domenica 29 settembre 2013

sabato 28 settembre 2013

Barack e Hassan, amici per la pelle (degli arabi)



Il segretario di Stato USA John Kerry incontra il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif durante la 68esima sessone dell'Assemblea Generale dell'ONU. Foto di Jason DeCrow, Associated Press, 26 settembre 2013. I termini dell'incontro sono descritti qui. 


 Tempo fa, su questo blog segnalammo i tentativi di "riconciliazione" che, al riparo della propaganda, le cancellerie di Washington e Teheran stavano mettendo in pratica (qui e qui). Abbiamo più volte parlato di una questione che è legata a doppio filo a questa tematica, e cioè quella siriana, ipotizzando che Obama non avesse per nulla in animo di promuovere un regime change a Damasco e congetturando che USA e alleati non avrebbero mai attaccato la Siria, e tantomeno l'Iran. Congettura che ha sempre superato la prova dei fatti.

Qualche settimana fa l'attacco chimico a Ghouta, nei dintorni della capitale siriana, costato la vita a più di 1700 innocenti, fece apparire del tutto probabile l'attacco occidentale contro il regime di Assad. Invece, nel giro di poco l'occasione che rischiava di travolgere quel regime si è trasformata in un grande successo diplomatico di Damasco e dei suoi alleati. In un primo tempo Obama ha tergiversato, riferendo la questione al Congresso, cosa che non è tenuto a fare e che con riguardo al caso libico non ha ovviamente fatto. Dopodiché, d'accordo con i diplomatici russi, ha offerto un'ancora di salvezza la regime: la consegna delle armi chimiche, in cambio dell'impunità. Così ora Assad è un interlocutore; avrà a disposizione alcuni mesi per fingere di consegnare le armi, potrà continuare lo sterminio del suo popolo con mezzi convenzionali, e non dovrà temere un attacco sulla cui possibilità ben pochi, ora, scommetterebbero. 

 Questi fatti si ricollegano al nuovo clima che si è venuto a creare tra gli USA e l'Iran, e che lasciano presagire un futuro di relazioni molto diverse da quelle che (almeno all'apparenza) hanno caratterizzato gli ultimi anni. Un ruolo fondamentale lo gioca il nuovo presidente iraniano, che verosimilmente potrà rappresentare la "faccia buona" del regime iraniano, quella che non pone in imbarazzo i diplomatici occidentali (Ahmadinejad era troppo compromesso con il negazionismo della Shoah).
Da parte americana la disponibilità ad avviare il confronto è massima, come ben inquadrato da Lucio Caracciolo.  Una disponibilità talmente estrema da consentire alla controparte iraniana di "fare la preziosa" (pare che comunque Obama e Rohani si siano sentiti per telefono).  Il Presidente iraniano non ha comunque avuto problemi ad incontrare Hollande.

Passando dall'ambito dei balletti diplomatici a quello delle dichiarazioni pubblici e degli atti politici vincolanti, da segnalare il  discorso di Obama all'ONU, in cui il Presidente USA dichiara di essere contrario a una soluzione militare per la Siria, e che l'Iran ha tutto il diritto di sviluppare la tecnologia nucleare, sia pur per scopi pacifici; discorso che, non ha caso, è stato accolto con favore dalla stampa iraniana.
La questione del nucleare riveste un'importanza fondamentale, perché determinerà i rapporti di forza tra le varie potenze in Medio Oriente; e su di essa pare che l'accordo USA-Iran sia già stato raggiunto.

Con simili premesse, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Siria, ieri in calendario, non poteva assomigliare a nulla di diverso da un appeasament tra il regime di Assad e l'occidente. La risoluzione infatti pone in capo al regime (di cui non si afferma chiaramente la responsabilità per l'eccidio di Ghouta) l'obbligo di smantellare l'arsenale chimico, ma non prevede alcuna sanzione in caso di inadempimenti o ritardi! Non stupisce dunque che abbia trovato la piena approvazione del rappresentante siriano all'ONU.

Stiamo dunque per entrare nell'era dell'alleanza USA-Iran. Non che uscissimo da una fase di autentica inimicizia: al di là dello scontro verbale, Teheran e Washington non si sono mai fatte nulla che minacciasse in maniera irreparabile i rispettivi interessi, e anzi hanno collaborato su vari fronti (un esempio fra i tantissimi). Tuttavia, almeno sulla carta i due paesi non avevano relazioni diplomatiche. Sta cambiando tutto, e questo non rappresenta una buona notizia per gli arabi. Sia l'Iran che gli USA condividono il medesimo disegno di dominio neo-coloniale del mondo arabo. È abbastanza probabile che Obama e Rohani passeranno alla storia come i nuovi Sykes e Picot. A pagare, come sempre, sarà la dignità e l'indipendenza degli arabi. (C.M.)




















venerdì 27 settembre 2013

giovedì 26 settembre 2013

Ma non eravamo tutti europei?

In questi giorni è pressoché universale la preoccupazione legata all'acquisizione di Telecom e Alitalia da parte di capitali esteri, nello specifico spagnoli e francesi. L'ansia e il timore coinvolgono il mondo politico, finanziario e mediatico. Persino il Copasir mette in guardia: con la Telecom in mano estere, la sicurezza nazionale è in pericolo. Enrico Mentana per descrivere le manovre della dirigenza Alitalia per impedire l'acquisizione straniera usa l'espressione "si attiva la contraerea". Un rinnovato afflato patriottico anima dunque la nostra classe digerente*.

Ci sarebbero tanti commenti da fare a questo triste spettacolo. Per esempio, si potrebbe chiedere perché Telecom è stata messa sul mercato, visto che il suo controllo è così decisivo per le sorti del paese. Ma l'interrogativo principale è un altro. Il mondo politico, finanziario e mediatico ora è in allarme per le acquisizioni, e giudica  pressoché all'unanimità cosa nefasta che tali acquisizioni avvengano; ebbene, ma non si tratta delle stesse persone che ci dicono tutti i giorni, tutto il giorno che dobbiamo rimanere in Europa? Che siamo tutti europei? Che ci vuole più Europa?

Cari amici (si fa per dire), perché vi preoccupate così tanto? Nessuno va in ansia se un'impresa marchigiana viene acquisita da una società veneta. Se è vero che non esistono più interessi nazionali al di fuori della dimensione europea, allora l'acquisizione di Telecom e Alitalia è una non-notizia. Se siamo tutti europei, non c'è alcuna differenza tra una società spagnola e una italiana.


Oppure no?


Oppure quelli che ci parlano continuamente di irrinunciabilità dell'Europa lo sanno benissimo che gli interessi nazionali sono vivi e vegeti? Che spesso essi confliggono tra di loro? Che non esiste alcuna solidarietà europea, e nemmeno una comunanza di vedute e intenti? Cos'è più probabile? Sono dissociati, o sono ipocriti? (C.M.)










