“C'è stata una trasformazione dei
rapporti di forza a vantaggio della borghesia e a spese dei
lavoratori per tutto il periodo di avviamento del Mercato Comune.
Questo cambiamento dei rapporti di
forza deriva da tutta una serie di cause (…). Non ci soffermeremo
ad esaminarle una per una, ma ci limiteremo ad illustrare un fatto
fondamentale: l'internazionalismo dei padroni e delle loro
organizzazioni è risultato molto più concreto ed efficace di quello
dei lavoratori e delle loro organizzazioni.
D'altra parte, era facile prevederlo, e
chi, nel movimento operaio, ha cercato di tapparsi gli occhi e ha
predetto che la realizzazione del Mercato Comune avrebbe favorito la
lotta operaia e persino la lotta socialista contro il padronato non
ha fatto che nutrire pie illusioni. Era inevitabile che la borghesia
e il padronato, per la loro stessa tradizione, per il loro modo di
vivere, per l'ambiente in cui si muovono e i mezzi di cui dispongono,
fossero molto più pronti ad un'azione su scala europea che non la
classe operaia (…).In proposito, possiamo esprimere un moderato ottimismo. È innegabile che, a lungo andare, la realtà riuscirà a spuntarla sul pregiudizio, la lezione dell'esperienza insegnerà a tutti i settori sindacali che ancora non lo capiscono, che è indispensabile un'unità d'azione in seno al Mercato Comune.”
(E.Mandel, Neocapitalismo e crisi
del dollaro, Laterza 1973, pagg.92-93).
Ernest Mandel è stato un economista
marxista e dirigente politico trotskista. La citazione è tratta dalla relazione ad un convegno, originariamente pubblicata nel 1964.
Cinquant'anni fa, era chiarissimo ad una persona intelligente come
Mandel il succo del processo di integrazione europea, che in quel
momento si condensava nel Mercato Comune: i ceti dirigenti si
unificano, i ceti subalterni restano divisi, quindi i primi sono più
forti e simmetricamente i secondi sono più deboli. Cinquant'anni fa,
era certo ragionevole, o almeno non assurda, la speranza che questa
situazione potesse essere superata con una parallela unificazione dei
ceti subalterni. Cinquant'anni più tardi, queste illusioni non sono
più possibili, e chi ripete, parlando di euro e UE, le illusioni di
Mandel, non ha più nessuna scusante. Cinquant'anni non sono uno
scherzo. Se una visione strategica resta per cinquant'anni un
semplice slogan senza effetti, un flatus vocis, forse è il caso di
abbandonarla e di pensare strategie migliori.
(M.B.)
Però è anche vero che l'unico periodo in cui l'economia capitalistica non è stata mondializzata è stato proprio il periodo di trent'anni dopo la seconda guerra mondiale, quello che qualcuno chiama "golden age". All'interno dei confini italiani è stato "golden" per molti ma non per gli operai (qualcuno ricorderà "La classe operaia va in Paradiso"). Il capitalismo italiano è stato un inferno, probabilmente per cause storiche.
RispondiEliminaMandel è stato un economista marxista. Molti di noi sono cresciuti col suo famoso Trattato di economia. Mandel sapeva benissimo che la macchina capitalista non può restare confinata nei confini nazionali. C'è stato un periodo di formazione dei capitali nazionali in cui questo è avvenuto, poi il meccanismo che porta a concentrare i capitali travolge le barriere, come abbiamo visto.
Il problema è serio e non ci sono facili ricette per combattere questo sistema. Non credo che una battaglia per l'identità e i confini nazionali possa essere vincente. La dipendenza degli stati dalla finanza mondiale è un fatto oggettivo, e l'Unione Europea non è altro che una sua forma possbile. Ma l'uscita non porta all'indipendenza dai Mercati Finanziari (il carattere maiuscolo è dovuto). Addirittura potrebbe portare una maggiorere dipendenza in certi casi.
Occorre essere creativi, uscire dalle ricette del passato. Ma, per prima cosa, occorre comprendere la realtà, per quella che è. Cioè la realtà del Capitale e delle sue contraddizioni.
A proposito della ricerca di nuove strade che tu invochi, forse il primo pregiudizio da sfatare è che una tendenza che si mostra dominante in un certo momento storico non possa essere contrastata ed anche sconfitta.
