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lunedì 26 gennaio 2015

Brevissimo

Un  brevissimo commento sulle elezioni in Grecia. La sinistra vittoriosa sta formando a tempo di record un governo con la destra anti-UE, snobbando le altre forze di sinistra presenti in Parlamento. La rapidità con cui si sono concluse le trattative è un indizio del fatto che gli accordi erano presumibilmente già pronti prima delle elezioni. Il governo che, a quanto pare, governerà la Grecia, si profila al momento come una specie di "grande coalizione anti-UE", cioè una realtà finora inedita e molto interessante, da esaminare con attenzione.
Nel frattempo Marine Le Pen e Salvini esultano per la vittoria di Syriza. Tutto questo indica con molta chiarezza, ci sembra, come il discrimine oggi non sia quello fra destra e sinistra ma quello fra adesione o opposizione alla UE.
(M.B.)

venerdì 28 febbraio 2014

Spartaco Puttini sul "più Europa"

Riceviamo da Spartaco Puttini e volentieri pubblichiamo questo intervento, in origine apparso su gramscioggi e ripreso da vari siti.


Più Europa? No, grazie!
Quale sinistra per quale Europa
Spartaco A. Puttini


La crisi ha mostrato il vero volto del processo d’integrazione europeo. A dispetto di tanta pubblicità, oggi la Ue non gode di grande reputazione presso i popoli europei. Quando si parla di Europa occorre evitare i facili equivoci. L’Unione europea non è infatti l’Europa, ma una sua parte e l’Eurozona è, a sua volta, una parte della Ue. Ciononostante nel linguaggio corrente i termini sono interscambiabili.
Il processo di integrazione europeo si è ammantato di nobili ideali e anche di qualche utopia, rincorrendo il sogno federale degli Stati Uniti d’Europa ma realizzando l’incubo sovranazionale della Ue, cioè dell’Europa degli Stati Uniti.
Europa degli Stati Uniti sia nel senso che ad integrarsi sono stati i paesi di quella parte d’Europa soggetta all’egemonia Usa (significativo che l’allargamento dell’Ue ad est avvenga parallelamente all’espansione ad est della Nato), sia nel senso che la costruzione dell’unione avviene sotto la tutela americana, all’insegna dell’accettazione piena della reazione neoliberista già in voga nel mondo anglosassone e, in definitiva, come ulteriore tappa del processo di mondializzazione1.
Nicola Acocella ha recentemente sottolineato come l’accelerazione che vive il processo di integrazione europeo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 avvenga in un clima segnato dall’affermazione del modello neoliberista sulla base dell’obiettivo di completare la costruzione di un mercato unico dei beni, dei capitali, delle persone2. Il processo si configura nei fatti sintonizzato alla reazione globale neoliberista, con la sua proposta di finanziarizzazione e libera circolazione dei capitali senza controllo, con la sua richiesta di stato minimo e privatizzazione, con il suo porre l’accento sull’autonomia del mercato e la lotta all’inflazione anziché sullo sviluppo orientato dalla mano pubblica e sulla lotta alla disoccupazione.
