mercoledì 1 ottobre 2014

(R)allentamento dell'austerità. E poi?

L'Italia e la Francia dichiarano che, per loro decisioni unilaterale, il raggiungimento degli obiettivi europei in tema di risanamento dei bilanci pubblici è rinviato, se non proprio accantonato. Sono soprattutto i toni dell'esecutivo francese a far pensare a una sorta di "rottura" dell'ordine austeritario fino ad oggi imperante (del resto i conti di Parigi saranno sorvegliati da un delegato di quell'esecutivo).
I prossimi sviluppi di questa vicenda potranno svolgere la funzione di 'test' di validità di due contrapposte teorie: quella che vede le istituzioni europee come padrone degli stati, ben esemplificata qui, e quella che intende le stesse istituzioni come mera emanazione degli esecutivi nazionali (impostazione rintracciabile qui).
Al di là di quest'ultimo aspetto, si può convenire sul punto che i governi nazionali dell'eurozona (e in particolare il "direttorio" costituito dagli esecutivi di Germania, Francia e Italia) stiano cercando di stabilizzare le condizioni dell'eeconomia europea, in modo da prevenire cataclismi paragonabili a quelli occorsi nel 2011. Dunque l'allentamento dell'austerià praticato da Roma e Parigi va messo in parallelo con gli abbozzi di espansione fiscale messi in atto da Berlino, nonché con la politica monetaria iper-accomodante della BCE. I governi nazionali, in questo schema, guadagnerebbero due-tre anni di tempo per "fare le riforme", cioè completare la normalizzazione neo-liberista delle società europee, senza con questo mettere a repentaglio la tenuta dell'eurozona. Non è molto diverso, in fin dei conti, da quanto suggerito da Alesina & Giavazzi.
Questi tentativi avranno successo? La condizione fondamentale è che il PIL europeo torni a crescere, e in maniera abbastanza omogenea, in modo da non lasciare singoli stati in gravi difficoltà. Putroppo, quello di cui i governi nazionali non tengono conto è che ci troviamo, con tutta probabilità, in una fase di Stagnazione Secolare (per chiarire il concetto, qui e qui). Dunque se è plausibile che la stagione dell'austerità si avvii al termine, è probabile che ciò avvenga contemporaneamente al tramonto dell'epoca della crescita.
Se così stanno le cose, tutti i piani dei decisori politici europei sono destinati al fallimento. Fallimento di cui saremo noi a pagare il prezzo. (C.M.)

6 commenti:

  1. Ci sono alcune cose che non mi convincono.

    Tutti i disoccupati che ci sono in giro non sono piuttosto il portato delle politiche neoliberiste portate avanti fin'ora.

    Staremmo qui a parlare di crisi secolare se milioni di persone avessero un buon stipendio per poter vivere?

    Questo parlare della stagnazione secolare mi pare una cortina fumogena per continuare a portare avanti politiche neoliberiste.

    Se continuano a diminuire gli stipendi anche consumi che non si dovrebbero contrarre tipo acqua luce gas ecc diventeranno flessibili e ci sarebbe una diminuzione degli introiti anche per i monopolisti.

    Il fatto è questo, ci sarà veramente o no un punto di rottura popolare?

    Anche la Germania non se la passa bene, la Cina comincia ad avere problemi, negli USA oltre a quello che dice Summers c'è un dibattito sugli stipendi bassi, vedi le catene di cibo pronto ecc.

    Ottime informazioni su questo dibattito le ho trovate su questo sito:

    http://billmoyers.com/

    Riccardo.

