Dispiace dunque di vedere il compagno Russo impelagarsi in contraddizioni logiche degne del miglior Vendola (absit iniuria verbis).
Leggiamo questa intervista. Apprezziamo tutte le cose intelligenti (e non sono poche) che vi vengono dette. Ma chiediamoci come la stessa persona riesca a dire
Non mi persuade affatto la proposta della fuoriuscita dall’Unione Europea, e spiego il perché: se fatta a livello di singolo paese, sarebbe semplicemente un’uscita ‘sovranista’.Io penso che sia molto giusto invece lavorare per rompere l’euro, per rompere l’Unione Europea, perché questo implica appunto un processo in cui deve essere coinvolta la classe operaia di tutti gli altri paesi (...)
per poi affermare, in polemica con il progetto della Lista Tsipras:
una lista che vuole “rinegoziare” parte già sconfitta, il problema è togliersi il cappio dal collo. Se andassi al governo chiederei la fuoriuscita dall’Unione, prevista dal Trattato di Lisbona: le discussioni sul deficit di democrazia sono insufficienti, potevano andar bene nel quadro di Lisbona, ma l’approvazione dei trattati di cui si è detto ha mutato la situazione. La rottura è l’unica risposta alla crisi.
La prima impressione, ammettiamolo, è che Russo si sia bevuto il cervello. Le due frasi non meriterebbero altro commento.
In realtà, io penso che la posizione di Russo sia razionale, ma che risenta degli effetti di un condizionamento ideologico; anzi, della necessità di distinguersi. L'autore ci sta dicendo che non crede nell'uscita di un singolo paese dalla UE: l'Unione andrebbe piuttosto demolita dall'azione concertata di più paesi. L'unione dei popoli (e degli operai) europei contro il cartello delle borghesie europee: tale dovrebbe essere il segno della lotta anti-UE. Un segno internazionalista, dunque, e non di gretta autarchia. E su questo siamo tutti d'accordo. Certo però che se una qualche forza rivoluzionaria, di cui casualmente Russo fosse parte, si trovasse per avventura al governo, non potrebbe lasciarsi sfuggire l'occasione di attivare, unilateralmente, la clausola di recesso. Sarebbe irresponsabile fermarsi ad attendere che altri paesi lo facciano. Tutto questo è abbastanza ovvio, e si riflette nella seconda affermazione di Russo.
Dunque sciogliere la contraddizione è facilissimo: il recesso dall'Unione deve essere inserito nel programma delle forze rivoluzionarie di più paesi, ma ciò non significa che la prima che arriva al potere debba attardarsi ad aspettare le altre. Né significa che la prospettiva della cancellazione dell'Unione debba essere scompagnata dall'idea che si debbano costruire, in futuro, altre strutture sovranazionali, che siano al servizio dei lavoratori. In fondo il titolo della prima pubblicazione di Marino Badiale e Fabrizio Tringali era Liberiamoci dall'Euro, per un'altra Europa!
Insomma, caro Franco Russo, non c'è alcun bisogno di rimanere nell'ambiguità. Insisti sul fatto che se andassi al governo chiederesti la fuoriuscita dall'Unione, e non contraddirti da solo! Si tratta peraltro di una posizione molto netta e avanzata, a differenza di altre. Dunque non c'è nessun bisogno di offuscarla con parole poco chiare. (C.M.)
A proposito di sovranità, credo che una risposta ai temi posti da Giulietto Chiesa non sia inutile.
RispondiEliminaRiporto testualmente una risposta data a questo proposito:
"Caro David, con tutta la chiarezza necessaria le dico che non possiamo “ritornare” là dove non siamo mai stati. Il popolo italiano non ha mai avuto, veramente, alcun potere decisionale reale, nemmeno da quando è rinato come repubblica democratica. Siamo nati nella NATO, che era ed è uno strumento mediante il quale tutte le decisioni essenziali attinenti alla nostra sovranità sono state subordinate al “Grande Fratello”. Certo abbiamo avuto, strappata con i denti e l’intelligenza, una Costituzione democratica. Che ci ha permesso di difendere alcune prerogative democratiche e sovrane, ma che non ha invertito i rapporti di forza. E, quando il popolo ha cominciato a pesare, le classi dominanti, con l’ispirazione attiva del grande alleato, hanno cambiato il terreno di lotta, trasferendolo, con il terrorismo presunto “rosso”, dalla politica alla violenza armata. Dal rapimento e uccisione di Moro in avanti è stato attuato il programma della P2. Oggi ne vediamo le ultime propaggini esecutive. Cioè siamo stati sconfitti tutti, come popolo. Più che un ritorno alla sovranità popolare io parlerei oggi di un ritorno alla democrazia, che abbiamo perduto. Questa è la risposta seria.
Ma lei mette insieme due cose diverse. Una delle quali è la leggenda metropolitana del “ritorno alla sovranità monetaria”. Perché la chiamo leggenda? Perché trovo comico parlare di sovranità monetaria in un paese che non ha mai avuto una vera sovranità nazionale. Una sovranità monetaria senza sovranità nazionale è un’illusione. Certo, fino al 1981, avevamo una Banca Centrale pubblica, formalmente sovrana. La moneta prodotta, e prestata allo stato, era “italiana”. Ma noi eravamo totalmente dentro il sistema occidentale. Ed esso era – come lo è oggi – dominato dal dollaro. Dunque l’idea della sovranità monetaria non può essere disconnessa dal contesto politico in cui essa si deve esercitare. Poi le cose cambiarono, in peggio, e la Banca Centrale venne sostanzialmente privatizzata, diventando simultaneamente “indipendente” dal potere politico. E, nel nuovo contesto, la sua dipendenza dai mercati esterni divenne pressoché totale. Fu in quel periodo che il debito pubblico dell’Italia si moltiplicò per dieci, mentre noi pagavamo gl’interessi al tasso imposto da Wall Street. L’euro arrivò dopo, e peggiorò ancora la situazione. Ma se si pensa che il “ritorno” alla sovranità monetaria si possa fare “semplicemente” uscendo dall’euro, temo che sia un’illusione, comunque impraticabile. La questione – come ho spiegato nel mio libro “Invece della catastrofe” – concerne i rapporti di forza. Sono loro, i banchieri universali, i più forti. Tanto forti da avere preso il potere in Europa. Chiedere di uscire dall’euro è o un puro flatus vocis, oppure è dargli la possibilità di farlo quando e se farà loro comodo, per poi dirci che lo hanno fatto perché lo chiedevamo noi."
Quanto di più assurdo si possa sentire, e ultimamente gli esempi abbondano. Se la sinistra non si fa carico delle istanze di cambiamento chi lo farà?
RispondiEliminaConsiglio anche questo articolo sia per la rivendicazione del diritto al lavoro che la sinistra in europa s'è mangiata (come in genere qualsiasi altra rivendicazione di diritti sociali), sia per il fantastico uso strumentale del luogo comune nazionalista, tra l'altro in una nazione recentemente devastata da una guerra civile, da parte del ceto politico.