Il testo che segue è una anticipazione di un articolo di Marino Badiale e Fabrizio Tringali attualmente in lavorazione. In queste righe Badiale sottolinea la differenza fra "Europa" ed "Unione Europea", e illustra come spesso, soprattutto nella sinistra italiana, si confonda la prima con la seconda. Il desiderio di "un'altra Europa" o di una "Europa dei popoli" tanto spesso declamato non è altro che uno slogan vuoto, espressione di una cieca passione verso forme politiche del tutto funzionali agli interessi dei ceti dominanti. (F.T.)
di Marino Badiale
L'affermazione che per salvare ciò che
resta di civiltà sociale nel nostro paese sia necessario rompere con
l'UE incontra, come è noto, forti resistenze, e questo in
particolare nella sinistra.
In effetti, sembra che per molte persone
di sinistra l'UE rappresenti una specie di ideale sostitutivo, un
succedaneo del socialismo o del comunismo ormai abbandonati. E i
meccanismi psicologici, che la tesi di abbandono dell'UE fa scattare
in molte persone, ricordano proprio quelli che la critica ai paesi
dell'Est facevano scattare in tanti militanti comunisti.
Un indice di
questo complesso psicologico è il fatto stesso di parlare di
“Europa” invece che di “Unione Europea”. È chiaro che si
tratta di due cose ben diverse. L'Europa è una realtà geografica,
storica, culturale alla quale l'Italia appartiene pienamente, per cui
la proposta di “far uscire l'Italia dall'Europa” è un non senso.
L'Unione Europea è invece una realtà giuridica nata da circa un
paio di decenni grazie all'adesione di una serie di paesi europei ad
alcuni trattati. Sono questi trattati a definire cosa è l'UE. Ora, è
ben noto che in questi trattati viene
teorizzata una impostazione economica di liberismo stretto.
Quella che ha cioè portato alla attuale crisi. L'UE è stata creata
con lo scopo di permettere la massima circolazione di merci e
capitali e di impedire sostanzialmente ogni intervento statale che
ostacoli concorrenza e libera circolazione delle merci. Questi
aspetti non sono linee di politica economica scelte da una
maggioranza politica, e che possano quindi cambiare con una diversa
maggioranza politica. Sono l'essenza stessa dei trattati che
definiscono l'UE, e sono quindi l'essenza dell'UE. Aderendo all'UE è
a tali politiche che si aderisce. In tutto questo non c'è nulla di
strano. La creazione dell'UE avviene infatti negli stessi anni (anni
Ottanta e Novanta, in sostanza) nei quali si impongono nell'Europa
occidentale le politiche economiche neoliberiste, che comportano la
lenta erosione di tutte le conquiste ottenute dai ceti popolari nel
secondo dopoguerra. I ceti dirigenti dei paesi europei, che nei
propri paesi distruggono lentamente diritti e redditi dei ceti
subalterni, sono gli stessi che in quegli anni costruiscono l'Unione
Europea. Solo uno sciocco potrebbe pensare che in tale costruzione
siano mossi da spinte diverse rispetto a quelle che li portano, nei
propri paesi all'attacco ai ceti subordinati. È evidente che la
costruzione europea risponde alle stesse logiche antipopolari delle
politiche economiche neoliberiste. Questo semplice dato di fatto lo
si ritrova, magari non in forma immediata, nella coscienza popolare.