EliminaQuesto continuo rifeirmento a una direzione inevitabile che va accettata e possibilmente corretta l'ho sempre considerata di natura dogmatica, e non smetterò di farlo neanche adesso.
Pertanto, continuo ad insistere nella mia opposizioone totale alla globalizzazione, perchè se si perde su questo fronte, non ci possono essere vittorie, questo fronte non può essere eluso, èun campo di battaglia che probabilmente non ci siamo scelti, ma che non può egualmente essere abbandonato.
Quello indicato da Cucinotta è uno dei limiti filosofici profondi di tutto o quasi il marxismo storicamente esistito. Io ne ho parlato in “Ricercando la comune verità”. Un intervento molto rigoroso, scritto da Paolo Di Remigio in un linguaggio filosofico forse un po' arduo, lo si può trovare a questo indirizzo: http://www.appelloalpopolo.it/?p=12957
EliminaIn questi interventi, uno dei principali problemi è la necessità della sintesi. Spesso è troppa e non si riesce a spiegarsi bene. Provo con questa replica.
EliminaCombattere la “globalizzazione” non so concretamente come si faccia. A meno che non si pensi di segregarsi, di proporre una politica autarchica, di rifare l’Albania.
Io credo che questo sia un modo per affrontare il sintomo e non la malattia. La globalizzazione è la manifestazione fenomenologica di un sistema che si basa sullo sfruttamento di corpi umani, di persone in carne e ossa. La base di questo sistema consiste nell’inglobare il lavoro umano nelle merci, e sull’appropriazione privata di questa attività umana. Questo è il motore dell’accumulazione del capitale e dello sviluppo delle capacità produttive in mani private. L’altro pilastro è la concorrenza, attraverso la quale avviene la concentrazione del capitale. Abbiamo assistito negli ultimi decenni alla crescita straordinaria delle multinazionali e gli accordi di libera circolazione dei capitali e delle merci, che sono state le autostrade attraverso le quali il loro potere si è affermato, fino a diventare un vero e proprio dominio imperialistico. Non è l’imperialismo degli stati, come nell’ottocento e l’inizio del novecento. Qualcuno dice che gli USA non esistono come entità statale, rappresentano invece l’organizzazione del capitalismo occidentale, forse mondiale. Tesi convincente a mio avviso.
La domanda a questo punto è la seguente: ci sono contraddizioni in questo sistema? Se ci sono, è su queste che ci si deve concentrare. Francamente però attaccare il sintomo tralasciando il cuore del funzionamento del sistema mi sembra fuorviante. Pensare di ricostruire le muraglie nazionali all’interno di un mondo fatto così è per me ambiguo. Oltre che irrealistico. Uscire dall’euro, ad esempio, non significa per nulla sottrarsi alla globalizzazione.
Io non sono affatto fatalista e non mi riconosco in una certa tradizione marxista nella quale la storia e il capitale diventano veri e propri feticci. Io non sono “fatalista” nel senso descritto da Di Remigio che credo descriva correttamente non tanto il pensiero di Marx ma la “teologia” marxista. Sto proponendo invece di capire quali siano le contraddizioni reali. Personalmente, io sono convinto che le grandi trasformazioni avvengano quando si realizzano di fatto nella società, cioè quando un modo di produzione alternativo prende il posto del vecchio, quando è in grado di soddisfare i bisogni umani con la giusta potenza. Come avvenne per la rivoluzione francese in cui la borghesia, di fatto, aveva conquistato il cuore dello sviluppo.
Francamente non credo che questo abbia a che fare con l’idea di ritorno al “vecchio caro passato”. La storia non ritorna mai indietro, anche quando sembra.
E poi, diciamocela tutta, il fatto che la destra stia cavalcando questi temi è perfettamente coerente. In fondo, il blocco sociale che Berlusconi e la Lega hanno rappresentato in questi ultimi vent’anni è costituito da piccole e medie aziende, per lo più “padane”. E lo scudo alla globalizzazione utilizzato è stato quello del lavoro nero, dell’evasione fiscale e della svalutazione del lavoro, visto che la svalutazione della lira non era più possibile. Mi sembra che proprio in questo blog sia stato pubblicato un articolo, illuminante, di Augusto Graziani, del 1985, nel quale emergono queste caratteristiche di fondo del sistema industriale-produttivo italiano.
