitto per la sorte dei Lavoratori e dei poveri...L'ipocrisia del PD lascia senza fiato, tutti gli esponenti a comando producono quella caratteristica maschera che li fa riconoscere all'istante.
RispondiEliminaLa Sinistra non si é mai ispirata veramente ad alcun ideale, ma ha sempre custodito gelosamente il "prontuario" degli slogan adattabili a seconda dell'aria che tirava. La desolazione maggiore consiste nel comprendere che l'ingresso nel "giro" dei servitori della grande finanza e dei poteri sovranazionali, chiamato "politica italiana" annienta qualsiasi capacità critica e il concetto dell'etica degli esseri umani. Dal momento dell’ accesso al club dei politici di qualsiasi livello, l'unico scopo degli arrivati diventa il faticoso lavoro di rimanerci all'interno a tutti i costi.
Non parliamo delle persone che si rendono conto della realtà, parliamo del sistema di "Matrix", di una specie di assuefazione che li fa diventare dei “tossicodipendenti”.
La tragedia diventa irreparabile perché il Matrix proietta ostinatamente l'immagine di se attraverso i media, plasmando gli individui e riducendoli alle povere caricature.
Articolo sacrosanto. A proposito del "fascismo" di Berlusconi, date un'occhiata qui: www.calameo.com/books/0007036969dded76b4a74 . Forse può essere di qualche utilità in questo periodo elettorale.
RispondiEliminaper chiamare le cose con il loro nome, si dovrebbe dire che la classe dirigente dei partiti che si etichettano di sinistra ma sostengono politiche di destra, traendone benefici in termini economici e di potere, ha tradito, da tempo, ideali e rappresentati.
RispondiEliminai benefici personali (privilegi di casta) ma soprattutto la fitta ed inestricabile rete di meschini interessi commerciali, resi formalmente legali solo dallo stravolgimento silenzioso e vergognoso delle leggi, chiariscono i "ragionamenti" assurdi più di qualsiasi altra considerazione.
quello che sconcerta, purtroppo, è la tenacia con la quale una base resa ottusa dal sistema mediatico si ostina a "bersi" quei "ragionamenti"
Le "ragioni di questo incantesimo" di per sé sono facili da individuare, e sono di carattere storico: il "popolo di sinistra" ovviamente non è che il cascame della vecchia base elettorale del PCI, e il PCI (almeno a partire dalla svolta di Salerno, per non parlare dell'epoca berlingueriana) è sempre stato più un "partito antifascista" che un partito comunista. Più difficile è capire come se ne possa uscire, ma personalmente sospetto che la via più breve sia quella di provare a ritorcere questa stessa ideologia (il populismo antifascista) contro i suoi tradizionali manovratori. Quando (e se) ci riusciremo, avremo posto le basi per una vera politica proletaria anche in Italia, dove i comunisti in realtà sono sempre stati pochi.
RispondiEliminaBell'articolo e bei commenti. Congratulazioni.
RispondiEliminaFra i motivi portanti di questa catastrofe aggiungerei la svirilizzazione della gioventù tramite televisione, consumismo, telefonini, abbandono di qualsiasi pretesa educativa da parte della famiglia prima e della scuola poi. A salire sulle barricate sono sempre stati in primis i giovani, e quelli odierni sono persi inh un eterno presente mediatico-consumistico.
è il tempo sospeso della morte dell'ideologia
RispondiEliminaè il tenmpo sospeso dell'incantesimo elettorale
è l'uomo a una dimensione di Marcuse
è il dis-incanto ancora lungi dall'arrivare
è la mancanza totale di una critica della modernita'
Ernesto Tonani