domenica 1 giugno 2014

Il problema è Napolitano, o è la Costituzione?


A partire dal fatidico 11 novembre 2011 Giorgio Napolitano è stato sovente accusato di sovversivismo costituzionale; egli avrebbe modificato la costituzione materiale del paese in maniera illegittima.
-Modificato la costituzione materiale, in quanto avrebbe concentrato nelle proprie mani una quantità di potere del tutto esorbitante rispetta a quella riconosciutagli dalla Carta, e comunque in netto contrasto con la prassi consolidata, arrivando addirittura a modificare la forma di governo;
-in maniera illegittima, in quanto per cambiare la costituzione materiale avrebbe posto in atto patenti violazioni della costituzione formale, venendo meno ad obblighi o non rispettando divieti.
Tali accuse non sono certo piovute da parte dei media mainstream né da parte delle fazioni del ceto politico, di cui Napolitano è sempre più apparso, in questi anni, il dominus incontrastato; sono provenute dal mondo anti-sistema italiano, che in questo momento ha la sua rappresentanza politico-elettorale prevalente nel Movimento 5 Stelle. Proprio quest'ultimo soggetto politico si è fatto promotore dell'iniziativa di messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica, mostrando una notevole coerenza tra parole e fatti concreti.
Tuttavia, non paiono condivisibili gran parte delle argomentazioni addotte in sostegno della tesi in esame. In particolare, l'ipotesi di violazione di norme costituzionali da parte di Napolitano non sembra reggere a fronte di una semplice verifica del dato testuale della Carta.

Intendiamoci: Napolitano ha commesso atti gravissimi sotto il profilo politico e istituzionale. L'operazione Monti, dal punto di vista sociale, si è concretizzata in un autentico supplizio economico per i ceti subalterni di questo paese; il conflitto di attribuzioni sollevato nei confronti della Procura di Palermo ha prodotto una situazione senza precedenti di tensione istituzionale, che ha visto la Consulta costretta a scegliere tra il dare torto al Presidente della Repubblica oppure al Codice di Procedura Penale, gettando inoltre un'ombra nerissima sul possibile ruolo dello stesso Napolitano nella vicenda della “trattativa Stato-Mafia”.
Quando però si accusa qualcuno di aver trasgredito ad una legge, non bastano le ragioni di opportunità politica a fondare un tale giudizio; è necessaria individuare quali norme, nello specifico, sarebbero state violate. È vero che Napolitano ha, di fatto, mutato la forma di governo della Repubblica, rompendo consuetudini di decennale stratificazione; ma nel farlo si è servito di tutte e sole le disposizioni costituzionali che disciplinano le prerogative del Presidente della Repubblica: e se non si dimostra il mancato rispetto di quelle disposizioni non può aver seguito l'accusa di aver attentato alla Costituzione.

È necessario distinguere tra TEORIA e IDEOLOGIA della funzione presidenziale. La teoria è la catalogazione dei poteri del Presidente come desunti dalla lettura della Carta; l'ideologia è l'insieme delle posizioni dottrinali che gli studiosi del diritto costituzionale hanno per generazioni coltivato, costruendo una figura ideale di Presidente alla luce della quale interpretare le disposizioni costituzionali. Notate bene: la teoria segue logicamente l'analisi delle norme, l'ideologia la precede.


Non vi è dubbio che l'ideologia dominante della funzione presidenziale inquadri il ruolo di Capo dello Stato come quello di garante (o addirittura custode) della Costituzione, in quanto tale del tutto privo della capacità di imprimere un indirizzo politico alla comunità nazionale. Un soggetto super partes, che non ha poteri di ingerenza nel processo legislativo e amministrativo, se non addirittura nello stesso dibattito tra le forze politiche. Questa posizione di particolare neutralità, teorizzata dalla dottrina, sarebbe l'unica, a parere di chi la sostiene, compatibile con la forma di governo parlamentare. Tale inquadramento dogmatico porta con sé molte importanti implicazioni normative. Si afferma, in particolare:

  1. che il Presidente non può opporsi alla emanazione dei decreti del Governo;
  2. che il Presidente non può rinviare alle Camere, per una nuova deliberazione, un testo di legge per ragioni “politiche” in senso stretto, dovendosi limitare a farlo, se del caso, per ragioni di illegittimità costituzionale;
  3. che il Presidente può sciogliere le Camere solo con l'assenso del Presidente del Consiglio e solo qualora sia impossibile formare un Governo che ottenga la fiducia.
  4. che il potere di nomina del Presidente del Consiglio non può essere utilizzato in maniera arbitraria, dovendo il capo dello Stato rimettersi alla designazione della maggioranza parlamentare;
  5. che il Presidente della Repubblica non ha, o non dovrebbe, avere alcun ruolo nella scelta dei ministri, prerogativa irriducibile del Premier;
  6. che il Presidente non ha il potere di revocare il Presidente del Consiglio o i suoi ministri;
Non vi è dubbio che tali regole risultino utili per inquadrare il comportamento dei predecessori di Napolitano; essi hanno infatti, chi più chi meno, rispettato tutte le indicazioni normative delle tesi dottrinali sopra descritte, tracciando così una vera e propria consuetudine costituzionale; tuttavia né la dottrina, né gli usi sono fonti del diritto: non sono opponibili alle leggi ordinarie, tantomeno dunque alla Legge Fondamentale.
A partire dal semplice dato testuale, è possibile così controbattere:

  1. I decreti del Governo sono, in realtà, atti del Presidente, così come le leggi sono atti del Parlamento; e così come il Parlamento non ha certo l'obbligo di legiferare, il Presidente non ha l'obbligo di decretare. Anzi: la previsione costituzionale secondo la quale la legge del Parlamento, approvata in seconda deliberazione, va senz'altro promulgata, non ha un equivalente nell'ambito degli atti governativi. Il testo costituzionale, infatti, stabilisce soltanto che il contenuto di tali deve essere formato dal Consiglio dei ministri, dacché segue che il Presidente non può emanare, di propria iniziativa, un decreto i cui contenuti non siano determinati dal Governo; nulla quindi impedisce al Presidente di rifiutarsi di emanare qualsivoglia decreto. La tesi per cui il Presidente, essendo super partes, non possa ostacolare l'attuazione del programma politico del Governo è appunto una tesi dogmatica priva di riscontri testuali.
  2. Come detto, il Presidente non può rifiutarsi di promulgare le leggi, in quanto atti del Parlamento (organo rappresentativo della sovranità popolare), potendo soltanto rinviare alle Camere per una nuova deliberazione; ma da nessuna parte è sancito che tale facoltà sia esercitabile solo a fronte di dubbi di legittimità costituzionale del testo in oggetto.
  3. La Carta limita il potere di scioglimento delle Camere solo sotto il profilo formale: il Presidente ha l'onere di sentire i Presidenti dei due rami del Parlamento, nonché di ottenere la controfirma del Premier. Non esiste invece alcun vincolo sostanziale: la Costituzione non dice che tale potere è esercitabile solo in presenza di gravi disfunzioni del sistema istituzionale. La tesi per cui il Presidente non possa sciogliere le Camere per ragioni strettamente politiche, oppure che non sia possibile farlo quando nel Parlamento è presente una chiara maggioranza politica, è una semplice invenzione dottrinale.
  4. È scorretto, e smentito dalla storia recente,dire che il Presidente, nella scelta del Premier, debba limitarsi a ratificare la volontà della maggioranza politica già formatasi, per la banale ragione che la nomina di un certo soggetto potrebbe far sì che, attorno a quel soggetto, si coaguli una maggioranza politica diversa da quella che poteva apparire tale all'indomani dalle elezioni. In assenza di un'elezione diretta del capo dell'Esecutivo questi viene nominato dal Presidente della Repubblica, la cui discrezionalità di scelta non è limitata da alcuna disposizione costituzionale, e le cui mosse potrebbero esercitare un'influenza politica sul Parlamento almeno pari a quella esercitabile da quest'ultimo sul Quirinale. Che tutto ciò sia precluso al Presidente in quanto questi sarebbe un “potere neutro” è, ancora una volta, un'invenzione dottrinale.
  5. Il Presidente del Consiglio “propone” i ministri al Presidente della Repubblica; il termine “proposta” implica la facoltà, da parte del capo dello Stato, di disattendere la richiesta del Premier. Se così non fosse il testo costituzionale utilizzerebbe un altro verbo, come “indicazione”, “decisione”, in quanto la proposta non è, per definizione, vincolante. Il Presidente della Repubblica non può nominare ministri senza la controfirma del Premier, ma questi non può fare a meno dell'assenso del Presidente per vedere realizzate le proprie proposte.
  6. Il Presidente della Repubblica nomina quello del Consiglio. Il potere di nomina implica quello di revoca. Chi si scandalizza per questa semplice considerazione non considera che intendere come irrevocabile il mandato del Premier (suggellato dal voto di fiducia del Parlamento) equivale ad annullare, o sospendere, il potere di nomina del Presidente. È vero che non esiste una disposizione costituzionale che preveda espressamente il potere di revoca; ma è vero a maggior ragione che non sta scritto da nessuna parte che il potere di nomina del Presidente possa essere in qualche modo “congelato”. Si guardi alla successione tra capi dell'Esecutivo: essa non avviene mai per revoca del precedente e nomina del successivo, ma solo attraverso quest'ultimo momento, che costituisce revoca tacita del presente inquilino di Palazzo Chigi. Il Presidente della Repubblica potrebbe, in qualsiasi momento, nominare un nuovo Premier, revocando tacitamente il precedente. Del resto, se guardiamo al Parlamento, il potere di legiferare implica quello di abrogare (anche tacitamente) le leggi adottate in precedenza. Quanto appena detto sul Premier vale, a fortiori, per i singoli ministri. 