Caro Francesco, per il rispetto che ho per te, non posso esimermi dall'esprimermi con la massima franchezza: io non condivido neanche uno dei concetti che esprimi nel tuo ultimo commento, e davvero ho la sensazione interloquendo con te, di interloquire con un musulmano.
EliminaVoglio dire che il tuo grado di dogmatismo è altissimo, sei marxista fino al midollo e il marxismo per te non è un punto di arrivo, ma il punto di partenza.
Tuttavia, la cosa più grave non è avere un dissenso di ordine teorico, ma che la tua fedeltà agli insegnamento fondamentali del marxismo è così totale che non ti permette neanche un'alleanza tattica con chi non lo è.
Ciò è evidente nella tua pretesa che la globalizzaizone sia solo un sintomo. Ora, non è che io mi scandalizzi che tu coerentemente creda sempre alla contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro e da questa faccia derivare l'intero mondo, ma che tu, senza negare che la globalizzazione provochi effetti dannosi, escludi nella maniera più assoluta che convenga combatterla. E' come se a uno affamato, tu dicessi che deve limitarsi a pregare Allah e sarà sazio di cibo, perchè l'unico problema importante è la fede in Allah.
Aggiungo soltanto che trovo particolarmente spiacevole l'argomentazione insensata che se lo sostiene la destra, allora si tratta certamente di qualcosa di controrivoluzionario.
Ma poi, tu credi davvero nella rivoluzione se trovi assurdo che uno stato possa esercitare la propria sovranità anche controllando il flusso di capitali e merci? Capisco che ciò apre scenari che da tempo non avevamo, ma che rivoluzione sarebbe se non cambiasse lo stato delle cose?
Caro Vincenzo, anche io ho grande rispetto per te e per chi scrive in questo blog, altrimenti non lo frequenterei.
EliminaLeggendo le cose che scrivi, devo però dedurre che continuo ad esprimermi male.
Nella descrizione che dai di me c’è una sola cosa corretta, che riguarda la teoria del valore. Cioè che in una società capitalistica il “valore” derivi, in forme non dirette e a volte tortuose, dal lavoro umano, delle persone in carne e ossa. E che il fondamento di questa società, “la mano invisibile”, sia l’accumulazione di capitale in mani private. Marx parla di vampiri, farfalle che si trasformano in vampiri. Che, moltiplicandosi, hanno bisogno sempre di più sangue, di “carne fresca”. Ecco il senso della esplosione demografica in Asia, ecco il senso dei barconi di immigrati che sbarcano sulle nostre coste: carne fresca.
Se l’accusa di dogmatismo riguarda questo aspetto, allora l’ammetto: colpevole.
Per tutto il resto, non mi riconosco. Non sono mai stato un “ortodosso” e mai affiliato a chiese e a liturgie. Ma, naturalmente, sei libero di non crederlo.
Però io, quando intervengo, non dico mai che “tu dici questo perché in realtà sei un crociano, un seguace di Avola”, o qualsiasi altra corbelleria che possa venire in mente. Entro nel merito delle questioni.
Io non dicevo comunque che, date le cose che dici, de facto, sei assimilabile alla destra, quella di Berlusconi e la Lega. Se ho dato questa impressione, me ne scuso. Dicevo un’altra cosa, cioè che, almeno, in quello schieramento politico, una logica c’era e che scaturiva dalla storia del capitalismo italiano, come Graziani in più occasioni ce l’ha raccontato.
In ultimo una questione: concretamente, come si fa a combattere la globalizzazione? A me non piace per niente, come non piace la società nella quale vivo. Io penso che la globalizzazione sia una manifestazione del capitale e del suo “bisogno” di espandersi, di trovare sempre di più occasioni per sfruttare l’umanità. Sì, non capisco come si faccia a combattere la globalizzazione senza affrontare alla radice la natura di questo sistema. Touché.
Francesco, io mi sono limitato a leggere ciò che hai scritto.
EliminaEcco alcune citazioni:
1. "La globalizzazione è la manifestazione fenomenologica di un sistema che si basa sullo sfruttamento di corpi umani, di persone in carne e ossa. La base di questo sistema consiste nell’inglobare il lavoro umano nelle merci, e sull’appropriazione privata di questa attività umana. Questo è il motore dell’accumulazione del capitale e dello sviluppo delle capacità produttive in mani private."
