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sabato 29 giugno 2013

Ristrutturare il debito? Inutile, anzi dannoso, finché restiamo incatenati all'euro

di Fabrizio Tringali
Pubblicando sul suo blog questa interessante intervista, Emiliano Brancaccio puntualizza una questione molto importante: nelle attuali condizioni, una ristrutturazione del debito pubblico sarebbe deleteria.
L'economista afferma che "una ristrutturazione unilaterale del debito, attuata senza risolvere il problema del disavanzo delle partite correnti, implica l’esigenza per il paese di tornare a chiedere prestiti all’estero appena dopo avere rifiutato di pagare quelli assunti in precedenza".
Sarebbe davvero importante che se ne rendessero conto quanti propongono campagne in questo senso, audit sul debito e cose simili.
Dato che la crisi è causata dallo squilibrio nelle partite correnti (cosa ormai largamente riconosciuta), e quindi dal debito privato, se l'Italia ristrutturasse il debito pubblico, non risolverebbe nessuno dei suoi problemi economici.
Dopo il default, lo squilibrio nelle partite correnti resterebbe tal quale a prima. E l'indebitamento privato continuerebbe a spingere verso l'alto il debito pubblico (date un'occhiata al rapporto debito/PIL della Spagna, prima della crisi ed oggi: nel 2007 era appena al 36%, molto inferiore rispetto a quello della Germania! Ed ora è schizzato fino all'88%).
Dunque, una volta ristrutturato il debito pubblico, il Paese continuerebbe ad essere considerato a rischio default e le fatiche per finanziarsi non diminuirebbero.
E, per giunta, si dovrebbe andare a chiedere soldi proprio a quei creditori ai quali si avrebbe appena tagliato il valore dei crediti! Come pensate che si comporterebbero?
E' ovvio che la cosa non potrebbe funzionare.

In sintesi la questione può essere semplificata e sintetizzata così: Tizio guadagna meno di quanto spende, c'è la crisi e le sue "entrate" diminuiscono sempre più. Di conseguenza si indebita. Ha diversi creditori cui deve soldi.
Siccome non li può pagare, decide di tagliare il debito: comunica ai creditori che non li pagherà (o li ripagherà solo in parte).
In questo modo Tizio diminuisce le "uscite" in quanto abbassa le quote di interessi che deve pagare ai creditori. Tuttavia la crisi continua, ed egli continua a veder diminuire le sue entrate. Di conseguenza Tizio continua ad avere necessità di finanziamento. Il problema però è che, a questo punto, Tizio deve tornare a chiedere soldi a quei creditori cui ha negato la restituzione del prestito....
Come pensate che finirebbe questa storia?
Per fortuna l'Italia non è Tizio. Uno Stato non è un privato, e, recuperando sovranità monetaria, esso può agire sul cambio valutario per spingere verso un riequilibrio.

p.s. è ovvio che se davvero l'Italia ristrutturasse il debito, l'euro finirebbe il giorno dopo, anzi il giorno stesso, per motivi che si possono dedurre da quanto esposto sopra. E altrettanto ovviamente, finirebbe in modo molto traumatico.
Molto meglio decidere prima di uscire, dotandosi degli strumenti politici ed economici per gestire al meglio la situazione.

mercoledì 27 marzo 2013

Articoli su Cipro

Segnaliamo gli articoli di alcuni economisti sul caso di Cipro, ultimo esempio della fragilità dell'euro: si tratta di Bagnai, Brancaccio e Sapir.
(M.B.)
PS Aggiungiamo Krugman.
PPS E un altro articolo di Sapir (per chi legge il francese; ma adesso anche in italiano, grazie a voci dall'estero).

martedì 24 luglio 2012

Euro e Mercato Unico: il dibattito


L'economista Emiliano Brancaccio ha scritto un interessante articolo in cui tratta i temi dell'Euro, della UE e dell'atteggiamento degli "intellettuali di sinistra" rispetto alla crisi di queste due istituzioni. Alberto Bagnai lo ha ripreso sul suo blog e discusso con molto impegno (e molta brillantezza, come al suo solito). Rimandiamo i nostri lettori al suo efficace intervento, che chiarisce diversi punti della discussione. Noi aggiungiamo a quanto scrive Alberto una breve riflessione su un'ottima intuizione espressa da Brancaccio: la principale minaccia alle sorti dell'economia nazionale è rappresentata dalla presenza, sancita dai Trattati, del Mercato Unico Europeo.