*che sia un refuso o no, lo lascio giudicare ai lettori.

martedì 24 settembre 2013

Siamo noi i nipoti di Keynes


Per una discussione su decrescita ed economia


1. Introduzione
Questo articolo vorrebbe essere uno stimolo per una discussione sul tema della decrescita fra i sostenitori della decrescita stessa, da una parte, e, dall'altra, quegli economisti eterodossi che contestano in modo radicale le attuali politiche di austerità, e in generale il pensiero e le politiche neoliberiste, a partire da posizioni keynesiane o marxiste o da una mescolanza delle due correnti di pensiero. Si tratta di un dibattito che ho a più riprese  invocato, l'ultima nelle pagine finali del libro sull'euro scritto assieme a Fabrizio Tringali [1]. Purtroppo le diffidenze e le ostilità fra i due gruppi non sembrano diminuire. I decrescisti vedono nelle posizioni degli economisti “eterodossi” semplicemente una versione “di sinistra” del dogma della crescita che essi combattono, gli economisti “eterodossi” vedono nella decrescita una ideologia reazionaria, confusionaria e incapace di fornire risposte reali e non regressive ai drammatici problemi contemporanei.
È mia convinzione che queste diffidenze possano e debbano essere superate, e in questo scritto cercherò di argomentare questa convinzione. Credo che questo superamento sia un'urgenza del tempo presente. La crisi che il mondo oggi attraversa risulta dal confluire di varie crisi relativamente indipendenti: siamo di fronte infatti ad una crisi economica che non si riesce a superare e ad una incipiente crisi ecologica [2]. E' evidente che non è possibile fornire risposte separate a queste due crisi. La risposta alla crisi ecologica non può prescindere dai problemi drammatici della disoccupazione e delle crescenti ineguaglianze, perché, se facesse così, la preoccupazione per l'ambiente apparirebbe come una fisima di benestanti senza problemi. D'altra parte, la risposta alla crisi economica non può sperare di ripercorrere le strade tipiche del keynesismo del  “trentennio dorato”, perché quel modello era basato sulla fortissima crescita dei consumi materiali, che oggi non sembra più possibile dati i vincoli ecologici [3]. Il confronto su questi temi appare quindi una esigenza imprescindibile per confrontarsi seriamente con la nostra realtà.

domenica 22 settembre 2013

Claus Offe a Genova


Il noto politologo tedesco Claus Offe, uno degli esponenti dell'élite accademica internazionale del pensiero progressista, terrà una conferenza martedì prossimo a Genova, a Palazzo Ducale. Ieri (sabato 21) il Secolo XIX ha pubblicato parti della sua conferenza, dedicata a Europa ed euro. Dai brani pubblicati sul Secolo, sembra di capire che Offe ritenga che effettivamente l'euro abbia rappresentato un errore, ma che disfarsene porterebbe a problemi peggiori. Offe descrive in questo modo le conseguenze della dissoluzione dell'euro:


“la rinazionalizzazione delle politiche monetarie permetterebbe alle nazioni periferiche di svalutare le loro valute ma li lascerebbe ancora più nei guai con la sfida di occuparsi del debito in euro che hanno accumulato. Inoltre, i finanziatori del settore privato aumenterebbero immediatamente la loro pressione, spread, sugli Stati membri che non avessero ancora lasciato l'euro, provocando così i costi incalcolabili di un effetto domino che alla fine minaccerebbe l'economia delle nazioni con una bilancia commerciale in attivo, perché perderebbero una parte sostanziale dei loro mercati d'esportazione”


Se si rilegge con attenzione questo brano, si vede che l'unica conseguenza negativa prospettata per i paesi “periferici” della zona euro, in caso di uscita, è quella di dover pagare in euro i debiti pregressi. Ma a questa obiezione è stata confutata in vari luoghi da Alberto Bagnai, per esempio alle pagg. 343-363 del suo “Il tramonto dell'euro”, alle quali rimandiamo per approfondimenti. Il resto del brano di Offe sopra citato dice semplicemente che con l'uscita dall'euro i paesi "periferici" svaluterebbero le loro monete e i paesi in attivo (oggi, la Germania) ne sarebbero danneggiati. Cioè ci descrive esattamente il motivo per cui sarebbe vantaggioso per i paesi PIGS l'uscita dall'euro. Se questo è tutto quello che i prestigiosi intellettuali di sinistra riescono a dire contro l'uscita dall'euro, possiamo essere rinfrancati nelle nostre due convinzioni di base: che è bene che l'Italia esca dall'euro, e che i prestigiosi intellettuali di sinistra sono alla frutta.
(M.B.)

Re Giorgio ha perso la fiducia dei suoi "sudditi"

L'ultimo sondaggio dell'istituto SWG, commissionato dalla trasmissione di RAI 3 "Agorà", disponibile in questo elenco (la data è del 20 settembre), mette in luce due dati interessanti. Il primo è che la sfiducia (la somma di chi esprime "poca" o "nessuna" fiducia) nel governo Letta ha raggiunto la quota del 75% del totale degli intervistati. La seconda, ancora più significativa, è che lo stesso Giorgio Napolitano viene retribuito per le sue ultime mosse politiche con un tasso di sfiducia del 53%.
Per chi frequenta gli istituti di sondaggi, questo dato è clamoroso, se confrontato con quelli risalenti a due anni fa: all'epoca Re Giorgio viaggiava su livelli di fiducia attorno all'80%. Ma allora veniva percepito come una figura super-partes, di garanzia. Da tempo egli ha deciso di comportarsi come un vero attore politico, usando in maniera del tutto strumentale e irrituale i poteri a sua disposizione. La sua azione ha avuto una tale efficacia che si può affermare che l'attuale quadro politico, nonché la situazione disastrosa dell'economia, siano frutto dell'attuazione dei disegni strategici di Napolitano. Ogni uomo politico deve misurarsi con il problema della responsabilità delle sue scelte. Oggi gli italiani sono piuttosto stanchi. (C.M.)

Fioccano movimenti anti-euro/2

Sulla falsariga del Movimento 139, di cui abbiamo già parlato, è stata creata in questi giorni una nuova associazione, Progetto Eurexit. La presentazione di questo soggetto è stata benedetta dal Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ed ha avuto luogo proprio in quella città. Nel sito viene definita l'identità e lo scopo dell'associazione. Si tratta di un soggetto voluto e finanziato da un gruppo di imprenditori e liberi professionisti, e che si basa su una piattaforma dichiaratamente post-ideologica (con vari accenni al "frontismo", "destra e sinistra unite", ecc.). Sono presenti contributi di Alberto Bagnai, Giulio Tremonti, 48 e Paolo Savona.
È probabile che gruppi come questo  siano soltanto l'avanguardia di un generale "risveglio" politico dei capitali nazionali in difficoltà. L'Italia dovrebbe essere il terreno privilegiato per la nascita di questi movimenti: essa infatti è un paese molto particolare, che non fa nettamente parte né dello schieramento dei PIGS nè di quello dei paesi core; il suo tessuto imprenditoriale, che è indebolito ma non scomparso, dopo aver scommesso per anni su Berlusconi e sulla permanenza nell'euro potrebbe decidersi che è ora di uscire. (C.M.)

venerdì 20 settembre 2013

L'idea della moneta comune fa proseliti/4: Ancora Sapir

Abbiamo già visto come Jacques Sapir, in un articolo del 2010, sposava l'idea della moneta comune. Si poteva pensare che con gli anni avesse cambiato idea. Invece rilancia:
Questa idea attira un certo numero di uomini (e donne) della politica . Ed è tutt'altro che assurda , anzi. In effetti, una moneta comune avrebbe dovuto essere adottata sin dal principio.
Attendiamo che le parole di Sapir vengano definite vigliacce, codarde, probabilmente prive di significato, volte alla conservazione dell'euro, strumentali al dominio della Francia...

