Toni Negri non ha mancato di far sentire la sua voce a proposito delle prossime elezioni europee, in un articolo scritto assieme a Sandro Mezzadra. Si tratta di un testo interessante. Da tempo sono convinto che uno dei compiti ineludibili per chi si sforza di combattere il capitalismo realmente esistente è quello della critica al ceto intellettuale di sinistra, che appare ormai del tutto incapace di portare contributi alla comprensione critica della realtà. Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma l'articolo di cui parliamo non è fra queste. La tesi ivi sostenuta è molto semplice: l'attuale configurazione dell'UE agli autori non piace, ma essi rifiutano la prospettiva del ritorno alle sovranità nazionali, quindi la proposta è quella di contestare le attuali politiche europee rimanendo dentro euro e UE. Nulla di nuovo, nulla di particolarmente diverso da quanto potrebbe dire un qualsiasi esponente del PD. Quello che colpisce, da parte di un intellettuale prestigioso come Toni Negri, è la totale mancanza di argomenti. Se si legge con attenzione il testo, si scopre facilmente che esso elude tutte le questioni fondamentali che vengono discusse, in questo blog e altrove, in relazione a tali problemi: nessun accenno alle discussioni economiche relative alla moneta unica (teoria della aree valutarie ottimali, sbilanci commerciali indotti dai differenziali di inflazione, ciclo di Frenkel e così via), nessuna parola sulle prospettive concrete di una lotta antisistemica al livello europeo (mancanza di un “popolo europeo”). Al posto di una discussione, anche sommaria, ma argomentata, dei problemi reali, vi è una ripetizione continua della stessa idea, cioè che non si può tornare alle sovranità nazionali. Perché, non è dato saperlo.
Gli autori, per esempio, ci spiegano che chi vuole il superamento di euro e UE non capisce “qual è oggi il terreno sul quale si gioca lo scontro di classe”. Si tratta di una delle tante affermazioni infondate di cui è fatto questo articolo. Ci dispiace infatti deludere gli autori, ma noi lo capiamo benissimo, e sono loro a non capire il punto fondamentale. Euro e UE sono certo, oggi, il terreno su cui si gioca lo scontro di classe: ma si tratta del terreno scelto dall'avversario, sul quale egli è sicuro di vincere, e che infatti da decenni non smette di vincere. Qualche sospetto agli autori dovrebbe però venire: infatti essi notano, con una certa soddisfazione, che “un generale riallineamento dei poteri – attorno alla centralità della BCE e a quel che viene definito “federalismo esecutivo” – ha certo modificato la direzione del processo di integrazione, ma non ne ha posto in discussione la continuità” e inoltre che “la stessa moneta unica appare oggi consolidata dalla prospettiva dell’Unione bancaria”. Ma questo riallineamento, questo consolidamento, di chi sono opera? Forse di qualche collettivo di un centro sociale? Delle fantomatiche moltitudini? Direi di no. Sono opera, evidentemente, dei ceti dirigenti europei, che di fronte agli eventi critici degli ultimi tempi hanno fatto in modo di difendere e rafforzare, per quanto in loro potere, euro e UE. E visto che i ceti dirigenti europei, cioè i nostri avversari, se parliamo in termini di lotta di classe, fanno di tutto per salvare euro e UE, non dovrebbe essere difficile capire che, probabilmente, lo fanno non per offrire alle allegre moltitudini negriane il terreno di lotta ad esse più adatto, ma, tutto al contrario, perché sanno benissimo che euro e UE sono strumenti formidabili per bloccare le lotte popolari, per impedirle, per togliere loro ogni possibilità.
Uno degli ultimi esempi, in ordine di tempo, è quello delle trattative fra USA e UE per il trattato transatlantico, delle quali abbiamo già parlato. È chiarissimo che l'esistenza dell'UE rende più facile lo svolgimento delle trattative, perché vi sono meno interlocutori, mentre è altrettanto chiaro che l'esistenza di euro e UE in nessun modo aiuta la prospettiva di una lotta popolare europea contro il Trattato. Dopo la crisi di questi anni, dopo tutto quello che è successo fra Grecia e Germania, la prospettiva di una lotta comune fra greci e tedeschi contro il trattato transatlantico è più vicina o più lontana? La risposta mi pare ovvia. Il piano europeo, tanto caro a Negri e Mezzadra, è il piano sul quale si unificano i ceti dirigenti e si dividono i ceti subalterni.
