Se “gente” suona troppo populista alle vostre orecchie, potete tirare in ballo il popolo, le masse, il proletariato, la classe operaia, i ceti subalterni, come meglio vi piace. Comunque sia, il problema è chiaro, ed è fondamentale. Dopo tante analisi sociopoliticoeconomiche, possiamo dire di aver capito, almeno in linea generale, cosa “lorsignori” stanno facendo, e perché. Ma la possibilità di una politica di contrasto ai ceti dominanti è appesa a questa domanda: perché la gente non si ribella?
Non ho risposte, lo dico subito. Mi sembra però di poter argomentare che alcune delle risposte che più comunemente vengono ripetute sono poco convincenti. Proverò allora a spiegare questo punto, nella convinzione che togliere di mezzo le spiegazioni deboli o incomplete possa aiutare ad elaborare spiegazioni migliori.
Risposta n.1: “La gente sta bene, o meglio, non sta ancora abbastanza male”. Il sottinteso di questa risposta è che l'ora della rivolta scocca quando si sta davvero male, quando arriva la fame. Ma questa idea è sbagliata. Se fosse corretta, il lager hitleriano e il gulag staliniano sarebbero stati un ribollire di rivolte, e sappiamo che non è andata così. La miseria non è condizione sufficiente per la rivolta, ma neppure necessaria: gli operai protagonisti di lotte dure, fra gli anni Sessanta e i Settanta del Novecento, non erano ricconi ma nemmeno miserabili ridotti alla fame.
Risposta n.2: “le condizioni non sono ancora peggiorate davvero”. Il sottinteso di questa risposta (che tiene conto delle obiezioni appena viste alla risposta n.1) è che la ribellione scatta non quando si sta male ma quando si sta peggio: quando cioè si esperisce un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita. Tale tesi è facilmente confutata dall'esempio del popolo greco, che da anni vede le sue condizioni di vita peggiorare di continuo senza che questa faccia nascere una autentica rivolta (al più, qualche manifestazione un po' dura).
Risposta n.3: “mancano i gruppi dirigenti”. Qui si vuol dire che i ceti subalterni non hanno ceti dirigenti che li sappiano guidare in una lotta dura e intransigente. Questa risposta coglie ovviamente una parte di verità: è proprio così, mancano le persone capaci di essere leader della lotta. Ma a sua volta questo dato di fatto richiede di essere spiegato. Il punto è che non sempre, nei grandi mutamenti storici, c'è un gruppo dirigente già formato. Ci sono certo persone più capaci di capire e di dirigere, ma difficilmente è già pronto un autentico gruppo dirigente, unito e lucido. In Francia nel 1789, per esempio, un tale gruppo dirigente non c'era. È la lotta rivoluzionaria che lo ha forgiato. In molti casi, anche se non in tutti, i gruppi dirigenti si formano nel fuoco della lotta. Ma se il fuoco non divampa non si possono formare.
Risposta n.4: “la gente è corrotta”. Ovvero, ormai la corruzione, l'illegalità, la prevaricazione hanno contaminato anche i ceti subalterni, che non si ribellano contro l'orrido spettacolo offerto dai ceti dominanti perché lo trovano normale, e al posto loro farebbero lo stesso. Anche qui, si tratta di una risposta che coglie qualche elemento di verità, soprattutto in riferimento all'Italia, ma che mi sembra insufficiente. Non mi pare che nel sentire comune vi sia questa accettazione maggioritaria del farsi gli affari propri, eventualmente in modo illecito e senza guardare in faccia nessuno. Il diffuso disprezzo per i politici testimonia del contrario. È vero che, notoriamente, l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù, ma se anche si trattasse di ipocrisia questo testimonierebbe del fatto che un tale omaggio è necessario. Neppure in Italia è possibile dire apertis verbis “sono un ladro, siatelo anche voi”, e questo perché evidentemente la cosa non potrebbe reggere, perché non è vero che sono tutti ladri.
Risposta n.5: “siamo diventati tutti individualisti”: qui si vuol dire che l'ideologia neoliberista è penetrata talmente in profondità che ormai tutti ci comportiamo come l'homo oeconomicus dei libri, calcoliamo freddamente i nostri interessi materiali e non ci facciamo smuovere dalle ideologie. L'obiezione però è semplice: proprio dal punto di vista del freddo interesse materiale appare evidente la necessità della rivolta collettiva. È evidente infatti, come diciamo da tempo in questo blog, che il progetto dei ceti dirigenti italiani e internazionali è la distruzione di diritti e redditi dei ceti subalterni, ed è pure evidente che il singolo individuo può ben poco. Ma allora la rivolta collettiva dei ceti subalterni appare come l'unica strategia razionale, proprio dal punto di vista dell'interesse personale.
Risposta n.6: “è venuta meno l'idea di una società alternativa” : insomma il crollo del comunismo ha trascinato con sé ogni tipo di rivolta popolare. Il capitalismo attuale viene concepito come l'unica realtà possibile e ciò che succede ai ceti popolari appare come una catastrofe naturale rispetto alla quale la ribellione non ha senso. Anche in questa risposta ci sono elementi di verità ma la spiegazione appare insufficiente: infatti i contadini si sono ribellati infinite volte, in Occidente e altrove, senza nessuna idea di una società nuova e alternativa, ma anzi chiedendo il ripristino dei vecchi rapporti sociali, turbati da innovazioni recenti o dall'arrivo di “nuovi signori”. La grandi rivolte contadine in Cina non hanno mai sovvertito l'ordine socioeconomico ma, quando erano vittoriose, portavano a sostituire una dinastia con un'altra. Qualcosa di simile si può dire delle rivolte di schiavi, che quasi mai mettevano in questione l'ordine sociale basato sulla schiavitù. Insomma, la rivolta può esserci anche senza basarsi sull'idea di una società futura alternativa.