Sciocchezze a parte, notiamo che la trattazione di Sapir difetta di un elemento: i meccanismi di compensazione tra le partite correnti che rendono la moneta comune un vero sistema monetario cooperativo e non competitivo. Tale difetto è ampiamente "risarcito" dall'inserimento del discorso in una prospettiva internazionale:
Questo darebbe all'Europa sia la flessibilità interna di cui ha bisogno e sia la stabilità nei confronti del resto del mondo. Un "paniere di valute" essendo intrinsecamente più stabile di una moneta unica, la moneta comune potrebbe diventare un potente strumento di riserva, corrispondentemente ai desideri dei paesi emergenti BRICS .

Lo scioglimento dell'Euro, in queste condizioni , non segnerebbe la fine dell'Europa, come si pretende, ma al contrario la sua rimonta nell'economia globale, e per di più una rimonta da cui potrebbero trarre beneficio in maniera massiccia, sia per la crescita che la nascita nel tempo di uno strumento di riserva, i paesi in via di sviluppo dell'Asia e dell'Africa .

Oggi l'eurozona dominata dal mercantilismo tedesco mostra un profilo aggressivo rispetto al resto del mondo, che mette in crisi le economie extraeuropee, come illustra questo eccellente articolo. Un Europa che supera l'euro, e che magari abbraccia la moneta comune, diventerebbe un amico e alleato delle economie emergenti.

Infine, c'è da considerare che, come nota Sapir, un po' di stabilità della valuta non fa male, e la moneta comune consentirebbe di coniugare quella stabilità con la sovranità economica degli Stati europei e il benessere delle loro classi lavoratrici. Su come si intrecciano i temi del mercantilismo europeo e i problemi derivanti dalla mancanza di stabilità valutaria consiglio quest'ottima lettura. (C.M.)

giovedì 19 settembre 2013

È ora di passare all'attacco

In Francia ancora ragionano, e pochi giorni fa è stato pubblicato su Le Monde Diplomatique un bellissimo editoriale di Serge Halimi. Ecco l' Originale in francese, e questa invece è la traduzione italiana.

L'autore, dopo aver preso atto della sconfitta delle forze anti-capitaliste nello sfruttare l'immane crisi partita nel 2008, cerca di immaginare come reagire all'ulteriroe svolta neoliberista che ne è scaturita. Redige quindi un programma di attacco, che non si limita a difendere quel po' che resta, ma mira a recuperare quanto perduto, e ad andare anche oltre. La prima serie di istanze riguarda l'istituzione di una serie di servizi pubblici gratuiti:
Per contrastare quest’offensiva, forse converrebbe definire democraticamente alcuni bisogni elementari (alloggio, cibo, cultura, comunicazioni, trasporti), farli finanziare dalla collettività e metterli a disposizione di tutti. Addirittura, il sociologo Alain Accardo raccomanda di «estendere rapidamente e continuativamente il servizio pubblico fino a farsi carico gratuitamente di tutti i bisogni fondamentali a misura della loro evoluzione storica, cosa non concepibile economicamentte se non mediante la restituzione alla collettività di tutte le risorse e ricchezze prodotte dagli sforzi di tutti e necessarie all’assistenza sociale». Così, piuttosto che mettere la domanda in condizione di far fronte all’offerta aumentando i salari, si tratterebbe di acquisire quest’ultima al socialismo e di garantire a ciascuno delle nuove prestazioni in natura.
Un'ottima idea, di cui forse avrete già sentito parlare. Ma non ci si ferma qui. Fra le misure di "riconquista", vengono citate anche il ripudio del debito e la lotta ai paradisi fiscali. E quanto deve trarre le somme, l'autore scrive:

Alla lista delle priorità potremmo aggiungere il congelamento dei salari più elevati, la chiusura della Borsa, la nazionalizzazione delle banche, la rimessa in discussione del libero scambio, l’uscita dall’euro, il controllo dei capitali…
 e prosegue:


L’uscita dall’euro meriterebbe di figurare a colpo sicuro tra le urgenze. Tutti comprendono ormai che la moneta unica e la chincaglieria istituzionale e giuridica che la sostiene (Banca centrale indipendente, patto di stabilità) impediscono ogni politica che si accanisca contro l’aumento delle diseguaglianze e contro la confisca della sovranità di una classe dominante subordinata alle esigenze della finanza.

È esattamente quanto viene detto  qui. La fine dell'euro non dovrebbe essere l'unico punto, e forse nemmeno il primo, del programma politico di una forza anti-capitalista. Ma dovrebbe comunque figurare in quel programma. Tutte le contraddizioni che questa proposta porta con sé, se presentata da sola, svaniscono quando viene associata alle altre misure di riconquista:

L’uscita dall’euro, un po’ come il protezionismo, si fonderebbe peraltro su una coalizione politica che mischia il peggiore e il migliore, e all’interno della quale il primo termine prevale sul secondo, almeno per il momento. Il salario universale, l’amputazione del debito e il recupero fiscale permettono di attrarre altrettanto consenso, e anche di più, a patto di tenere in disparte convitati non desiderati.

L'antifona è decisamente chiara.
Sì, serve audacia, come dice l'autore in un passaggio successivo. È necessario abbandonare la logica della mera difesa, per passare al contrattacco. Le classi dominanti finora ci hanno imposto il terreno dello scontro: quello della negoziazione al ribasso per conservare brandelli di diritti che si pensavano acquisiti. Oggi, di fronte al dispiegamento del capitalismo assoluto, bisogna convincersi che nulla può essere dato per acquisito. Scegliamo noi il terreno dello scontro: quello della conquista dei diritti democratici, della lotta concretamente anti-capitalista. (C.M.)

martedì 17 settembre 2013

Usciamo dall'euro. E restiamo nella UE?

Sul blog Orizzonte48 è apparso un post che illustra la legittimità dell'uscita dall'euro ma non dalla UE. In buona sostanza non sarebbe fondato il discorso secondo il quale l'unico modo "legale" per uscire dall'euro è il celebre art. 50 TFUE, che prevede l'avvio di un processo di uscita dello Stato dall'intero complesso dell'Unione.