2. "le grandi trasformazioni avvengano quando si realizzano di fatto nella società, cioè quando un modo di produzione alternativo prende il posto del vecchio, quando è in grado di soddisfare i bisogni umani con la giusta potenza"
3. "La storia non ritorna mai indietro, anche quando sembra".
Queste tre considerazioni sono la sostanza delle teorie marxiste, ed io non credo a nessuna delle tre.
Non credo alla terza come ho detto che mi pare dogmatica, altri come sai sostengono l'esatto opposto che la storia sia circolare. Perchè mai dovrei seguire un tale dogma nell'orientare la mia attività politica?
Non credo alla seconda che si basa interamente sulla distinzione struttura e sovrastruttura, anch'essa senza uno straccio di verifica sperimentale.
Infine, non credo alla prima. In questo caso, non v'è neanche l'esigenza di coinvolgere il marxismo, non sempre il capitalismo è stato globalizzatore, quindi questa identificazione della globalizzazione come coincidente con il capitalismo in senso generale non ha neanch'essa fondamento.
Precisati i punti di dissenso, che io continuo a considerare come dei tuoi pregiudizi infondati, andiamo alla questione specifica, come combattere la globalizzazione senza che una lotta di classe complessiva si sia scatenata nel mondo (infatti, una delle ovvie conseguenze della globalizzazione è che il capitalismo deve essere combattuto simultaneamente in tutti i luoghi del globo, o almeno in una sua parte consistente).
Io ti chiedo a questo punto come si combatte il capitalismo, in che cosa si dovrebbe sostanziare la lotta di classe oggi se non proprio combattendolo concretamente nelle forme che esso oggi assume.
Non ti dice niente che il duo Napolitano-Renzi abbia messo al centro delle proprie iniziative la revisione costituzionale? E' chiaro che nella fase storica data il capitalismo non può convivere con le sovranità nazionali, con la loro struttura formalmente democratica, con lo stesso fondamento della costituzione delle nazioni come difesa dei deboli nei confronti dei forti.
Schierarsi a difesa della costituzione è oggi oggettivamente rivoluzionario, richiamare le prerogative dell'organizzazione statale come rivendicazione della propria sovranità è rivoluzionario, negare il libero scambio, questo flusso finanziario e di merci attorno al globo che è consustanziale al capitalismo di oggi.
Uno stato che sia davvero sovrano può avere il privilegio di stampare una propria moneta, di impedire che i capitali si spostino dall'Italia all'estero come se già le nazioni fossero state eliminate, determinando per questa via la sostanziale intassabilità delle grandi ricchezze, libere di spostarsi a propria convenienza, ristabilire il controllo doganale delle merci, importando attraverso esse una competizione distruttiva e che invece andrebbe regolata attraverso una tassazione adeguata di tutto quanto viene importato.
Capisco che tutto questo possa apparire inverosimile, ma basterebbe riflettere sul fatto che questa liberizzazione selvaggia è in effetti molto recente. Non solo quindi è l'unico modo attraverso cui è possibile per un governo nazionale imporre una propria politica economica, ma non contrasta neanche con un ordinamento liberaldemocratico.
La contraddizione sta qui, che il capitalismo oggi può esistere solo globalizzandosi, ma che istituzioni finalizzate a difendere i capitalismi nazionali oggi possono essere sfruttate proprio contro lo stesso capitalismo. Cosa c'è che non va in tutto questo?