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  2. Non è facile commentare questo post, perché ci sono tante faccende complesse, difficile per me tenerle assieme. Provo a dare il mio contributo alla discussione.
    Partiamo dall'articolo su Krugman. Spero di averlo compreso bene. Dunque, l’economia mondiale si sviluppa per bolle. Francamente, non mi sembra un’idea particolarmente originale o stravagante. “L’espansione economica del 2003-7 è stata infatti guidata da una bolla. Lo stesso alla fine degli anni ’90, ancora lo stesso negli anni dell’espansione di Reagan (una bolla nel settore immobiliare commerciale e nelle casse di risparmio).”
    Volendo ridurre all'osso il ragionamento, l’economia capitalistica troverebbe un equilibrio se tutti i profitti e i risparmi fossero reinvestiti (legge di Say). Sappiamo che non è così, capita che gli investimenti siano superiori, capita che siano più bassi (da molto tempo è così). In questo secondo caso, molto probabile, se non intervenisse il debito (pubblico o privato) l’economia entra in crisi. Per semplificare al massimo, se il prezzo della merce da produrre è 100 e la retribuzione del lavoro è 80 (20 sono i profitti), se non si distribuisce la parte restante (20) a lavoratori che costruiscono impianti, macchinari o qualsiasi altro bene capitale, i 100 di merce non potranno essere comprati. A meno che non intervenga il debito. Se non posso acquistare un appartamento, mi indebito con la banca e la pagherò per 25 anni, a rate. E così per l’automobile, per il matrimonio della figlia, per l’i-phone 6.
    Se questo non basta (e non basta) occorre la spesa pubblica. Reagan, il cosiddetto liberista, lo scoprì strada facendo. La spesa pubblica però la fece per spese militari, per scudi spaziali e guerre stellari. Funziona sempre. Si possono anche fare scuole e ospedali, ma tecnicamente funziona anche se bombardo l’Iraq. Va sempre bene.
    Perché c’è un problema di fondo: che quello che si produce, deve essere venduto. Per esserlo, deve rispondere a bisogni, desideri, reali o indotti (difficile stabilire il confine). Investire sicuramente serve a far crescere l’economia, perché distribuisce denaro. Il problema di fondo è stabilire se quel denaro lo metto in circolo consumando oppure lo metto da parte perché ritengo che non ne valga la pena. In questo caso, l’investimento sarà poco produttivo di profitti, persino in perdita. Allora, nello schema keynesiano, deve essere lo Stato, con la sua spesa autonoma. Sappiamo però che il moltiplicatore è inversamente proporzionale alla propensione al risparmio e alla pressione fiscale. Cioè, se i bisogni non sono così importanti e dato che la pressione fiscale è molto forte perché la spesa pubblica è cresciuta nel tempo a supporto dell’economia capitalistica, anche la spesa autonoma può essere poco efficace.
    Se ho capito bene, l’ipotesi di tassi di interesse negativi servirebbe a mettere in circolazione il denaro, spinge ad investirlo, perché altrimenti svaluta. Bene, ma se il bisogno di crescita è scarso, il metodo produce risultati scarsi.
    Se le cose stessero davvero così, se tutte le società fossero invecchiate come quella giapponese, con natalità decrescente, non si potrebbe che concludere che il capitalismo è un cane morto. Che può essere tenuto in vita artificialmente con nuove bolle sempre più grosse, immettendo sempre nuova liquidità, aspettando lo scoppio di una bolla per crearne una più grande. Ma si tratta comunque di un morto che cammina.
    Ma è veramente così? Non ci sono più bisogni a sufficienza per tenere in vita il ciclo capitalistico? Oppure, come sostiene Mazzetti, i bisogni ci sono ma non possono essere soddisfatti dal capitalismo? Domande aperte, a cui non so dare una risposta basata su fatti e su dati.
    Però, negli anni “ruggenti” della bolla americana, dal 2003 al 2007, attraverso la gigantesca bolla gli americani consumarono e non poco. Tanto da tirare tutte le altre economie votate all'esportazione.
    E gli italiani, ad esempio, se arrivassero tanti soldi, li spenderebbero oppure no?

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  3. il punto focale è sempre quello: senza una nuova svolta verso la democrazia e verso una politica che fa propri i bisogni del lavoro e delle ormai ex classi medie la crisi non terminerà.

    se anche ci sarà crescita - cosa di cui è lecito dubitare fortemente - sarà crescita del profitto privato e non dei salari. finchè non si fanno crescere le quote salari l'occidente proseguirà il proprio declino....perchè le economie emergenti non faranno mai da traino e il meccanismo di accumulazione per via industriale è quasi inceppato.

    possiamo poi chiederci se il declino industriale, strada scelta CONSAPEVOLMENTE dall'occidente a partire dagli anni 80 (direi con quasi l'unica eccezione della Germania), sia ancora l'obiettivo delle classi dirigenti.

    alla fine l'accumulazione è continuata. per altre vie ma è continuata fino a poco fa.
    se - SE - esiste un modo per uscire da questa crisi restando nel capitalismo sappiamo bene tutti qual è. il punto è che i dominanti paiono non volerlo prendere in considerazione....perchè ogni punto guadagnato nella grande partita contro il lavoro non va ceduto per principio.