Non sono del tutto convinto dal processo argomentativo di 48. In questo specifico caso le disposizioni dei Trattati appaiono singolarmente chiare e univoche. L'adesione alla moneta unica è un carattere fondamentale della partecipazione all'Unione Europea. Non ci si fa mai caso, ma dal punto di vista formale tutti e 28 gli Stati membri della UE fanno parte dell'eurozona; non tutti fanno parte dell'eurogruppo. Ci sono Stati che, pur facendo parte della UE e quindi dell'eurozona, godono di una deroga. Tale deroga è concepita come un momento transitorio, una fase nella quale gli Stati che ne usufruiscono hanno il tempo di ristrutturare le proprie economie per soddisfare i parametri di adesione all'eurogruppo; una fase, dunque, finalizzata all'adozione dell'euro come moneta ufficiale. Ovviamente anche a livello europeo il transitorio può tendere decisamente al definitivo, e il caso del Regno Unito lo dimostra. Ciò non toglie che la logica intrinseca dei Trattati non concepisce l'UE e l'euro come un che di separato e separabile, se non per ragioni contingenti e, appunto, transitorie. Ma l'uscita di uno Stato dall'eurogruppo verrrebbe fatalmente percepita come una rinuncia definitiva. Del resto, non sembra molto plausibile uno schema di Unione a la carte, in cui ogni Stato decide a quale complesso normativo contenuto nei Trattati aderire oppure no. Nessuno, a quanto mi consta, si sognerebbe di proporre l'uscita unilaterale dalla politica agricola comune o dalla politica estera e di sicurezza comune senza anche abbandonare l'UE. Su questo blog ci siamo sempre mossi in linea con la considerazione che euro e UE sono, alla fine dei conti, la stessa cosa; momenti diversi (e tra loro subordinati) dello stesso schema distruttivo. 
 
Naturalmente, la competenza specifica dei giuristi è proprio quella di rendere equivoco qualsiasi testo; e un maestro come 48 avrà certo buon gioco a elaborare altri, intriganti meccanismi interperativi e argomentativi per sostenere l'uscita dall'euro, ma non dalla UE. Non intendo certamente sfidarlo su questo terreno. L'unica domanda che si pone è: PERCHÉ???
Perché 48 vuole la fine dell'euro, ma non della UE?
Forse esagero, forse addebito a 48 posizioni che non ha; ma non riesco a immaginare altro obiettivo della proposta argomentativa di 48 diverso dal sostenere che, sebbene sia necessario abbandonare l'euro, faremmo bene a rimanere nella UE.
Tuttavia, questa idea è coerente con quanto sta scritto nel Manifesto di Solidarietà Europea. Lì viene detto senza mezzi termini: abbandonare l'euro, al fine dichiarato di salvare Unione Europea e Mercato Unico. Il Manifesto verrà presentato a Roma il 22 settembre, presso la Link Campus University presieduta da Vincenzo Scotti. L'associazione che cura la diffusione del Manifesto in Italia è Asimmetrie, nel cui comitato scientifico siede proprio 48. Perciò non pare arbitrario chiedergli perché, secondo lui, dovremmo salvare la UE, e dove sbaglia chi, come gli autori di questo blog, ne chiede invece lo smantellamento. 
 
Anche perché, come tutti sappiamo, non solo nell'euro si trovano le ragioni della distruzione dello Stato sociale nei paesi del sud europa- e dell'intera economia. Esse vanno ricercate nello svuotamento della democrazia operato dalle istituzioni UE, nei limiti all'intervento pubblico in economia, nello stesso mercato unico. A questo proposito un'osservazione si impone. L'economista Emiliano Brancaccio ha fatto notare che noi non dovremmo essere pronti alla sola fine della valuta unica, ma anche dello stesso Mercato Unico. Se non altro come strumento di pressione sui tedeschi, che la fine di quel Mercato temono come nient'altro. Curiosamente, Brancaccio è stato tacciato di difendere l'euro (?). Nel Mercato Unico c'è anche la libera circolazione dei capitali, che in teoria vogliamo tutti limitare e controllare. Allora perché difenderlo?

 Ribadisco: su questo blog riteniamo, ormai da molto tempo, che non c'è nessuna possibilità di un recupero della democrazia e di condizioni di vita decenti per la classi popolari senza riappropriarci della nostra sovranità; e che per farlo è necessario uno smantellamento, possibilmente controllato, della UE. Ma evidentemente ci sono punti di vista diversi. Sarebbe molto positivo se si sviluppasse un dibattito su questi temi, e che 48 ci spiegasse perché il nostro ragionamento non  è condivisibile. (C.M.)

Università Attac 2013: Brevi anteprime dei temi dibattuti

Come annunciato si sono svolti negli ultimi giorni gli incontri della scuola estiva di Attac. L'organizzazione ha diffuso le anteprime dei singoli interventi.  Ecco il primo video. Qui sotto trovate quello che contiene, tra gli altri, gli interventi di Franco Russo, Bruno Amoroso e Marino Badiale (min. 5.59). Buona visione.

lunedì 16 settembre 2013

Genova, la lotta continua


Domani, martedì 17 settembre, alle 17:30, i militanti del Forum dei beni comuni e i lavoratori delle aziende interessate formeranno un presidio di fronte a Palazzo Tursi, sede del Consiglio Comunale e della Giunta, contro la delibera che autorizza la privatizzazione integrale delle società partecipate dal Comune. La discussione di tale documento è stata rinviata a data da destinarsi, ma rimane sempre latente. Riportiamo qui l'ottimo comunicato di uno dei sindacati più attivi sulla vicenda.

                                    UNIONE SINDACALE DI BASE

LAVORO PRIVATO

LIGURIA



PRIVATIZZAZIONE AMT, ASTER, AMIU, FARMACIE, BAGNI :
NESSUNA ILLUSIONE
DORIA E IL PD NON MOLLANO
FERMIAMOLI !!!

La discussione in corso sulla privatizzazione delle aziende partecipate non deve far dimenticare che i processi di .privatizzazione sono in corso ormai da anni nel solco delle politiche liberiste di esternalizzazione e svendita del patrimonio pubblico imposte dall’ europa e pienamente condivise dai governi di qualunque colore succedutisi in questi anni.

Queste politiche, i cui effetti deleteri i lavoratori delle partecipate e i cittadini genovesi utenti dei servizi sperimentano quotidianamente, sono state IN QUESTI ANNI DI FATTO CONDIVISE E FATTE DIGERIRE AI LAVORATORI DA CGIL CISL E UIL.

Lo stop temporaneo alla delibera di privatizzazione delle partecipate è stato imposto dalla reazione dei lavoratori e dalla intrinseca debolezza della giunta Doria e del suo partito di maggioranza, il PD.

In alcun modo è dovuto a CGIL CISL e UIL, che sono state costrette a muoversi (poco e malvolentieri) dalla reazione e dalla mobilitazione dei lavoratori.
Deve quindi essere chiaro a tutti che non c’è nessuna volontà da parte della giunta, del Pd e tantomeno di CGIL CISL e UIL di accantonare le privatizzazioni e imboccare una strada alternativa.
Il patto che CGIL CISL e UIL firmano (qui a Genova e non a caso sul palco della festa PD !!!) con un governo che annuncia trionfante una nuova massiccia ondata di privatizzazioni, è l’ennesima prova delle loro reali intenzioni e della loro credibilità.

Considerato che a breve deflagrerà in modo drammatico anche il problema di AMT, con la prospettiva della vendita sempre più concreta, sulla vicenda delle partecipate non sono più accettabili ambiguità o illusioni.