Io constato che la sinistra, da quella moderata a quella radicale, si è dimostrata più entusiasta della globalizzazione neoliberista di quanto lo sia stata la destra tradizionale; inoltre ha compiuto il tradimento in modo sfacciatamente pubblico, come se stesse dando prova di coerenza con la sua tradizione e di fedeltà ai suoi valori. Questa constatazione mi spinge a porre il seguente problema: c'è qualcosa nelle concezioni o anche negli atteggiamenti di Marx che può aver dato la spinta a questa degenerazione? La risposta che mi do è che la concezione materialistica della storia induce a un atteggiamento fatalistico. Se rileggiamo la "Prefazione del '59", troviamo: 1. Gli uomini sono costretti entro strutture materiali che determinano la loro coscienza e nel contempo le SFUGGONO (la rendono ideologica). 2. I modi di produzione entrano in contraddizione e ciò genera epoche rivoluzionarie che, di nuovo, SFUGGONO alla coscienza degli uomini. 3. I problemi che l'umanità risolve sorgono soltanto DOPO che le condizione materiali hanno offerto le soluzioni. 4. La soluzione del problema dell'antagonismo sociale è data dallo sviluppo delle FORZE produttive in seno alla società borghese. 5. La società borghese chiude la PREISTORIA dell'umanità. - Quanto ai primi due punti, mentre Hegel (come del resto i filosofi in generale) differenzia tra coscienza (che è necessariamente falsa coscienza) e scienza, in Marx questa distinzione scompare, e tutta la soggettività, anche quella disciplinata dalla scienza, sembra risucchiata nell'ideologia. Quanto ai punti 3. e 4., sembra che il pensiero umano stia comunque a rimorchio dell'evoluzione strutturale; la stessa teoria marxiana che annuncia la liberazione e pone fine all'ideologia sembra un effetto della promozione borghese dello sviluppo delle forze produttive. L'ultimo punto dice apertamente che finora la storia è stata natura. Chiedo: a prescindere dalle difficoltà logiche di queste prese di posizione (una è questa: esse trascurano che il lavoro e il progresso delle forze produttive non sono semplice natura, ma un esplicarsi della libertà; un'altra è questa: esse concepiscono la liberazione dell'uomo un DONO dello sviluppo automatico delle forze produttive, come se potesse esserci una libertà SENZA volontà), come non vedere in tutto questo disprezzo per l'intelligenza e per la libertà già esistenti l'origine del vizio della sinistra di spiare i segni di un FUTURO già scritto per adeguarvisi, il contrario dell'autentica politica che consiste nel leggere (attraverso le scienze e la conoscenza del passato) il PRESENTE per difendervi e approfondirvi la libertà?
EliminaQuanto alla domanda finale del commento di Francesco: la globalizzazione non è il FUTURO, è una SCELTA dettata da fanatismo irrazionale che nell'aumentare la concorrenza sul mercato del lavoro e il profitto a scapito del salario, provoca l'attuale spaventosa crisi da domanda; quindi la globalizzazione è contraddittoria, cioè SI COMBATTE DA SOLA. Vogliamo assistere al folle smantellamento dell'economia o lottare per ripristinare quegli strumenti (flessibilità del cambio, intervento dello stato democratico, welfare state, azione sindacale) che sopprimendo il carattere selvaggio del capitalismo gli impediscano di distruggersi? Odiamo a tal punto il capitalismo da preferire il nulla alla sua forma umanizzata (fiat iustitia, pereat mundus)?
Parte 1a
EliminaDunque, vedo che, involontariamente, ho scatenato un dibattito assai impegnativo per me. Provo a tenere testa con gli scarsi mezzi di cui dispongo.
Intanto una questione. Non è un problema di ciò che ci piace o non ci piace. Non che non sia importante, anzi, è importantissimo. Ma l’analisi del reale non può che essere scientifica. Mi può piacere o non piacere che ci sia la forza di gravità, ma se c’è non posso non tenerne conto.
Le forme di organizzazione sociale, dei rapporti che regolano l’attività umana, hanno subito un’evoluzione. Anche qui, a qualcuno può non piacere, può desiderare il ritorno al medioevo. È legittimo, qualsiasi aspirazione è legittima. Ma da questo sostenere che sia realistica e fattibile ce ne passa. Per esempio Buttafuoco, rivendica il suo essere “reazionario”, non fascista. Sogna i rapporti fuori dalla mercificazione della società attuale. Buttafuoco può sognare quello che gli pare, ma la realtà è un’altra, mi dispiace per lui.
Sì, io credo che la storia proceda a spirali. Quando dico che non ritorna mai al punto di partenza penso proprio a questo. Potrà sembrare bizzarro, ma è la teoria dei sistemi. Intendo proprio la teoria scientifica, quella secondo la quale le forze che la muovono non possono prescindere dallo stato del sistema. Lo stato del sistema è profondamente cambiato rispetto al ‘700, questo me lo concederete.
