domenica 24 agosto 2014

Citazioni/2

"Ma vi è un'altra ragione per la quale l'idea di nazione non svolse un ruolo decisivo nella Germania imperiale. L'enfasi posta sull'idea di sovranità della nazione in quanto tale eguaglia tutte le nazioni e costituisce una barriera contro l'affermazione della superiorità nazionale. Se la nazione si fonda sulla libera volontà di uomini liberi, nessuna nazione è superiore a un'altra. L'idea di sovranità nazionale è di impaccio all'espansione imperialista. Anzi, ogniqualvolta gli stati democratici perseguono una tale politica espansionista, quasi invariabilmente abbandonano il concetto di nazione ed esaltano i tratti razziali e ideologici che li renderebbero superiori ai popoli conquistati"
Franz Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Bruno Mondadori 1999, pag.117 (l'edizione originale è del 1942).

sabato 23 agosto 2014

Stranezze

Adesso possiamo davvero dire di aver visto di tutto: anche un sito di estrema sinistra nel quale appare un articolo che invoca l'arrivo della troika, ovviamente come male minore. Le argomentazioni di Riccardo Achilli non sono in fondo molto diverse da quelle di Scalfari, il cui articolo di qualche tempo fa ha fatto abbastanza discutere: la situazione economica è disastrosa, il ceto politico italiano pure, la perdita di sovranità nazionale, in un modo o nell'altro, è inevitabile, meglio che succeda subito quando abbiamo ancora un po' di forza contrattuale. Inoltre, oggi la troika è un po' meno cattiva, meno “deflattiva” e più attenta allo sviluppo (anche in questo caso, forte consonanza con Scalfari). Quindi inutile ribellarsi, meglio cercare di strappare il più possibile, in termini di livelli economici, diritti e democrazia, dall'inevitabile “commissariamento”.
Fin qui Achilli. Le lacune del suo ragionamento mi sembrano evidenti:

1. Achilli sostiene da una parte che per i ceti popolari non si può fare più nulla nel contesto politico attuale, e dall'altra parte che sarebbe possibile strappare qualcosa per essi nel contesto di un commissariamento da parte della troika. Cioè,  Achilli afferma che non si può fare nulla quando i ceti popolari mantengono ancora un minimo di potere di pressione tramite le istituzioni democratiche nazionali, e si può invece ottenere qualcosa quando quel minimo di potere viene consegnato ai funzionari delle oligarchie internazionali. Ma come è possibile? Se non si può fare nulla nel momento in cui il contesto nazionale, l'unico nel quale i ceti popolari e i loro rappresentanti politici siano in grado di agire, ha ancora un minimo di potere, come si può pensare di fare qualcosa quando questo potere viene sottratto e consegnato a burocrazie che non rispondono in nessun modo, neanche molto indiretto, ai ceti popolari? Questa mi sembra una contraddizione insostenibile.
2. L'atteggiamento di Achilli è evidentemente del tipo “ha da passà 'a nuttata”: bisogna fare sacrifici per far ripartire l'economia, poi finalmente ci sarà la possibilità di riottenere qualcosa. Il retropensiero è che l'impoverimento diffuso, la perdita dei diritti, la restrizione della democrazia, siano solo incidenti, contingenze, qualcosa che passerà se si riesce a far “ripartire l'economia”. Mi sembra invece che tutto indichi il contrario: quello che succede ai paesi della “periferia sud” dell'eurozona è semplicemente l'instaurazione della nuova forma che si sta dando il capitalismo contemporaneo per far fronte alla crisi. La distruzione del ceto medio, l'impoverimento dei ceti popolari, l'annullamento della democrazia non sono dolorose necessità che verranno presto superate, ma semplicemente i pilastri del capitalismo dei prossimi decenni. Se le cose stanno così, dare il benvenuto alla troika vuol dire semplicemente accelerare quei processi.
3. Achilli sembra inoltre dimenticare che una delle componenti della realtà del capitalismo è lo scontro fra capitalismi. Ora, è abbastanza evidente che la crisi dell'eurozona è anche un regolamento di conti fra oligarchie, con i paesi forti del nord che stanno riducendo quelli del sud al ruolo di periferia da sfruttare. Anche in questo caso, l'arrivo della troika sarebbe semplicemente un modo per accelerare questi processi, dai quali i popoli dei paesi del sud hanno solo da rimetterci.


