L'articolo che segue è stato pubblicato sull'ultimo numero de "Il granello di sabbia", rivista elettronica di Attac-Italia. Qui trovate la rivista.
(M.B.)
Come difendere i beni comuni? Uscendo dall'euro e dalla UE
Marino Badiale, Fabrizio Tringali
Da oltre trent'anni, nei Paesi occidentali, è in corso un processo di smantellamento dei diritti e dei livelli di vita conquistati dai ceti subalterni nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Nel nostro Paese tale processo ha recentemente subito una drammatica accelerazione.
Purtroppo manca ancora una diffusa consapevolezza sulle ragioni della crisi che stiamo vivendo e quindi stenta a prender forma una resistenza popolare adeguata.
Non ci addentriamo qui in una riflessione generale sulla fine del “compromesso fordista-keynesiano” e sul passaggio al capitalismo “neoliberista” e “globalizzato” (tutto ciò è già stato sufficientemente chiarito, almeno nelle linee generali, da una vasta pubblicistica).
Ci preme piuttosto sottolineare questo: il compito che sta di fronte a chi oggi voglia difendere i diritti e la democrazia, è quello di individuare gli strumenti concreti con i quali, nei diversi Paesi e nelle diverse situazioni, viene portato avanti l'attacco che stiamo subendo, e di elaborare idee e azioni politiche di contrasto.
La nostra convinzione è che, nella specifica realtà dei paesi del sud-Europa, in questa precisa fase, lo strumento fondamentale per tale attacco è rappresentato dal binomio euro/UE, e che ogni seria politica di difesa della democrazia e dei diritti sociali deve assumere come punto ineludibile la fuoriuscita dalla moneta unica e dall'Unione Europea.
Alla base di questa nostra tesi c'è un fatto tecnico, che naturalmente acquista valore politico solo se inserito all'interno di una visione storica un po' più compiuta e organica di quella che è possibile sviluppare in un breve articolo come questo (per gli approfondimenti rimandiamo al libro che abbiamo dedicato a questo tema: Badiale-Tringali, “La trappola dell'euro”, Asterios 2012).
Il fatto tecnico in questione è molto semplice, e lo spiega bene l'economista indiano Amartya Sen il quale, parlando dell'euro, dice : “Quando tra i diversi paesi hai differenziali di crescita e di produttività, servono aggiustamenti dei tassi di cambio. Non potendo farli, si è dovuto seguire la via degli aggiustamenti nell'economia, cioè più disoccupazione, la rottura dei sindacati, il taglio dei servizi sociali. Costi molto pesanti che spingono verso un declino progressivo[1].”
In altre parole, l'adozione di una moneta unica fra Paesi che presentano diversi tassi di inflazione, e quindi diversa capacità di competere (perché l'aumento relativo dei prezzi fa diminuire la competitività) ha l'effetto di spingere alla cosiddetta “svalutazione interna”, cioè all'aggressione al mondo del lavoro, al fine di abbassare i salari. Il motivo è semplice: diminuendo i salari e la capacità di spesa della maggioranza della popolazione, si ottiene un raffreddamento dei prezzi, e un conseguente aumento di competitività sull'estero.
Quel che viene spesso taciuto all'opinione pubblica dei Paesi in crisi, come il nostro, è che la bassa inflazione tedesca rispetto alla media dei partner europei, che è la ragione della maggior competitività della Germania, è dovuta, in buona parte, alle politiche di contenimento dei salari messe in opera in quel Paese poco dopo la nascita della moneta unica.
Nelle condizioni nuove create dall'adesione all'euro, tali politiche del lavoro assunsero, nei confronti dei partner dell'eurozona, un chiaro stampo competitivo e non collaborativo: hanno contribuito a indebolire le economie dei Paesi con inflazione più alta (i famigerati PIGS, fra i quali l'Italia) e, di conseguenza, a far nascere la problematica del debito pubblico, poiché, schiacciandone la competitività, hanno reso credibile la possibilità di un default.
Il che ha fatto schizzare in alto il valore del premio necessario per far acquistare i loro titoli di Stato. Ecco spiegati i rialzi dello spread fra i titoli italiani e quelli tedeschi. Ecco spiegato perché la BCE impone ai governi di introdurre maggiore flessibilità nel lavoro, facilità di licenziamento, deroghe ai diritti sanciti dai Contratti Nazionali di Lavoro. Ecco spiegato perché Mario Draghi continua a dire che i Paesi in crisi devono fare le stesse riforme realizzate in Germania dal 2003 in avanti [2].
Alla luce di tutto ciò possiamo rilevare che le campagne contro la finanza speculativa e per il rifiuto del debito, pur contenendo elementi di verità, possono risultare fuorvianti se non vengono collegate al tema dell'euro: l'Italia non è in crisi a causa del debito pubblico (che è alto, ma non ha scatenato la crisi, che ha colpito duramente anche paesi meno indebitati della Germania!), l'Italia ha un problema di debito estero e di perdita di competitività a causa dell'appartenenza all'euro.
Dopo essere stata ingabbiato in un cambio fisso rispetto alle valute dell'Europa centrale, il nostro Paese viene privato della sovranità e costretto al rispetto di rigidi parametri di bilancio che strozzano la spesa pubblica e spingono all'austerity, con l'ovvio risultato di avvitare l'economia nella spirale recessiva senza fine che stiamo sperimentando.