Che esista una versione determinista del marxismo, come dice Paolo Di Remigio, non c’è dubbio. Esiste. Non è detto che sia la mia e di molti altri. Anzi, la mia non lo è e, vi assicuro, di molti altri che hanno una lettura di Marx differente e non dogmatica. È una storia molto dibattuta questa, che parte da Kautsky. Ma non solo, forse ancora prima dallo stesso Engels che cedeva al positivismo. La teoria che occorra aspettare il famoso crollo del saggio di profitto. Io non la penso così. Neanche Rosa Luxemburg ad esempio la pensava così.
Insomma, ci sono tanti marxismi. E sicuramente l’esposizione di Di Remigio fa riferimento concreto e reale a svariate versioni che sono esistite e che forse continuano a esistere oggi.
Certo, non è facile districarsi tra soggettività e oggettività. Però, se fossimo tutti così affetti dal neo-positivismo, se fossimo così fatalisti, che senso avrebbe organizzare politicamente la lotta di classe? Basterebbe aspettare che il capitalismo divori sé stesso, no? E invece le cose non stanno così. La soggettività è importantissima per accelerare i processi, per far esplodere le contraddizioni. Si potrebbe pensare anche alla fine del capitalismo senza rivoluzioni, nella barbarie più devastante. Orwell 1984.
Quello che voglio dire è che non è l’unico modo di utilizzare Marx.
Parte 2
EliminaIo ho solo posto al centro del ragionamento la teoria del valore. Da cui non posso prescindere. Se qualcuno pensa che il valore nasca dall’albero degli zecchini di Collodi è libero di pensarlo. Concederete però anche a me di pensare che è una sciocchezza.
Questo fatto è terribilmente importante scientificamente. Perché spiega la natura espansiva del Capitale, che soffoca se è rinchiuso all’interno di confini nazionali. Si potrebbe dire che, per sua natura, è globalizzante.
Vincenzo Cucinotta dice che non è stato sempre così. Ma non spiega perché e non dice quando non è stato così. Dopo la seconda guerra mondiale c’era l’Unione Sovietica, sarete d’accordo su questo. Un mondo diviso in due blocchi. E una devastazione che richiedeva una ricostruzione, anche dei capitali nazionali. Quella fase è finita, l’Unione Sovietica non c’è più e i capitali hanno cominciato a “scalpitare”. L’abbiamo visto, la potenza delle multinazionali è straripante. È la legge del Capitale.
Mi sembra evidente che a me non piaccia un mondo fatto così. In una conferenza dal titolo “Confessions of an erratic marxist”, Varoufakis ricorda Matrix in cui gli umani, col loro calore, alimentano il sistema, la macchina. Ecco, è esattamente quello che io penso del sistema nel quale viviamo. Un sistema che ha smesso da molto di essere “rivoluzionario”, che è marcio, che utilizza le energie umane per riprodurre sé stesso, non per soddisfare i bisogni umani.
È chiaro che il problema è come trasformarlo. E la soggettività è importante.
Intanto io sono disposto a battermi per trasformare il sistema, non solo le sue manifestazioni fenomeniche. Il ritorno allo stato nazionale, così com’era nel dopoguerra ad esempio, non credo che sia percorribile. Perché tutto il mondo attorno è cambiato, “lo stato del sistema” è differente. E poi, detto fra noi, lo troverei repellente. L’unità d’Italia è l’espressione tipica della “globalizzazione”, un atto di vero e proprio imperialismo di cui non credo che si possa avere nostalgia.
Sono stato troppo lungo, me ne scuso. Anche se avrei tante altre cose da dire. Ad esempio sulla sovranità monetaria. Io sono per la sovranità popolare, pensate un po’. Se i soviet avessero avuto facoltà di battere moneta, penso che la storia sarebbe stata differente.