Come è possibile che un commentatore intelligente come Achilli non veda queste macroscopiche lacune del suo ragionamento? Saltando molti passaggi, credo che qui sia in azione uno degli errori di fondo del marxismo: l'idea che lo sviluppo capitalistico sia l'unico orizzonte della lotta per migliori condizioni di vita dei ceti popolari, e per il superamento del capitalismo stesso. In larga parte del marxismo storicamente esistito è presente, implicita od esplicita, l'idea che lo sviluppo capitalistico debba andare fino in fondo, per poter strappare qualcosa in favore dei ceti popolari e per poter pensare al superamento del capitalismo stesso. Una versione particolare di tale assunto è la tesi dell'Italia come paese arretrato che va modernizzato, della quale ho parlato in un post di qualche giorno fa. Quello che succede è che, con tale assunzione implicita, si assume in realtà la logica del capitale, e l'anticapitalismo si riduce a una decorazione. Achilli alla fine è d'accordo con Scalfari perché entrambi sono d'accordo sulla necessità della crescita dell'economia e della modernizzazione dell'Italia, e di fronte a questo accordo il colore delle bandiere non ha nessuna importanza.
(M.B.)

venerdì 22 agosto 2014

Regressione di un paese

La crisi di civiltà di un paese non è un concetto astratto ma significa cose molto concrete, come mostra questa inchiesta su "l'Espresso".
Anni fa avevo pubblicato, su un libretto che ho più volte citato in questo blog, una favoletta di politica futuribile nella quale fra l'altro parlavo della reintroduzione della schiavitù in Italia, datandola al 2010. A quanto pare, da quel che ci dice l'Espresso, non avevo sbagliato di molto.
Lo so, quella di cui parla l'inchiesta non è vera schiavitù, e l'Espresso esagera come sempre. Ma fa lo stesso una certa impressione, mi pare.
(M.B.)

domenica 17 agosto 2014

Confusione?

Forse davvero anche chi comanda ha le idee poco chiare. Sul "Corriere" Danilo Taino canta la solita canzone delle "riforme strutturali", ma nello stesso giornale Lucrezia Reichlin lo smentisce e porta argomenti che puntano verso la necessità di manovre di espansione fiscale.
(M.B.)

mercoledì 13 agosto 2014

Citazioni/1


“Oggi, sembrerebbe più giusto dire che lavoratori e contadini non hanno niente finché non hanno una patria. Essi non possono neppure perseguire i loro fini ed obiettivi di classe finché non riescono a possedere una struttura di stato nazionale all'interno della quale poter agire.”
J.Strachey, The End of Empire, Gollancz, London 1959.
La citazione l'ho trovata alle pagg.79-80 di “Imperialismo e sistema capitalista mondiale”, (Liguori 1979), un'antologia di scritti sull'imperialismo curata da Giovanni Arrighi. John Strachey è stato un intellettuale e uomo politico inglese, partito dal laburismo, passato attraverso il comunismo e infine tornato all'iniziale laburismo.
(M.B.)

domenica 10 agosto 2014

“Oggetti e argomenti per una disperazione”

Questo scritto è diviso in due parti. La prima è una recensione di due libri letti recentemente. Nella seconda proseguo le riflessioni sul “perché la gente non si ribella?”, iniziate tempo fa sul blog. “Oggetti e argomenti per una disperazione” è il titolo di una poesia di Elio Pagliarani, grande poeta scomparso nel 2012, che trovate per esempio qui.


1. Due libri recenti
I.Masulli, Chi ha cambiato il mondo? Laterza 2014
P.Dardot, C.Laval, La nuova ragione del mondo, DeriveApprodi 2013.
La forma di capitalismo che ha organizzato il mondo negli ultimi trent'anni, che per chiarezza comunicativa possiamo denominare capitalismo “neoliberista” e “globalizzato”,  è probabilmente entrata in una crisi irreversibile, una crisi che porterà a qualche nuova forma, ad oggi imprevedibile, di regolazione del modo di produzione capitalistico. A conferma della nota asserzione di Hegel sulla filosofia come nottola di Minerva, abbiamo adesso una serie di testi che ci spiegano in maniera molto chiara e lucida le caratteristiche principali del capitalismo “neoliberista-globalizzato”. Fra questi, i due testi di  cui parliamo oggi.


sabato 9 agosto 2014

La Mazzucato ci prova

Mariana spiega la ruota ai cavernicoli, che la rifiuteranno perché Gialesina, lo stregone della tribù, ha detto che è una cosa che a lui non hanno mai insegnato.
(M.B.)