 Questo punto è spesso lasciato ai margini nelle analisi che criticano l'euro e le politiche di austerità: emergono sempre più spesso, oramai, le contraddizioni della moneta unica e le inevitabili, prevedibili e terribili conseguenze della sua adozione per i Paesi mediterranei, ma altrettanto spesso manca, in queste analisi critiche, la capacità di cogliere il nesso fra l'euro, l'austerità ed il resto della struttura dell'Unione Europea, la cui colonna portante è il Mercato Unico. Alla base di questo pilastro della costruzione europea stanno le cosiddette "Quattro Libertà Fondamentali": libera circolazione dei capitali, delle merci, dei servizi e delle persone (cioè dei lavoratori). In seguito, su questo blog, ci dedicheremo all'analisi del dettaglio delle norme che fondano questo stato di cose, ma già da subito possiamo affermare che l'ordinamento sovranazionale UE è improntato al più rigoroso liberoscambismo, e come tale rappresenta un ostacolo a qualsiasi tentativo di costruire un sistema economico che non produca bolle speculative, diseguaglianze, spinte al ribasso delle condizioni di vita e di lavoro, crisi e recessioni (basta pensare agli effetti nefasti della mobilità internazionale dei capitali).

 Il contributo di Brancaccio è quindi prezioso, perché ci richiama a considerare l'importanza di un "meccanismo perverso", concepito su misura dei Paesi maggiormente competitivi, e di cui l'euro rappresenta l'elemento più importante (per i Paesi che lo hanno adottato), ma non l'unico. Il limite dell'analisi di Brancaccio ci sembra speculare a quello che egli critica nei "fautori di un’uscita dall’euro in condizioni di libera circolazione dei capitali e delle merci", come li chiama: egli sembra cioè mettere la sordina alla critica all'euro per dare risalto a quella contro il Mercato Unico. Mentre occorre mettere a fuoco che l'Unione Europea è un sistema integrato, le cui parti formano un insieme del tutto coerente, che ha come finalità la difesa intransigente degli interessi del ceto economico-finanziario che l'ha costruita e modellata in base ai propri scopi, e che ne tira le redini. E che mira, attualmente con ottime probabilità di successo, alla progressiva eliminazione dei diritti sociali, civili e politici dei cittadini europei. 

E' tempo che sorga, in Italia come in altri Paesi, un movimento d'opinione che non si limiti a criticare questo o quell'aspetto del sistema-UE, ma che li consideri tutti nella loro importanza: dal libero scambio alla BCE, dalla valuta unica al ruolo della Commissione. Ci auguriamo che personalità come Emiliano Brancaccio possano contribuire alla nascita di un simile movimento.
                                                              
                                                         main-stream.it

AGGIORNAMENTO: ulteriori interventi di Emiliano Brancaccio:


mercoledì 27 giugno 2012

Un po' di lucidità

Segnaliamo questo lucido articolo di Emiliano Brancaccio sulle elezioni greche e in particolare sulle contraddizioni di Syriza. Le considerazioni di Brancaccio sono rilevanti per tutti i paesi PIGS, come è ovvio: le forze progressiste e antisistemiche di questi paesi, che vogliono opporsi alle misure di austerità imposte dalle oligarchie europee, e contemporaneamente rimanere nell'euro, cadono nelle stesse contraddizioni che Brancaccio rileva in Syriza.
(M.B.)

giovedì 26 aprile 2012

Austerità ed Europa

Emiliano Brancaccio, Marco Passarella, L'austerità è di destra. E sta distruggendo l'Europa. Il Saggiatore 2012.

Emiliano Brancaccio e Marco Passarella hanno scritto un testo di grande valore, che unisce chiarezza espositiva, lucidità nell'analisi, consequenzialità nelle argomentazioni. Nella sua brevità (che porta gli autori, con modestia forse eccessiva, a parlarne come di un pamphlet) esso fornisce una visione coerente della crisi in corso, a partire dalle sue radici nel regime di accumulazione instaurato in Occidente negli ultimi trent'anni, per arrivare ai problemi europei e italiani. Gli autori spiegano come le attuali politiche di austerità, che tutti i ceti dominanti europei stanno mettendo in opera, siano destinate a peggiorare la crisi attuale.