Emiliano Brancaccio,
Marco Passarella, L'austerità è di destra. E sta distruggendo
l'Europa. Il Saggiatore 2012.
Emiliano Brancaccio
e Marco Passarella hanno scritto un testo di grande valore, che unisce chiarezza
espositiva, lucidità nell'analisi, consequenzialità nelle
argomentazioni. Nella sua brevità (che porta gli autori, con
modestia forse eccessiva, a parlarne come di un pamphlet) esso
fornisce una visione coerente della crisi in corso, a partire dalle
sue radici nel regime di accumulazione instaurato in Occidente negli
ultimi trent'anni, per arrivare ai problemi europei e italiani. Gli
autori spiegano come le attuali politiche di austerità, che tutti i
ceti dominanti europei stanno mettendo in opera, siano destinate a
peggiorare la crisi attuale.
Tali politiche sono richieste dalla
vulgata dominante, secondo la quale il problema dei paesi PIGS è
l'eccesso di spesa pubblica. Ma gli autori spiegano (cap.6) come il
problema di fondo dell'eurozona sia quello della competizione interna
ad essa, con la Germania e i paesi forti del nord che accumulano
surplus commerciali nei confronti dei paesi deboli del sud. Gli
autori aggiungono (cap.9) che uno degli strumenti principali per
questa guerra commerciale interna all'eurozona è la politica di
deflazione salariale tenacemente perseguita dalla Germania, politica
che, in regime di moneta unica, permette a chi la pratica guadagni di
competitività. Di qui discende, all'interno dell'euro, la necessità
di una politica di deflazione salariale in tutti i paesi PIGS: se non
si fa quello che ha fatto la Germania, si continuano ad accumulare
deficit commerciali, finanziati con afflussi di capitale, e si tratta
di una situazione chiaramente insostenibile. Ma una politica di
deflazione salariale a livello europeo può essere la via d'uscita
dalla crisi? Ha senso accettare i sacrifici richiesti per poter
sperare di imboccare un nuovo percorso di sviluppo? No, rispondono
gli autori, perché una Europa “germanizzata” non potrebbe
generare al proprio interno la domanda a sostegno della produzione,
mentre, per vari motivi, non ci si può aspettare che la domanda
venga dall'esterno, almeno nel breve-medio periodo (cap.13). Il senso
dell'austerità non è dunque quello di un passaggio necessario per
superare la crisi, ma rappresenta piuttosto un progetto mirato a
scaricare i costi della crisi sui soggetti deboli: in primo luogo sui
ceti popolari europei, privandoli dei diritti conquistati decenni
addietro e abituandoli alla nuova realtà di impoverimento diffuso;
in secondo luogo, sui “capitalismi deboli” dei paesi PIGS.
L'ulteriore indebolimento causato a tali paesi dalle politiche di
austerità è infatti la premessa per una politica di acquisizioni da
parte dei soggetti forti, che potranno impadronirsi a prezzi
stracciati di attività di vario tipo nei paesi PIGS (cap.11).
In questo contesto,
il destino dei paesi PIGS sembra segnato, e a questo proposito gli
autori usano il termine “mezzogiornificazione” (cap.12), in
origine introdotto da P. Krugman. Si potrebbe anche parlare, come fa
B. Conte, di “terzomondizzazione”, ma in ogni caso il concetto è chiaro: i paesi PIGS sono destinati
a diventare zone depresse, le cui economie potranno conservarsi solo
in funzione degli interessi e dei fini dei paesi forti del nord: “Le
leve di comando del capitale si concentreranno sempre di più in
Germania e nelle aree centrali dell'Unione, mentre le periferie
resteranno popolate da masse inermi di azionisti di minoranza e di
lavoratori a basso costo (pagg.91-92)”. I ceti medi in questi paesi
tenderanno a scomparire e i ceti popolari a cadere nella miseria o
giù di lì.
Che fare per
impedire questa degenerazione distruttiva per il nostro paese? Gli
autori propongono una nuova politica economica europea, basata sulla
definizione di uno “standard retributivo europeo”, su un deciso
ritorno dello Stato nella politica economica (con la scelta di una
seria pianificazione), su una politica di “repressione finanziaria”
per contrastare il predominio della finanza.
Se non si riesce a
mettere in campo una politica che realizzi questi punti, l'uscita dei
paesi PIGS dall'eurozona diventerebbe una prospettiva ragionevole,
perché “è agevole dimostrare che, oltre un certo limite, i costi
della permanenza nella zona euro e nel mercato unico possono di gran
lunga superare i costi di uno sganciamento da entrambi (pag.131)”.