Risposta n.7: “non ci sono più i legami comunitari”, ovvero siamo tutti individui isolati che in quanto tali non riescono a lottare. Anche qui, c'è una verità ma è parziale. Se è vero che le lotte contadine sopra ricordate erano basate su legami comunitari, è anche vero che in altri casi dei legami comunitari si può dire quanto detto sopra a proposito dei gruppi dirigenti: ovvero che essi si formano nel fuoco della lotta. Le lotte operaie della fine degli anni Sessanta in Italia mettevano assieme operai immigrati da varie regioni del sud e operai del nord che magari chiamavano i primi “terroni”: i legami non erano dati a priori, si sono formati sulla base della condivisione degli stessi problemi e sull'individuazione degli stessi nemici.
Risposta n.8: “la gente non capisce, sono argomenti difficili”, o più brutalmente, “la gente è stupida”: ovvero la gente (il popolo, la classe ecc.) non capisce i suoi propri interessi, non capisce come essi siano messi in pericolo dagli attuali ceti dirigenti. L'argomento “la gente non capisce” è facilmente confutato dal fatto che i contadini cinesi o francesi in rivolta non erano necessariamente degli esperti di politica o di economia. Insomma per ribellarsi non è necessario avere le idee chiare sulle dinamiche socioeconomiche. Quanto alla tesi più brutale “la gente è stupida” si tratta di una tesi che è difficile da discutere, per la sua indeterminatezza (cos'è la stupidità? Come si misura?).
In ogni caso, anche ammettendo questa “stupidità” (qualsiasi cosa ciò voglia dire) essa non sarebbe una spiegazione ma a sua volta un problema da risolvere. Perché la gente è diventata stupida, ammesso che lo sia? Sembra poi strano dire che la stragrande maggioranza della popolazione, formata da tutti coloro che hanno da rimetterci dalle attuali dinamiche sociali ed economiche (casalinghe e operai, pensionati e professori universitari, scrittori e droghieri) sia diventata stupida nella sua totalità. Se si va al fondo e si cerca di capire cosa si intenda con questa “stupidità”, si vede alla fine che, per chi dice che “la gente è stupida”, la motivazione principale è appunto il fatto che non si ribella. Ma allora dire che la gente non si ribella perché è stupida vuol dire che non si ribella perché non si ribella, e abbiamo una tautologia, non una spiegazione.
Questo è quanto mi sembra di poter dire. Come ho detto sopra, non ho risposte da dare. Ciascuna delle risposte indicate contiene qualche elemento di verità, ma nessuna mi sembra cogliere davvero il problema, e anche mettendole assieme non mi pare si guadagni molto. Chiudo suggerendo che forse abbiamo bisogno di altri strumenti, diversi da quelli della politica e dell'economia, abituali per me e per gli altri autori di questo blog (e, probabilmente, per la maggioranza dei nostri lettori). Altri strumenti che possono essere: filosofia, antropologia, psicologia. Si accettano suggerimenti, anche e soprattutto di lettura.
(M.B.)
Intanto distinguerei tra rivolta e movimento dei lavoratori. Sappiamo la differenza, conosciamo i "masianello" e i "forconi". E sappiamo che le lotte operaie degli anni '60 e '70 erano di natura profondamente diverse. Su questo secondo aspetto, noto che i grandi movimenti si stanno verificando in Turchia e Brasile, cioè in due paesi in crescita. Sempre restando in questo campo, credo che quello che muove è la convinzione di avere potere e volerlo esercitare. E poi, di avere obiettivi a portata di mano. E' chiaro che il lavoro frammentato, globalizzato, non può dare questa convinzione. "Lavoratore impaurito e indebitato", questa è la definizione di Greenspan. Solo angoscia.
RispondiEliminaPer il resto, tanti dubbi. Certezze non ho.
Molto interessante, ma cercherò di essere breve. Sulla Grecia provo a suggerire che non va sottovalutata la sbornia allettante che ha rappresentato l'introduzione dell'Euro rispetto al tenore di vita che si poteva avere con la dracma in molti segmenti della popolazione. Un sentimento illusorio e drogato dal credito facile, unito alla sensazione di far parte del "giro" giusto invece di essere parte dell'area dei paesi arretrati e senza speranza.
RispondiEliminaCome consiglio di lettura, che indaga sui meccanismi della seduzione che il modello neoliberista riesce ad esercitare su vasti strati della popolazione, ricordo che tempo fa ero rimasto colpito da "Il mostro mite" del linguista Raffaele Simone, edito da Garzanti.
Come possibile strumento alternativo ne propongo un terzo: la demografia. Emmanuel Todd, uno studioso che a questa dimensione è molto attento, ha osservato: "Je ne crois pas du tout à une révolution en France; la population est trop vieille; il y a trop de gens de mon âge. J’ai de l’arthrose comme beaucoup on ne court pas dans les rues. Les soulèvements violents, ce sont toujours ceux menés par des citoyens de 20 à 35 ans.
RispondiEliminaL’âge médian neutralise l’horizon de la révolution. Cela exclut dans l’immédiat les processus révolutionnaires et explique l’inertie du système et celle de Hollande; le corps électoral âgé. Entre 1950 et aujourd’hui, la France a vécu le bond en avant le plus extraordinaire de son histoire. Cette génération sait qu’il y a tellement à perdre par rapport à ce qu’elle a connu ; les gens qui n’ont rien à perdre et tout à gagner, c’est 15% de la population." Mi pare indiscutibile che rispetto a tutti i controesempi dell'articolo (potremmo includere anche le vicende latinoamericane), l'attuale società europea si distingue per essere più vecchia. E direi che è anche un bel problema.
