"Abbiamo già accennato nel capitolo I come, a partire dall'astensione comunista al governo Andreotti, l'attacco al programma riformista si manifesti essenzialmente in una netta dissociazione tra una manovra di inclusione politica del Pci nell'area della maggioranza ed una decisa penalizzazione, sul terreno economico-sociale, della sua base elettorale. La filosofia espressa dall'intervento di Modigliani al convegno Cespe della primavera del 1976 - che fa derivare la necessità di una partecipazione comunista al governo dalla intensità del rigore indispensabile nella terapia della crisi - è destinata a incontrare uno stuolo consistente di seguaci, senza che sia dato ritrovare, ripercorrendo il dibattito di allora, nessuna sua contestazione specifica da parte comunista.
Sono proprio coloro che più si distinguono per la insistenza sulla necessaria accettazione delle compatibilità del sistema economico - da Carli a La Malfa - che, nello stesso tempo, più esplicitamente - all'interno dell'area centrista - sponsorizzano una collaborazione di governo con il Pci riformulando per proprio conto la prospettiva dell'austerità. In definitiva, nonostante tutti i distinguo e le diversità delle intenzioni recondite, è proprio questa combinazione di rigorismo economico e permissivismo politico che costituisce la base della convergenza Moro-Berlinguer."
(L.Paggi, M.D'Angelillo, I comunisti italiani e il riformismo, Einaudi 1986, pagg.61-62).
Si sta parlando degli anni Settanta, dei governi di solidarietà nazionale con la partecipazione del Pci alla maggioranza e della parola d'ordine dell'austerità, lanciata da Berlinguer. La citazione è interessante perché dimostra che il ruolo della sinistra, di mediatore del consenso popolare a politiche antipopolari, risale a molto tempo fa, ed era chiaro già dalla metà degli anni Ottanta. Tutto il libro è fortemente critico verso le politiche del Pci di quegli anni, e dopo la santificazione berlingueriana di questo trentennale non è male vedere come si discutesse francamente, subito dopo la morte di Berlinguer, del fallimento della sua politica. Ringrazio Arturo per la segnalazione del libro.
(M.B.)
Ad essere precisi,quella strategia imposta ai lavoratori dal "partitone" difensore degli oppressi (sic), ebbe un nome che a ricordarlo oggi provoca ancora sdegno e ripugnanza in chi ha vissuto quegli anni nelle piazze per contrastarla,e mai nome fu più evocativo di quello dato:la si era chiamata "politica dei sacrifici", naturalmente a senso unico,antesignana di quell'altra, fortemente voluta da un'altra "istituzione vicina ai lavoratori"che risponde al nome di Cgil,varata o, inventata ad hoc,in quelle stanze dove i reali interessi dei lavoratori non sono mai entrati a cui si era dato il nome più "elegante"di "politica dei redditi".Da queste due linee guida si sono poi sviluppate le successive e reiterate diminuzioni di potere contrattuale e di reddito disponibile per i lavoratori, assieme alla sempre più precaria e difficile difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro.E' a partire da quegli anni che il lavoro,non solo dipendente,inizia a declinare in termini di contrasto alla voracità del capitale che ha avuto, come INDISPENSABILE alleato, una pseudo sinistra,supportata da una base elettorale connivente e per nulla disposta a contestare l'operato del loro "infallibile"partito.Luciano
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