Caro Francesco, veniamo tutti, credo, dalla tradizione marxista; ciò che osservo non vuole in alcun modo essere una polemica nei tuoi confronti, ma una riflessione sui nostri errori. "Storia" è un concetto equivoco. Può significare ciò che riempie il tempo, ma così scivola nell'indeterminatezza ed è impossibile scorgervi UNA legge. Può significare ciò che accade all'uomo; qui occorre però determinare che cosa sia l'uomo - non è difficile: l'uomo è l'ANIMALE LIBERO, cioè un vivente che non solo è soggetto alle LEGGI (come tutto il resto), ma le usa (tecnica) e le produce (diritto). La storiografia ha per oggetto la storia in questo secondo senso: le sue spiegazioni e previsioni sono di fronte al problema (difficile) di connettere natura, tecnica e diritto. C'è poi un terzo significato: storia come evoluzione. Marx lo ha preso da Hegel, ma ne ha cambiato la natura - secondo me in modo illegittimo. Hegel lo usa non per la storia storiografica, ma per i concetti; così l'evoluzione non spiega la storia, ma non per questo è inutile, anzi: solo l'evoluzione del concetto permette di distinguere il vero dal falso, il bene dal male, la libertà dalla servitù. Marx confonde accadere ed evoluzione con due risultati letali per la tradizione politica e filosofica: 1. l'etica si riduce a ideologia, 2. l'accadere si irrigidisce in uno schema. A me sembra che, nonostante tu rifiuti il determinismo, quello che scrivi nei commenti sia nella sua scia. 1. Da una parte, dici, l'agire politico accelera i processi storici; ma la storia non è fatta di processi, bensì di SCELTE, naturalmente condizionate, nondimeno con un margine di arbitrio: esse vanno comprese, appoggiate o combattute a partire dalla libertà PRESENTE, cioè dalle leggi e dalle istituzioni politiche che l'assicurano. 2. La storia, dici, non torna al punto di partenza; io credo però che solo lo sviluppo abbia un punto di partenza, gli inizi storici sono sempre fissati a posteriori.
EliminaCaro Paolo, è complicato. Certo, la storia può intendersi in vari modi. Di solito, nella mia mente, c'è il concetto di storia dell'umanità, della sua evoluzione. Cioè la storia del rapporto con la natura, dell'organizzazione sociale, della conoscenza e della tecnica. Nel caso specifico però, è vero, ho utilizzato il concetto di ritorno al passato, relativamente prossimo e quindi non in quel senso. Che io ritengo una pia illusione, un evento irrealizzabile, al di là del fatto che qualcuno lo sogni o lo desideri.
EliminaHo l'impressione che questa modo di discutere sia affetto da "idealismo" nel senso del valentuomo che "si immaginò che gli uomini annegassero nell’acqua soltanto perché ossessionati dal pensiero della gravità. Se si fossero tolti di mente questa idea, dimostrando per esempio che era un’idea superstiziosa, un’idea religiosa, si sarebbero liberati dal pericolo di annegare."
Non vorrei che tu quando dici che l'uomo è un animale libero non faccia riferimento a l'idea di umanità alla Robinson Crosue. Cos'è un "animale libero", un essere isolato che si mette in relazioni ad altri esseri isolata mediante un contratto sociale? Le leggi, appunto.
Io credo invece che il concetto di umanità non sia da ricondurre alla sommatoria di "animali liberi", ma sia qualcosa che trascenda l'individuo singolo. Siamo quello che siamo in relazione al resto, al nostro mondo e alla nostra storia. Non credo che se fossi nato nel XIX secolo sarei come sono e penserei le cose che penso.
Nelle cose che dici riguardo al determinismo ci sono aspetti che mi fanno riflettere, rispetto ai quali farò riflessioni aggiuntive.
Ma, diciamola così: esiste o non esiste una realtà esterna a noi, fuori dal nostro pensiero? Io credo di si. Non è banale o scontato perché non stiamo parlando di natura ma di un sistema di rapporti sociali. Che quindi è stato creato dall'umanità, non è natura. Ma è un meccanismo esterno, esiste, indipendentemente dalla nostra volontà. Diciamo che è lo stesso rapporto che c'è tra l'Io e la civiltà per la psicoanalisi. La civiltà, secondo Freud, crea disagio ed è percepita come esterna.
Ma, proprio perchè è un sistema creato dall'umanità si può trasformare. Se però ci si pone la domanda se questa forma di rapporti sociali, che chiamiamo Capitale, si sia realizzata deterministicamente, allora rispondo di no, non è deterministico. Nemmeno per Marx credo che lo fosse dal momento che formulò il concetto di "modo di produzione asiatico", differente da quello capitalistico occidentale.