Fin qui gli autori.
La lucidità del loro ragionamento rende agevole imbastire una
discussione critica. Per brevità mi limito ad un solo punto,
peraltro decisivo: non c'è nessuna speranza che la nuova politica
economica europea, che gli autori delineano, possa trovare
applicazione concreta. Il motivo lo spiegano loro stessi, con
l'abituale chiarezza: la “volontà politica d'integrazione” ha
bisogno di essere accompagnata da “una forza d'urto in grado di
mettere in discussione la logica del regime di accumulazione”
sulla quale si basa l'UE (pag.25). Ma, appunto, non si vede da dove
possa arrivare questa “forza d'urto”. Abbiamo ripetutamente
argomentato (qui
e qui, per esempio) che la mancanza di una autentica “solidarietà
popolare europea” priva la politica indicata dagli autori proprio
di quella “forza d'urto” che essi richiedono. È vero che le
misure da loro indicate andrebbero a vantaggio di tutti i lavoratori,
e quindi potrebbero rappresentare una base per una lotta popolare
europea; ma una tale lotta non si costruisce solo sull'indicazione di
interessi materiali, ma appunto su una solidarietà culturale, sulla
capacità di comunicazione diffusa, su una visione politica comune:
tutte cose che oggi mancano ai popoli europei e che richiedono
decenni, se non secoli, per essere costruite. Per non parlare del
fatto che la proposta di una lotta popolare europea per le misure
indicate dagli autori dovrebbe necessariamente convincere i
lavoratori dei paesi “forti”, in primo luogo i lavoratori
tedeschi: ai quali si dovrebbe chiedere di abbandonare le politiche
che hanno permesso al loro paese di uscire rapidamente dalla crisi
nella quale si dibattono ancora tanti altri paesi, per adottare
politiche che ai loro occhi possono apparire pericolosamente simili a
quelle degli aborriti meridionali spreconi e scansafatiche. Ci sembra
una opera di convincimento piuttosto improba, o tale comunque da
richiedere, come abbiamo già detto, tempi molto più lunghi di
quelli che ci impone la dinamica della crisi attuale.
Ma se la proposta di
una nuova politica economica europea non ha, come noi crediamo, una
base sociale che fornisca la necessaria “forza d'urto”, è
inevitabile concludere, seguendo l'implacabile logica degli autori,
che l'unica possibilità per evitare la riduzione del nostro paese a
zona depressa e colonizzata è l'uscita dall'euro, alla quale bisogna
prepararsi. Su questa necessaria preparazione gli autori forniscono
indicazioni preziose: per esempio quando sottolineano come l'uscita
dall'euro sia logicamente collegata alla richiesta di un default sul
debito pubblico (“cosa che alcuni dei promotori degli appelli al
ripudio del debito faticano a comprendere” (pag.129)), oppure
quando collegano la fine dell'euro alla fine della libera
circolazione dei capitali e anche delle merci, e infine quando
sottolineano l'importanza di diminuire drasticamente la nostra
dipendenza dall'estero, soprattutto nei settori energetico e
agroalimentare.
Il libro di
Brancaccio e Passarella può stimolare molte altre riflessioni, ma le
lasciamo a discussioni future. Concludiamo formulando l'auspicio che
questo libro venga letto e discusso. Anche nei punti di disaccordo,
la sua chiarezza e lucidità, così lontana dalla discorsi fumosi ai
quali si dedicano i tanti produttori di fuffa che affliggono gli
ambienti “radicali” e “alternativi”, non possono avere che
effetti benefici nel dibattito in corso su tali temi.
(Marino Badiale)
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RispondiEliminadevo leggerlo
RispondiEliminauna domanda : potreste pubblicare qualcosa o fornire dei link sull'economia tedesca post unificazione ? tanto per capire meglio con chi abbiamo a che fare
Qui c'è la disoccupazione post-unificazione
Eliminahttp://www.tradingeconomics.com/chart.png?s=gruepr&d1=19910101&d2=19980531
E qui c'è la disoccupazione dopo le riforme del lavoro del governo Schroeder
http://www.tradingeconomics.com/chart.png?s=gruepr&d1=20010101&d2=20050531
Ecco in due immagini il modello tedesco.
grazie ,
Eliminamolto utile per capire l'approccio alla competitività dei teutoni ..