Quella di Emmanuel Todd mi sembra la spiegazione più aderente con la mia esperienza di cortei, manifestazioni e scontri negli anni Settanta. Eravamo più giovani (percentualmente come popolazione) e più poveri. Non c’erano punti d’aggregazione oltre quelli a carattere politico e potevamo permetterci ben poche distrazioni rispetto ad oggi. Inoltre la società tutta era più violenta, mio padre ci picchiava, io picchiavo mio fratello minore e con i miei amici ci azzuffavamo a sangue per uno sguardo storto con altre bande d’adolescenti. Dalle mie parti capitava di vedere gente che faceva a bastonate o a catenate per strada e qualche volta ci scappava pure una coltellata. Poi spuntarono le pistole e ci fu chi le usò per le rapine e chi per la rivoluzione, quasi tutti quelli che le hanno usate sono finiti secchi o all’ergastolo, ma questa è un’altra storia.
EliminaLe rivolte continuano a scoppiare, in Egitto, in Ucraina, in Croazia. Gli elementi comuni sono sempre una popolazione con molti giovani disoccupati, miseria diffusa, società violenta (perlomeno più violenta di quanto lo siano quelle del benessere decrescente). Per vedere una ribellione vera nel nostro paese bisogna solo attendere che i giovani immigrati raggiungano la massa critica.
Errata corrige: una rivolta è recentemente scoppiata in Bosnia, non in Croazia.
EliminaHo ascoltato gli interventi di Mariano Ferro (grazie a youtube) al meeting autoconvocato di Firenze sul movimento 9 dicembre e mi sembra quello che più di tutti dava una risposta, quella della paura.
RispondiEliminaInfatti non ci sono stati grandi eventi in Sicilia l'ultima volta perché lo stato aveva approntato le contromisure e mentre nella rivolta di gennaio del 2012 con poche persone e molte esortazioni al blocco la Sicilia è scesa in piazza questa volta no.
Probabilmente perché le sanzioni sarebbero state immediate rispetto ad un cambiamento che si sarebbe prospettato incerto.
Secondo me è da analizzare bene questo sentimento la Paura e le sue sfaccettature, cioè quando questa viene a mancare credo che vengano dissolti i freni inibitori inconsci.
Sia chiaro non sono uno psicologo, questa è solo una mia interpretazione di un discorso fatto da una persona che sul campo ha visto 2 eventi diversi (rivolta di gennaio in Sicilia e "rivolta" del 9 dicembre sempre in Sicilia.)
Riccardo.
Forse una ragione ancora più decisiva sta nella ubriacatura mediatica che da almeno 10 anni avvelena il nostro paese, e che ha convinto milioni di cittadini di alcune false verità: che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, che lo stato sciale non possiamo permettercelo, che la spesa pubblica è ancora troppo alta, che occorre liberalizzare ancora il mercato del lavoro. La verità è che il progetto di impoverimento/colonizzazione del nostro paese va avanti senza tregua, e sono ancora troppo pochi ad averlo compreso.
RispondiEliminaForse qui una parziale risposta:
RispondiEliminahttp://www.davidecounselor.it/Pugni%20sul%20cranio/Zygmunt%20Bauman%20-%20La%20solitudine%20del%20cittadino%20globale.pdf
Risposta n. 9: alla ribellione manca una prospettiva immediata praticabile e credibile, giusta o sbagliata che sia.
RispondiEliminaNon ci si ribella collettivamente per disperazione, tranne casi molto rari e sostenuti da motivazioni trascendenti (v. Masada). Ci si ribella collettivamente, organizzandosi per farlo, solo quando c'è una prospettiva praticabile e credibile di vittoria. Poi, di solito questa prospettiva, alla prova dei fatti, si rivela quanto meno parziale e provvisoria, ma che questa prospettiva debba esistere è certo. Mi pare dimostrarlo anche l'esempio della rivoluzione francese da lei proposto. In quell'occasione, è verissimo che non ci fossero classi dirigenti rivoluzionarie, né tantomeno partiti organizzati intorno a un programma di rovesciamento della monarchia e del regime feudale; ma c'era una cultura politica e un'ideologia diffusa, egemone persino nel campo avverso della nobiltà di corte, che prometteva rose e fiori se soltanto si fosse seguita la Ragione e si fossero abbattute le superstizioni, l'oscurantismo e i privilegi.
Come è noto, le cose non andarono esattamente così. Però, la prospettiva credibile e praticabile c'era, e si chiamava Lumi; poi, gli eventi si sono incaricati di porre le sfide politiche a cui qualcuno ha risposto come sapeva e poteva.
Nella situazione europea attuale, non ci sono prospettive credibili e praticabili di fuoruscita, o anche solo di riforma radicale del capitalismo. Ci sono, in alcuni paesi, prospettive praticabili e credibili di uscita dalla UE e dall'euro, imperniate intorno a un recupero delle sovranità nazionali. Nessuna di queste prospettive prevede l'uscita dal capitalismo; tutte prospettano un tipo di governo politico del capitalismo diverso dall'attuale. Intorno a queste prospettive politiche si forma, effettivamente, un consenso sempre più vasto, che si mantiene sul piano elettorale, e per necessità: su un piano diverso, i rapporti di forza sono tali che uno scontro armato tra governo e opposizione sarebbe un suicidio, e questo "la gente", per quanto "stupida" lo sa. Quindi, tutto sommato mi sembra inesatto dire "la gente non si ribella". La gente si ribella, ma esprime la sua ribellione nell'unico modo disponibile: astensione, voto per le forze "populiste". Paradossalmente ma non poi tanto, è probabile che la "ribellione", cioè la mobilitazione di massa, con dimostrazioni, scioperi, scontri anche violenti, cominci proprio nel momento in cui una di queste forze populiste prenderà il governo di un paese UE: perché in quel momento, "la gente" scorgerà la possibilità di ottenere qualcosa con la sua ribellione, e di non essere immediatamente sconfitta. Mi pare anzi che questo sia il principale pericolo in cui incorreranno le forze antiUE. Una vittoria del FN alle elezioni francesi sarebbe l'analogo di Valmy: ma com'è noto, dopo Valmy le cose non andarono lisce per nessuno dei vincitori.