Deve essere respinta con forza qualsiasi ipotesi, che sicuramente DORIA CGIL CISL e UIL proporranno, di scambio tra privatizzazioni, rilancio dell’azienda e promessa della tutela dei livelli occupazionali che verrà disattesa alla prima inevitabile difficoltà di bilancio

Nessuna illusione o ambiguità è più ammissibile sulla giunta Doria. O si è contro le privatizzazioni o si è a favore. Vie di mezzo non esistono. Doria ha proposto di privatizzare AMT due mesi dopo essere stato eletto, rimangiandosi senza colpo ferire le sue promesse elettorali e ha minacciato di licenziare i lavoratori del Carlo Felice. A questo punto non vedere da che parte sta significa essere complici.
USB, insieme a tutte le forze che coerentemente si sono battute in questi giorni contro le privatizzazioni, contrasterà qualunque ipotesi di accordo che permetta la svendita o la dismissione seppur parziale anche di una sola azienda.

Federazione reg.le USB Liguria

domenica 15 settembre 2013

Letta difende la sovranità dell'italia

No non ho bevuto, mi sono limitato a leggere La Stampa. Ma tutti i quotidiani nazionali riportano le ultime dichiarazioni di Letta, che ultimamente si fanno via via più divertenti. Dunque, il fatto è il parlamento italiano (cioè i nostri rappresentanti, cioè tutti noi) non può sfiduciare il governo del Nipote di Suo Zio, perché altrimenti pagheremmo tutti l'IMU. E qui siamo nell'ambito degli squallidi ricattini politici. Nulla di così nefasto, abbiamo visto di peggio. Ma il bello viene dopo. Letta annuncia che ciò che rende davvero inaffondabile il suo governo è la legge di stabilità (la vecchia finanziaria): «se il governo cade la scriveranno a Bruxelles, per un motivo molto semplice, che abbiamo la stessa moneta».
Rileggiamo. Se il parlamento sfiducia il governo non può più formare e approvare la legge di stabilità, che pure è un atto che la costituzione gli riserva; né potrà concorrere a formarla un nuovo governo, o magari nuove camere scauturite dalla fine anticipata della legislatura, nè nulla che assomigli a qualcosa che ha a che fare con il processo democratico. No. Letta è l'unico in Italia che può sovraintendere alla formazione della legge di stabilità; se non c'è lui, subentra Olli Rehn. Tutto perché abbiamo la stessa moneta. Non è perciò assurdo che il giornalista riassuma il discorso di Letta in questi termini: "Mantenere la stabilità politica, insomma, diventa una ricetta per difendere la sovranità, nei limiti delle regole comuni che l’Europa s’è data nel nome dell’euro". Una storia che abbiamo già sentito, ricordate?
Queste dichiarazioni sono interessanti per comprendere quanto sia profondo il pozzo in cui siamo precipitati. Innanzitutto ci chiarisce la totale perdita di sovranità che abbiano subito, visto che non siamo liberi di sostituire un governo con un altro. Gli artefici di tale perdita di sovranità ci dicono poi che bisogna difenderla. Questo nei giorni pari; in quelli dispari ci ricordano che non ne abbiamo ceduta abbastanza.
Tale, demenziale deriva  è resa possibile dal fatto che questi soggetti non trovano di fronte a loro un'opposizione vera e propria. In mancanza di questa, si possono permettere di dire quello che vogliono. E dicono quello che vogliono. Sono padroni del campo, e possono prendersi gioco di noi in un clima di assoluta impunità. (C.M.)

venerdì 13 settembre 2013

Confronto tra Marino Badiale e Bruno Amoroso

La sezione italiana della nota organizzazione altermondialista ATTAC organizza un'interessante "Università Estiva", dal 13 al 15 settembre presso il New Camping “Le Tamerici” Via della Cecinella 3 Cecina Mare, Livorno. L'iniziativa è intitolata "Europa ultima stazione?" (qui il programma completo). Sabato 14, dalle 21 alle 23, Marino Badiale e Bruno Amoroso si confronteranno sul tema "Fuori dall'euro?". Un incontro imperdibile, per chi è di Livorno (ma anche per chi non lo è!).

Marino Badiale - Sovranità monetaria e questione nazionale

giovedì 12 settembre 2013

Ancora su Destra e Sinistra

 Claudio Martini

L'ultimo post di Fabrizio ha riscosso un meritato successo. Evidentemente ha toccato alcune corde sensibili dell'animo di molti nostri lettori. Molti di essi, è evidente, appartengono alla schiera di coloro i quali un tempo credevano, in un modo o nell'altro, nella Sinistra, e che poi sono stati da essa "traditi". In fondo anche chi scrive su questo blog appartiene a tale categoria. Generalmente la reazione al tradimento è la rabbia, e questi casi non fanno eccezione: il più delle volte i commenti sono carichi di rabbia e disprezzo verso il PD e la sinistra politica; e come dar loro torto?
Tuttavia, come notava almeno un lettore, forse questa rabbia unidirezionale, rivolta esclusivamente verso Sinistra, è almeno in parte fuori bersaglio.
Il fatto è che questa rabbia, che a livello di elaborazione intellettuale si riflette nella constatazione dell'esaurimento della dicotomia destra-sinistra, trova la sua origine nella mutazione genetica unilaterale della Sinistra. Con "unilaterale" intendo che ad essa non si è associata un'analoga trasformazione da parte della Destra; questa è rimasta più o meno identica, mentre l'altro polo vedeva stravolta la propria identità. In altre parole, quando diciamo che Destra e Sinistra sono identiche, non intendiamo dire che entrambe si sono trasformate fino a "fondersi" in qualcosa di diverso e ulteriore; constatiamo invece che la Sinistra è diventata una nuova Destra. E così ci ritroviamo con due Destre, che danno vita a quel che alcuni definiscono "monopartitismo competitivo". È da qui che dobbiamo ripartire: dalla trasformazione della Sinistra in Destra, avvenuta in buona parte senza rinunciare agli orpelli e ai nominativi del passato.
La morte (o la mutazione genetica) della Sinistra in Europa è un fatto notevole nella storia del pensiero filosofico e politico, un fatto attorno al quale le ricerche non sono ancora a uno stato avanzato. Di sicuro, per descrivere il fenomento non aiuta la categoria del "tradimento": se il 90% dei dirigenti, degli intellettuali,  dei militanti e degli elettori della Sinistra approva e sostiene questa trasformazione in nuova Destra non si può dire che essi commettano una qualche forma di tradimento. La Sinistra di cui vale la pena parlare è quella realmente esistente; e quel 90% è il "legittimo titolare" della "ditta" costituita dalla Sinistra realmente esistente. Prendiamone atto, e pace.
Si pone un interrogativo: ma allora ha senso continuare a utilizzare la dicotomia Destra-Sinistra per leggere la realtà?

martedì 10 settembre 2013

Fioccano movimenti anti-euro

I più non se ne sono accorti, ma il celebre Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, insieme a due ex-dirigenti di primo piano dell'Italia dei Valori, Felice Belisario e Carlo Costantini, hanno fondato un nuovo movimento, 139. Se si va sulla loro pagina si legge immediatamente:
"L'Euro è stato un errore"
e proseguendo:

L’Euro doveva essere il punto terminale di tutti i processi di unificazione auspicati anche dagli europeisti più convinti. Averlo imposto, invece, come il punto di partenza si è rivelato un errore, sia rispetto alle prospettive di natura politica, che rispetto a quelle di natura economica.