Di conseguenza, come nota Amartya Sen, la “svalutazione interna”, necessaria nelle condizioni create dall'euro, non si limita all'attacco al lavoro, ma diventa aggressione ai diritti sociali in generale, a quel poco che resta di Welfare State, ai diritti, ai beni comuni e alla stessa democrazia.
Gli avvenimenti più recenti ne sono testimonianza. Non è casuale la rinnovata campagna per il rafforzamento dei poteri del governo a scapito del Parlamento, e per il presidenzialismo; come non è casuale che all'Italia sia stato recentemente concesso di uscire dalla procedura di infrazione europea sul deficit: ciò è accaduto perché il nostro Paese si è impegnato ufficialmente a dar seguito alle “raccomandazioni” della Commissione, fra cui vi sono l'ulteriore riforma del lavoro e la privatizzazione dei servizi pubblici locali [3].
La realtà di cui prendere atto è che euro e UE sono gli strumenti concreti per ottenere i risultati voluti dal ceto dominante: disoccupazione e precariato, azzeramento del potere contrattuale dei lavoratori, spoliazione delle risorse degli enti locali per imporre la privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici.
Una volta compreso tutto ciò non si può non immaginare i sorrisi dei ceti dominanti di fronte a chi dice di voler difendere il lavoro e di voler combattere i “piani Marchionne” ormai estesi a tutte le categorie di salariati, ma contemporaneamente non prende nette posizioni contro l'euro e la UE. L'innocuità di simili posizioni è a loro del tutto chiara.
Se vogliamo che smettano di sorridere, e comincino a preoccuparsi per la nascita di forze realmente antagoniste e capaci di far vacillare il loro potere, l'unica strada è quella della lotta contro il sistema politico attuale in tutte le sue ramificazioni e per la difesa della sovranità nazionale e popolare, della partecipazione democratica alle decisioni politiche.
E il primo passo da compiere in questo cammino è uscire dalle gabbie dell'euro e della UE.
[1] Intervista rilasciata al Corriere della Sera, pubblicata il 21 maggio 2013
[2] A titolo di esempio si veda l'articolo
intitolato: “Draghi: gli Stati indebitati facciano riforme come
Berlino nel 2003”, pubblicato sul sito del Sole24ore il 10 giugno
2013, visibile al link
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-10/draghi-contribuenti-tedeschi-rischiano-180629.shtml?uuid=Ab1GBo3H
[3] Per approfondimento si legga il documento
ufficiale UE del 29 maggio 2013, visibile al link:
http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/nd/csr2013_italy_it.pdf
Cari Marino e Fabrizio
RispondiEliminail vostro parlare di resistenza e della necessità di forze realmente antagoniste e capaci di far vacillare il potere delle classi dominanti; il vosto individuare l'unica strada in quella della lotta contro il sistema politico attuale in tutte le sue ramificazioni e per la difesa della sovranità nazionale e popolare, della partecipazione democratica alle decisioni politiche, mi ridà un minimo di speranza.
E sopratutto rende ancora più convinto della necessità, che oggi è improcrastinabile, di dar vita a un nuovo CLN.
A settant'anni precisi dall'8 settembre ci ritroviamo punto e daccapo nelle stesse condizioni. Che si presentano con un'apparenza diversa ma con un'identica sostanza.
Per questo ho scritto un appello alla costituzione del CLN 2013, quale consulta atta a riunire sotto il minimo indispensabile di punti programmatici, che riguardano il recupero della democrazia e della sovranità del paese, il defenestramento di una classe politica di collaborazionisti,
Spero che vi possa aderire il maggior numero possibile di persone e di forze democratiche. Per questo ve lo invio, sperando che vogliate pubblicarlo quale inizio di un percorso che se non ci vedrà vincitori, quantomeno ci darà la consapevolezza di aver tentato qualcosa di concreto per fermare la distruzione del nostro paese e la riduzione in schiavitù del suo popolo.
ma diciamo la verità, il capitalismo ha vinto , ci ha divisi in categorie sociali distinte occupati, disoccupati, precari, pubblici privati; e soltanto quando cadranno queste categorizzazioni forse riusciremo ad organizzarci ed a batterlo, ma per farle cadere dobbiamo abolire i vari contratti nazionali di lavoro, le segmentazioni , i piccoli privilegi che non ci consentono di ritenerci tutti eguali
RispondiEliminaottima analisi. di una assoluta lucidità. spiace però dover ammettere che al momento non esiste forza politica che voglia ergersi a voce dei milioni senza rappresentanza.
RispondiEliminain altri paesi forze simili, di destra o di sinistra che siano, esistono.
non c'è più il tempo per farne maturare una ora...per cui non saremo padroni del nostro destino...almeno non di quello più prossimo.
Sono d'accordo con il Sig. Tonelli.
RispondiEliminaOttima l'analisi,ma probabilmente non attuabile ora come ora,semplicemente perché chi dovrebbe prendere le diffese del popolo (in generale),non fa altro che diffendere (sta dalla parte) di che commanda.
Eh... vedete il denaro,HA VINTO ANCORA....