La spinta ad una maggiore integrazione dell’Europa occidentale, con il salto dalla Comunità all’Unione, avviene proprio in questa temperie, dal vertice di Lussemburgo che sancisce la firma dell’Atto unico europeo nel 1986, a Maastricht. L’intelaiatura e lo spirito della Ue sono caratterizzati e segnati dallo stigma reazionario. La credenza nella capacità di autoregolazione dei mercati e l’ostilità verso l’intervento pubblico spiegano in certa misura la scelta di introdurre una moneta unica soggetta ad un’istituzione bancaria centralizzata e conservatrice ossessionata dalla lotta all’inflazione e spiegano anche “l’incompiutezza istituzionale” in cui versa la Ue. Senza il complemento di altre istituzioni che sovraintendano ad una politica fiscale comune si riteneva scontato che sarebbe stato l’input della politica monetarista a disciplinare l’attività economica dei vari paesi e a far convergere le economie dell’Eurozona. Acocella rileva come “Ciò introduce una tendenza deflazionistica che successivamente accentuerà e prolungherà gli effetti della crisi economica iniziata nel 2007”3. Del resto, a sottolineare ulteriormente che una politica di compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori era insita nell’impostazione che l’integrazione si era data era la stessa Commissione europea, che già nel 1990 indicava la strada maestra: “si è progressivamente affermato il convincimento che le divergenze economiche reali che si manifestano in squilibri esterni vanno affrontate di norma con misure di aggiustamento interno, piuttosto che con riallineamenti, cioè con un aggiustamento esterno”4. Vale a dire che già alla vigilia di Maastricht la Commissione aveva indicato come gli squilibri di competitività interni all’area della moneta unica non dovessero essere affrontati tramite la leva della svalutazione monetaria (che avrebbe invalidato il principio del cambio fisso su cui l’area stessa veniva costituita) ma tramite la svalutazione interna dei salari. Del resto, l’area valutaria a cambi fissi prima e la moneta unica dopo sono state volute a tutto pro del capitale e della sua possibilità di circolare liberamente senza pagare il pegno delle possibili svalutazioni. In proposito scriveva Padoa Schioppa in tempi non sospetti: “l’euro assume un significato speciale perché porta la creazione di un mercato alla sua conseguenza ultima, che è l’introduzione di una moneta unica”5.
Oggi è sotto gli occhi di tutti il fallimento del modello neoliberista così come lo sono le divergenze crescenti all’interno dell’Eurozona. Assistiamo ad una dinamica segnata da crescenti squilibri a causa dell’aumento del divario tra i paesi centrali dell’Eurozona e quelli periferici e semiperiferici da un lato, e tra le classi sociali, con una netta tendenza alla proletarizzazione da parte di fasce crescenti del ceto medio, dall’altro. Di fronte all’eurocrisi in corso ciascuno può toccare con mano come le ricette di austerità della Commissione europea e della BCE portino a un crescente immiserimento delle classi popolari e ad una brutale regressione dei diritti del lavoro in tutta la Ue, prospettando la formazione di masse di working poor, lavoratori poveri che non riescono a campare del proprio lavoro cui si sommano, nella disgrazia sociale imperante, quote rilevanti di disoccupati.
Ma questo non basta: occorre avere presente il quadro che nelle righe precedenti è stato didascalicamente abbozzato per comprendere che il problema posto dalle attuali politiche promosse dalla Ue risiede nello stesso DNA del processo di integrazione, che è, per così dire, nel manico.