Credo che per quanto riguarda l'Italia (e l'Europa in generale) sia fondamentale il dato demografico: l'età media è alta e le rivolte le fanno i giovani. da quando mondo è mondo.
RispondiEliminaNon avrei dubbi, ciò che sicuramente manca (ma non è detto che sia l'unica cosa a mancare), è il gruppo dirigente.
RispondiEliminaE' vero che solo durante il divampare della lotta si determinano modificazioni anche nel gruppo dirigente, ma non direi che nelle rivoluzioni che la storia ci tramanda mancasse del tutto un nucleo iniziale di gruppo dirigente.
Inoltre, i paragoni sono sempre utili, purchè si considerino nel contempo le differenze nel contesto storico.
L'esistenza di un gruppo dirigente e la sua saldezza e determinazione devono essere adeguati a quelle caratteristiche dell'avversario, che gode di mezzi finanziari e tecnologici praticamente illimitati.
Tale gruppo dirigente, seppure sia inevitabile che si metta alla prova solo all'interno stesso della lotta che vuole suscitare, si deve formare prima, se non altro per il motivo che la condizione stessa della sua esistenza, cioè di costituire un vero gruppo alternativo, richiede che non condivida l'ideologia dominante. Ciò richiede inevitabilmente un lavoro collettivo che a sua volta viene ad essere avversato dall'individualismo dominante.
Ci vorrebbe insomma un atto volontaristico che determini il passo iniziale, la formazione stessa di un partito con queste caratteristiche, e purtroppo non si vedono tracce di un percorso di questo tipo.
Vorrei infine aggiungere un'ulteriore considerazione che so già potrà causare una reazione polemica da parte di alcuni, ma come si dovrebbe capire, non mi posso ritrarre dal farla, malgrado vorrei rifuggire da ogni possibile polemica.
Si tratta del fatto che oggi il marxismo occupa ancora l'intero campo del settore veramente alternativo. Ci possono essere opposizioni di vario tipo, ma se oggi vuoi essere considerato alternativo, devi dichiarare di essere marxista, come se questo fosse l'unico marchio certificato per un'opposizione davvero totale. Poco conta che si tratti di una parvenza di marxismo, che da parte di molti si ammetta che ci sono molti errori nelle tesi di marx e molti di più nel marxismo come storicamente si è andato determinando. Ciò tuttavia non basta per tentare di percorrere nuovi sentieri, che se proposti vengono tuttora considerati come un mezzo usato più o meno consapevolmente per danneggiare la vera ed unica altermativa rivoluzionaria, quella marxista.
L'ultimo punto di Vincenzo mi fa venire in mente il problema dell'identificazione, principio che io detesto ma dal quale pare non si possa prescindere.
EliminaIl partito che più di tutti oggi rappresenta il sistema da abbattere è il PD, ma il PD è figlio anche del marxismo, tanto che viene comunemente classificato come "sinistra". In questo modo occupa uno spazio ideale a cui non avrebbe titolo, e crea problemi in chi, proponendosi come alternativa, si colloca a sinistra. Come fai ad identificarti in uno specifico ambito politico, se il soggetto che vuoi combattere, e che tu dichiari diverso da te, appartiene (anche solo nominalmente) allo stesso ambito?
Dalla risposta n.7:
RispondiElimina«[...] i legami non erano dati a priori, si sono formati sulla base della condivisione degli stessi problemi e sull'individuazione degli stessi nemici.»
Occorrerebbe riflettere sul fatto che attualmente la condivisione è più virtuale che reale con la conseguenza verosimile che l'informazione non si sostanzia nell'azione.
"Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza."
RispondiEliminaWinston Smith
Penso che ci sia del vero in tutti gli aspetti citati, ma il tutto viene affrontato prevalentemente sul piano collettivo. Manca l'aspetto più personale, quello sentimentale (inteso in senso lato).
RispondiEliminaLa gente, intesa come massa, ha le sue dinamiche, ma la gente è fatta di singole persone, e le persone sono mosse principalmente dai sentimenti. Io qui ne vedo due dai quali non si può prescindere: la paura e la speranza.
La paura è quella dell'ignoto. Cosa succede se usciamo dall'UE? Se torniamo alla Lira? Se conquistiamo palazzo Chigi? Chi ci dice che poi non sarà peggio di ora?
La speranza è che arrivi un salvatore a liberarci; che le cose cambino da sole; che il cattivo rinsavisca; che comunque noi si possa comunque rimanere a galla.
E finché c'è una speranza, una via d'uscita, una soluzione possibile, è difficile superare la paura atavica dell'ignoto.
Forse solo quando resteremo senza speranza, a prescindere da quanto stiamo male, accetteremo l'ignoto. Chi si trova al terzo piano di un palazzo in fiamme, ha paura a lanciarsi anche se sa che sotto c'è il materasso; figuriamoci se non lo sa.
Questo è un punto molto rilevante. Ribellarsi per fare cosa?