Dunque, se l’Euro doveva accompagnarci in questi anni verso l’unificazione politica ed economica dell’Europa, l’Euro ha fallito. E riconoscerlo espressamente non è un atto di parte; è semplicemente un atto di responsabilità verso il paese.

Sganciarci dall’Euro, da soli o in compagnia. E farlo possibilmente con il consenso degli altri partners ma, se necessario, anche senza il loro consenso.

Molti economisti se ne sono occupati e continuano ad occuparsene e moltissimi, tra loro, sostengono motivatamente che di fronte agli scenari che ho brevemente rappresentato, l’opzione dell’uscita dall’attuale moneta unica rappresenti l’unica possibilità che ci resta per salvare ciò che possiamo ancora salvare.



Non male, vero?  Forse non è una coincidenza che l'autore di questo scritto, Costantini, sia di Pescara. Battute a parte, è notevole che personaggi del calibro di Orlando decidano di puntare il loro peso politico su messaggi così dirompenti. Segno che qualcosa sta cambiando.
La cosa veramente curiosa è che, a quanto pare, il fine di 139 è quello di partecipare alle primarie del centro-sinistra presentando un programma anti-euro; il che è più o meno come partecipare ad una asseblea di Testimoni di Geova perorando la causa dell'ateismo. A parte questi dettagli pittoreschi, la presenza, magari effimera,  di simili realtà è sintomo di qualcosa di profondo. È prevedibile che la critica esplicita all'euro (se non proprio la proposta di uscirne) sarà il prossimo luogo strategico della politico, dalla cui occupazione dipendono gli esiti delle competizioni elettorali. (C.M.)

lunedì 9 settembre 2013

Ma cos'è la destra? Cos'è la sinistra?

"Tutti noi ce la prendiamo con la storia, ma io dico che la colpa è nostra. 
E' evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra e destra"
Giorgio Gaber

Un sentito grazie a Claudio Borghi, che ci regala questo scambio illuminante. Emergono in toto le ragioni dei difensori dell'euro, ma soprattutto si chiarisce la reale natura della sinistra politica esistente (PD ed alleati).
Altro che il "ma anche" di veltroniana memoria. Questi non solo non difendono i lavoratori (sai che novità...), ma neanche buona parte degli imprenditori. Non difendono i ceti sociali deboli, ma neanche quelli medi o medio-alti.
Chiudono occhi e mente di fronte ad ogni ragione logica. Non si scompongono anche quando si contraddicono in maniera imbarazzante. Contano sul fatto che tanto in pochi capiranno.
E intanto il famigerato spread italiano sta per diventare peggiore di quello spagnolo....

domenica 8 settembre 2013

Un nuovo manifesto

Riceviamo e pubblichiamo il manifesto della neonata associazione Bottega Partigiana.


La dignità umana non è in vendita
I BENI PUBBLICI ED I DIRITTI NON SONO IN VENDITA

E’ giunta l’ora di rivendicare con forza e coerenza la nostra libertà di scelta. Noi vogliamo recuperare in concreto il senso del bene
comune e la consapevolezza collettiva per cui i beni pubblici ed i diritti non sono, né dovranno mai più essere negoziabili o vendibili.
Dobbiamo ritrovare il senso di comunità e di appartenenza, riappropriandoci con orgoglio del nostro patrimonio collettivo affinché
alcun diritto possa mai più essere violato.
In nome di interessi che fanno leva sui dogmi neoliberisti dell’onorabilità del debito e del “Ce lo chiede l’Europa” ci vengono imposte
misure di austerità depressiva, con tagli alla spesa pubblica ed elevata pressione fiscale su famiglie ed imprese.
Una tra le più gravi forme di servitù politica è la sottomissione degli Stati alle logiche di mercato, che negano la possibilità di garan-
tire i diritti e le tutele sociali finalizzate al bene comune.
L’asservimento politico ha adeguato tutte le azioni e decisioni, quali privatizzazioni, liberalizzazioni e perdita del ruolo regolatore
dello Stato, all’esclusiva tutela degli interessi dei grandi gruppi finanziari e delle lobbies capitalistiche.

NESSUNO CI HA CHIESTO NULLA

Le attuali oligarchie politiche e finanziarie hanno utilizzato la retorica dell'Europa dei Popoli, per creare un'Europa monetaria
funzionale alle esigenze dell’aristocrazia finanziaria e del grande capitale europeo.
I cittadini non hanno avuto la possibilità di esprimersi sul reale significato economico e politico dei trattati firmati con l'Europa, e
quando hanno avuto la possibilità di farlo, come in occasione del referendum francese del 2005, si sono opposti al progetto.
L’Europa attuale, essendo stata costruita come un mercato di beni e capitali e come un’unione monetaria, è un’Europa capital-
finanziaria dove i popoli europei non contano più nulla né come soggetto politico, né come soggetto sociale.
E oggi, quando il progetto è vicino al fallimento, pur di non mettere in discussione i principi assurdi stipulati dal trattato di
Maastricht in poi, gli eurocrati di Bruxelles cercano di creare un "doppio euro" per salvarsi e conservare il loro dominio economico
e politico.

RICONQUISTARE LA SOVRANITÀ

In Italia e nei paesi che hanno aderito all'eurozona si sta accentuando la disparità fra i cittadini e la disoccupazione e la precarietà
sono diventate una vera emergenza umanitaria.
Perché, per sopperire alle nostre esigenze, dobbiamo chiedere in prestito denaro ai mercati di capitali privati? La moneta moderna
non è legata ad una corrispondenza in oro come avveniva in passato, e potrebbe essere lo Stato a gestirne l'emissione e la spesa,
in quanto i limiti a cui è sottoposta sono legati alle reali forze produttive disponibili.
La separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, la sovranità monetaria e fiscale, il ritorno all'unione tra Tesoro
e Banca D'Italia, e l’istituzione di misure protezionistiche che impediscano le attuali forme di delocalizzazione liberoscambista,
sono i primi passi necessari per costruire uno Stato che protegga i cittadini dall'aggressione dei grandi speculatori togliendo
loro il dominio sull'economia. Per riconquistare la sovranità politica ed economica, occorre combattere la logica dell'indipendenza
della Banca Centrale nazionalizzandola, per poterne sottoporne l’operato a un controllo democratico, che le conferisca una funzio-
ne sociale finalizzata non all’accumulo di capitale, ma alla promozione dell’occupazione.
Disponendo degli strumenti e delle risorse per finanziare una ripresa dell'economia, lo Stato potrebbe quindi assumere il ruolo di
“creatore di occupazione” sviluppando una finanza che sia davvero funzionale agli interessi popolari, e che ridimensioni il ruolo
della finanza privata nei processi produttivi legati all’occupazione.

