Cari redattori di Mainstream,
vi ringrazio per l'interesse che avete mostrato per il pezzo pubblicato su MicroMega.
Mi
permetto di scrivervi per fornire alcuni chiarimenti non richiesti, e
per fare delle piccole precisazioni. Senza alcuna preghiera di
rettifica, beninteso: il mio intento è solo fare chiarezza.
- Riconosco pienamente la validità di alcuni dei
problemi che sollevate sul mio tentativo di ricognizione. Spero di
averne dato, almeno in parte, conto nel post che ho pubblicato
successivamente su MicroMega: http://blog- micromega.blogautore.espresso. repubblica.it/2013/11/27/ fabio-sabatini-alcuni- commenti-su-economisti- dappertutto/
- Nel vostro post viene avanzato il sospetto che il tentativo di ricognizione sia stato concepito "a favore" degli economisti liberisti, coloro che a vario titolo gravitano intorno a Fermare il declino per intenderci.
- Nel vostro post viene avanzato il sospetto che il tentativo di ricognizione sia stato concepito "a favore" degli economisti liberisti, coloro che a vario titolo gravitano intorno a Fermare il declino per intenderci.
E' un sospetto che con mia sorpresa è stato condiviso da molti, "a sinistra".
Ed
è del tutto paradossale, per una serie di ragioni. La prima è che, per
certi versi, io stesso sono un ricercatore in Economia politica
"eterodosso". Mi rendo conto che dall'esterno della disciplina certe
distinzioni possono sembrare - e forse lo sono - anacronistiche, ma
tutta la mia attività pubblicistica (su Il Fatto Quotidiano e su
MicroMega) va in quella direzione. Penso che ogni fermatore del declino
inorridirebbe nel leggere i pezzi che firmo, in cui molto spesso critico
gli approcci di politica economica di stampo liberista, nonché il modo
in cui si va sviluppando l'Unione Monetaria (basti pensare ai miei pezzi
sugli accordi fiscali) o più in generale il processo di integrazione
europea.
Nella mia attività di ricerca poi sono forse ancora
meno "allineato", visto che mi occupo di temi un po' particolari, al
confine dell'economia con la sociologia e le scienze politiche (il mio
profilo di ricerca è consultabile qui: http://www. socialcapitalgateway.org/ editor).
Come non bastasse, non ho mai fatto mistero della
mia distanza da Fid, pur nel rispetto dei colleghi che apprezzano quel
partito. All'epoca di Giannino scrissi un pezzo su Il Fatto Quotidiano
che per un po' di tempo mi ha attirato parecchi insulti da parte dei fan
di Fid (ma temo che sia un problema generalizzato per chiunque scriva
su quella testata).
Inoltre ho conseguito il mio dottorato in Economia
politica presso la Sapienza dove, almeno ai miei tempi, l'insegnamento
dell'eterodossia aveva un ruolo di primo piano nella nostra formazione.
Ho avuto il privilegio di conoscere Pierangelo Garegnani e di seguire i
suoi corsi, e quelli di diversi suoi allievi. Successivamente, ho
lavorato con Sergio Cesaratto, per quattro anni mio supervisor
all'Università di Siena, che a mio modestissimo parere è in questo
momento il più autorevole esponente delle varie scuole eterodosse in
Italia.
Poi, può anche darsi che alcuni economisti (di quale
"scuola" non so) mi abbiano preso in antipatia per via del mio impegno
civile sulla trasparenza nei concorsi (si veda per esempio il servizio
di Report sulla mia iniziativa: http://www. youtube.com/watch?v=bK_ TTQMoF38 e
i diversi pezzi che ho scritto in proposito). Impegno che, invece,
credo sia stato apprezzato dalle persone che scrivono o commentano su
noiseFromAmerika. Ma questo proprio non dipende da me.
In generale, penso che distinguere chi ha una
competenza da economista formata attraverso decenni di ricerca
scientifica da chi ha esperienze professionali certo preziose, ma
diverse, sia utile a tutti e non solo a una parte, e soprattutto che
possa costituire un elemento di chiarezza per i lettori. Poi, concordo
sul fatto che la mia impostazione sia fallace e possa essere migliorata
in tanti modi.
- Nel vostro post scrivete anche che Alberto Bisin
avrebbe contribuito alla redazione della tabella. Ciò è falso. Credo che
Bisin abbia appreso del mio pezzo da Facebook (dove siamo amici. Per
inciso non ci siamo mai incontrati personalmente, come spesso succede
agli amici di Facebook). Certo ho letto il post che Bisin ha pubblicato
su nFA tempo fa, ma da qui a ipotizzare una "collaborazione" ne passa.