EliminaLa maggior parte delle persone, per ora, ha trovato una strada per sopravvivere alla crisi. La povertà assoluta, almeno in Italia, non riguarda ancora milioni e milioni di persone. In questo contesto, pur nella consapevolezza del progressivo impoverimento ed essendo consci dell'esistenza di un disegno globale che lo determina, la paura dell'ignoto è fortissima. Sono ancora pochi quelli che pensano di non avere niente da perdere, per esempio, da un'ipotetica rivoluzione socialista; molti di più quelli che temono questa eventualità.
La società italiana è essenzialmente borghese. Non c'è più il proletariato, nel senso che anche gli appartenenti ai ceti più bassi non si sentono "proletari", ma condividono gli ideali e le aspirazioni del ceto medio borghese. Lo dico con cognizione di causa, perchè ho lavorato in una grande industria e sono stato per anni a contatto con una classe operaia che non si sentiva tale, che non era quella degli anni 70.
Quindi una eventuale rivoluzione di massa deve necessariamente coinvolgere la piccola e media borghesia, ma questa si trova immobilizzata tra la spinta alla ribellione verso i ceti dominanti e la paura di perdere anche quel poco di benessere che riesce a mantenere.
Certo, se il declino dovesse accelerare, le cose cambierebbero. Dipenderà molto da quanto saranno bravi gli oligarchi a mantenerci sul filo di questo equilibrio e quindi di una sostanziale immobilità.
Un ulteriore elemento che andrebbe a mio avviso valutato è l'effetto sedativo operato dai media in senso generale. Ogni "media", a partire dalla TV, passando per radio, giornali, smartphone, PC e internet, può - se debitamente manipolato - generare torpore sociale, mascherato tra il bombardamento d'informazioni mischiate all'intrattenimento. Un po' come una volta la religione era l'oppio dei popoli. Poi il calcio la sostituì come l'eroina. Oggi la politica spettacolo è diventata il nostro crack.
RispondiEliminaTutte le risposte contengono certamente un po' di verità. Dobbiamo anche considerare che il popolo italico è così "plagiato" dalla televisione come forse nessun altro, a parte quello americano. La vera questione è che per ribellarsi occorre anche avere una direzione, degli IDEALI. Questi sembrano oggi mancare. Il problema dell'occidente liberale è il tradimento degli ideali stessi che caratterizzano la ragion d'essere dell'occidente moderno.
RispondiEliminaQuesti ideali si chiamano DIRITTI UMANI, e vengono continuamente tirati in ballo in modo strumentale fino al punto da giustificare "guerre di pace". In questo modo hanno finito per generare una sorte di repulsione-indifferenza fra le persone, quando invece dovrebbero essere la linfa vitale del nostro sentire di uomini e cittadini. E' perciò urgente la necessità di creare un programma politico-economico-sociale basato sui 30 diritti umani. L'ideale sarebbe avere esperti nei vari settori che indichino politiche e soluzioni volte al raggiungimento di una società dei diritti umani.
L'etica dei diritti umani si basa fondamentalmente su 3 cose: DIGNITÀ', LIBERTÀ' e RESPONSABILITÀ' per l'individuo. I 30 diritti umani hanno una loro storia e una loro evoluzione, alcuni sembrano avere una ispirazione più "individualista", altri più "collettivista", ma nel loro insieme ci parlano di una società che può e deve coniugare libertà individuali con responsabilità civili, libertà di associazione/impresa e controllo dello Stato.
Molti saggi, dibattiti, politologi e intellettuali parlano e scrivono su questa crisi degli ideali e degli "ismi" del 900, sulla necessità di superare vecchi stereotipi e divisioni passate. Ebbene i 30 diritti umani lo fanno, la soluzione e i principi sono lì da decenni ma purtroppo spesso vengono evocati solo quando sembrano avvalorare interessi di parte. Le libertà liberali sono diventate libertà solo per chi se lo può permettere (le grandi lobby che ci governano); con la scusa di contrastare l'ingerenza statale nella vita sociale si lascia libertà di agire finanziariamente per destabilizzare i mercati e di conseguenza il mondo intero.
Il bilanciamento fra intervento dello stato e iniziative della società civile risiede proprio nei diritti umani. Come possiamo tollerare organismi finanziari che giocano a quel grande casinò che è diventato il mercato finanziario, mettendo a rischio la sopravvivenza di individui, aziende e stati? Come possiamo tollerare una industria psichiatrico-farmacologica che con evidenze scientifiche pari a zero guadagna miliardi da psicofarmaci (dati ormai da anni anche ai bambini), il cui unico vero scopo non è curare ma avere più clienti e controllare sempre di più farmacologicamente la popolazione? Come possiamo tollerare una industria delle armi sostanzialmente privata che ha un mercato globale indipendente dagli interessi di legittima difesa dei vari stati? I droni per uso militare sono una clamorosa violazione dei diritti umani, come lo saranno l'avvento prossimo di soldati modificati farmacologicamente e in altri modi. Come possiamo tollerare una industria alimentare che ci avvelena lentamente ogni giorno o una industria energetica non coordinata e non volta alla ricerca di energia pulita e a basso costo? Questi sono solo alcuni esempi di violazioni dei diritti umani.
I diritti sono l'anima del nostro essere occidentali, moderni e liberali. O lo capiamo e ci diamo da fare per abbattere l'ipocrisia della politica e dell'economia mondiale o non riusciremo a contrastare quello che io chiamo REGIME DI CONTROLLO GLOBALE.
A frosinone, città di 45.000 abitanti, c'è un gruppo FB con quasi 15.000 iscritti dal nome "Sei di Frosinone se...". Il gruppo ha organizzato, per sabato 22 febbraio, un'operazione "amarcord" per la quale il comune ha messo a disposizione delle corse speciali con navette per far fronte a un'attesa invasione di gente.