LO STATO SIAMO NOI

Vogliamo che venga ridato un futuro ai lavoratori, alle imprese e al ceto medio che, per via della morsa della ristrettezza del credito
e grazie ad una tassazione improponibile, sono massacrati dalla crisi e non riescono più a trovare un lavoro dignitoso per il loro
sostentamento e per quello della loro famiglia.
Vogliamo una sovranità politica e monetaria in cui i finanziamenti vengano finalizzati al bene pubblico e a progetti socialmente utili.
Vogliamo che vengano creati nuovi servizi al cittadino e vengano migliorati quelli esistenti. Vogliamo che si crei occupazione.
Non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. L'eredità
dei partigiani è calpestata insieme alla Costituzione.
"Non aspettarti nessuna risposta, oltre la tua" disse Berthold Brecht.
E' in gioco il futuro di tutti noi, il futuro dei nostri figli.
Dobbiamo ribellarci adesso per creare un nuovo paradigma politico e culturale fondato sulla dignità umana.
Facciamolo. Facciamolo insieme. Facciamolo adesso.


venerdì 6 settembre 2013

Il "piùeuropa" non esiste

Jurgen Habermas controbatte alle tesi di Wolfgang Streeck, di cui abbiamo già parlato (qui e qui) con un lungo articolo, nel quale tenta di rispondere gli argomento del sociologo, finendo però per ammettere gli eurocrati non hanno alcuna idea innovativa per fare uscire il loro progetto dalla crisi in cui si è cacciato.

Né la parte propositiva del testo (sostanzialmente: più poteri all'Europarlamento) nè quella che contiene la critica a Streeck rappresentano nulla di nuovo. Habermas attua il classico ribaltamento dell'onere dell'argomentazione, per cui non è lui a dover giustificare razionalmente la fondazione di una Europa unita, ma i critici della stessa a dover fornire motivi validi per negarla (ad esempio, a proposito della considerazione per cui il processo di integrazione è sempre stato voluto e gestito dalle élite capitalistiche, il filsofo risponde: " in ciò io non vedo motivi sufficienti per una rinuncia disfattista al progetto europeo"). Riprende inoltre il solito argomento secondo il quale la mancanza di un popolo europeo non sarebbe affatto un ostacolo all'unione politica, perché le identità nazionali sarebbero identità "fittizie" e "artificiali". Si resta sempre colpiti dall'inconsistenza di questi argomenti. Sotto gli aggettivi "fittizi" e "artificiali" si vorrebbe contrabbandare il concetto per cui le identità nazionali sono irrilevanti. Ma non tutto ciò che "artificiale" è per ciò solo poco importante. La musica e l'alfabeto, e in generale tutti i prodotti della cultura umana, sono assolutamente artificiali. Né si capisce cosa voglia dire affermare che quella di popolo è una nozione "fittizia". Che non sia "naturale" è ovvio, visto che è il risultato dello stratificarsi di dinamiche sociali di portata secolare. Le identità nazionali sono una realtà sociale di primaria importanza, nessun processo culturale negli ultimi anni le ha scalfite, e affermare migliaia di volte che sono "fittizie" e "artificiali" non sposta di un centimetro il problema.

Ma arriviamo al cuore del ragionamento. Habermas comprende le preoccupazioni di Streeck, specie quelle riferite al fatto che procedere con "piùeuropa" potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male. E tenta di rassicurarlo così:

(...) il timore di Streeck di una centralizzazione repressiva si basa soprattutto sull’assunto sbagliato che l’approfondimento istituzionale dell’Unione europea debba condurre ad una sorta di repubblica federale europea. Lo Stato federale è il modello sbagliato. Infatti le condizioni di legittimazione democratica possono essere soddisfatte anche da una comunità democratica sovranazionale ma sovrastatale che consenta un governo comune. In essa tutte le decisioni politiche sarebbero legittimate dai cittadini nel loro doppio ruolo di cittadini europei e di cittadini dei vari Stati membri [10]. In una siffatta unione politica, chiaramente distinta da un “superstato”, gli Stati membri, in quanto garanti del livello da essi rappresentato di diritti e di libertà, conserverebbero un ruolo molto importante se paragonati alle articolazioni subnazionali di uno Stato federale.

 Chiaro? Quando si parla di unione politica, mica si intende un'unione politica: si tratta solo di un ulteriore rafforzamento delle attuali istituzioni europee, senza particolari cambiamenti di assetto. Ciò che è stato tolto dalle singole sovranità popolari (per esempio l'intervento pubblico in economia a scopi ridistributivi) non viene trasferito a livello continentale, ma viene semplicemente annullato. Non si tratta di costruire un mega-Stato, ma di cancellare l'idea stessa di Stato.

E qui faccio mea culpa. Gli Stati Uniti d'Europa sono una follia, ovviamente, ma io pensavo che Habermas li appoggiasse. Ma qualcuno aveva capito per tempo che gli USE, oltre che irrealizzabili, non sono affatto nell'agenda e negli interessi delle élite europee. Sono un mero specchietto per le allodole per illudere i dannati dell'euro che un giorno ci sarà redenzione. Il "piùeuropa" non esiste. Esiste il piùTroika. Esiste il progetto di rendere ancora più invasivo il controllo delle istituzioni UE, ma non quello di trasformarle: vanno benissimo come sono.

Abbiamo la conferma, per bocca di uno dei più autorevoli intellettuali europei ancora in attività, che l'alternativa "o si va avanti nell'integrazione europea, o si torna indietro" non ha ragione d'essere. Non c'è alcun "avanti" che ci attende. C'è solo un eterno presente fatto di austerità di negazione della democrazia. L'UE è un vicolo cieco, e la sua rottura non rappresenta un ritorno indietro, ma l'unica modo per "muoversi". Per cambiare le cose. (C.M.)

giovedì 5 settembre 2013

Grillo non ha tutti i torti

Chi frequenta questo blog sa che non abbiamo mai lesinato critiche al M5S, almeno quando le critiche apparivano necessarie. Tuttavia, non si può non notare che alcuni degli atteggiamenti che Grillo assume nei confronti dei "dissidenti" interni, nonostante la loro caratura autoritaria, sono ampiamente giustificabili.

Nei fatti, la "corrente" che a noi piacerebbe vedere presente all'interno del M5S non esiste in termini politicamente apprezzabili. Questa corrente dovrebbe essere composta di soggetti che rifiutino l'imperio di Grillo-Casaleggio sull'intero movimento, e reclamino democrazia interna (questione di metodo), ma che allo stesso tempo non abbiano il minimo dubbio sulla necessità di non collaborare in nessuno modo con una forza distruttiva e anti-popolare come il PD (questione di sostanza). Ebbene, nella realtà delle cose coloro che si trovano sul giusto versante per quando riguarda la questione di metodo sono pronti a sostenere un nuovo governo di centro-sinistra, mentre quelli che hanno ragione sulla sostanza sono i guardiani dell'autoritarismo anti-democratico di Grillo. Non vi è dunque alcuno spazio di medizione.
Ospite a giugno della prima puntata di "In Onda Estate", programma condotto da Luca Telese, Adele Gambaro, senatrice espulsa dal gruppo del M5S, riservava buone parole per il governo Letta-Alfano, e si diceva pronta a sostenere una maggioranza "per il bene del paese". Pochi giorni fa Orellana ha annunciato che bisognerebbe allearsi con il PD. La reazione da parte dei vertici del movimento è stata sempre la stessa, la solita: minacce di espulsione e proclami roboanti. Resta il fatto che Orellana si dice pronto a lasciare il gruppo, come hanno già fatto quattro suoi colleghi. Quindi il PD potrebbe contare su diverse stampelle, oltretutto sormontate dall'aura della "dissidenza" e del "martirio". La situazione in Senato è questa*:

PD: 107 senatori
PdL: 91
M5S: 50
Monti: 20
Autonomisti di varia estrazione: 19
Lega: 17
Sel: 7
Grillini dissidenti: 4

In grassetto i gruppi che sosterrebbero un nuovo governo di centro-sinistra.