Se ho compreso il concetto di dialettica della storia, l'esito delle trasformazioni dipendono dall'esito del rapporto tra opposti, secondo modalità che sono imprevedibili. Se siamo un polo di questa dialettica, allora l'esito dipenderà dalla nostra soggettività (collettiva). Nessun determinismo quindi.
Non è che io sia abituato a questo genere di conversazioni, che comunque sono stimolanti. Spero quindi di essermi fatto comprendere.
Sono d'accordo con te sul carattere sociale dell'individuo; anzi, definendo la libertà in termini di legge, quindi di determinazioni universali, e non di arbitrio individuale, volevo appunto sottolineare questa socialità. Mi sembra anche molto lucido il tuo riferimento al sistema di rapporti sociali come una natura esterna alla volontà: proprio questa è la convinzione più intima della sinistra italiana, da cui è venuta fuori la sua indifferenza alle sorti dello stato sovrano, e da cui ora mi sento lontano. A mio parere questa convinzione, in fondo anarchica, non è estranea a Marx, che l'ha ereditata dalla sinistra hegeliana, in particolare dal sensismo di Feuerbach. Il suo punto dolente è che immagina gli individui come buoni e socievoli, dunque liberi, di natura, e che perciò considera le limitazioni che lo stato impone loro come negazioni esterne, insensate. Io credo, ma sto dicendo banalità, che l'uomo non sia affatto buono di natura, anzi che il male sia proprio l'impulso naturale non guidato dalla ragione, che lo stato di natura sia la negazione più radicale della libertà (qualcosa come la Libia oggi), che gli uomini siano liberi soltanto in uno stato regolato da leggi. Insomma, che in uno stato ci siano leggi ingiuste, che le sue leggi possano essere storicamente insufficienti a evitare rapporti vessatori, (come può essere quello tra capitale e lavoro), non autorizza in alcun modo lo smantellamento dello stato. La violenza tra gruppi umani estranei è MOLTO più dura di quella tra classi in uno stesso stato: ricordiamo, per esempio, che i liberatori anglo-americani hanno bombardato gratuitamente le nostre città dal '40 al '45 uccidendo almeno 64000 civili, infliggendo distruzioni spaventose - oppure ricordiamo l'accanimento dei tedeschi di oggi contro i greci: i bambini svengono in classe per la fame!
EliminaPaolo di Remigio, lei è riuscito veramente a farmi ridere:
Elimina"Vogliamo assistere al folle smantellamento dell'economia o lottare per ripristinare quegli strumenti (flessibilità del cambio, intervento dello stato democratico, welfare state, azione sindacale) che sopprimendo il carattere selvaggio del capitalismo gli impediscano di distruggersi?"
Ecco, leggere che "la flessibilità del cambio" sopprima "il carattere selvaggio del capitalismo" è una delle cose più divertenti che mi sia capitata negli ultimi mesi. Se conoscessi qualcuno che specula sulle fluttuazioni delle valute, correrei a raccontargliela.
Purtoppo, ben presto leggerà da qualche parte che noi, oggi, viviamo già in un mondo di cambi flessibili, e rideremo di meno. Ma la ringrazio lo stesso.
Claudio, lei è troppo intelligente per me: non capisco né il suo riso né le sue affermazioni.
EliminaBe', non sia così severo con sé stesso ;)
EliminaMi scusi Di Remigio, lei è incappato in un mio momento di impazienza. Non sono riuscito a trattenermi, e l'ho aggredita.
Avessi avuto più pazienza, e civiltà, le avrei detto che secondo me lei è vittima di un luogo comune: quello che vuole i cambi flessibili come una grande conquista della sinistra e della democrazia, tanto per esprimerci grossolanamente. Ora, io ritengo che questo luogo comune sia potenzialmente foriero di grossi equivoci, e vorrei che fosse posto in discussione.
Probabilmente avremo occasione di riparlarne. Spero non si sia offeso.
Credo che il tono e i contenuti di questo articolo (Costo del lavoro, perché l'Italia è uno dei «mercati meno competitivi» al mondo. Soprattutto per i giovani) sul sole24ore siano un'esemplare conferma della totale dipendenza degli Stati dalla finanza globale. Quest'ultima deve essere combattuta, è il nemico.
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