Non c'è davvero molto altro da dire, su un simile articolo. Può avere qualche interesse, invece, tentare di capire il motivo di questa sostanziale incapacità di afferrare il problema, da parte di persone che non sono né ignoranti né stupide. Perché mai bisogna per forza lottare al livello europeo? La risposta è che dietro a queste posizioni c'è, ben dissimulato, un principio di filosofia della storia che rappresenta uno dei peggiori lasciti del marxismo. C'è l'idea che occorre combattere il capitalismo a partire dalle sue punte avanzate. E il fondamento di questa posizione è la convinzione metafisica che il capitalismo generi al proprio interno il soggetto sociale destinato ad abbatterlo. Se questa assunzione metafisica fosse vera, tutto il resto ne discenderebbe logicamente: se il soggetto sociale antagonista è generato dallo sviluppo capitalistico, allora occorre favorire tale sviluppo, perché ne viene accelerata la prospettiva rivoluzionaria. Se si aggiunge l'idea che lo sviluppo capitalistico porta al superamento dello Stato-nazione, che appare come il retaggio di una fase superata dello sviluppo stesso, si comprende l'essenziale delle posizioni di Negri e di tanti altri. Purtroppo è proprio il fondamento di tutto il ragionamento ad essere bacato. Il capitalismo non genera nessun soggetto rivoluzionario. Spingere lo sviluppo capitalistico non accelera la rivoluzione ma semplicemente approfondisce il dominio capitalistico, e l'intellettuale radicale finisce con l'essere colui che rimprovera al capitalismo di non essere abbastanza sviluppato, cioè di non essere abbastanza capitalistico, e si ritrova, come abbiamo visto, a dire le stesse cose del militante PD. È un rovesciamento dialettico ben noto. Un film già visto, e di cui ci saremmo risparmiati volentieri questa ennesima replica.
(M.B.)
[questo articolo è pubblicato in contemporanea su "Appello al popolo"]
questi sono temi da affrontare con la sfera di cristallo sul tavolo, nessuno ha in tasca la soluzione di un problema complesso come quello del superamento o abbattimento del capitalismo, non è possibile conoscere quali dovrebbero essere le strategie corrette per raggiungere l'obbiettivo, sicuramente le analisi di negri sono ci carattere sociologico filosofico, mentre le vostre sono di carattere economico, e potreste avere entrambi ragione :comunque spesso le soluzioni di un determinato problema vanno oltre il buonsenso e la normale azione lineare; sarebbe invece interessante indagare in modo approfondito la sua affermazione in un precedente post: "perchè che tutto ciò che accade in Italia avviene nella totale passività delle vittime?" ; forse quella è la chiave che stiamo cercando
RispondiEliminaPartendo dal saggio di Screpanti, non si possono non cogliere le stridenti contraddizioni dello sviluppo imperialistico multinazionale. Dobbiamo metterci d'accordo su un punto: o pensiamo alla legge dell'allocazione ottimale delle risorse e dell'equilibrio (scuola neoliberista) oppure pensiamo che queste sono "farfanterie" per usare il linguaggio di Camilleri. Le contraddizioni sono evidenti a mio avviso e la dialettica di Marx non è metafisica. Il problema è l'interpretazione corretta. La teoria marxista si deve concepire come linee di tendenza a lunga scadenza. Se parliamo del "qui e ora", le conclusioni possono essere diverse. Se devo aspettare che il capitalismo multinazionale livelli la condizione dei lavoratori in tutto il mondo, nella transizione posso anche morire di fame, arrivare alla disperazione, gnerare conflitti cruenti. Il problema per me è questo, sono le onde corte. "In tempi lunghi, saremo tutti morti".
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