Se contiamo i 4 senatori a vita provvidenzialmente nominati da Napolitano, a fronte di un'Aula con 319 membri, il centro-sinistra gode di una possibile maggioranza di 161 voti contro 158. Uno scarto minimale. Diventa così indispensabile attirare nuovi senatori, e putroppo il M5S è attualmente terreno fertile. Non è nemmeno escluso, anzi è molto probabile, che qualche voto per il nuovo governo provenga anche dal PdL. Basterebbero cinque senatori ex-grillini e cinque ex-berlusconiani per arrivare ad una maggioranza piuttosto solida. 

La prospettiva di un nuovo governo senza il PdL diventa più realistica man mano che si chiudono le porte dell'impunità a Berlusconi. Di fronte alla prospettiva dell'esclusione dalla vita politica, questi potrebbe tentare il colpo di mano, cercando di ottenere le elezioni anticipate da vincere con una campagna elettorale anti-euro e sostanzialmente eversiva. Gli esponenti più moderati del suo partito non lo seguirebbero. Ed è facile prevedere che un nuovo governo Monti-Letta-Vendola, formato "per senso di responsabilità nazionale", verrebbe sostenuto da una manciata di preziosi voti ex-M5S. (C.M.)




*Non ho contato il voto di Ciampi, che ha 93 anni, di Grasso, che è divenuto presidente dell'assemblea, e ho spostato il voto di Tremonti dal gruppo degli autonomisti a quello della Lega.

mercoledì 4 settembre 2013

Siamo ai saldi

Letta annuncia che in autunno partono le privatizzazioni, e che ad esse seguirà un "Road Show". L'espressione dovrebbe significare che il nostro Premier andrà in giro per le capitali del mondo facendo, da buon piazzista, pubblicità per le nostre imprese in vendita. Quindi il piano non è soltanto di azzerrare la presenza dello Stato nell'economia, ma di svendere quest'ultima agli investimenti esteri. Non si pensa di vendere all'esangue capitale nazionale, come avvenne negli anni '90; si cede direttamente ai capitali internazionali.

Quasi in contemporanea giunge notizia della possibile privatizzazione dell'ente pubblico greco che sovrintende alle privatizzazioni. In termini più seri: siccome il Taiped (questo il nome dell'ente) non riesce a privatizzare o a porre sul mercato abbastanza beni pubblici nei tempi richiesti dai funzionari della Troika (UE, FMI e BCE), gli stessi funzionari della Troika potrebbero essere messi a dirigere l'ente. In questa maniera avremmo funzionari stranieri che vendono beni greci a investitori stranieri per recuperare i soldi necessari a ripagare debiti contratti con creditori stranieri. Un processo completamente e limpidamente greek-free, visto l'animo levantino e inaffidabile che connota quel popolo (almeno agli occhi dei tedeschi).

Il Taiped è autorizzato alla "valorizzazione" del patrimonio immobiliare greco, in cui sono comprese anche alcune isole dell'Egeo. Gradualmente fuoriesce dal mondo dell'ironia e della satira, per entrare in quello della triste realtà, la proposta finlandese di utilizzare il Partenone come garanzia reale per i debiti contratti da Atene. (C.M.)

martedì 3 settembre 2013

L'idea della moneta comune fa proseliti/3: Sapir e Streeck

Un nostro lettore ci ha segnalato un intervento di Alain De Benoist, noto (e discusso) intellettuale francese, con cui critica la moneta unica e sposa la tesi della moneta comune. Il testo risale all'ottobre del 2011, e fa propria la proposta di moneta comune contenuta in un articolo uscito su Le Figaro poche settimane prima, a firma di Jacques Sapir, Philippe Villon, e Gerard Lafay. Quest'ultimo va più nel dettaglio della proposta in questa intervista.
Nel suo intervento De Benoist chiarisce che un concetto di "condivisione" della moneta differisce grandemente dall'idea di un "governo economico" dell'eurozona, variamente riconducibile al "PiùEuropa"; ha cura inoltre di sottolineare come il semplice ritorno alle valute nazionali non risolverebbe i problemi strutturali della nostra società, non rappresentando, di per sé, una rottura con le logiche del Capitale (anche qui citando un testo di Sapir, La fin de l’euro-libéralisme, pubblicato a Parigi nel 2010).

Spostiamo ora la nostra attenzione al di là del Reno, aprendo l'interessantissimo Tempo guadagnato di Wolfgang Streeck. Tra i mille spunti che il volume ci offre troviamo la proposta della moneta comune. Nel paragrafo Per una Bretton Woods europea (pp. 213-215), dopo aver descritto per sommi capi i vantaggi del sistema monetario internazionale in vigore dal 1944 al 1973, il sociologo tedesco afferma:

Le energie dei migliori economisti andrebbero spese per risolvere la seguente questione: quale aspetto dovrebbe assumere in europa un appropriato sistema di cambio valutario, al contempo solido e flessibile, che possa prende il posto dell'attuale Unione Monetaria? (...) [un simile sistema] dovrebbe prevedere un'adesione leggera da parte delle monete nazionali, così da garantire attraverso la sovranità nazionale la democrazia degli stati membri e le opportunità di uno sviluppo democratico, invece di una moneta unica che vale per tutti. L'euro non dovrebbe essere abolito, ma potrebbe continuare ad esistere ancorato a valute nazionali come moneta artificiale di riferimento, quale era stata proposta da Keynes con il nome di Bancor, ma che alla fine gli USA non hanno voluto accettare dal momento che assegnavano tale funzione al dollaro.

Pur con qualche sfumatura diversa, è il progetto dell'ECU. (C.M.)

Addendum: non che sia così importante, ma ci è arrivato anche Alfonso Gianni.

lunedì 2 settembre 2013

Risposte mancate

Beppe Grillo ha rilasciato qualche tempo fa un'intervista a Bloomberg Businessweek (l'intervista è stata tradotta in  italiano da Internazionale, nel numero de 23-29 agosto, ma non trovo il link alla traduzione). E' interessante notare come Grillo si rifiuti reiteratamente di rispondere alla domanda sull'euro. La ragione addotta (non voler influenzare il pubblico) è ovviamente risibile: Grillo ha scelto di fare politica, e fare politica significa appunto influenzare il pubblico. Si possono pensare molte possibili interpretazioni di questa volontà di Grillo di evitare un posizione precisa sull'euro. Fedele al principio metodologico di scegliere le spiegazioni più semplici (versione moderna del rasoio di Occam), propendo per l'ipotesi che Grillo sia indeciso per la sua mancanza di idee chiare sul tema (e magari per la presenza di opinioni diverse fra i suoi consiglieri). Si tratta di un dato estremamente negativo, perché rende il Movimento 5 Stelle sostanzialmente incapace di assumere una posizione precisa su uno dei problemi fondamentali nell'attuale fase.
(M.B.)