mercoledì 27 giugno 2012

Un po' di lucidità

Segnaliamo questo lucido articolo di Emiliano Brancaccio sulle elezioni greche e in particolare sulle contraddizioni di Syriza. Le considerazioni di Brancaccio sono rilevanti per tutti i paesi PIGS, come è ovvio: le forze progressiste e antisistemiche di questi paesi, che vogliono opporsi alle misure di austerità imposte dalle oligarchie europee, e contemporaneamente rimanere nell'euro, cadono nelle stesse contraddizioni che Brancaccio rileva in Syriza.
(M.B.)

lunedì 18 giugno 2012

Voto in Grecia, l'Unione Europea canta vittoria. Per ora.

di Fabrizio Tringali
L'Unione Europea canta vittoria, per ora. Gli USA, ovviamente, si uniscono al coro.
Le elezioni greche si sono concluse con la vittoria del fronte pro-euro e si prospetta la formazione di un governo fedele ai diktat della UE, che infatti non ha perso un attimo per mostrarsi apparentemente indulgente, tendere la mano ai vincitori, e offrire "più tempo" alla Grecia per "rispettare i patti" (cioè eseguire gli ordini).
Nel frattempo l'euro si impenna, come la Lira del mitico Carcarlo Pravettoni.
C'è però da dubitare sul fatto che l'euforia duri..... a ben vedere, la situazione politica greca è ben lungi dall'aver raggiunto la stabilità. Vediamo perché.
Il partito di centrodestra pro-euro Nea Dimokratia ha ottenuto il generoso premio di  ben 50 seggi (su 300) che la legge elettorale attribuisce al primo classificato, ma nonostante ciò non può governare da solo. Dovrà allearsi coi socialisti del Pasok, e non a caso, il loro leader Venizelos ha già dichiarato che vorrebbe un governo di larghe intese, aperto alla collaborazione della sinistra di Syriza, che ha sfiorato il 30%.
Syriza ha ovviamente rifiutato, tenendosi ben stretto il ruolo di opposizione al prossimo governo prono verso la Troika (UE, BCE e FMI) e distruttore degli ultimi brandelli di tessuto sociale ancora vivi in territorio ellenico. Il Pasok ha subito una notevole emorragia di voti, e governando con ND rischierà di sparire. Ma allo stato delle cose, non può rifiutarsi di dar vita ad un esecutivo che presto sarà odiato dalla stragrande maggioranza dei greci, e che si troverà quindi a dover fare i conti con le forze sociali che tenteranno di resistere allo sfacelo imposto dai difensori dell'euro e da una ampia opposizione parlamentare, che comprenderà, oltre Syriza, anche l'estrema destra e i comunisti.
La situazione quindi appare tutt'altro che stabile. L'astensione sfiora il 40% e l'alleanza ND-Pasok potrà dar vita ad un governo solo grazie al corposo premio di maggioranza attribuito dalla legge elettorale, non perché sia maggioranza nel Paese. Il quadro sembra confermare quanto diciamo da tempo, e che probabilmente presto si paleserà in tutta evidenza: l'euro e la UE sono oramai incompatibili con la democrazia. Nessun governo democratico, infatti, potrà realizzare quando indicato dalla Troika perché alla lunga, tutti si rendono conto che quelle terribili imposizioni non fanno altro che peggiorare, drammaticamente, le cose. E che esse servono alle élite della UE, non certo ai ceti medi e popolari, i quali starebbero cento volte meglio se avessero, ciascuno, la propria moneta, la propria politica economica, la propria sovranità.
Se un governo democratico si prostra di fronte alla Troika, vede, giustamente, volatilizzarsi il consenso popolare, ed i partiti che lo sostengono rischiano il tracollo o la sparizione. Alla lunga, l'euro potrà essere imposto ai popoli sono spogliandoli della sovranità e della democrazia. Le scelte politiche ed economiche dovranno andare in capo ad entità autorizzate a decidere senza consenso.
Questo è il senso del "Fiscal compact", e delle forme di "Unione politica" di cui si parla.

lunedì 11 giugno 2012

Congetture e confutazioni - 2

Fra pochi giorni le elezioni politiche greche segneranno un momento importante dell'attuale crisi europea. Non possiamo naturalmente conoscerne gli esiti.
Facciamo qui qualche breve osservazione sull'eventualità di una vittoria della sinistra di Syriza. Cosa potrà concretamente fare un eventuale governo greco espressione della cosiddetta "sinistra radicale" greca?
Le nostre osservazioni saranno brevi perché condividiamo la sostanza di un post pubblicato su "Appello al popolo", al quale rimandiamo per una analisi più approfondita.
In sintesi, Syriza vuole rimanere nell'euro e nell'UE cercando di contrattare con i vertici europei, in maniera da evitare al popolo greco un'ulteriore discesa nell'inferno della crisi. La nostra tesi è che questo non è possibile. Un eventuale governo di Syriza si troverà a subire forti pressioni che lo porteranno, attraverso vicende che non è ovviamente possibile prevedere, a scegliere fra abbandonare le proprie posizioni di difesa dei ceti popolari, o abbandonare l'euro e forse l'UE. Sarà in ogni caso un test interessante.
Sono in molti anche in Italia a difendere l'appartenenza a euro e UE sulla base di idee simili a quelle di Syriza. Se questa proposta politica si rivelasse impraticabile in Grecia, se ne dovrebbero tirare le conseguenze politiche anche in Italia.

(M.B.)