RispondiEliminaFrosinone è una città che si sta impoverendo a vista d'occhio, eppure sembra che nessuno ci faccia caso. Qualche tempo fa, preso da una crisi di nervi, ho postato sulla pagina FB del gruppo un'espressione offensiva ("Sei di Frosinone se... sei un coglione"), giustamente e fortunatamente per me subito rimossa dagli amministratori (che ringrazio).
Io continuo a guardare la città, i mille cartelli "vendesi" e "affittasi", le strade fino a pochi anni fa affollate fino a tardi ma oggi deserte, e mi domando se queste cose le veda solo io.
Non so darvi una risposta... so solo che sono molto scoraggiato, un po' stanco e parecchio deluso dai miei concittadini... ma vi dico anche un'ultima cosa: comincio a temere il giorno in cui tutta questa gente si sveglierà, all'improvviso, senza sapere una mazza di quello che è successo. Credo che in settimana andrò a rinnovare il passaporto.
Credo che i paragoni con altre epoche valgano fino a un certo punto: i contadini cinesi o i rivoluzionari francesi non erano così condizionati da un apparato di disinformazione mediatica sofisticato come quello con cui i cittadini oggi hanno a che fare. La comunicazione oggi è tutto, c'è gente che ci studia tutta la vita sull'arte di condizionare le masse con le parole. In Italia la propaganda ha fatto largo uso dei vizi nazionali per instillare sensi di colpa e complessi di inferiorità che hanno portato gran parte dei cittadini a odiare e disprezzare il proprio paese. Quando parlo con qualcuno, ormai è quasi una costante la lamentazione sui vizi nazionali quali corruzione, burocrazia eccetera, peraltro difficili da confutare. E' difficile fare una rivoluzione per qualcosa in cui non si crede più.
RispondiEliminaOsservando la attuale situazione mondiale, mi viene da formulare una risposta molto parziale, ma non insignificante. Le rivolte violente esplodono nei paesi arabi, in Ucraina, in America latina, sono prive di coscienza rivoluzionaria, ma sono molto ben organizzate. In pratica una parte minoritaria della popolazione si fa trascinare da "avanguardie" che hanno un poderoso sostegno finanziario, logistico e militare dall'estero, cioè dagli USA/UE che, dopo il crollo dell'URSS non conoscono limiti ai propri disegni egemonici. L'Ucraina è emblematica in questo senso. In un paese "debole" è facilissimo da parte dei paesi forti accendere la miccia e scatenare una rivolta finalizzata ai loro obiettivi. Se negli anni 70 l'Italia non fosse stata sotto l'ombrello della NATO (quindi "paese debole") e il campo socialista (blocco di "paesi forti") avesse deciso di appoggiare massicciamente le Brigate Rosse, beh, quello che succede oggi in Ucraina si sarebbe verificato allora in Italia (e non dico che sarebbe stato auspicabile). Insomma le rivolte almeno a partire dalla seconda metà del '900 si inseriscono sempre in un ambito geopolitico. Noi oggi siamo parte del blocco dominante: dall'esterno non ci viene alcun esempio né ispirazione, al contrario di quanto avveniva quando c'era un "campo socialista" almeno apparentemente forte. Prevale invece la diffidenza o la paura -abilmente pilotata- che i potenziali nemici (russi, cinesi ecc.) possano portarci via quel poco che ci resta. Abbiamo subito un processo di colonizzazione culturale, anche grazie alla connivenza dei gruppi dirigenti comunisti o ex comunisti che hanno deciso di passare dall'altra parte della barricata. Il risveglio ci sarà prima o poi, nulla è eterno, maavverrà per impatto dall'esterno e comunque per ora non lo possiamo prefigurare
RispondiEliminaLUCIANO
non condivido con l'articolista per svariate ragioni
RispondiEliminaprimo punto
nei lager o nei gulag non c'è stata ribellione semplicemente perché i prigionieri erano infinitamente più deboli dei loro carcerieri (armati) altrimenti se ne avessero avuto la possibilità avrebbero avuto salva la vita, infatti tentativi disperati di fuga o ribellione ce ne sono stati
gli anni 60 e 70 hanno generato la politica di oggi per cui era meglio che si stavano a casa loro a fare la calzetta - oggi si starebbe meglio
punto secondo
in Italia si sta ancora bene infatti determinate categorie come gli statali sono ancora tutelate
se i Greci riuscissero ad organizzarsi rivolterebbero la situazione te lo dice uno che in Grecia c' è stato poco tempo fa
punto terzo
mancano i soldi per organizzare non i leader o le idee
punto quinto
l'egoismo nasce nel benessere, se ci fossero problemi comuni e non a macchia di leopardo si tornerebbe a pensare comune
punto sesto
preferisco astenermi e tenere per me l'analisi
punto ottavo
si, la gente è stupida te lo dice uno che ascolta con attenzione i discorsi della gente comune, dell'elettore medio, posso dire con certezza che hanno 3 o 4 neuroni a testa.
non mi baso sul livello culturale ma di finezza cerebrale, infatti ho sentito cose sagge da persone con la quinta elementare e totali idiozie da laureati con lode
lelamedispadaccinonero.blogspot.it
ormai in italia siamo giunti alla piena espressione del darwinismo sociale, al si salvi chi può., non si ragiona più ognuno attento a salvarsi dall'avanzare della crisi, al mi conviene votare Renzi o Grillo o Berlusconi o astenermi, insomma completamente soggiogati dalla propaganda dei media che i partiti e la finanza italiana tengono strettamente in mano non sappiamo distinguere il bene dal male, stiamo assistendo all'incapacità dell'opinione pubblica di comprendere quello che sta accadendo, le divisioni tra lavoro pubblico e privato sono ancora più marcate di un tempo, chi ha una rendita di posizione pur sapendo che è un privilegio è terrorizzato da ogni cambiamento che potrebbe metterlo in difficoltà, siamo un popolo senza storia perchè abbiamo dimenticato il passato , le vicende dei nostri padri o nonni, non siamo più una nazione ma un insieme di famiglie!