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  4. quanto alle due opposte teorie della situazione europea e su chi comanda chi...direi che la verità è probabilmente nel mezzo.

    senza alcun dubbio la UE è emanazione delle volontà delle borghesie nazionali. però ci staremmo prendendo in giro se facessimo passare il concetto che la borghesia italiana è autonoma e che l'italia è un paese che non sottosta alle pressioni dei vicini più potenti.

    se così fosse le incette di società pubbliche le farebbero capitalisti italiani...e non mega fondi americani. non forniremmo uomini e mezzi per le guerre altrui...si veda la germania come esempio di paese sovrano su questi due temi.

    del resto nella Storia OGNI COLONIA , per mantenere il proprio status, ha avuto bisogno di una classe dirigente collusa col colonizzatore e che nel mentre si ritaglia il proprio spazio di potere e, perchè no, accresce e migliora il proprio status coll'aiuto del colonizzante.
    a mio parere siamo una semi-colonia in regime di relativa libertà rispetto ad altre. ma parlare di italia stato sovrano è un altra estremizzazione esattamente come quella che ci vuole totalmente privi di autonomia.

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  5. La riuscita dei piani dei "decisiori europei" avrebbe come conseguenza la definitiva stabilizzazione del regime plutocratico-mondialista imposto dal conquistatore anglosassone. E' il loro fallimento che, restituendo alle masse consumistizzate e mediatizzate la dignità del dolore e della disperazione, promette di aprire la strada a un'epoca rivoluzionaria: un'epoca di guerre e di spietato terrore.

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  6. 1. Chi comanda, l'Europa o i singoli stati? Nessuno dei due, sia i governi nazionali che l'eurocrazia designata con procedure antidemocratiche. Comandano in una parola, le banche, cioè le grandi finanze. Sarebbe ben strano se non comandassero, visto che sono le azioniste delle banche centrali, e quindi le controllano, gli stati hanno deciso di comportarsi come privati cittadini, e di essere quindi soggetti a una disciplina di bilancio che non include il controllo dei flussi monetari. L'Italia come ciascuno di noi non può spendere più di quanto preleva dai cittadini e deve anche sottrarre "le rate del mutuo", cioè gli interessi sul debito pubblico. Mi chiedo cosa accadrebbe se ci fosse un sisma distruttivo, forse la gente sarebbe lasciata morire sotto le macerie perchè lo stato ha esaurito i fondi per i disastri naturali.
    Nello stesso tempo, le banche, di fatto fallite sotto il peso della mole di titoli immessi sul mercato e non più onorabili, vengono salvate mediante immissione da parte delle banche centrali e continuano ad operare come veri sovrani del presente.
    Tutto questo, un distillato del credo neoliberista, è diventato non una tesi un po' stravagante da dibattere, ma regola inderogabile, l'assurdo assunto a legge a cui sottoporsi rigidamente.
    Quindi, comandano loro. Tuttavia, mentre i governi devono comunque mediare con i loro elettori, le varie commissioni se ne possono allegramente impipare di ciò che la gente pensa e diventare di fatto strumenti nelle mani delle banche senza bisogno di mediazioni. Ecco perchè alcuni di noi ce l'hanno con la strutture comunitarie ancor più che con i propri governi, servi gli uni e gli altri, ma gli uni più efficentemente.

    2. Rallentare l'austerità è un nonsenso. O hanno ragione coloro che per tutti questi anni ci hanno ripetutamente detto, e pretendono di dirlo tuttora, che la soluzione sta nelle riforme, intese appunto in senso neoliberista, ed allora si continui come pretenderebbe la Bundesbank, oppure la tesi neoliberista è sballata, come è sballata, e serve solo a rendere più ricchi coloro che già ricconi sono, ed allora ci vuole una svolta rivoluzionaria che non può essere più gestita da governi e commissioni che hanno avuto con il neoliberismo un rapporto analogo a quello che i musulmani hanno con Allah.
    Rallentare, mettere pannicelli caldi non serve a niente, serve come primo e fondamentale passo che le nazioni si riprendano la sovranità monetaria ed anche non monetaria, che le banche vengano fatte fallire e sostituite con un sistema pubblico, che il lavoro stia al centro delle scelte di politica economica abbandonando la dittatura della crescita del PIL.

    3. Non credo alla stagnazione secolare, ritengo che il capitalismo non possa sopravvivere senza crescita inarrestabile (salvo le crisi cicliche). Parlare di stagnazione secolare è quindi anche lessicamente un errore, si dovrebbe dire fine della società di mercato e passaggio a un'economia pianificata che come tale, sia in grado di massimizzare l'occupazione aggiustando il PIL a questi fini.

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