Chiarita la natura dogmatica, e non giuridica, della teoria del Presidente "garante della Costituzione", è possibile sgombrare il campo dalle accuse mosse a Giorgio Napolitano, le quali hanno ben poco radicamento nel testo costituzionale. In particolare, se si ammette che Napolitano ha revocato il mandato di Berlusconi (e ci sono molti elementi per non ammetterlo, visto che l'allora Premier non era certo contrario alla nomina di Monti), non è possibile affermare che tale revoca configuri un caso di illegittimità costituzionale, tanto meno un colpo di Stato. 
Giorgio Napolitano ha certamente perseguito un proprio disegno politico; un disegno lucido ma, dal nostro punto di vista, pessimo. Nel dare corpo a tale iniziativa, per nulla proibita dal testo costituzionale, ha fatto semplicemente uso degli strumenti messi a sua disposizione dalla Carta fondamentale. 
Qual è la lezione che dovremmo trarre da questa considerazione? Una lezione molto più penetrante e radicale di quella fornitaci dalla vecchia ideologia del "garante della Costituzione": la nostra Legge fondamentale assegna all'ufficio del Presidente poteri immensi, in grado di sconvolgere lo scenario politico del paese, e senza adeguati contrappesi istituzionali. La vecchia ideologia sopra criticata, la quale purtroppo ha tanto seguito presso l'Anti-sistema italiano, tende a nascondere questa amara realtà, e a prevenire una seria discussione di revisione dell'attuale forma di governo.
Di fronte a noi ci sono due alternative. Consolarci con l'ideologia, continuando a credere che i nostri problemi derivino dalle malefatte di un singolo individuo; oppure renderci conto del fatto che una vera democrazia non è compatibile con una Carta costituzione che assegna poteri così notevoli a una singola persona, peraltro priva di legittimazione democratica diretta: e che coloro che vogliano cambiare il sistema, per migliorarlo, dovrebbero cominciare a pensare a cosa dovrebbe sostituire la carica di Presidente come la conosciamo. (C.M.)

1 commento:

  1. "È vero che Napolitano ha, di fatto, mutato la forma di governo della Repubblica, rompendo consuetudini di decennale stratificazione; ma nel farlo si è servito di tutte e sole le disposizioni costituzionali che disciplinano le prerogative del Presidente della Repubblica: e se non si dimostra il mancato rispetto di quelle disposizioni non può aver seguito l'accusa di aver attentato alla Costituzione."

    Art. 94 Cost.

    Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

    Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

    Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

    Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

    La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

    ps Non ho trovato nella Costituzione della Repubblica Italiana articoli che disciplinino l'accettazione delle dimissioni dei Governi da parte del Presidente della Repubblica.
    Dopo l'accettazione delle dimissioni del primo governo della XVI legislatura e quelle del primo governo della XVII legislatura da parte dello stesso individuo eletto due volte consecutive alla carica di Presidente della Repubblica Italiana, viene da chiedersi se un tale articolo possa essere inserito, hai visto mai, nella "costituzione materiale" da te citata.

    Quando (se) lo trovi saresti così gentile da segnalarlo attraverso il blog?

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