RispondiEliminaRicordo che non pubblichiamo commenti anonimi. Basta usare un nickname.
RispondiEliminaDirei 7 + 5 : “siamo diventati tutti individualisti” e “non ci sono più i legami comunitari” : questi due punti possono essere ricondotti ad uno solo. Questo risultato è stato ottenuto con il mito della "libera intrapresa", del “ce la posso fare da solo”, del consumismo, della competizione come origine di prosperità, soprattutto per chi vince. Avere meno legami vuol dire avere meno informazioni di prima mano sulla situazione generale, vuol dire avere meno conferme rispetto a ciò che si pensa, vuol dire avere meno forza e convinzione nel reagire. Così ci troviamo con una figlia di papà allo sviluppo economico e con uno che vuol diminuire i salari minimi all’economia. In bocca al lupo a noi tutti !
RispondiEliminaTema antico trattato non so quante volte, dai classici latini e greci fino ai nostri giorni, il problema è sempre il potere e le persone prive di morale e etica che lo bramano e detengono, ma come riescono a continuare ad accentrare il potere togliendolo agli altri? semplicemente recitando bene davanti a pubblico di creduloni, come il serpente con Adamo e Eva.
RispondiEliminaQuindi da una parte abbiamo chi detiene da tempo alcune conoscenze e si ammanta con esse, dall'altra parte chi è nato all'oscuro di esse all'interno di un ambiente preparato a ingannarlo fin dall'infanzia, dove viviamo? in una democrazia? no la nostra è una democrazia indiretta, una falsa democrazia, infatti il nostro governo è una REpubblica-Parlammentare, quindi quale lettura migliore di "La Repubblica" di Platone con il suo conosciuto "Mito della caverna" dove vien ben descritto il perché non ci si ribella http://it.wikipedia.org/wiki/Mito_della_caverna
La soluzione al problema è già nota da tempo nei Vangeli, altre letture che evidenziano bene i meccanismi che inibisco la ribellione, la creazione del consenso, l'accettazione del sistema sono Lev Tolstoj, Aldous Huxley, George Orwell...
Il formidabile sistema di falsificazione numerica della misura del consenso. Andate a leggere qualche centinaio di commenti nelle pagine facebook del PD e dei relativi esponenti politici (Renzi, Cuperlo, Civati, ecc) e poi chiedetevi come fa questo partito ad essere al 30% e non invece al 3%, i sondaggi non sono inattendibili ... sono completamente falsi!
RispondiEliminagios
Immagino che l’articolo voglia stigmatizzare l’assenza di spirito di ribellione in Italia, perché il resto del mondo invece è una broda in ebollizione. Venezuela (sette morti), Brasile, Ucraina, Bosnia (qualche settimana fa) Turchia solo un anno fa, Egitto (ora sedata), Nord Africa solo tre anni fa, ma anche Germania (il mese scorso ad Amburgo tre giorni di guerriglia urbana intorno al centro sociale Rote Flora), Stoccolma l’estate scorsa, Madrid (continuano le opposizioni agli sfratti con rivolte di quartiere). Certo, non si tratta di rivoluzioni, non ci sono élite intellettuali che cavalcano la tigre e nemmeno una classe dirigente che si “forgia nella lotta” o forse sì ma non lo sappiamo ancora. Si tratta appunto di rivolte che, per dirla alla Foucault, sono fuochi d’artificio lanciati nel buio del potere, che dopo aver brillato si spengono immediatamente. Però qualcosa dicono circa l’insofferenza alla gabbia d’acciaio nel quale il capitalismo ha rinchiuso il mondo. In Italia invece nulla. Ma qui il potere, che è da sempre incapace (perché disinteressato) a fare il bene della nazione, è invece incredibilmente efficace nella gestione di se stesso vuoi narcotizzando il malcontento, vuoi drenandolo con azioni simboliche, vuoi stabilendo un osmosi duratura con i ceti popolari attraverso la filiera della corruzione, il clientelismo e la trasformazione di diritti in privilegi privati. Così quando un John Elkann si permette di sputare in faccia a generazioni di disoccupati dicendo in pratica che il povero è tale perché pigro (un casus belli che, vista la situazione sociale del nostro paese, avrebbe da solo meritato una rivolta), ecco che subito un altro rappresentante dell’apparato di potere, Della Valle, dà dell’imbecille al riccastro viziato drenando così la rabbia popolare ed eliminando il casus belli.
RispondiEliminaMa la risposta è semplice : perché loro fanno egemonia e noi no, perché la loro visione del mondo è dominante rispetto alla nostra.
RispondiEliminaE perché la loro visione del mondo è dominante ? Ma è elementare Watson ! Perché loro hanno il presidio delle casematte del buon vecchio gramsci e noi no , hanno giornali, televisioni.radio,sindacati,partiti etc..
E allora ?
Ma come , ancora non è ovvio ?
Bisogna espugnare le casematte una ad una , bisogna stanarli dai loro bunker e farli uscire allo scoperto , bisogna senza tregua e senza compromessi denunciarli all'opinione pubblica e svelare l'ovvia verità : il PD e tutti i sindacati sono stati catturati dal nemico e da risorsa che potevano essere sono diventati sistemi che si sono rivoltati contro i lavoratori.