mercoledì 6 agosto 2014

Modernizzare stanca

Credo sia opportuno iniziare a discutere un atteggiamento mentale che mi sembra abbastanza diffuso nel piccolo mondo anticapitalistico del nostro paese. È un complesso di idee del quale sarebbe molto interessante ricostruire la storia, che risale probabilmente a fine Ottocento ed è legata, io penso, al modo in cui nel nostro paese è nata e si è sviluppata la moderna impresa capitalistica. Per farla breve, si tratta dell'idea che il nostro sia un paese arretrato, che il nostro capitalismo sia un capitalismo di second'ordine, inadeguato, straccione, e che, di conseguenza, il compito principale delle forze antagonistiche sia quello di modernizzare il paese e di correggere il suo capitalismo favorendone la trasformazione secondo il modello del capitalismo dei paesi “civili” e “avanzati”.
Sono convinto che la necessità di “modernizzare l'Italia” sia stata una delle principali idee-forza della sinistra nel nostro paese, e in particolare abbia rappresentato il fondamento reale del radicamento e del successo del Partito Comunista Italiano in una parte significativa dei ceti dominanti e degli intellettuali.
Sono anche convinto che questa idea-forza sia oggi una palla al piede di ogni tentativo di politica antisistemica. Gli argomenti per questa tesi li ho esposti in un saggio scritto assieme a Bontempelli (adesso contenuto in “La sfida politica della decrescita”).
In sostanza, la tesi in esso sviluppata è che oggi sviluppo, modernizzazione e progresso, almeno come sono declinati dalla totalità del mainstream informativo, sono valori interni a un capitalismo profondamente distruttivo e nella sostanza regressivo.
Ma non voglio adesso approfondire queste tesi, per le quali rimando al saggio citato. Voglio piuttosto far vedere come l'idea dell'Italia come paese arretrato, e della conseguente necessità della sua modernizzazione, stia sullo sfondo in molti dei dibattiti cui assistiamo, e renda più deboli le posizioni critiche verso l'attuale organizzazione economica e sociale. Sono molti gli esempi possibili, ma per evitare di fare discorsi dispersivi mi concentrerò su un dibattito di qualche tempo fa. Si tratta di una discussione fra Michele Boldrin ed Emiliano Brancaccio, pubblicata su Micromega nel numero 8 del 2010 e relativa alle vicende FIAT e alle richieste di Marchionne nei confronti dei sindacati, con lo scontro che ne seguì con la FIOM. Faccio riferimento al testo completo pubblicato sulla rivista, in rete ho trovato solo delle versioni ridotte. Penso che i lettori si possano immaginare le posizioni dei due interlocutori: Boldrin difende le scelte di Marchionne e attacca le eccessive rigidità nel mercato del lavoro italiano, Brancaccio sostiene la posizione opposta. E penso che i lettori di questo blog possano immaginare come io mi senta completamente “dalla parte” di Brancaccio, sul piano intellettuale, teorico, e vorrei dire anche sul piano umano.

domenica 3 agosto 2014

Una buona notizia

Finalmente, dopo molte cattive notizie, una buona: “l'Unità” ha chiuso, speriamo per sempre. Si è scritto molto su questo fatto, e non ho granché da aggiungere a quanto detto da Alberto Bagnai (qui e qui), solo un ricordo e alcune considerazioni. Il ricordo è quello di tante domeniche mattina degli anni Sessanta, quando, bambino, accompagnavo mio padre in auto nelle campagne delle mie parti a vendere l'edizione domenicale dell'Unità, e ne tornavo con le dita nere di inchiostro, felice perché convinto di aver fatto la cosa giusta, e perché l'avevo fatta assieme a mio padre. Migliaia o forse decine di migliaia di persone facevano lo stesso in tutta Italia. Milioni di persone hanno dato lavoro, energie, soldi, tempo, ai partiti della sinistra. Lo facevano senza avere nulla in cambio. Lo facevano anche quando (lungo tutti gli anni Cinquanta, per esempio) la sinistra accumulava sconfitte e non riusciva granché a difendere i ceti sociali che ad essa facevano riferimento. Lo facevano, quei milioni di persone, perché sentivano che quei partiti, anche quando sbagliavano e venivano sconfitti, erano comunque dalla loro parte. Se i loro figli e  le loro figlie hanno smesso di farlo, non è per colpa della caduta del Muro di Berlino o delle televisioni di Berlusconi, come dicono gli sciocchi. È perché hanno percepito, magari senza avere gli strumenti intellettuali per dirlo chiaramente, che non è più così, che il ceto politico di sinistra ha smesso di difenderli, ha smesso di essere dalla loro parte e si è messo al servizio di altri. Al servizio dei nemici del popolo, se  mi è permessa questa espressione certo démodé. Ma la sinistra ha fatto questo utilizzando il patrimonio costruito negli anni dai sacrifici di milioni di persone come mio padre. Ha fatto questo utilizzando i simboli che erano costati sangue sudore e lacrime, e ingannando il proprio popolo. Se si usa il giornale fondato da Antonio Gramsci, e sostenuto per decenni dal lavoro di milioni di persone come mio padre, per appoggiare feroci politiche antipopolari, credo che si possa correttamente parlare di “furto” e di “tradimento”. In senso politico e culturale, e non giuridico, s'intende. Il tradimento non è una valida categoria di interpretazione storica, sia chiaro: cioè, non è una spiegazione dei fatti storici, perché a sua volta richiede una spiegazione. Ma è una valida categoria di giudizio delle persone. A quei giornalisti e intellettuali che lamentano la chiusura del giornale che fu di Antonio Gramsci, e che fu di milioni di persone come mio padre, possiamo solo rispondere che i traditori non meritano nessuna solidarietà. La solidarietà cercatela presso quel potere di cui vi siete fatti servi.
(M.B.)