Regaliamo ai lettori del nostro blog la traduzione di questo articolo di Paul Krugman, premio Nobel per l'economia, pubblicato sul New York Times del primo Giugno scorso:
La Grande Illusione Europea - di Paul Krugman
Negli ultimi mesi ho letto una serie di valutazioni ottimistiche sulle prospettive per l'Europa. Stranamente, però, nessuna di queste valutazioni sostiene che la formula tedesca, imposta all'Europa, di riscatto attraverso la sofferenza, abbia qualche possibilità di essere efficace.
Invece, il motivo dell'ottimismo è che il fallimento - cioè la dissoluzione dell'euro - sarebbe un disastro per tutti, anche per i tedeschi, e che, alla fin fine, questa prospettiva può indurre i leader europei a fare tutto il possibile per salvare la situazione.
Spero che questo ragionamento sia giusto. Ma ogni volta che leggo un articolo in questo senso, mi torna in mente Norman Angell.
Chi è? Nel 1910 Angell pubblicò un famoso libro intitolato "La Grande Illusione", sostenendo che la guerra era diventata obsoleta. Sottolineava che le chiavi della ricchezza nazionale erano il commercio e l'industria e non più lo sfruttamento dei popoli sottomessi, quindi non c'era più niente di vantaggioso nel sostenere costi enormi per conquiste militari.
Inoltre, egli sosteneva che l'umanità stava cominciando ad apprezzare questa realtà, e che le "passioni patriottiche" sarebbero state in rapido declino. Non disse con chiarezza che non ci sarebbero più state guerre di grandi dimensioni, ma dava questa impressione.
Sappiamo tutti cosa è venuto dopo.
Il punto è che la prospettiva di un disastro, per quanto sia chiara, non dà alcuna garanzia sul fatto che le nazioni faranno ciò che serve per evitare quel disastro. E questo è particolarmente vero quando l'orgoglio e il pregiudizio rendono i leader riluttanti a vedere quello che dovrebbe essere ovvio.
Il che mi riporta alla situazione economica estremamente dura in cui si trova ancora l'Europa.
Anche per quelli di noi che hanno seguito queste cose fin dall'inizio, è sorprendente rendersi conto che sono passati più di due anni da quando i leader europei hanno iniziato ad impegnarsi nella loro strategia economica, basata sul concetto che l'austerità fiscale e la "svalutazione interna" (in pratica, tagli salariali) avrebbero risolto i problemi dei paesi debitori.
In tutto questo tempo la strategia non ha prodotto risultati positivi; il massimo che i difensori dell'ortodossia possono fare è indicare un paio di piccole nazioni baltiche che hanno visto parziali recuperi, ma che restano ancora molto più povere di quanto non fossero prima della crisi.
Intanto la crisi dell'euro produce metastasi, diffondendosi dalla Grecia verso le economie molto più grandi di Spagna e Italia, mentre l'Europa nel suo complesso è chiaramente scivolata in recessione. Eppure, le decisioni politiche provenienti da Berlino e Francoforte non sono affatto cambiate.
Ma il summit della scorsa settimana non può produrre qualche cambiamento? Sì, lo ha fatto. La Germania ha ceduto un po', accettando sia condizioni di prestito più facili per l'Italia e la Spagna (ma non acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea), sia un piano di salvataggio per le banche private che potrebbe effettivamente dare qualche effetto (anche se è difficile dirlo a causa della mancanza di dettagli). Ma queste concessioni rimangono piccole cose rispetto alla dimensione dei problemi.
Quali provvedimenti bisognerebbe prendere per salvare la moneta unica europea? La risposta, quasi sicuramente, dovrebbe comprendere sia grandi acquisti di titoli di Stato da parte della banca centrale, che la volontà dichiarata dalla stessa di accettare un tasso leggermente più alto di inflazione. Anche con queste politiche, gran parte dell'Europa si troverebbe ad affrontare la prospettiva di anni di disoccupazione molto elevata. Ma almeno ci sarebbe un percorso visibile di recupero.
Eppure è davvero molto, molto difficile immaginare come un tale cambiamento di politica potrebbe avvenire.
Parte del problema è il fatto che i politici tedeschi hanno passato gli ultimi due anni a dire agli elettori qualcosa che non è vero - e cioè che la crisi è tutta colpa dei governi irresponsabili nell'Europa meridionale. La Spagna - che è ormai l'epicentro della crisi - alla vigilia della crisi stessa aveva un basso livello di debito e avanzi di bilancio. Se ora il paese è in crisi, questo è il risultato di una vasta bolla immobiliare che le banche in tutta Europa, incluse quelle tedesche, hanno contribuito a gonfiare. Ma adesso la falsa storiella ostruisce la strada di ogni possibile soluzione.
E gli elettori male informati non sono l'unico problema; anche le élite europee devono ancora fare i conti con la realtà. A leggere i documenti prodotti da istituzioni europee autorevoli e informate, come quello diffuso la scorsa settimana dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, sembra di entrare in un universo alternativo, al quale non si applicano né le lezioni della storia né le leggi dell'aritmentica-un universo nel quale l'austerità funzionerebbe se solo tutti avessero fede, e nel quale tutti possono contemporaneamente tagliare le proprie spese senza che nel contempo si produca una depressione.
Ma allora l'Europa si salverà? La posta in gioco è molto alta, e i leader europei non sono sicuramente né malvagi né stupidi. Ma, che ci crediate o no, lo stesso si può dire dei leader europei del 1914.
Possiamo solo sperare questa questa volta le cose vadano diversamente.
Fonte: http://www.nytimes.com
Salve.
RispondiEliminaPrima di fare il peraltro lodevole sforzo di pubblicare e tradurre Krugman, conviene prima controllare questo sito, per vedere se non lo ha già fatto:
http://documentazione.altervista.org/
In effetti lo ha già fatto da diversi giorni:
http://documentazione.altervista.org/#Europa
Con tutte le cose che abbiamo da fare, è forse bene non duplicare gli sforzi.