Che c'è di più pericoloso di un falso amico ?
Chi te lo può mettere meglio nell'ano ?
Domanda : ma come si fa ad espugnare una casamatta ?
E' semplice bisogna rendergli difficile starci dentro, devono andare per la strada di nascosto , devono vergognarsi e devono avere paura di parlare in pubblico, non per la loro incolumità fisica, ma perché ogni volta che parlano in pubblico devono temere che ci sia qualcuno tra il pubblico che li possa sputtanare, che possa dire che il RE E' NUDO , ovvero fuor di metafora che lo sputtani ferocemente dicendo la banale verità : LE VOSTRE SONO TESI DI DESTRA E VOI SIETE I NUOVI FASCISTI E AVETE FINITO DI INGANNARE IL POPOLO !
E dopo le buone notizie le cattive : per fare questo bisogna studiare parecchio e prepararsi, bisogna fare quello che si faceva tanti anni fa nelle sezioni , e bisogna creare un partito, non un movimento, proprio un partito , di quelli tosti , che si riunisce e riflette e pensa e trova soluzioni.
Insomma bisogna far nascere il nuovo intellettuale collettivo il nuovo principe .
Ma non bisogna aspettare bisogna che un soggetto ci sia altrimenti le persone non avranno un centro attorno al quale aggregarsi, ci vuole un gruppo che cominci, poi per incendiare una prateria basterà una scintilla.
Se poi , ingordi, volete anche sapere su quali parole d'ordine si possa aggregare un tale partito è presto detto : SOVRANITA', DEMOCRAZIA E UGUAGLIANZA.
Beh ora da me volete troppo ...
ciao ciao
La principale carenza secondo me risiede nella mancanza di un modello politico-economico alternativo a quello dominante, che sappia appassionare e coinvolgere per le sue grandi idealità.
RispondiEliminaMentre il cosiddetto neoliberalismo rappresenta il sistema di riferimento della più grande superpotenza mondiale, i principali paesi antagonisti non sono in grado di proporre un sistema alternativo.
Dopo la fine delle ideologie e la caduta dei miti, non è più sorta una visione condivisa in grado di illuminare l'immaginario collettivo. Oggi se si chiedesse alle persone, nessuno saprebbe indicare una strada alternativa e diversa rispetto a quella proposta dalle elite e riassumibile nella triade “produci, consuma, crepa”.
Una vera nuova prospettiva politica può nascere solo da un fondamento culturale che oggi è in buona parte da inventare anche se gli elementi fondamentali sono già tracciati dalle varie strategie della decrescita e secondo me devono partire da un sistema economico che guardi alla redistribuzione e al soddisfacimento dei bisogni umani, oltre che alla compatibilità ambientale. Ma come si fa a fare un programma che preveda la riduzione dei beni materiali, quando tutto il mondo non aspira che ad avere di più?
Suggerisco questa lettura che secondo me traccia una buona diagnosi del fattore demografico sulle modifiche all'approccio verso la guerra e più in generale verso il conflitto, da parte dei paesi ricchi: http://www.eurasia-rivista.org/ea/geostrategia-militaria/
Mauro S.V.
Mi domando se non si possa dare una ulteriore risposta alla domanda: perché non si ribellano? La risposta è: perché pensano che non avrebbero successo, perché i potenti, sono troppo forti. Da militante ambientalista di base mi sono spesso sentito dire: “Fai bene. Ma non servirà a niente. Tanto fanno lo stesso quello che vogliono”. Ecc. Ho sempre giudicato queste affermazioni come il pretesto per non fare nulla. Giustificazioni dell’inerzia e della diserzione. Ma in parte mi sto ricredendo. Forse è vero che “loro sono troppo forti”. Almeno qui ed ora. Curiosamente, queste affermazioni disfattiste, e auto assolutorie, le ho sentite pronunciare anche da persone che invece hanno militato, hanno lavorato in comitati locali sacrificando tempo e denaro. Poi hanno abbandonato. Ora ti dicono: tutto quello che ho fatto non è servito a nulla. E’ la disperata impotenza dei militanti di base, degli oppositori. Non può anche questa venire considerata una delle spiegazioni?
EliminaAggiungo: Locke, sostenitore del diritto di ribellione contro il potere che viola i diritti naturali, osserva che gli oppressi tendono a sopportare a lungo senza reagire: “Grandi errori da parte dei governanti, molte leggi sbagliate e inopportune, tutti i cedimenti della debolezza umana saranno sopportati dal popolo senza ribellione o manifestazioni di dissenso”. Solo dopo una lunga serie di abusi (“long train of abuses”, se ricordo bene) si scuotono e si ribellano. Una osservazione ripresa nella dichiarazione americana di indipendenza un secolo dopo.
Piero Meaglia
non c'è ribellione perchè non c'è la convinzione che un metodo che comunque, in passato ha fallito, visto che il problema ritorna, possa essere riproposto...personalmente attendo un'idea efficace che mi convinca e che convinca...il resto sono solo chiacchiere
RispondiEliminaPaola
Io lo so perché la ggente non si ribella...è perché preferisce parlarne su internet!
RispondiEliminaOggi leggevo questo:
RispondiEliminahttp://www.keinpfusch.net/2014/10/come-beccarsi-uno-stato-peggiore-dello.html
Puó darsi che la gente non si ribella anche perché sembra (e ci viene sempre ricordato) che abbiamo di piú o abbastanza rispetto a prima? L'economia low cost non ci fa percepire che molte cose, di fatto, non ce le possiamo permettere.
ho seri dubbi a riguardo
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