È vero che la massiccia campagna mediatica a favore dell'UE ha
prodotto, per lunghi periodi, e soprattutto in alcuni paesi come
l'Italia, una notevole adesione popolare all'idea dell'unificazione
europea. Ma diversi indizi mostrano come si tratti di una adesione
passiva. Nessuno si riconosce nella bandiera europea e nessuno canta
l'inno europeo. Soprattutto, non si è mai imposta una “festa
europea”. Questo ci sembra un aspetto significativo della coscienza
popolare. Cosa significano infatti le grandi feste “politiche”
(tralasciamo ovviamente le feste religiose e quelle in qualche modo
legate al folklore) di paesi come l'Italia o la Francia? Pensiamo al
significato del 25 aprile, del 14 luglio, del 1 maggio: si tratta di
grandi feste che celebrano le lotte e le vittorie del popolo, di chi
sta in basso, contro chi sta in alto. Queste feste indicavano una
cosa che un tempo era chiara: i ceti dominanti non concedono mai
nulla gratis, tutto quello che i ceti popolari hanno ottenuto glielo
hanno strappato con dure lotte. E cosa significa allora l'assenza di
una vera festa popolare “per l'Europa”? Significa che i ceti
subalterni non hanno fatto nulla, che l'UE non è il risultato delle
loro lotte, ma è appunto una costruzione dei ceti dominanti. È un
loro progetto che, come si è detto sopra, corre parallelo
all'instaurazione delle politiche neoliberiste di distruzione delle
conquiste popolari.
Tutto questo è abbastanza semplice da
capire. Tanta semplicità induce allora a porsi un'altra domanda: da
dove origina questa “passione per l'UE” che pure è un dato reale
del senso comune in paesi come l'Italia?
Credo che la risposta sia duplice. Da
una parte l'UE ha rappresentato l'ultimo rifugio della sinistra
italiana, in evidente crisi di identità dopo l'Ottantanove. Ma la
passione per l'UE tipica della sinistra in questi anni ha potuto
agganciarsi su qualcosa di più profondo, su una sostanziale
disistima di sé che è uno dei dati più negativi del senso comune
del popolo italiano. Non vogliamo qui indagare a fondo le ragioni di
questo senso di autosvilimento che qualsiasi italiano conosce molto
bene. Esse risalgono probabilmente al modo in cui il senso di
orgoglio nazionale è stato appropriato dal fascismo e alla sconfitta
vergognosa del fascismo stesso. Ci pare evidente che c'è in molti
italiani un senso di disperazione rispetto ai problemi, certo seri e
gravi, del nostro paese. In sostanza l'adesione all'UE appare come la
richiesta di essere governati da qualcun altro che non sia italiano,
di diventare un protettorato tedesco o francese, a seconda dei gusti.
Purtroppo questa passione appare molto mal riposta. I paesi forti
dell'UE fanno semplicemente i propri interessi, e rinunciare alla
propria sovranità per metterla in mano a qualcun altro, in un
contesto di competizioni spietate, appare davvero una scelta suicida.
Come è evidente anche nella vita dei singoli, è impossibile essere
rispettati e far valere le proprie ragioni se si parte da un
sostanziale disprezzo di sé.
La passione per l'UE appare quindi una
passione priva della festa che celebri la vittoria popolare, ed
effetto in ultima analisi di un profondo disprezzo di sé.
Riprendendo senza pretese di correttezza filologica una espressione
di Spinoza potremmo dire che, almeno in Italia, l'Europa è una
passione triste.
CHAPEAU!!!!
RispondiEliminaArticolo pubblicato ripreso e pubblicato da NuovoSoldo.it al link http://www.nuovosoldo.net/2012/03/20/leuropa-e-una-passione-triste/
RispondiEliminaL'EUROPA O UNIONE EUROPEA NON HANNO UNA COSTITUZIONE E' UN TRATTATO BANCARIO.NATO PER ARGINARE IL POTERE AMERIKANO.NON SARA' MAI UNO STATO UNITO.
RispondiEliminabellissimo articolo, complimenti. ripubblicato sul mio blog, ciao.
RispondiEliminaBello assai e atto ad essere impiegato in più contesti (evito di proposito la parola "spendibile"), come analisi storico-politica - prevalentemente i primi due capoversi nonché la presentazione - e come riflessione psico-antropologica, prevalentemente l'ultimo capoverso. E chiarissimo, qualità apprezzabile da chi eventualmente digiuno dell'argomento in toto o in parte.
RispondiEliminaPoiché fatico a star dietro a posta, web e...vita normale (?) e pertanto non son sicura di tornare qui in tempo utile, colgo il momento per auguri a tutta la redazione per le prossime feste (?).