- Scrivete infine che è evidente che la mia
iniziativa sia legata a doppio filo al dibattito sull'euro. Secondo me
non èevidente, e tale questione è del tutto incidentale e, credo, dovuta
al fatto che alcuni economisti che non rientrano nella mia
(opinabilissima) definizione è proprio all'Unione Monetaria che dedicano
gran parte della loro attività di divulgazione. Da qui l'equivoco.
In realtà il mio intento, passato in secondo o terzo
piano agli occhi dei lettori, è indagare come, nel dibattito sui media,
sono rappresentati diversi punti di vista degli economisti su temi
sensibili di politica economica. Che potrebbe essere un modo per
verificare chi ha maggiore influenza nel dibattito (per esempio: sono
più influenti i liberisti o i non liberisti? Possono raggiungere un
pubblico più ampio i sostenitori della spesa pubblica o quelli dei tagli
alla spesa pubblica? E così via).
Questo è un obiettivo che dovrebbe suscitare
l'interesse e l'empatia di coloro che accusano i mezzi di informazione
di essere sbilanciati a favore di posizioni liberiste. Essi infatti
potrebbero, in caso di risultati "favorevoli", utilizzare la mia piccola
ricognizione come evidenza per sostenere la loro tesi (che
l'informazione è sbilanciata, appunto). In estrema sincerità, mi ha
sorpreso molto vedere che tale opportunità - esplicitamente messa in
evidenza nel mio pezzo - sia invece completamente sfuggita ai più.
- Dette tutte queste cose, non posso che ringraziarvi per avermi definito "giovane" economista!
Cordiali saluti,
Fabio Sabatini
Fabio Sabatini
Caro Sabatini, colgo l'occasione per sollevare una questione (apparentemente) lessicale. Lo faccio dal punto di vista di uno che economista non è ma, per tanti motivi ovvi che sarebbe noioso qui elencare e tutti legati agli interessi per la politica, di economia si è interessato fin dagli anni del liceo. Un'altro evo storico, cioè.
RispondiEliminaLa questione riguarda l'aggettivo (talvolta sostantivato) "liberista". Questa parola non si traduce in nessun'altra lingua che non sia l'italiano (e dunque, non di traduzione si tratterebbe, ma di identità). Com'è mai? Forse - si potrebbe pensare - si tratta di un fenomeno puramente italiano.
Ora, mi sono a suo tempo andato a leggere i lavori di Caffè sui liberisti (appunto) italiani. Credo di non andare errato dicendo che sono oggi come oggi tutti dei signor nessuno, che la storia ha inghiottito.
Allora, di cosa si parla quando si dice "liberista"? Si intende Einaudi? Ma vi pare giusto riferire quelle cose alle quali ci si riferisce quando si usa questo termine ad Einaudi? Voglio dire, non essendo Giorgio Napolitano, il nostro ineffabile Presidente (che Dio l'abbia in Gloria!).
E allora mi viene il sospetto che si dica "liberisti" per non dire "liberali", che è poi quel che si dice in tutte le altre lingue, inglese incluso, dove i liberali nel senso eurocontinentale del termine si chiamano "classical liberal", per distinguerli dai Liberal tout court, che sono praticamente l'opposto, come diceva poco prima di morire Milton Friedman, che si riteneva un liberale ma nel senso europeo, non nel senso "distorto" (è lui che parla, non io) che ha nella lingua USA.
Resta da domandarsi perché pesi così tanto usare l'aggettivo (talvolta sostantivato) che si usa in tutti i paesi del mondo, e cioè "liberale". Secondo me, ha a che fare con la coda di paglia, ma è tutto da discutere.
Questo anche perché vorrei sollecitare una maggiore sensibilità lessicale da parte degli economisti italiani, i quali ad esempio continuano imperterriti, e indifferenti agli enormi equivoci che suscitano tra le persone normali, a dire "fiscale" per dire "bilancio dello stato".
Già, perché ad un angloamericano il termine "fisc" non evoca neanche lontanamente le tasse, che si chiamano invece (ohibhò!) "taxes": "tax policy", mentre la "fiscal policy" è la politica di bilancio.
E così anche in altre lingue. Ad esempio, in Spagna "el fiscal" è il Procuratore generale, e difatti nessuno traduce dall'inglese "fìscal" con "fiscàl", perché tutti morirebbero dalle risa.
Ma da noi, il senso del ridicolo l'abbiamo perso da molto tempo.